368 resultados para poesie
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Die morawische Nacht (2008) de Peter Handke représente un tournant: l’auteur y renonce à son engagement politique concernant les Balkans et il revient au « royaume de la poésie ». En reprenant des concepts de la théorie de l’espace dans les études culturelles, cette étude examine les moyens narratifs à partir desquels Handke projette une nouvelle image des Balkans. L’écrivain autrichien déconstruit son propre mythe du « Neuvième Pays » (Die Wiederholung, 1986), dont il a sans cesse défendu le concept dans les années 1990 (Eine winterliche Reise, 1996; Zurüstungen für die Unsterblichkeit, 1997; Die Fahrt im Einbaum, 1999; Unter Tränen fragend, 1999). Dans Die morawische Nacht, de fréquentes allusions et connotations nous ramènent aux œuvres antérieures, mentionnées ci-dessus. La signification et la fonction des nouvelles images des Balkans ne sont pas comprises que dans le cadre des références intertextuelles. Par l’entremise d’un maniement raffiné et ludique de l’ancien contenu et des vieilles structures, objets d’un nouvel usage, la poétique de Handke, toujours basée sur les soi-disant « Zwischenräume » (espaces intermédiaires) prouve toute sa puissance. Même si les Balkans perdent leur caractère absolu, ils continuent cependant à servir comme moyen de critique de la société moderne qui aspire cette fois à la mondialisation. Pendant que Handke réfute ironiquement sa naïveté de rechercher l’absolu dans le monde extérieur, le récit se révèle être le seul royaume où la paix et l’harmonie peuvent être créées.
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Diese These besteht aus der Analyse der Enteignungsverhältnisse und der Misselung, welche in den Texten der Ursprung des Kunstwerkes und die Hymnen Hölderlins vorkommen. Germanien und der Rhein sind in den 30en-Jahren letzten Jahrhunderts von Martin Heidegger verfasst worden. Ab anwendung der kritischen Methodologia von Harold Bloom und der starken Texgestaltung von Richard Rorty wird es deutlich, dass die Heideggers Lesungen der Hölderlins Poesia als ei Ersatzversuch der von Hegel entwickelte Kulturgeschichte ab deutescher Überlieferung klassicher Studien, die das tragische Erlebnis der alten Griechen als grundlegender Punkt des Westen Daseins vorbringen, verstanden werden können. So verlegt Heidegger die Aufbauachse der Entstehungserzälung des Abendlandes in Richtung Dichtkunst, indem er in seiner Wendung zum Dichterischen gleichzeitig auf der Suche nach einer abweichenden Feststellung der vorherrschaftlichen These ist, in welcher die Tragödie das grosse Antrittsereignis der westlichen Zivilisation darstellt, und darüber hinaus noch der Herstellung einer innigen Verbindung zwischen der Poesie von Hölderlin und Hesiudus, um die Enge der dichterischen Überinstimmung zu zeigen, welche die alten Griechen und die zeitegemässigen Deutschen verbrände. Dieser geistige Aufbau Heideggers hat man somit als ein überholungsversuch Hegels Einfluss und Denkungsart zur Vollendung der von Nietzsche begonnenen Überwindungsaufgabe des Hegelianismus´zu verstehen
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I libretti che Pascoli scrisse in forma di abbozzi e che sognò potessero calcare il palcoscenico di un teatro furono davvero un “melodramma senza musica”. In primo luogo, perché non giunsero mai ad essere vestiti di note e ad arrivare in scena; ma anche perché il tentativo di scrivere per il teatro si tinse per Pascoli di toni davvero melodrammatici, nel senso musicale di sconfitta ed annullamento, tanto da fare di quella pagina della sua vita una piccola tragedia lirica, in cui c’erano tante parole e, purtroppo, nessuna musica. Gli abbozzi dei drammi sono abbastanza numerosi; parte di essi è