385 resultados para ACIDO ACETICO
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The identification and validation of candidate genes related to traits of interest is a time consuming and expensive process and the homology among genes from different species can facilitate the identification of genes of the target species from the genomic information of a model species. This study aimed to quantify the expression of homologous rice genes previously related to drought tolerance in Arabidopsis. Five genes (CPK6, PLDa, GluR2, CesA8, and EIN2) were identified in rice by the homology of the amino acid sequence between rice and Arabidopsis. The genotypes Douradão (drought tolerant) and Primavera (drought susceptible) were subjected to a water deficit experiment, and subsequently evaluated for gene expression by qPCR for the five homologous and Lsi1 genes. The qPCR analysis clearly showed that the five homologous genes were expressed in rice, which is an indication that these genes could preserve their function in rice as a response to drought. In Douradão, of the five homologous genes, all but OsGluR2 displayed an increase in the average expression in drought treatment when compared to the control, while in Primavera, the average expression of the five genes did not differ between the control and drought treatment. In Douradão, the OsPLDa1, which showed the higher expression level in drought in relation to the control (10.82), significantly increased the gene expression in the leaf and root tissues as a response to drought, in both vegetative and reproductive stages, whereas in Primavera, this gene was suppressed in both tissues and stages under drought. Therefore, the OsPLDa1 gene was the most important in relation to drought response and is an interesting candidate for further studies in developing rice cultivars that are more tolerant to this stress.
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Il lavoro si è articolato in due parti: sintesi di una molecola antiossidante (lipofenolo), che in prospettiva dovrà essere prodotta a partire da sottoprodotti dell’industria alimentare. La molecola ottenuta, già studiata nello sviluppo di emulsioni, è stata in questo lavoro testata nella formulazione di prodotti da forno, nei quali l’ossidazione lipidica è un processo difficilmente controllabile, se non con l’impiego di grassi saturi, come palma o strutto e sego. L’ossidazione incide profondamente sulla qualità e sulla sicurezza dell’alimento. È per questo che numerosi studi si sono rivolti, in questi anni, verso i meccanismi di antiossidazione nei sistemi reali. Partendo da una panoramica sui sottoprodotti della filiera alimentare, in questo lavoro si è ottimizzata una reazione di lipofilizzazione tra tirosolo e acido oleico e si è impiegato il prodotto nella formulazione tarallini per verificarne l’effettiva capacità di allungare la shelf life del prodotto ritardando l’insorgenza dell’ossidazione, con esiti più che soddisfacenti evidenziati dai dati ottenuti tramite tecniche di ossidazione forzata (Oxitest®) , analisi della componente volatile (SPME-GC-MS) e misurazione del numero di perossido.
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Da alcuni anni in ambiente enologico si conducono studi volti ad individuare prodotti tecnologici o tecnologie in grado di sostituire o diminuire l’impiego dell’anidride solforosa nei processi di vinificazione. . Quest’ultima. infatti, è ormai da tempo considerata tra gli additivi che maggiormente impattano sulle caratteristiche di sicurezza d’uso dei prodotti enologici, possedendo conclamati rilievi di allergenicità e tossicità di tipo acuto e cronico. Il chitosano è un polisaccaride recentemente autorizzato in enologia che ha dimostrato alcune interessanti attività, utili per la definizione di protocolli di vinificazione a ridotto utilizzo di anidride solforosa. L’obbiettivo di questa tesi è quello di studiare il comportamento del chitosano nell’ambito del processo di produzione di vini spumanti prodotti secondo il metodo classico. Allo scopo, il polisaccaride è stato aggiunto in fase di presa di spuma e l’effetto della sua presenza è stato valutato nei mesi successivi, fino alla sboccatura, effettuata a 5 mesi dall’inizio della fermentazione secondaria. Sulle tre tesi approntate (una con nessuna aggiunta, una con chitosano e una con acido malico e chitosano) sono state condotte analisi della componente fissa e volatile dei prodotti ottenuti. I risultati hanno dimostrato come i vini rifermentati con chitosano possano presentare interessanti caratteristiche chimico-sensoriali e come l’impiego di questo coadiuvante sia meritevole di ulteriori approfondimenti, destinati a meglio definire le modalità di utilizzo per la produzione di vini spumanti in assenza di anidride solforosa aggiunta.
