548 resultados para Politic subversion
Resumo:
Descrizione, tema e obiettivi della ricerca La ricerca si propone lo studio delle possibili influenze che la teoria di Aldo Rossi ha avuto sulla pratica progettuale nella Penisola Iberica, intende quindi affrontare i caratteri fondamentali della teoria che sta alla base di un metodo progettuale ed in particolar modo porre l'attenzione alle nuove costruzioni quando queste si confrontano con le città storiche. Ha come oggetto principale lo studio dei documenti, saggi e scritti riguardanti il tema della costruzione all'interno delle città storiche. Dallo studio di testi selezionati di Aldo Rossi sulla città si vuole concentrare l'attenzione sull'influenza che tale teoria ha avuto nei progetti della Penisola Iberica, studiare come è stata recepita e trasmessa successivamente, attraverso gli scritti di autori spagnoli e come ha visto un suo concretizzarsi poi nei progetti di nuove costruzioni all'interno delle città storiche. Si intende restringere il campo su un periodo ed un luogo precisi, Spagna e Portogallo a partire dagli anni Settanta, tramite la lettura di un importante evento che ha ufficializzato il contatto dell'architetto italiano con la Penisola Iberica, quale il Seminario di Santiago de Compostela tenutosi nel 1976. Al Seminario parteciparono numerosi architetti che si confrontarono su di un progetto per la città di Santiago e furono invitati personaggi di fama internazionale a tenere lezioni introduttive sul tema di dibattito in merito al progetto e alla città storica. Il Seminario di Santiago si colloca in un periodo storico cruciale per la Penisola Iberica, nel 1974 cade il regime salazarista in Portogallo e nel 1975 cade il regime franchista in Spagna ed è quindi di rilevante importanza capire il legame tra l'architettura e la nuova situazione politica. Dallo studio degli interventi, dei progetti che furono prodotti durante il Seminario, della relazione tra questo evento ed il periodo storico in cui esso va contestualizzato, si intende giungere alla individuazione delle tracce della reale presenza di tale eredità. Presupposti metodologici. Percorso e strumenti di ricerca La ricerca può quindi essere articolata in distinte fasi corrispondenti per lo più ai capitoli in cui si articola la tesi: una prima fase con carattere prevalentemente storica, di ricerca del materiale per poter definire il contesto in cui si sviluppano poi le vicende oggetto della tesi; una seconda fase di impronta teorica, ossia di ricerca bibliografica del materiale e delle testimonianze che provvedono alla definizione della reale presenza di effetti scaturiti dai contatti tra Rossi e la Penisola Iberica, per andare a costruire una eredità ; una terza fase che entra nel merito della composizione attraverso lo studio e la verifica delle prime due parti, tramite l'analisi grafica applicata ad uno specifico esempio architettonico selezionato; una quarta fase dove il punto di vista viene ribaltato e si indaga l'influenza dei luoghi visitati e dei contatti intrattenuti con alcuni personaggi della Penisola Iberica sull'architettura di Rossi, ricercandone i riferimenti. La ricerca è stata condotta attraverso lo studio di alcuni eventi selezionati nel corso degli anni che si sono mostrati significativi per l'indagine, per la risonanza che hanno avuto sulla storia dell'architettura della Penisola. A questo scopo si sono utilizzati principalmente tre strumenti: lo studio dei documenti, le pubblicazioni e le riviste prodotte in Spagna, gli scritti di Aldo Rossi in merito, e la testimonianza diretta attraverso interviste di personaggi chiave. La ricerca ha prodotto un testo suddiviso per capitoli che rispetta l'organizzazione in fasi di lavoro. A seguito di determinate condizioni storiche e politiche, studiate nella ricerca a supporto della tesi espressa, nella Penisola Iberica si è verificato il diffondersi della necessità e del desiderio di guardare e prendere a riferimento l'architettura europea e in particolar modo quella italiana. Il periodo sul quale viene focalizzata l'attenzione ha inizio negli anni Sessanta, gli ultimi prima della caduta delle dittature, scenario dei primi viaggi di Aldo Rossi nella Penisola Iberica. Questi primi contatti pongono le basi per intense e significative relazioni future. Attraverso l'approfondimento e la studio dei materiali relativi all'oggetto della tesi, si è cercato di mettere in luce il contesto culturale, l'attenzione e l'interesse per l'apertura di un dibattito intorno all'architettura, non solo a livello nazionale, ma europeo. Ciò ha evidenziato il desiderio di innescare un meccanismo di discussione e scambio di idee, facendo leva sull'importanza dello sviluppo e ricerca di una base teorica comune che rende coerente i lavori prodotti nel panorama architettonico iberico, seppur ottenendo