999 resultados para Ravenne (Italie) -- Basilica di San Vitale
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L'oggetto di questa tesi di Laurea è lo studio di una porzione dell'aggregato dell'ex Convento di San Francesco, situato nel centro storico di Bologna. Lo studio è stato condotto a partire da una analisi storica dell'intero aggregato, per comprenderne le dinamiche costruttive e le evoluzioni nel tempo, e si è successivamente incentrato sulla porzione prospiciente la via S. Isaia, attuale sede degli uffici dell'Agenzia delle Entrate di Bologna, ex Agenzia del Territorio. Grazie al reperimento di documenti risalenti all'epoca della costruzione dell'edificio, è stato possibile svilupparne un'analisi tipologico - costruttiva, individuando i materiali utilizzati e le tecniche costruttive dell'epoca, verificando inoltre il rispetto delle Norme Tecniche Costruttive del 1936. Si è svolta quindi una analisi sismica preliminare attraverso il modello LV1, per verificare il livello di vulnerabilità globale dell'edificio. In seguito, sono state individuate le vulnerabilità dell'edificio e i cinematismi di collasso che potrebbero attivarsi, e si sono studiate possibili soluzioni per prevenirli. In fase progettuale, si sono svolte tre differenti ipotesi di intervento: due più conservative, che prevedono il consolidamento della copertura esistente, considerando le ipotesi di presenza o assenza del cordolo, e una più invasiva, comportante il rifacimento dell'intera copertura dell'edificio. Contestualmente all'ultima ipotesi, è stato realizzato un progetto architettonico di rifunzionalizzazione relativo al terzo piano dell'edificio, tenendo conto delle esigenze di nuovi spazi da adibire ad uso ufficio e di luoghi di riunione. Si è dunque studiata la possibilità di intervento anche dal punto di vista della prevenzione incendi.
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This paper attempts to demonstrate the importance of the archaeological area of Copio, in province of Terni (Italy). Discovered for the first time in the 1980 by the local historian then mentioned in 2001 and in 2003 in two different archaeological publications, the site of Copio started to arouse interest for its position, lying on a hilltop above one of the most interesting pre-Roman necropolis of Umbria (Vallone di San Lorenzo). The link between the well-known necropolis and Copio is today well-accepted. The aim of this paper, based on a field-walking survey and the analisys of the archaeological finds, is to demonstrate the importance of this area during the pre-Roman period as a commercial bridgehead linked to Volsinii. Strategically lying only one km to east from the Tiber, it should have enjoyed this important and commercial path for the local trade moving goods in incoming and outcoming.
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Con legge 20 giugno 2008, n. 97 «Prevenzione e repressione della violenza contro le donne e di genere» la Repubblica di San Marino si è dotata di un impianto normativo teso al contenimento del fenomeno della violenza domestica, sessuale e di genere, il cui tratto saliente è dato dal coinvolgimento della compagine sociale nel contrasto delle condotte delittuose (Santolini & Venturini, 2013/2014. La progressiva sensibilizzazione della collettività (Authority Pari Opportunità, 2010)rispetto a fenomeni tollerati in ragione di stereotipi culturali radicati nel contesto sociale tende a favorire l’emersione di episodi altrimenti destinati a rimanere ignoti agli organi giudiziari. Essa appare, pertanto, espressiva della «(…) acquisita consapevolezza del legislatore del fallimento, in materia di violenza di genere, delle modalità tradizionali di formazione e trasmissione della notitia criminis», conseguenti alle «difficoltà oggettive della vittima (…) di reagire alla violenza subita con i tradizionali strumenti della querela o della denuncia» (Santolini&Venturini, 2013/2014, 27), posta l’esistenza di fattori di vulnerabilità specifica del soggetto passivo (ragioni di carattere culturale, sociale o religioso, dipendenza economica e/o psicologica) che lo relegano in posizione subalterna rispetto al perpetrator.