stata pubblicata postuma da Maria Pascoli.1 Il lavoro di pubblicazione è stato poi completato da Antonio De Lorenzi.2 Ho deciso di analizzare solo quattro di questi abbozzi, che io reputo particolarmente significativi per poter cogliere lo sviluppo del pensiero drammatico e della poetica di Pascoli. I drammi che analizzo sono Nell’Anno Mille (con il rifacimento Il ritorno del giullare), Gretchen’s Tochter (con il rifacimento La figlia di Ghita), Elena Azenor la Morta e Aasvero o Caino nel trivio o l’Ebreo Errante. La prima ragione della scelta risiede nel fatto che questi abbozzi presentano una lunghezza più consistente dell’appunto di uno scheletro di dramma registrato su un foglietto e, quindi, si può seguire attraverso di essi il percorso della vicenda, delle dinamiche dei personaggi e dei significati dell’opera. Inoltre, questi drammi mostrano cosa Pascoli intendesse comporre per sollevare le vesti del libretto d’opera e sono funzionali all’esemplificazione delle sue concezioni teoriche sulla musica e il melodramma, idee che egli aveva espresso nelle lettere ad amici e compositori. In questi quattro drammi è possibile cogliere bene le motivazioni della scelta dei soggetti, il loro significato entro la concezione melodrammatica del poeta, il sistema simbolico che soggiace alla creazione delle vicende e dei personaggi e i legami con la poetica pascoliana. Compiere un’analisi di questo tipo significa per me, innanzitutto, risalire alle concezioni melodrammatiche di Pascoli e capire esattamente cosa egli intendesse per dramma musicale e per rinnovamento dello stesso. Pascoli parla di musica e dei suoi tentativi di scrivere per il teatro lirico nelle lettere ai compositori e, sporadicamente, ad alcuni amici (Emma Corcos, Luigi Rasi, Alfredo Caselli). La ricostruzione del pensiero e dell’estetica musicale di Pascoli ha dovuto quindi legarsi a ricerche d’archivio e di materiali inediti o editi solo in parte e, nella maggioranza dei casi, in pubblicazioni locali o piuttosto datate (i primi anni del Novecento). Quindi, anche in presenza della pubblicazione di parte del materiale necessario, quest’ultimo non è certo facilmente e velocemente consultabile e molto spesso è semi sconosciuto. Le lettere di Pascoli a molti compositori sono edite solo parzialmente; spesso, dopo quei primi anni del Novecento, in cui chi le pubblicò poté vederle presso i diretti possessori, se ne sono perse le tracce. Ho cercato di ricostruire il percorso delle lettere di Pascoli a Giacomo Puccini, Riccardo Zandonai, Giovanni Zagari, Alfredo Cuscinà e Guglielmo Felice Damiani. Si tratta sempre di contatti che Pascoli tenne per motivi musicali, legati alla realizzazione dei suoi drammi. O per le perdite prodotte dalla storia (è il 1 Giovanni Pascoli, Nell’Anno Mille. Sue notizie e schemi da altri drammi, a c. di Maria Pascoli, Bologna, Zanichelli, 1924. 2 Giovanni Pascoli, Testi teatrali inediti, a c. di Antonio De Lorenzi, Ravenna, Longo, 1979. caso delle lettere di Pascoli a Zandonai, che andarono disperse durante la seconda guerra mondiale, come ha ricordato la prof.ssa Tarquinia Zandonai, figlia del compositore) o per l’impossibilità di stabilire contatti quando i possessori dei materiali sono privati e, spesso, collezionisti, questa parte delle mie ricerche è stata vana. Mi è stato possibile, però, ritrovare gli interi carteggi di Pascoli e i due Bossi, Marco Enrico e Renzo. Le lettere di Pascoli ai Bossi, di cui do notizie dettagliate nelle pagine relative ai rapporti con i compositori e all’analisi dell’Anno Mille, hanno permesso di cogliere aspetti ulteriori circa il legame forte e meditato che univa il poeta alla musica e al melodramma. Da queste riflessioni è scaturita la prima parte della tesi, Giovanni Pascoli, i musicisti e la musica. I