risultati che si differenziano gli uni dagli altri. E' emerso un forte interesse per il discorso teorico sull'architettura, trasmissibile e comunicabile, che diventa punto di partenza per un metodo progettuale. Ciò ha reso palese una condivisione di intenti e l'assunzione della teoria di Aldo Rossi, acquisita, diffusa e discussa, attraverso la pubblicazione dei suoi saggi, la conoscenza diretta con l'architetto e la sua architettura, conferenze, seminari, come base teorica su cui fondare il proprio sapere architettonico ed il processo metodologico progettuale da applicare di volta in volta negli interventi concreti. Si è giunti così alla definizione di determinati eventi che hanno permesso di entrare nel profondo della questione e di sondare la relazione tra Rossi e la Penisola Iberica, il materiale fornito dallo studio di tali episodi, quali il I SIAC, la diffusione della rivista "2C. Construccion de la Ciudad", la Coleccion Arquitectura y Critica di Gustavo Gili, hanno poi dato impulso per il reperimento di una rete di ulteriori riferimenti. E' stato possibile quindi individuare un gruppo di architetti spagnoli, che si identificano come allievi del maestro Rossi, impegnato per altro in quegli anni nella formazione di una Scuola e di un insegnamento, che non viene recepito tanto nelle forme, piuttosto nei contenuti. I punti su cui si fondano le connessioni tra l'analisi urbana e il progetto architettonico si centrano attorno due temi di base che riprendono la teoria esposta da Rossi nel saggio L'architettura della città : - relazione tra l'area-studio e la città nella sua globalità, - relazione tra la tipologia edificatoria e gli aspetti morfologici. La ricerca presentata ha visto nelle sue successive fasi di approfondimento, come si è detto, lo sviluppo parallelo di più tematiche. Nell'affrontare ciascuna fase è stato necessario, di volta in volta, operare una verifica delle tappe percorse precedentemente, per mantenere costante il filo del discorso col lavoro svolto e ritrovare, durante lo svolgimento stesso della ricerca, gli elementi di connessione tra i diversi episodi analizzati. Tale operazione ha messo in luce talvolta nodi della ricerca rimasti in sospeso che richiedevano un ulteriore approfondimento o talvolta solo una rivisitazione per renderne possibile un più proficuo collegamento con la rete di informazioni accumulate. La ricerca ha percorso strade diverse che corrono parallele, per quanto riguarda il periodo preso in analisi: - i testi sulla storia dell'architettura spagnola e la situazione contestuale agli anni Settanta - il materiale riguardante il I SIAC - le interviste ai partecipanti al I SIAC - le traduzioni di Gustavo Gili nella Coleccion Arquitectura y Critica - la rivista "2C. Construccion de la Ciudad" Esse hanno portato alla luce una notevole quantità di tematiche, attraverso le quali, queste strade vengono ad intrecciarsi e a coincidere, verificando l'una la veridicità dell'altra e rafforzandone il valore delle affermazioni. Esposizione sintetica dei principali contenuti esposti dalla ricerca Andiamo ora a vedere brevemente i contenuti dei singoli capitoli. Nel primo capitolo Anni Settanta. Periodo di transizione per la Penisola Iberica si è cercato di dare un contesto storico agli eventi studiati successivamente, andando ad evidenziare gli elementi chiave che permettono di rintracciare la presenza della predisposizione ad un cambiamento culturale. La fase di passaggio da una condizione di chiusura rispetto alle contaminazioni provenienti dall'esterno, che caratterizza Spagna e Portogallo negli anni Sessanta, lascia il posto ad un graduale abbandono della situazione di isolamento venutasi a creare intorno al Paese a causa del regime dittatoriale, fino a giungere all'apertura e all'interesse nei confronti degli apporti culturali esterni. E' in questo contesto che si gettano le basi per la realizzazione del I Seminario Internazionale di Architettura Contemporanea a Santiago de Compostela, del 1976, diretto da Aldo Rossi e organizzato da César Portela e Salvador Tarragó, di cui tratta il capitolo secondo. Questo è uno degli eventi rintracciati nella storia delle relazioni tra Rossi e la Penisola Iberica, attraverso il quale è stato possibile constatare la presenza di uno scambio culturale e l'importazione in Spagna delle teorie di Aldo Rossi. Organizzato all'indomani della caduta del franchismo, ne conserva una reminescenza formale. Il capitolo è organizzato in tre parti, la prima si occupa della ricostruzione dei momenti salienti del Seminario Proyecto y ciudad historica, dagli interventi di architetti di fama internazionale, quali lo stesso Aldo Rossi, Carlo Aymonino, James Stirling, Oswald Mathias Ungers e molti altri, che si confrontano sul tema delle città storiche, alle giornate seminariali dedicate all’elaborazione di un