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In questo elaborato sono state analizzate le distribuzioni dimensionali degli aerosol misurate nella stazione meteorologica di San Pietro Capofiume relative al periodo compreso tra marzo 2002 e ottobre 2013, focalizzando l’attenzione sugli eventi di nucleazione, la crescita delle nuove particelle e la correlazione del fenomeno con i parametri meteorologici del vento, della pioggia, della temperatura e con i dati relativi alla radiazione solare. Le osservazioni del particolato sono state effettuate con un sistema DMPS (Differential Mobility Particle Sizer), che rileva particelle di diametro compreso tra 3 e 660 nm. Si è notato che la formazione delle particelle di diametro compreso tra 3 e 10 nm e 10 e 20 nm dipende fortemente dalla radiazione solare: ad un massimo della radiazione, corrisponde mediamente un aumento della concentrazione delle particelle. Dal confronto delle temperature medie mensili (massime e minime) con la concentrazione delle particelle di diametro compreso tra 100 e 300 nm e 300 e 700 nm, si è visto che all’aumento delle temperature corrisponde una diminuzione della concentrazione delle particelle. Per quanto riguarda il confronto della concentrazione delle particelle con la direzione e la velocità del vento, non si è notata alcuna relazione. L’unico particolare che si è notato è che durante la primavera e l’estate si nota un aumento della concentrazione delle particelle con diametro compreso tra 3 e 10 nm associate a venti provenienti dai quadranti orientali. Poiché le precipitazioni rimuovono gli aerosol dall’atmosfera causando repentini cali nella loro concentrazione, per verificare che i risultati ottenuti non fossero alterati da questi eventi, abbiamo ripetuto tutte le analisi di correlazione con le variabili meteorologiche escludendo i giorni con precipitazione superiore o uguale ad 1 mm. Tuttavia i risultati sono rimasti invariati.
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In questa tesi si propone una metodologia per il trasferimento interattivo semiautomatico di dati da modelli geometrici semantici sviluppati in ambiente BIM a modelli strutturali supportati da analisi per elementi finiti. Il caso della Rocca estense di San Felice sul Panaro, gravemente danneggiata dagli eventi sismici del 2012, è utilizzato come caso di studio applicativo. La metodologia prevede in prima battuta la modellazione di elementi speciali BIM quali contenitori locali dei dati semantici definiti mediante regioni nello spazio del modello che individuano particolari condizioni fisiche individuate mediante la definizione di opportuni metadati. Successivamente, tali informazioni vengono processate automaticamente, mediante uno script integrato in ambiente BIM, rendendole compatibili con i set di dati che tipicamente vengono trasmessi in input per analisi ad elementi finiti. Tali operazioni permettono quindi la generazione di un modello strutturale che recepisce direttamente le attribuzioni semantiche del modello geometrico iniziale. Nell'elaborato sono inoltre discusse alcune metodologie alternative per la generazione del modello agli elementi finiti, partendo da diverse definizioni geometriche in ambiente BIM.
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Il lavoro svolto in questa tesi si colloca nel contesto della riqualificazione di una struttura in muratura portante esistente tramite cappotto sismico. Ha come oggetto l’analisi della sua risposta meccanica, con particolare attenzione alla modellazione numerica. L’immobile oggetto di studio è edificato nella zona costiera del comune di San Benedetto del Tronto (AP). La prima fase di analisi consiste in un approfondito percorso di conoscenza della struttura, che riguarda un attento studio storico-critico dell’evoluzione strutturale seguito, poi, da un’indagine conoscitiva della geometria della struttura e delle caratteristiche meccaniche dei materiali costituenti. Per migliorare il comportamento dell’edificio sotto carichi sismici, si sceglie di intervenire tramite la realizzazione di un’epidermide sismo-resistente, che deve essere correttamente modellata congiuntamente alla muratura portante. Viene proposta una prima modellazione semplificata nella quale le pareti del cappotto vengono implementate mediante l’utilizzo di elementi bidimensionali, mentre la muratura esistente viene considerata solamente come massa sismica. Nella seconda strategia di modellazione, seppure si mantenga la stessa impostazione per la schematizzazione del cappotto sismico, si avanza l’ipotesi di discretizzare la struttura esistente mediante il metodo a telaio equivalente, per valutare così la ripartizione delle azioni sismiche tra cappotto e muratura. Vengono eseguite tutte le verifiche necessarie per la valutazione di fattibilità dell’opera, esaminando anche i livelli di sicurezza raggiunti per lo stato di progetto. Con entrambe le strategie si raggiunge un’ottima riqualificazione dell’immobile.