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Sustainable chemicals currently have a very limited market share due to current low production but biomass is expected to become one of the major renewable energy and fine chemicals sources in the coming years. Bearing in mind the compromise of all nations to climatic change remediation, the industries will need to use efficient catalysts and green processes to meet the requirements of emissions and efficiency. This project is expected to develop new catalysts to convert 1,6-hexanediol to adipic acid through a green approach based on the “nano-catalysis” and “green chemistry” concepts. Supported Au and Pd nanoparticles were used to study one-pot reaction of HDO oxidation to AA using O2 as a final oxidant and H2O as a solvent. Catalytic results showed that under low pressure O2 atmosphere and low temperature (< 120°C) AuNPs supported on basic-supports are more active than acid and amphoteric oxides. The effect of basic oxide (MgO) addition to MgF2 was studied. The study showed that doping of MgF2 with MgO increased significantly the activity of the catalyst. The best results were obtained with the Au/0.4MgF2-0.6MgO sample, which gave the selectivity to AA of 33% at HDO conversion of 62%.
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L’alga dinoflagellata Symbiodinium spp. è il simbionte di Balanophyllia europaea. Lo scopo di questo Studio è valutare l’acclimatamento e il grado di plasticità fisiologica di B. europaea in condizioni naturalmente acidificate in funzione della simbiosi con Symbiodinium spp. I polipi derivano da popolazioni naturali che vivono in prossimità del cratere sottomarino di Panarea, caratterizzato da emissioni costituite per il 99% da anidride carbonica, condizioni che acidificano l’acqua creando un gradiente stabile di pH/pCO2. Sono stati valutati parametri correlati con la fotosintesi algale ed è stata misurata la variazione della diversità relativa dei cladi di Symbiodinium spp. I risultati mostrano che l’aumento di pCO2 e la riduzione di pH agevolano l’incremento della densità delle cellule algali nel corallo, mantenendo invariata la capacità fotosintetica della singola cellula algale. È stata poi evidenziata una riduzione della diversità di cladi presenti nei campioni a pH acido. Gli esemplari di B. europaea che vivono in un ambiente con valori pH previsti per il 2100 hanno raggiunto un nuovo equilibrio omeostatico in cui la maggiore densità algale garantisce un (maggiore) apporto nutrizionale per sostenere la fitness dell’olobionte. L’aumento dell’attività fotosintetica delle alghe potrebbe mitigare gli effetti dell’acidosi nelle cellule dell’ospite esposte ad elevate pCO2 perché sottrae CO2 all’ambiente intracellulare. La riduzione della diversità di Symbiodinium spp. mostra che il 99% delle alghe presenti nel tessuto del corallo appartiene a un clade estremamente resistente (A1 Med) e quindi in grado di fornire una maggiore tolleranza allo stress ambientale. Però, la conseguente perdita di flessibilità della partnership simbiotica potrebbe essere dannosa nel caso di future condizioni ambientali mutate. I risultati ottenuti devono essere interpretati nell’insieme delle modificazioni fisiologiche e morfologiche osservate in B. europaea lungo il gradiente di Panarea.
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L’incremento mondiale nel consumo di materie plastiche registrato negli ultimi ottant’anni, ha portato all’insorgere di diverse problematiche ambientali, legate allo smaltimento dei rifiuti e all’eccessivo sfruttamento dei giacimenti petroliferi. La situazione risulta particolarmente difficoltosa nel settore di massimo utilizzo delle plastiche: il food packaging. Una delle possibili soluzioni è l’utilizzo di bioplastiche, soprattutto quelle derivanti da biomassa. Fra queste, di particolare interesse sono i biopolimeri a base di acido 2,5-furandicarbossilico (FDCA), come il poli(butilene furanoato) (PBF) dotato di ottime proprietà meccaniche, termiche e barriera, ma caratterizzato al contempo da eccessiva rigidità. Il presente lavoro di Tesi Magistrale si propone di modulare le proprietà del PBF, mediante copolimerizzazione con acido isoftalico, monomero biobased e in grado di conferire buone proprietà barriera al materiale finale. I due monomeri aromatici, in diversa percentuale molare, sono stati polimerizzati con 1,4-butandiolo, ottenendo un sistema copolimerico poli(butilene furanoato-co-isoftalato) 100% biobased. I materiali sintetizzati sono stati sottoposti a caratterizzazione molecolare (1H-NMR, 13C-NMR e GPC), termica (TGA e DSC), diffrattometrica (WAXS), analisi meccanica e prove barriera. Essi hanno mostrato ottime proprietà meccaniche, con riduzione del modulo elastico e aumento dell’allungamento a rottura all’aumentare della percentuale di unità isoftalica impiegata, ottima stabilità termica (oltre 350°C) e proprietà barriera confrontabili con quelle dei polimeri di derivazione petrolchimica, attualmente utilizzati nel campo degli imballaggi. I risultati ottenuti mostrano come la copolimerizzazione abbia permesso di migliorare le proprietà non soddisfacenti del PBF, senza andare a detrimento di quelle già buone, nell’ottica dell’applicazione finale.