progetto per cinque aree individuate all’interno di Santiago de Compostela e quindi dell’applicazione alla pratica progettuale dell’inscindibile base teorica esposta. Segue la seconda parte dello stesso capitolo riguardante La selezione di interviste ai partecipanti al Seminario. Esso contiene la raccolta dei colloqui avuti con alcuni dei personaggi che presero parte al Seminario e attraverso le loro parole si è cercato di approfondire la materia, in particolar modo andando ad evidenziare l’ambiente culturale in cui nacque l’idea del Seminario, il ruolo avuto nella diffusione della teoria di Aldo Rossi in Spagna e la ripercussione che ebbe nella pratica costruttiva. Le diverse interviste, seppur rivolte a persone che oggi vivono in contesti distanti e che in seguito a questa esperienza collettiva hanno intrapreso strade diverse, hanno fatto emergere aspetti comuni, tale unanimità ha dato ancor più importanza al valore di testimonianza offerta. L’elemento che risulta più evidente è il lascito teorico, di molto prevalente rispetto a quello progettuale che si è andato mescolando di volta in volta con la tradizione e l’esperienza dei cosiddetti allievi di Aldo Rossi. Negli stessi anni comincia a farsi strada l’importanza del confronto e del dibattito circa i temi architettonici e nel capitolo La fortuna critica della teoria di Aldo Rossi nella Penisola Iberica è stato affrontato proprio questo rinnovato interesse per la teoria che in quegli anni si stava diffondendo. Si è portato avanti lo studio delle pubblicazioni di Gustavo Gili nella Coleccion Arquitectura y Critica che, a partire dalla fine degli anni Sessanta, pubblica e traduce in lingua spagnola i più importanti saggi di architettura, tra i quali La arquitectura de la ciudad di Aldo Rossi, nel 1971, e Comlejidad y contradiccion en arquitectura di Robert Venturi nel 1972. Entrambi fondamentali per il modo di affrontare determinate tematiche di cui sempre più in quegli anni si stava interessando la cultura architettonica iberica, diventando così ¬ testi di riferimento anche nelle scuole. Le tracce dell’influenza di Rossi sulla Penisola Iberica si sono poi ricercate nella rivista “2C. Construccion de la Ciudad” individuata come strumento di espressione di una teoria condivisa. Con la nascita nel 1972 a Barcellona di questa rivista viene portato avanti l’impegno di promuovere la Tendenza, facendo riferimento all’opera e alle idee di Rossi ed altri architetti europei, mirando inoltre al recupero di un ruolo privilegiato dell’architettura catalana. A questo proposito sono emersi due fondamentali aspetti che hanno legittimato l’indagine e lo studio di questa fonte: - la diffusione della cultura architettonica, il controllo ideologico e di informazione operato dal lavoro compiuto dalla rivista; - la documentazione circa i criteri di scelta della redazione a proposito del materiale pubblicato. E’ infatti attraverso le pubblicazioni di “2C. Construccion de la Ciudad” che è stato possibile il ritrovamento delle notizie sulla mostra Arquitectura y razionalismo. Aldo Rossi + 21 arquitectos españoles, che accomuna in un’unica esposizione le opere del maestro e di ventuno giovani allievi che hanno recepito e condiviso la teoria espressa ne “L’architettura della città”. Tale mostra viene poi riproposta nella Sezione Internazionale di Architettura della XV Triennale di Milano, la quale dedica un Padiglione col titolo Barcelona, tres epocas tres propuestas. Dalla disamina dei progetti presentati è emerso un interessante caso di confronto tra le Viviendas para gitanos di César Portela e la Casa Bay di Borgo Ticino di Aldo Rossi, di cui si è occupato l’ultimo paragrafo di questo capitolo. Nel corso degli studi è poi emerso un interessante risvolto della ricerca che, capovolgendone l’oggetto stesso, ne ha approfondito gli aspetti cercando di scavare più in profondità nell’analisi della reciproca influenza tra la cultura iberica e Aldo Rossi, questa parte, sviscerata nell’ultimo capitolo, La Penisola Iberica nel “magazzino della memoria” di Aldo Rossi, ha preso il posto di quello che inizialmente doveva presentarsi come il risvolto progettuale della tesi. Era previsto infatti, al termine dello studio dell’influenza di Aldo Rossi sulla Penisola Iberica, un capitolo che concentrava l’attenzione sulla produzione progettuale. A seguito dell’emergere di un’influenza di carattere prettamente teorica, che ha sicuramente modificato la pratica dal punto di vista delle scelte architettoniche, senza però rendersi esplicita dal punto di vista formale, si è preferito, anche per la difficoltà di individuare un solo esempio rappresentativo di quanto espresso, sostituire quest’ultima parte con lo studio dell’altra faccia della medaglia, ossia l’importanza che a sua volta ha avuto la cultura iberica nella formazione della collezione