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Il seguente lavoro si inserisce all’interno del dibattito riguardante gli interventi sul patrimonio costruito dei centri storici minori, in cui il tema della tutela non riguarda tanto le singole emergenze architettoniche quanto l’intero edificato storico, nei suoi caratteri architettonici, tipologici e costruttivi. In questo contesto, il progetto di recupero deve cercare di conciliare la tutela dei caratteri storici con un processo trasformativo, capace di rispondere alle nuove esigenze di uso, prestazione, sicurezza e sostenibilità. È all’interno di questa tematica che si propone il caso studio della sede municipale di Civitella del Tronto, un complesso edilizio di originario impianto conventuale, prospicente la chiesa di San Francesco. Obiettivo del seguente lavoro è lo sviluppo di una proposta progettuale per la rifunzionalizzazione e il miglioramento prestazionale dell’aggregato edilizio e, più in generale, per la riqualificazione dell’area, prevedendo, insieme ai locali destinati alla pubblica amministrazione, nuovi spazi a servizio della comunità. In ragione delle importanti vulnerabilità strutturali e pure delle incongruenze architettoniche che sono emerse dall’analisi dello stato attuale, il progetto proposto segue una duplice linea di intervento: da un lato, limitatamente alle porzioni comprendenti alcune superfetazioni in c.c.a, quella della sostituzione, ossia della demolizione e ricostruzione, dall’altro, quella conservativa, finalizzata alla messa in sicurezza della parte storica. Entrambe le fasi di lavoro, sia la fase conoscitiva, di rilievo e analisi dello stato di fatto, che quella progettuale, saranno presentate con l’ausilio di elaborati grafici quali piante, sezioni, dettagli costruttivi e viste renderizzate.
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La relazione geologica avrà lo scopo di illustrare e spiegare i risultati del rilevamento geologico condotto in un areale di 3,4 km2 nella zona del Monte Castellazzo, immediatamente a NNE del Passo Rolle e circa 5 km a Nord di San Martino di Castrozza (TN). Il lavoro è stato svolto nel mese di giugno 2022, dal 18/06 al 25/06, e si inquadra nelle attività di Campo Geologico di fine triennio avente per obbiettivo, nel suo complesso, il rilevamento dell’intera area del Passo Rolle. In questo lavoro verranno evidenziate le principali caratteristiche geologico-strutturali dell’area in esame, ponendo maggior attenzione sull’individuazione e analisi delle singole unità litologiche cartografate. La relazione geologica accompagna la carta geologica (scala 1:7000) dell’areale di studio e la sezione geologica, ambedue in allegato, che mostrano l’andamento e la geometria dei corpi geologici con la profondità. Al termine del lavoro, come approfondimento, verrà descritta e caratterizzata la serie idrogeologica della zona in esame, andando ad individuare e descrivere i principali complessi idrogeologici presenti ed evidenziando le idrostrutture che possono condizionare la circolazione idrica sotterranea.
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Nel lavoro vengono presentati i risultati del rilevamento geologico svolto nell'area di San Martino di Castrozza, nel mese di giugno 2022, durante il campo geologico. L'approfondimento tematico verte sull'analisi di stabilità di versante nel Monte Castellazzo. Gli studi sono stati accompagnati dal rilevamento geomeccanico che ha permesso di determinare i parametri necessari alla caratterizzazione dell'ammasso e alle verifiche cinematiche, e mediante un softwere di plottare i dati in degli stereoneit per definire gli eventi di instabilità associati ad ogni settore del Monte Castellazzo.
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La città di Bologna è sicuramente famosa per le sue due torri, ma anche per la fitta rete idraulica ormai nascosta sotto le strade e sotto gli edifici. I primi canali di Bologna furono realizzati tra il XII e il XVI secolo a seguito della costruzione delle due opere fondamentali: le chiuse di San Ruffillo e di Casalecchio. Queste due opere di presa servivano e, servono ancora oggi, ad alimentare i canali del Navile, del Reno, del Savena, del Cavaticcio e delle Moline. Oltre a questi canali alimentati dalle acque dei fiumi, sotto la città di Bologna scorrono torrenti che drenano le acque prevalentemente meteoriche della zona pedecollinare della città, come ad esempio il torrente Ravone. Il presente lavoro di tesi ha come caso di studio proprio quest’ultimo. Il Ravone, in origine, scorreva a cielo aperto attraversando la città, ma per permettere l’urbanizzazione fuori dalle mura, è stato tombato in diversi tratti e in diverse epoche. La scarsità di informazioni riguardo la sua esatta posizione e la mancanza di elaborati grafici in grado di descriverne la sua geometria, ha spinto le autorità a richiedere un accurato rilievo al LARIG dell’UniBo. Le operazioni di rilievo si sono svolte con l’uso di tecniche geomatiche per la modellazione tridimensionale come l’aerofotogrammetria e l’acquisizione con laser scanner terrestre. Al fine di georeferenziare il dato acquisito, si è ricorso a tecniche di rilievo topografico come il posizionamento GNSS e la misurazione di angoli e distanze con stazione totale. I primi capitoli di questo elaborato sono dedicati alla descrizione dei fondamenti teorici della geodesia e delle tecniche di rilievo utilizzate per la restituzione del modello tridimensionale. Gli ultimi capitoli, invece, sono dedicati alla descrizione delle fasi di rilievo e all’analisi dei dati, dedicando particolare attenzione alla georeferenziazione delle nuvole di punti acquisite in ambienti confinati, come i tratti tombati del torrente Ravone.