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Il metil metacrilato (MMA) è un importante intermedio chimico principalmente utilizzato come monomero per la sintesi del poli metil metacrilato (PMMA). Il processo più moderno e sostenibile per la sintesi di MMA è il processo Alpha, che consiste nell'idrossi-metilazione del metil propionato (MP) con formaldeide (FAL) seguita dalla disidratazione dell’intermedio ottenuto. Il MP, attualmente prodotto tramite carbonilazione dell’etilene in presenza di metanolo (MeOH), può essere sintetizzato anche da glicerolo (coprodotto dalla produzione del biodiesel), un’economica molecola piattaforma di origine rinnovabile. Il principale svantaggio del processo Alpha consiste nell’utilizzo di FAL pura, notoriamente cancerogena. Questo inconveniente può essere superato promuovendo la formazione di FAL mediante deidrogenazione in-situ del MeOH, nello stesso reattore in cui avviene la reazione tra MP e FAL. Per questo motivo, la sintesi di MMA a partire da MP e MeOH è stata studiata in un reattore in continuo operante in fase vapore, investigando inizialmente due ossidi metallici come catalizzatori eterogenei: ossido di magnesio (MgO) e ossido di gallio (Ga2O3). Quest’ultimo è risultato molto più selettivo grazie alla moderata basicità ed al forte potere redox in grado di favorire la deidrogenazione del MeOH, tuttavia ha mostrato problemi di disattivazione. Nel tentativo di modulare le caratteristiche acido-base e redox dei catalizzatori, sono stati sintetizzati due ossidi misti con rapporto atomico Mg/Ga uguale a 10 e 20. L’introduzione di Ga3+ nella struttura aumenta l’attività catalitica per la deidrogenazione di MeOH e riduce la basicità totale rendendo il catalizzatore meno attivo per le reazioni parassite di chetonizzazione e riduzione tramite meccanismo di H-transfer. L’influenza dei principali parametri operativi (T, rapporto MeOH/MP, time factor) sul decorso della reazione è stato investigato approfonditamente ed è stato possibile proporre un complesso schema di reazione.
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Il presente lavoro di Tesi Magistrale nasce dall’esigenza di trovare soluzioni alle problematiche legate alla produzione e smaltimento delle plastiche, prevalentemente provenienti dal packaging alimentare. Una delle strategie maggiormente utilizzate in alternativa all’accumulo in discarica, è il riciclo. Questa soluzione ha però alcuni limiti: basse performance rispetto al materiale vergine e costi di processo troppo elevati a causa dei problemi di contaminazione e delle strutture multistrato. Alla luce di ciò, la ricerca scientifica si è orientata verso nuovi approcci come la sintesi di bioplastiche compostabili. Il poli(butilene furanoato) (PBF), è un buon candidato come materiale plastico per il packaging alimentare, ma possiede scarse caratteristiche di biodegradabilità e proprietà meccaniche non adeguate all’imballaggio flessibile. Per superare tali limitazioni, è stata messa a punto la sintesi di un nuovo poliestere, il poli(dietilene furanoato) (PDEF), un polimero biobased che si differenzia dal PBF per la presenza di un atomo di ossigeno etereo nella sub-unità glicolica. I due polimeri sono stati sottoposti ad una completa caratterizzazione chimico-fisica, con lo scopo di valutare l’effetto dell’introduzione di ossigeni eterei lungo la catena polimerica sulle proprietà finali del materiale. Oltre alla caratterizzazione molecolare e strutturale, è stato studiato anche il comportamento termico, la risposta meccanica e la permeabilità a diversi tipi di gas oltre che le caratteristiche di compostabilità. I risultati ottenuti hanno mostrato come nel PDEF vi sia un netto miglioramento delle proprietà non idonee per applicazioni nel packaging flessibile del PBF, in particolare quelle meccaniche, insieme a un ulteriore potenziamento delle già buone proprietà barriera. Inoltre, aspetto di fondamentale importanza nell’ottica della realizzazione di un materiale ecosostenibile, il PDEF mostra una velocità di degradazione in compost eccezionalmente elevata.