dei riferimenti di Aldo Rossi. L’articolarsi della tesi in fasi distinte, strettamente connesse tra loro da un filo conduttore, ha reso necessari successivi aggiustamenti nel percorso intrapreso, dettati dall’emergere durante la ricerca di nuovi elementi di indagine. Si è pertanto resa esplicita la ricercata eredità di Aldo Rossi, configurandosi però prevalentemente come un’influenza teorica che ha preso le sfumature del contesto e dell’esperienza personale di chi se ne è fatto ricevente, diventandone così un continuatore attraverso il proprio percorso autonomo o collettivo intrapreso in seguito. Come suggerisce José Charters Monteiro, l’eredità di Rossi può essere letta attraverso tre aspetti su cui si basa la sua lezione: la biografia, la teoria dell’architettura, l’opera. In particolar modo per quanto riguarda la Penisola Iberica si può parlare dell’individuazione di un insegnamento riferito alla seconda categoria, i suoi libri di testo, le sue partecipazioni, le traduzioni. Questo è un lascito che rende possibile la continuazione di un dibattito in merito ai temi della teoria dell’architettura, della sue finalità e delle concrete applicazioni nelle opere, che ha permesso il verificarsi di una apertura mentale che mette in relazione l’architettura con altre discipline umanistiche e scientifiche, dalla politica, alla sociologia, comprendendo l’arte, le città la morfologia, la topografia, mediate e messe in relazione proprio attraverso l’architettura.
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My research tells about the origins of Rome. I think that Rome became a civil community under king Tullus Hostilius who transformed a federation of villages in a city. Perhaps he retook a project of his grandfather, Hostus Hostilius. I think also that the tradition on the early Rome was elaborated by Servius Tullius’ court and his motivations must be researched in the relations between this king and Tarquin’s dynasty. Finally I formulated some particular theories on the comitia centuriata and their evolution and on the international politic of Servius Tullius.
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My project explores and compares different forms of gender performance in contemporary art and visual culture according to a perspective centered on photography. Thanks to its attesting power this medium can work as a ready-made. In fact during the 20th century it played a key role in the cultural emancipation of the body which (using a Michel Foucault’s expression) has now become «the zero point of the world». Through performance the body proves to be a living material of expression and communication while photography ensures the recording of any ephemeral event that happens in time and space. My questioning approach considers the gender constructed imagery from the 1990s to the present in order to investigate how photography’s strong aura of realism promotes and allows fantasies of transformation. The contemporary fascination with gender (especially for art and fashion) represents a crucial issue in the global context of postmodernity and is manifested in a variety of visual media, from photography to video and film. Moreover the internet along with its digital transmission of images has deeply affected our world (from culture to everyday life) leading to a postmodern preference for performativity over the more traditional and linear forms of narrativity. As a consequence individual borders get redefined by the skin itself which (dissected through instant vision) turns into a ductile material of mutation and hybridation in the service of identity. My critical assumptions are taken from the most relevant changes occurred in philosophy during the last two decades as a result of the contributions by Jacques Lacan, Michel Foucault, Jacques Derrida, Gilles Deleuze who developed a cross-disciplinary and comparative approach to interpret the crisis of modernity. They have profoundly influenced feminist studies so that the category of gender has been reassessed in contrast with sex (as a biological connotation) and in relation to history, culture, society. The ideal starting point of my research is the year 1990. I chose it as the approximate historical moment when the intersection of race, class and gender were placed at the forefront of international artistic production concerned with identity, diversity and globalization. Such issues had been explored throughout the 1970s but it was only from the mid-1980s onward that they began to be articulated more consistently. Published in 1990, the book "Gender trouble: feminism and the subversion of identity" by Judith Butler marked an important breakthrough by linking gender to performance as well as investigating the intricate connections between theory and practice, embodiment and representation. It