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Objective To compute the burden of cancer attributable to current and former alcohol consumption in eight European countries based on direct relative risk estimates from a cohort study. Design Combination of prospective cohort study with representative population based data on alcohol exposure. Setting Eight countries (France, Italy, Spain, United Kingdom, the Netherlands, Greece, Germany, Denmark) participating in the European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition (EPIC) study. Participants 109 118 men and 254 870 women, mainly aged 37-70. Main outcome measures Hazard rate ratios expressing the relative risk of cancer incidence for former and current alcohol consumption among EPIC participants. Hazard rate ratios combined with representative information on alcohol consumption to calculate alcohol attributable fractions of causally related cancers by country and sex. Partial alcohol attributable fractions for consumption higher than the recommended upper limit (two drinks a day for men with about 24 g alcohol, one for women with about 12 g alcohol) and the estimated total annual number of cases of alcohol attributable cancer. Results If we assume causality, among men and women, 10% (95% confidence interval 7 to 13%) and 3% (1 to 5%) of the incidence of total cancer was attributable to former and current alcohol consumption in the selected European countries. For selected cancers the figures were 44% (31 to 56%) and 25% (5 to 46%) for upper aerodigestive tract, 33% (11 to 54%) and 18% (−3 to 38%) for liver, 17% (10 to 25%) and 4% (−1 to 10%) for colorectal cancer for men and women, respectively, and 5.0% (2 to 8%) for female breast cancer. A substantial part of the alcohol attributable fraction in 2008 was associated with alcohol consumption higher than the recommended upper limit: 33 037 of 178 578 alcohol related cancer cases in men and 17 470 of 397 043 alcohol related cases in women. Conclusions In western Europe, an important proportion of cases of cancer can be attributable to alcohol consumption, especially consumption higher than the recommended upper limits. These data support current political efforts to reduce or to abstain from alcohol consumption to reduce the incidence of cancer.
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Objective. To examine the association between pre-diagnostic circulating vitamin D concentration, dietary intake of vitamin D and calcium, and the risk of colorectal cancer in European populations. Design Nested case-control study. Setting. The study was conducted within the EPIC study, a cohort of more than 520 000 participants from 10 western European countries. Participants: 1248 cases of incident colorectal cancer, which developed after enrolment into the cohort, were matched to 1248 controls. Main outcome measures. Circulating vitamin D concentration (25-hydroxy-vitamin-D, 25-(OH)D) was measured by enzyme immunoassay. Dietary and lifestyle data were obtained from questionnaires. Incidence rate ratios and 95% confidence intervals for the risk of colorectal cancer by 25-(OH)D concentration and levels of dietary calcium and vitamin D intake were estimated from multivariate conditional logistic regression models, with adjustment for potential dietary and other confounders. Results. 25-(OH)D concentration showed a strong inverse linear dose-response association with risk of colorectal cancer (P for trend <0.001). Compared with a pre-defined mid-level concentration of 25-(OH)D (50.0-75.0 nmol/l), lower levels were associated with higher colorectal cancer risk (<25.0 nmol/l: incidence rate ratio 1.32 (95% confidence interval 0.87 to 2.01); 25.0-49.9 nmol/l: 1.28 (1.05 to 1.56), and higher concentrations associated with lower risk (75.0-99.9 nmol/l: 0.88 (0.68 to 1.13); ≥100.0 nmol/l: 0.77 (0.56 to 1.06)). In analyses by quintile of 25-(OH)D concentration, patients in the highest quintile had a 40% lower risk of colorectal cancer than did those in the lowest quintile (P<0.001). Subgroup analyses showed a strong association for colon but not rectal cancer (P for heterogeneity=0.048). Greater dietary intake of calcium was associated with a lower colorectal cancer risk. Dietary vitamin D was not associated with disease risk. Findings did not vary by sex and were not altered by corrections for season or month of blood donation. Conclusions The results of this large observational study indicate a strong inverse association between levels of pre-diagnostic 25-(OH)D concentration and risk of colorectal cancer in western European populations. Further randomised trials are needed to assess whether increases in circulating 25-(OH)D concentration can effectively decrease the risk of colorectal cancer.