rapporti tra Pascoli e i musicisti sono già noti grazie soprattutto agli studi di De Lorenzi. Ho sentito il bisogno di ripercorrerli e di darne un aggiornamento alla luce proprio dei nuovi materiali emersi, che, quando non sono gli inediti delle lettere di Pascoli ai Bossi, possono essere testi a stampa di scarsa diffusione e quindi poco conosciuti. Il quadro, vista la vastità numerica e la dispersione delle lettere di Pascoli, può subire naturalmente ancora molti aggiornamenti e modifiche. Quello che ho qui voluto fare è stato dare una trattazione storico-biografica, il più possibile completa ed aggiornata, che vedesse i rapporti tra Pascoli e i musicisti nella loro organica articolazione, come premessa per valutare le posizioni del poeta in campo musicale. Le lettere su cui ho lavorato rientrano tutte nel rapporto culturale e professionale di Pascoli con i musicisti e non toccano aspetti privati e puramente biografici della vita del poeta: sono legate al progetto dei drammi teatrali e, per questo, degne di interesse. A volte, nel passato, alcune di queste pagine sono state lette, soprattutto da giornalisti e non da critici letterari, come un breve aneddoto cronachistico da inserire esclusivamente nel quadro dell’insuccesso del Pascoli teatrale o come un piccolo ragguaglio cronologico, utile alla datazione dei drammi. Ricostruire i rapporti con i musicisti equivale nel presente lavoro a capire quanto tenace e meditato fu l’avvicinarsi di Pascoli al mondo del teatro d’opera, quali furono i mezzi da lui perseguiti e le proposte avanzate; sempre ho voluto e cercato di parlare in termini di materiale documentario e archivistico. Da qui il passo ad analizzare le concezioni musicali di Pascoli è stato breve, dato che queste ultime emergono proprio dalle lettere ai musicisti. L’analisi dei rapporti con i compositori e la trattazione del pensiero di Pascoli in materia di musica e melodramma hanno in comune anche il fatto di avvalersi di ricerche collaterali allo studio della letteratura italiana; ricerche che sconfinano, per forza di cose, nella filosofia, estetica e storia della musica. Non sono una musicologa e non è stata mia intenzione affrontare problematiche per le quali non sono provvista di conoscenze approfonditamente adeguate. Comprendere il panorama musicale di quegli anni e i fermenti che si agitavano nel teatro lirico, con esiti vari e contrapposti, era però imprescindibile per procedere in questo cammino. Non sono pertanto entrata negli anfratti della storia della musica e della musicologia, ma ho compiuto un volo in deltaplano sopra quella terra meravigliosa e sconfinata che è l’opera lirica tra Ottocento e Novecento. Molti consigli, per non smarrirmi in questo volo, mi sono venuti da valenti musicologi ed esperti conoscitori della materia, che ho citato nei ringraziamenti e che sempre ricordo con viva gratitudine. Utile per gli studi e fondamentale per questo mio lavoro è stato riunire tutte le dichiarazioni, da me conosciute finora, fornite da Pascoli sulla musica e il melodramma. Ne emerge quella che è la filosofia pascoliana della musica e la base teorica della scrittura dei suoi drammi. Da questo si comprende bene perché Pascoli desiderasse tanto scrivere per il teatro musicale: egli riteneva che questo fosse il genere perfetto, in cui musica e parola si compenetravano. Così, egli era convinto che la sua arte potesse parlare ed arrivare a un pubblico più vasto. Inoltre e soprattutto, egli intese dare, in questo modo, una precisa risposta a un dibattito europeo sul rinnovamento del melodramma, da lui molto sentito. La scrittura teatrale di Pascoli non è tanto un modo per trovare nuove forme espressive, quanto soprattutto un tentativo di dare il suo contributo personale a un nuovo teatro musicale, di cui, a