inspired subsequent research in a variety of disciplines, art history included. In the same year Teresa de Lauretis launched the definition of queer theory to challenge the academic perspective in gay and lesbian studies. In the meantime the rise of Third Wave Feminism in the US introduced a racially and sexually inclusive vision over the global situation in order to reflect on subjectivity, new technologies and popular culture in connection with gender representation. These conceptual tools have enabled prolific readings of contemporary cultural production whether fine arts or mass media. After discussing the appropriate framework of my project and taking into account the postmodern globalization of the visual, I have turned to photography to map gender representation both in art and in fashion. Therefore I have been creating an archive of images around specific topics. I decided to include fashion photography because in the 1990s this genre moved away from the paradigm of an idealized and classical beauty toward a new vernacular allied with lifestyles, art practices, pop and youth culture; as one might expect the dominant narrative modes in fashion photography are now mainly influenced by cinema and snapshot. These strategies originate story lines and interrupted narratives using models’ performance to convey a particular imagery where identity issues emerge as an essential part of fashion spectacle. Focusing on the intersections of gender identities with socially and culturally produced identities, my approach intends to underline how the fashion world has turned to current trends in art photography and in some case turned to the artists themselves. The growing fluidity of the categories that distinguish art from fashion photography represents a particularly fruitful moment of visual exchange. Varying over time the dialogue between these two fields has always been vital; nowadays it can be studied as a result of this close relationship between contemporary art world and consumer culture. Due to the saturation of postmodern imagery the feedback between art and fashion has become much more immediate and then increasingly significant for anyone who wants to investigate the construction of gender identity through performance. In addition to that a lot of magazines founded in the 1990s bridged the worlds of art and fashion because some of their designers and even editors were art-school graduates encouraging innovation. The inclusion of art within such magazines aimed at validating them as a form of art in themselves supporting a dynamic intersection for music, fashion, design and youth culture: an intersection that also contributed to create and spread different gender stereotypes. This general interest in fashion produced many exhibitions of and about fashion itself at major international venues such as the Victoria and Albert Museum in London, the Metropolitan Museum of Art and the Solomon R. Guggenheim Museum in New York. Since then this celebrated success of fashion has been regarded as a typical element of postmodern culture. Owing to that I have also based my analysis on some important exhibitions dealing with gender performance like "Féminin-Masculin" at the Centre Pompidou of Paris (1995), "Rrose is a Rrose is a Rrose. Gender performance in photography" at the Solomon R. Guggenheim Museum of New York (1997), "Global Feminisms" at the Brooklyn Museum (2007), "Female Trouble" at the Pinakothek der Moderne in München together with the workshops dedicated to "Performance: gender and identity" in June 2005 at the Tate Modern of London. Since 2003 in Italy we have had Gender Bender - an international festival held annually in Bologna - to explore the gender imagery stemming from contemporary culture. In few days this festival offers a series of events ranging from visual arts, performance, cinema, literature to conferences and music. Being aware that any method of research is neither race nor gender neutral I have traced these critical paths to question gender identity in a multicultural perspective taking account of the political implications too. In fact, if visibility may be equated with exposure, we can also read these images as points of intersection of visibility with social power. Since gender assignations rely so heavily on the visual, the postmodern dismantling of gender certainty through performance has wide-ranging effects that need to be analyzed. In some sense this practice can even contest the dominance of visual within postmodernism. My visual map in contemporary art and fashion photography includes artists like Nan Goldin, Cindy Sherman, Hellen van Meene, Rineke Dijkstra, Ed Templeton, Ryan McGinley, Anne Daems, Miwa Yanagi, Tracey Moffat, Catherine Opie, Tomoko Sawada, Vanessa Beecroft, Yasumasa Morimura, Collier Schorr among others.