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In contrast to some extensively examined food mutagens, for example, aflatoxins, N-nitrosamines and heterocyclic amines, some other food contaminants, in particular polycyclic aromatic hydrocarbons (PAH) and other aromatic compounds, have received less attention. Therefore, exploring the relationships between dietary habits and the levels of biomarkers related to exposure to aromatic compounds is highly relevant. We have investigated in the European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition (EPIC) cohort the association between dietary items (food groups and nutrients) and aromatic DNA adducts and 4-aminobiphenyl-Hb adducts. Both types of adducts are biomarkers of carcinogen exposure and possibly of cancer risk, and were measured, respectively, in leucocytes and erythrocytes of 1086 (DNA adducts) and 190 (Hb adducts) non-smokers. An inverse, statistically significant, association has been found between DNA adduct levels and dietary fibre intake (P = 0·02), vitamin E (P = 0·04) and alcohol (P = 0·03) but not with other nutrients or food groups. Also, an inverse association between fibre and fruit intake, and BMI and 4-aminobiphenyl-Hb adducts (P = 0·03, 0·04, and 0·03 respectively) was observed. After multivariate regression analysis these inverse correlations remained statistically significant, except for the correlation adducts v. fruit intake. The present study suggests that fibre intake in the usual range can modify the level of DNA or Hb aromatic adducts, but such role seems to be quantitatively modest. Fibres could reduce the formation of DNA adducts in different manners, by diluting potential food mutagens and carcinogens in the gastrointestinal tract, by speeding their transit through the colon and by binding carcinogenic substances.
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Tree nuts, peanuts and seeds are nutrient dense foods whose intake has been shown to be associated with reduced risk of some chronic diseases. They are regularly consumed in European diets either as whole, in spreads or from hidden sources (e.g. commercial products). However, little is known about their intake profiles or differences in consumption between European countries or geographic regions. The objective of this study was to analyse the population mean intake and average portion sizes in subjects reporting intake of nuts and seeds consumed as whole, derived from hidden sources or from spreads. Data was obtained from standardised 24-hour dietary recalls collected from 36 994 subjects in 10 different countries that are part of the European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition (EPIC). Overall, for nuts and seeds consumed as whole, the percentage of subjects reporting intake on the day of the recall was: tree nuts = 4. 4%, peanuts = 2.3 % and seeds = 1.3 %. The data show a clear northern (Sweden: mean intake = 0.15 g/d, average portion size = 15.1 g/d) to southern (Spain: mean intake = 2.99 g/d, average portion size = 34.7 g/d) European gradient of whole tree nut intake. The three most popular tree nuts were walnuts, almonds and hazelnuts, respectively. In general, tree nuts were more widely consumed than peanuts or seeds. In subjects reporting intake, men consumed a significantly higher average portion size of tree nuts (28.5 v. 23.1 g/d, P<0.01) and peanuts (46.1 v. 35.1 g/d, P<0.01) per day than women. These data may be useful in devising research initiatives and health policy strategies based on the intake of this food group.
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BACKGROUND In previous meta-analyses, tea consumption has been associated with lower incidence of type 2 diabetes. It is unclear, however, if tea is associated inversely over the entire range of intake. Therefore, we investigated the association between tea consumption and incidence of type 2 diabetes in a European population. METHODOLOGY/PRINCIPAL FINDINGS The EPIC-InterAct case-cohort study was conducted in 26 centers in 8 European countries and consists of a total of 12,403 incident type 2 diabetes cases and a stratified subcohort of 16,835 individuals from a total cohort of 340,234 participants with 3.99 million person-years of follow-up. Country-specific Hazard Ratios (HR) for incidence of type 2 diabetes were obtained after adjustment for lifestyle and dietary factors using a Cox regression adapted for a case-cohort design. Subsequently, country-specific HR were combined using a random effects meta-analysis. Tea consumption was studied as categorical variable (0, >0-<1, 1-<4, ≥ 4 cups/day). The dose-response of the association was further explored by restricted cubic spline regression. Country specific medians of tea consumption ranged from 0 cups/day in Spain to 4 cups/day in United Kingdom. Tea consumption was associated inversely with incidence of type 2 diabetes; the HR was 0.84 [95%CI 0.71, 1.00] when participants who drank ≥ 4 cups of tea per day were compared with non-drinkers (p(linear trend) = 0.04). Incidence of type 2 diabetes already tended to be lower with tea consumption of 1-<4 cups/day (HR = 0.93 [95%CI 0.81, 1.05]). Spline regression did not suggest a non-linear association (p(non-linearity) = 0.20). CONCLUSIONS/SIGNIFICANCE A linear inverse association was observed between tea consumption and incidence of type 2 diabetes. People who drink at least 4 cups of tea per day may have a 16% lower risk of developing type 2 diabetes than non-tea drinkers.