suo dire, l’umanità aveva bisogno. Era quasi un’urgenza impellente. Le risposte che egli trovò sono in linea con svariate concezioni di quegli anni, sviluppate in particolare dalla Scapigliatura. Il fatto poi che il poeta non riuscisse a trovare un compositore disposto a rischiare fino in fondo, seguendolo nelle sue creazioni di drammi tutti interiori, con scarso peso dato all’azione, non significa che egli fosse una voce isolata o bizzarra nel contesto culturale a lui contemporaneo. Si potranno, anche in futuro, affrontare studi sugli elementi di vicinanza tra Pascoli e alcuni compositori o possibili influenze tra sue poesie e libretti d’opera, ma penso non si potrà mai prescindere da cosa egli effettivamente avesse ascoltato e avesse visto rappresentato. Il che, documenti alla mano, non è molto. Solo ciò a cui possiamo effettivamente risalire come dato certo e provato è valido per dire che Pascoli subì il fascino di questa o di quell’opera. Per questo motivo, si trova qui (al termine del secondo capitolo), per la prima volta, un elenco di quali opere siamo certi Pascoli avesse ascoltato o visto: lo studio è stato possibile grazie ai rulli di cartone perforato per il pianoforte Racca di Pascoli, alle testimonianze della sorella Maria circa le opere liriche che il poeta aveva ascoltato a teatro e alle lettere del poeta. Tutto questo è stato utile per l’interpretazione del pensiero musicale di Pascoli e dei suoi drammi. I quattro abbozzi che ho scelto di analizzare mostrano nel concreto come Pascoli pensasse di attuare la sua idea di dramma e sono quindi interpretati attraverso le sue dichiarazioni di carattere musicale. Mi sono inoltre avvalsa degli autografi dei drammi, conservati a Castelvecchio. In questi abbozzi hanno un ruolo rilevante i modelli che Pascoli stesso aveva citato nelle sue lettere ai compositori: Wagner, Dante, Debussy. Soprattutto, Nell’Anno Mille, il dramma medievale sull’ultima notte del Mille, vede la significativa presenza del dantismo pascoliano, come emerge dai lavori di esegesi della Commedia. Da questo non è immune nemmeno Aasvero o Caino nel trivio o l’Ebreo Errante, che è il compimento della figura di Asvero, già apparsa nella poesia di Pascoli e portatrice di un messaggio di rinascita sociale. I due drammi presentano anche una specifica simbologia, connessa alla figura e al ruolo del poeta. Predominano, invece, in Gretchen’s Tochter e in Elena Azenor la Morta le tematiche legate all’archetipo femminile, elemento ambiguo, materno e infero, ma sempre incaricato di tenere vivo il legame con l’aldilà e con quanto non è direttamente visibile e tangibile. Per Gretchen’s Tochter la visione pascoliana del femminile si innesta sulle fonti del dramma: il Faust di Marlowe, il Faust di Goethe e il Mefistofele di Boito. I quattro abbozzi qui analizzati sono la prova di come Pascoli volesse personificare nel teatro musicale i concetti cardine e i temi dominanti della sua poesia, che sarebbero così giunti al grande pubblico e avrebbero avuto il merito di traghettare l’opera italiana verso le novità già percorse da Wagner. Nel 1906 Pascoli aveva chiaramente compreso che i suoi drammi non sarebbero mai arrivati sulle scene. Molti studi e molti spunti poetici realizzati per gli abbozzi gli restavano inutilizzati tra le mani. Ecco, allora, che buona parte di essi veniva fatta confluire nel poema medievale, in cui si cantano la storia e la cultura italiane attraverso la celebrazione di Bologna, città in cui egli era appena rientrato come professore universitario, dopo avervi già trascorso gli anni della giovinezza da studente. Le Canzoni di Re Enzio possono quindi essere lette come il punto di approdo dell’elaborazione teatrale, come il “melodramma senza musica” che dà il titolo a questo lavoro sul pensiero