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La crisi del “teatro come servizio pubblico” degli Stabili, Piccolo Teatro in testa, si manifesta allo stadio di insoddisfazione interna già alla fine degli anni Cinquanta. Se dal punto di vista della pratica scenica, la prima faglia di rottura è pressoché unanimemente ricondotta alla comparsa delle primissime messe in scena –discusse, irritanti e provocatorie- di Carmelo Bene e Quartucci (1959-60) più difficile è individuare il corrispettivo di un critico-intellettuale apportatore di una altrettanto deflagrante rottura. I nomi di Arbasino e di Flaiano sono, in questo caso, i primi che vengono alla mente, ma, seppure portatori di una critica sensibile al “teatro ufficiale”, così come viene ribattezzato dopo il Convegno di Ivrea (1967) il modello attuato dagli Stabili, essi non possono, a ben vedere, essere considerati i veri promotori di una modalità differente di fare critica che, a partire da quel Convegno, si accompagnerà stabilmente alla ricerca scenica del Nuovo Teatro. Ma in cosa consiste, allora, questa nuova “operatività” critica? Si tratta principalmente di una modalità capace di operare alle soglie della scrittura, abbracciando una progressiva, ma costante fuoriuscita dalla redazione di cronache teatrali, per ripensare radicalmente la propria attività in nuovi spazi operativi quali le riviste e l’editoria di settore, un rapporto sempre più stretto con i mass-media quali radio e televisione e la pratica organizzativa di momenti spettacolari e teorici al contempo -festival, convegni, rassegne e premi- per una forma di partecipazione poi identificata come “sporcarsi le mani”. La seconda parte della tesi è una raccolta documentaria sull’oggi. A partire dal Manifesto dei Critici Impuri redatto nel 2003 a Prato da un gruppo di critici dell'ultima generazione, la tesi utilizza quella dichiarazione come punto di partenza per creare un piccolo archivio sull’oggi raccogliendo le elaborazioni di alcune delle esperienze più significative di questi dieci anni. Ricca appendice di materiali.
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Der vorliegende Artikel beschäftigt sich mit der performativen Aushandlung nationaler Kultur auf dem National Festival of Arts and Culture, das 2006 in Wa, Nordwestghana, stattfand. Die Autorin nahm an der Vorbereitung und Planung des Festivals in lokalen staatlichen Kulturinstitutionen teil, und beobachtete die Diskussionen um die Repräsentation einer (imaginierten) spezifischen Kultur des Nordens in scharfer Abgrenzung zu der des als dominant und diskriminierend empfundenen Südens. In diesem Zusammenhang werden Fragen der Authentizität und Authentifizierung, wie sie in der Planung und Rezeption diskutiert wurden, aufgegriffen und mit der Konzeption des Festivals als gleichzeitig einheitsstiftendes Vehikel für nationale Identität und als Austragungsort eines Wettbewerbs der Regionen um Anerkennung und Ressourcen in Verbindung gesetzt. Das Festival, so die Argumentation, ist eine cultural performance, die das Wesen einer „Kultur“ nicht nur abbildet, sondern auch die Möglichkeit des Wandels und der Subversion birgt. Performance meint hier also gleichzeitig die Aufführung und das Skript der Diskurse, die der Aufführung Bedeutung zuschreiben. Diesen doppelten Ansatz verfolgt der Artikel durch die Verknüpfung von Festivalbeobachtungen und Komiteesitzungsmitschriften im Rahmen der Vorbereitung.
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Der moderne Nationalstaat mit seinen Grenzlinien, welche die räumliche Reichweite des souveränen Gewaltmonopols fixierten und gleichsam einen Kulturraum mit homogenen sozialen und rechtlichen Normen abschlossen, war lange eine zentrale Orientierungsgröße für die Geschichtsschreibung. Die wirtschaftlichen, politischen und kulturellen Globalisierungsprozesse der letzten zwei Jahrzehnte haben jedoch das nationale Narrativ mit seinen eindeutigen Demarkationslinien in Frage gestellt. Stattdessen sind Randzonen und Zwischenräume in den Mittelpunkt des Interesses gerückt. Dieser Paradigmenwechsel in Methodik und Perspektive hat auch realhistorisch seine volle Berechtigung, denn solche Zwischenräume sind keine neuartigen Phänomene der Postmoderne mit ihren globalen Transfers und multikulturellen Gesellschaften. Sie hatten sich beispielsweise stets auch während des Epochen übergreifenden Prozesses der europäischen Expansion aufgetan, insbesondere an den fluiden imperialen Randzonen. Nach eurozentrischen Maßstäben handelte es sich dabei um rechtlich nicht regulierte und territorial undefinierte Räume. Aber selbst in der Hochphase des Imperialismus sowie auch in den postkolonialen Gesellschaften konnte das nationalstaatliche Modell nur partiell etabliert werden und konkurrierte stets mit „tribalen“ oder quasi-feudalen Formen sozio-politischer Organisation. Außerdem wurde selbst in den westlichen Nationalstaaten das