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Vi è un crescente interesse verso lo studio di materiali compositi nanostrutturati. Tra questi risultano di particolare interesse le membrane polimeriche composite. Questi materiali presentano proprietà uniche, sono già largamente utilizzate in ambito bio-medicale, industriale e in molti processi di separazione di effluenti liquidi e gassosi. Un’altra applicazione di grande interesse è l’utilizzo di queste membrane come catalizzatori, in particolare per lo sviluppo di sistemi in flusso. Le membrane polimeriche composite per scopi catalitici vengono prodotte inserendo una fase attiva inorganica nella matrice polimerica; una delle tecniche di produzione è l’elettrofilatura. Questa tecnica permette di ottenere fibre polimeriche di diametro sub-micrometrico, sfruttando l’azione di un intenso campo elettrico. In questo lavoro è stata studiata la preparazione di membrane catalitiche aventi come matrice polimerica il Nylon 6,6 e il polietileneossido (PEO), contenenti come fase attiva Au e Pd. La produzione di queste membrane viene studiata per una possibile applicazione in sistemi in flusso per l’ossidazione selettiva del 5-idrossimetilfurfurale (5-HMF) ad acido 2,5 furan-dicarbossilico (FDCA). Questa reazione è molto importante, in quanto consente di ottenere monomeri plastici di origine vegetale, come può essere l’FDCA.
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L’aumento della domanda di energia ha portato a un elevato sfruttamento delle fonti fossili. Per questo motivo si sono cercate risorse di tipo rinnovabili per produrre energia e prodotti chimici. Le biomasse rispettano tali requisiti. Tra gli aspetti più importanti nell’utilizzo di biomasse c’è la possibilità di produrre prodotti chimici, in altre parole molecole piattaforma dalla quale ottenere prodotti con elevato valore aggiunto. Il 5-idrossimetilfurfurale (HMF) presenta dei gruppi funzionali che permettono di ottenere molecole interessanti come l’FDCA, il quale grazie alla struttura simile all’acido terfatlico può essere utilizzato per l’ottenimento di un bio-polimero (PEF). La reazione di ossidazione selettiva tra i vari sistemi catalitici testati, i catalizzatori a base di metalli nobili quali Au e Pd, presentano elevata attività e selettività, ma scarsa produttività ottenibile nei sistemi discontinui rendendo difficile l’applicazione industriale. La messa a punto di membrane ibride polimero-inorganiche per scopi catalitici vengono prodotte inserendo una fase attiva inorganica all’interno della matrice polimerica; una telle tecniche di produzione è l’elettrofilatura. La tecninca consiste nell’applicazione di un campo elettrico che permette di ottenere delle fibre con diametro ub-micrometrico. In questo lavoro si sono preparate delle membrane polimeriche catalitiche mediante elettrofilatura con matrice polimerica a base di polivinil alcol e acidopoliacrilico e un polimero commerciale della DuPont (Hytrel® G4777), contenenti come fase attiva Au e Pd. Queste membrane poi sono state testate per l’ossidazione selettiva del 5-idrossimetilfurfurale (5-HMF) ad acido 2,5 furan-dicarbossilico (FDCA), prima in ossigeno con un reattore batch e successivamente utilizzando acqua ossigenata in un reattore semicontinuo.