staatliche Gewaltmonopol sowie die soziale, rechtliche und politische Ordnung bei innerstaatlichen Konflikten wie Revolutionen und Bürgerkriegen sowie internationalen Kriegen immer wieder in Frage gestellt oder sogar ausgehebelt. In solch gewaltbasierten Umfeldern des Ausnahmezustandes und der Insurrektion sowie in solch deregulierten Räumen, weitgehend frei von Hierarchien, bürokratischer Kontrolle und rechtlichen Einschränkungen, agierten stets auch besondere Akteurstypen. Sie hatten einerseits das Privileg einer geringen Kontrolle unterworfen zu sein oder völlig losgelöst davon zu handeln, waren aber andererseits überwiegend auf sich gestellt und konnten nur sehr beschränkt den Schutz des fernen Souveräns im Hintergrund beanspruchen oder hatten sich diesen durch ihre Verhaltensweise sogar zum Gegner gemacht. Diese Akteure an den Randzonen von Souveränität und Legitimität können grob in verschiedene Typen eingeteilt werden: Zu nennen sind die Avantgardisten der Expansion wie Entdecker und Eroberer, die klassischen „Men on the Spot“ an der Peripherie von Imperien wie Militärs und Administratoren, private Gewaltunternehmer und Söldner, Insurgenten und Revolutionäre, sowie Spione und Nachrichtenhändler. Anhand verschiedener Fallstudien soll diese Figur des Akteurs an den Randzonen in globaler Perspektive beleuchtet werden. Es stellt sich die Frage nach seiner Motivation für Sondermissionen, seiner ideellen Beweggründe und politischen Überzeugung sowie seiner Beziehung zum Auftraggeber oder Souverän im fernen Hintergrund. Insbesondere ist untersuchen, ob deren Interessen trotz beschränkter Kontrolle und Rückendeckung loyal verfolgt wurden oder ob für unsere Protagonisten vor allem materielle Interessen ausschlaggebend waren, womöglich sogar einfach das Streben nach einem Betätigungsfeld mit möglichst großer Handlungsfreiheit? Während entgrenzte Verhaltensweisen in der Regel auf rechtlich nur schwach regulierte Umfeldern zurückgeführt werden, ist auch zu untersuchen, ob sich gewisse Persönlichkeiten nicht gezielt Räume am Rande oder jenseits nationalstaatlicher Rechtsnormen als Agitationsfeld suchten oder ob sie sich sogar zur Verwirklichung ihrer persönlichen Bedürfnisse solche Räume durch Subversion staatlicher Ordnung gezielt schafften. Indem die Protagonisten mit den kulturellen, politischen und rechtlichen Ordnungen ihres Betätigungsfeldes in Beziehung gesetzt werden, kann auch eine Brücke von einer rein personenbezogenen Biographik zur Strukturgeschichte geschlagen werden. Die Grenzgänger wie auch die Zwischenräume, in denen sie agierten, sind wohl auch weniger als Randerscheinungen des Ausnahmezustandes zu verstehen, sondern vielmehr als die unmittelbar mit der sich intensivierenden Verrechtlichung und Homogenisierung der westeuropäischen Nationalstaaten einhergehende andere Seite dieses Prozesses: Einerseits brauchten Regierungen zuweilen für besondere Aufgaben Akteure, die nicht an die eigenen Rechtsnormen gebunden waren, andererseits gab es stets Persönlichkeiten, die sich in der engen Rechtswirklichkeit und sozialen Ordnung des Nationalstaates nicht zurechtfanden. Darüber hinaus sind diese Grenzgänger auch als Brückenköpfe politischer wie ökonomischer Machterweiterung sowie als Schlüsselfiguren von Interaktions-, Kooperations-, Vernetzungs- und Transformationsprozessen zu verstehen – nur in Extremfällen waren sie radikale Grenzüberschreiter sowie Träger der bloßen Zerstörung und Zersetzung. Da sie in einem kulturell fremden oder zerrütteten, krisengebeutelten Umfeld agierten, gilt ein besonderes Augenmerk ihrer Rolle als Makler von Interessen, Vermittler sowie Informationsbeschaffer. Schließlich soll auch die Außenwahrnehmung dieser Randfiguren in Betracht gezogen werden. Ihre Position am Rande der Gesellschaft und der Legalität löste in der Regel eine große Faszination beim „Normalbürger“ aus, die sich entweder in Bewunderung oder Abscheu wenden konnte. Teilweise veranlassten sie einen regelrechten Medienrummel, der den Staat wiederum in Zugzwang bringen konnte, oft mit beachtlichen Folgen.
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Postmodernism, deconstruction and subversion have been the buzzwords of the last few decades. But not any longer. Ever since the end of the millennium an increasingly perceptible desire to turn towards other concerns can be noted. Only, what comes after postmodernism? Where are we going now? Irmtraud Huber suggests some answers to these questions, focusing on novels by Michael Chabon, Mark Z. Danielewski, Jonathan Safran Foer and David Mitchell and highlighting the ways in which they go beyond postmodernism and turn from deconstruction to reconstruction. Approaching the question from an unusual direction by exploring the novelists' particular use of the fantastic mode, this book offers both further insights into the present aesthetic shift and a new perspective on the literary fantastic.