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Lo scopo della tesi è lo studio di fotoreazioni di cicloaddizione [2 + 2] in stato solido mediante l’utilizzo di tecniche di spettroscopia vibrazionale Raman e IR. La nostra attenzione si è focalizzata su processi di sistemi organici del tipo “crystal to crystal” (CC) o “single crystal to single crystal” (SCSC), che avvengono con la trasformazione del cristallo del reagente in quello del prodotto. Argomento principale del lavoro di tesi sono i cristalli dei sali di bromuro e cloruro dell’acido 4-ammino-trans-cinnamico, che dimerizzano sotto irraggiamento UV. Il lavoro fa parte di un progetto di ampio respiro svolto in collaborazione con ricercatori del Dipartimento di Chimica “G. Ciamician”, che coinvolge anche cristalli misti dei due sali. Lo studio condotto da loro mediante misure di diffrazione ai raggi X ha stabilito che il processo in esame è del tipo SCSC. L’indagine in microscopia Raman su cristallo singolo si è prefissa di analizzare, in funzione del tempo di irraggiamento, l’evoluzione dello spettro delle vibrazioni sia intramolecolari che reticolari, ottenendo in una stessa misura informazioni sulla trasformazione chimica e su quella di reticolo. A differenza di quanto avviene in processi di dimerizzazione CC con ricostruzione di fase, si è constatato che reazione chimica e cambio di reticolo avvengono in modo parallelo e simultaneo. Inoltre si è osservato che lo spettro delle vibrazioni reticolari evolve senza soluzione di continuità da quello della fase reagente a quello della fase prodotto. Questo è un risultato interessante, di un fenomeno mai osservato prima nello studio Raman di reazioni in stato solido. L’analoga indagine IR su polveri, che si limita alla vibrazione intermolecolare, ha permesso di ricavare la legge cinetica della reazione. Lo stesso metodo di indagine spettroscopica è stato applicato anche alla fotodimerizzazone con meccanismo [2 + 2] dell’acido trans-3-(2-furil)acrilico, processo interessante dal punto di vista industriale.
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Tra la frutta esotica di recente introduzione nel territorio italiano c’è anche la Pitaya, un frutto tropicale originario del Sud America, che oltre ad essere una novità per quello che è il mercato della frutta alternativa, esso è anche un alimento funzionale. Molti studi mettono in luce gli aspetti nutrizionali e farmacologici di tale frutto, attribuibili principalmente alla presenza di composti minori come le sostanze fenoliche, note per la loro bioattività. Per tale motivo, lo scopo di questo lavoro di tesi è stato quello di valutare quali-quantitativamente i composti fenolici presenti in due specie di pitaya (H. undatus e H. megalanthus), analizzate mediante UPLC-ESI-TOF-MS. Nei campioni di pitaya analizzati sono stati identificati tredici composti polari: un acido organico, un derivato amminoacidico e undici derivati fenolici tra cui tre flavonoli glicosilati, due iridoidi di cui uno presenta due isomeri, un acido idrossicinammico aglicone, tre isomeri di un acido idrossicinammico glicosilato e un composto glicosilato scoperto di recente. I risultati ottenuti appaiono soddisfacenti sia dal punto di vista analitico che compositivo. Dal punto di vista analitico sono stati identificati nuovi composti fenolici nella pitaya come caffeoylisocitrate, hydroxyferuloyl hexoside, sinustoside e ligulucidumoside C. Dal punto di vista compositivo è stato possibile ottenere una panoramica di composti polari simili tra i campioni e la bibliografia. La comparazione con altre tipologie di frutta, tropicale e non, ci attesta che il contenuto fenolico della pitaya si posiziona tra i valori intermedi, è importante considerare sempre la variabilità legata alle caratteristiche pedo-climatiche dei frutti presi in esame. Nonostante i buoni risultati ottenuti, è importante sottolineare che questo rappresenta uno screening preliminare della composizione fenolica della pitaya e che seguiranno ricerche più approfondite per migliorare la valutazione quali-quantitativa di tale cromatogramma.
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Il teff (Eragrostis tef) è uno pseudocereale originario dell’Etiopia che recentemente si sta diffondendo in vari Paesi. Infatti presenta numerose caratteristiche positive (buon contenuto di fibra e composti fenolici, indice glicemico ridotto, assenza di glutine) che potrebbero renderlo adatto alla formulazione di alimenti funzionali o arricchiti, destinati a categorie della popolazione con particolari esigenze (diabetici, celiaci, neonati). I dati attualmente disponibili riguardo il profilo fenolico del teff sono estremamente carenti. Pertanto, lo scopo di questa tesi è la determinazione dei composti fenolici liberi e legati in una farina di teff, mediante la combinazione della cromatografia liquida ad alte prestazioni e la spettrometria di massa con analizzatore a tempo di volo (HPLC-ESI-TOF-MS). L’estrazione dei fenoli liberi e legati dal campione di farina è stata condotta seguendo il metodo messo a punto da Verardo et al. (2011). Dall'analisi dei rispettivi base peak chromatogram sono stati individuati 15 composti fenolici nell'estratto solubile e 5 nell'estratto insolubile. I fenoli liberi riscontrati sono esclusivamente flavonoidi: 11 derivati dall'apigenina, 2 derivati dalla luteolina e 2 composti acetilati derivati dalla vitexina, identificati per la prima volta nella farina di teff. L'estratto insolubile risulta composto da acidi fenolici, rappresentati dall'acido ferulico e i suoi derivati. Non è stato possibile effettuare la determinazione dei composti fenolici totali mediante saggio al reattivo di Folin-Ciocalteu a causa dell’intorbidimento dell’estratto in fase di diluizione: questo ha confermato il limite di tale metodologia, sebbene ampiamente utilizzata, nella determinazione dei composti fenolici.
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Negli ultimi decenni i settori farmaceutico e cosmeceutico hanno aumentato costantemente gli investimenti nella ricerca, in modo da garantire soluzioni terapeutiche ad uno spettro di patologie più ampio possibile. È emersa quindi la necessità di migliorare la veicolazione e l’efficacia dei farmaci, ovvero di sviluppare “Drug Delivery Systems” innovativi. Kerline srl si è affacciata a questo specifico mercato, proponendo l’utilizzo di un materiale cheratinoso, estratto da lana e solubile in ambiente acquoso, per la produzione di sistemi micro e nanoparticellari caricati con composti lipofili. Durante lo svolgimento del tirocinio, sono state ottimizzate le procedure di estrazione di due diverse forme di cheratina, una ad alto peso molecolare e una idrolizzata. Queste sono state poi caricate con alcuni principi attivi (acido azelaico, α-tocoferolo acetato e tioconazolo) e le particelle ottenute sono state studiate tramite varie tecniche (DLS/PALS, SEM, Spettroscopia FTIR-ATR, UV-Vis e NMR). Complessivamente, le sospensioni colloidali ottenute sono dotate di buona stabilità sia nel tempo che dal punto di vista termico e mostrano quindi l’ottima compatibilità della cheratina con composti di varia natura.
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I rifiuti plastici, oggigiorno, rappresentano una grande minaccia per l’ambiente, per gli ecosistemi e per la salute umana, tanto da essere al centro della attenzione di numerosi studi. La preoccupazione maggiore è destata dalle microplastiche (frammenti di dimensioni inferiori ai 5 mm) che per la loro dimensione, la loro ubiquità e la loro lunga persistenza in ambiente possono interferire in maniera allarmante con gli organismi viventi. L’ampia gamma di dimensioni delle microplastiche e la natura complessa delle loro forme, colori e tipi di polimero hanno impedito ai ricercatori di sviluppare una classificazione coerente data anche dall'attuale assenza di una standardizzazione nel metodo di campionamento, preparazione e analisi del campione. Infatti lo studio di questa tipologia di inquinanti può essere effettuato mediante diverse metodologie analitiche sia di tipo spettroscopico che termico. Con questo studio si è cercato di valutare le potenzialità della pirolisi analitica (PyGCMS) per la quantificazione e identificazione di sei polimeri: PE, PP, PS, PET, PVC e PA. Tramite un attento confronto con la letteratura sono stati identificati alcuni punti critici nell'analisi quantitativa di alcuni polimeri in miscela. In particolare, la miscela PET/PA è risultata essere soggetta a grandi interferenze date dalla comparsa di prodotti pirolitici secondari che ne impediscono una corretta quantificazione. Inoltre un diverso rapporto dei polimeri nella miscela binaria va a modificare la risposta quantitativa rendendola non prevedibile. L’uso di derivatizzanti come agenti metilanti sembra ridurre alcuni effetti di interazione in pirolisi, ma non sembra essere così vantaggioso come riportato in altri studi. Complessivamente la pirolisi analitica risulta una tecnica applicabile alla identificazione e quantificazione delle microplastiche, ma emerge dallo studio una scarsa conoscenza in letteratura delle interazioni in fase pirolitica tra prodotti di pirolisi di diversi polimeri.