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Postmodernism has frequently employed unnatural narration with the aim to disturb and subvert conventionalized reading practices. Postmodernist discourses thus widely associate the unnatural with alterity, marginality and the suppressed. In this paper, I caution against such a perspective, which threatens to unduly limit our understanding of the broad variety of relations between natural and unnatural narrative on the one hand, and of the multiple possible functions of unnatural narratives on the other. Taking my cue from the use of unnatural narration in a number of recent novels, like Mark Z. Danielewski’s House of Leaves (2000), Michael Chabon’s Amazing Adventures of Kavalier & Clay (2000), or Yann Martel’s Life of Pi (2001), I will argue that a postmodernist approach which foregrounds ontological and epistemological questions and emphasizes alterity and subversion remains blind to some of the pragmatic implications that are the main concern of the unnatural narratives under consideration. This not only begs the question whether and in how far such a shift from ontological and epistemological towards pragmatic concerns constitutes a move beyond postmodernism, but also calls for a reconsideration of some of our widely established theories and assumptions about unnatural narratives.
Resumo:
Para entender la relación entre religión y política en Argentina, necesario reconocer las tendencias de justificación sagrada en los imaginarios religiosos. En este sentido, la legitimidad religiosa es construida sobre la crítica de la política neoliberal y sus consecuencias en la vida social (pobreza, exclusión, marginalidad). La presencia católica, las manifestaciones protestantes, y la crítica de otros grupos religiosos (por ejemplo, la crítica del rabino Alejandro Bloch) tienen en común una profunda objeción al neoliberalismo.
Resumo:
El presente informe es el resultado de la investigación prospectiva realizada en mujeres infectadas por VIH/SIDA como tema de tesis de Magíster Políticas Sociales y Gestión Local defendida el 25 de noviembre de 2002 en el aula magna de la Facultad de Ciencias Políticas y Sociales, UNC. El SIDA no es sólo una enfermedad biológica sino que tiene una fuerte incidencia en lo social. La intención de este trabajo es despertar la inquietud para que las personas se movilicen a trabajar en la prevención y la asistencia, buscando respuestas alternativas que le faciliten al ser humano la posibilidad de tener una vida más digna. Las estadísticas nacionales demuestran una marcada feminización de esta epidemia. Las formas que asume la sexualidad son muy variadas y están determinadas por el tiempo y lugar donde vivimos. Las mujeres sufren una falta de contención de sus parejas sexuales con escasa toma de conciencia de la posibilidad de progresión de la enfermedad si no se utilizan métodos de barrera, que está íntimamente relacionado con la falta de educación sexual, también en el varón. Como conclusión, podemos decir que el 63,9% de las mujeres no utilizan métodos anticonceptivos debido a temores y prejuicios provocados por la falta de educación sexual. El 75,3% proviene de la negativa del varón a usar preservativo y el 100 % de las mujeres, a pedir el uso del preservativo por vergüenza o miedo. Todo esto nos está demostrando el poco diálogo con sus parejas sexuales y, por parte del hombre, la no protección de la mujer como madre, compañera y miembro útil de la sociedad.
Resumo:
Con el presente trabajo se intenta realizar un análisis de la crisis Argentina y las políticas sociales en la provincia de Mendoza desde una perspectiva crítica. Asumimos el rol de sujetos preocupados por el acelerado proceso de exclusión y desafiliación social que se ha dado desde los 80 hasta la actualidad en la Argentina. El devenir de los procesos históricos estudiados puede inscribirse en distintos discursos, generando debates y conflictos entre las diferentes interpretaciones en el campo de las ciencias sociales y la teoría política. En este sentido analizamos los valores compartidos y sustentados por el neoliberalismo como parte de la cultura política y los efectos en la mayoría de la población de la Argentina en interrelación con la condición de ser ciudadano.
Resumo:
En este artículo intentamos esbozar brevemente la influencia de la "globalización" sobre la ciudadanía de las mujeres en la Argentina, con especial énfasis en cuanto a los derechos reproductivos se refiere. Vale decir, cómo se han conjugado contexto internacional y nacional - tanto desde el punto de vista económico, político, social, etc., como desde el punto de vista del movimiento de mujeres- en relación con el debate sobre derechos sexuales y reproductivos en nuestro país en los últimos años.