e l’opera del Pascoli teatrale. Già Cesare Garboli aveva collegato il manierismo con cui sono scritte le Canzoni al teatro musicale europeo e soprattutto a Puccini. Alcuni precisi parallelismi testuali e metrici e l’uso di fonti comuni provano che il legame tra l’abbozzo dell’Anno Mille e le Canzoni di Re Enzio è realmente attivo. Le due opere sono avvicinate anche dalla presenza del sostrato dantesco, tenendo presente che Dante era per Pascoli uno dei modelli a cui guardare proprio per creare il nuovo e perfetto dramma musicale. Importantissimo, infine, è il piccolo schema di un dramma su Ruth, che egli tracciò in una lettera della fine del 1906, a Marco Enrico Bossi. La vicinanza di questo dramma e di alcuni degli episodi principali della Canzone del Paradiso è tanto forte ed evidente da rendere questo abbozzo quasi un cartone preparatorio della Canzone stessa. Il Medioevo bolognese, con il suo re prigioniero, la schiava affrancata e ancella del Sole e il giullare che sulla piazza intona la Chanson de Roland, costituisce il ritorno del dramma nella poesia e l’avvento della poesia nel dramma o, meglio, in quel continuo melodramma senza musica che fu il lungo cammino del Pascoli librettista.
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La tesi è incentrata sull'analisi dell'organizzazione retorica della prosa di Giorgio Manganelli, indagando il sistema ritmico attraverso il quale l'autore è in grado di creare un fluire sintattico che sfugge alle classificazioni di genere. Per Manganelli, infatti, il linguaggio è solamente organizzazione di se stesso, e perciò la scrittura ruota attorno a un centro narrativo vuoto, dissimulando l'assenza di necessità. Egli è un retore puntuale dotato di una straordinaria abilità compositiva, che gli consente di mettere in scena l'ambiguità insita nella retorica. Per affrontare questa analisi è stato opportuno avvalersi della critique du rythme ideata da Henri Meschonnic, a partire dalle riflessioni di Emile Benveniste sul concetto eracliteo di ritmo, poiché essa fornisce una prospettiva duttile, dinamica e svincolata da pregiudizi critici. Meschonnic infatti considera il ritmo non come schema metrico ma in quanto organizzazione del senso nel discorso, volto alla signifiance del testo. In quest'ottica si è tentato di costruire un percorso attraverso le opere di Manganelli per descrivere il sistema retorico su cui si fonda la sua scrittura, a partire dai materiali del suo laboratorio (poesie, prose, appunti di diario, scambi epistolari) fino all'ideazione di discorsi pseudo-teologici che si presentano come allegoria stessa della scrittura. Si sono analizzati in particolare la trasposizione letteraria della tecnica musicale della variazione in Nuovo commento (1969), e il ritmo del periodo ipotetico in Rumori o voci (1987), testo emblematico della ricerca di Manganelli sulle potenzialità del linguaggio. Infine la prosa manganelliana è stata messa a confronto con quella di altri importanti autori italiani del Novecento (Pavese, Gadda, Camporesi, Celati), al fine di comparare tra loro diverse organizzazioni ritmiche del linguaggio, e ricollocando così Manganelli al centro del panorama letterario italiano con tutta la sua eversiva marginalità.
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"Ricordi di scuola", il più celebre e personale tra i romanzi del giornalista, scrittore, umorista, nonché vignettista Giovanni Mosca, è il diario di un giovane maestro delle scuole elementari nella Roma fascista degli anni ’30. Il libro presenta uno stile semplice, fresco e lineare e racconta gli episodi di un maestro elementare e dei suoi alunni. La figura prevalente è sicuramente quella del maestro, un uomo “speciale” dalla personalità gentile, disponibile e per nulla severo, come ci si potrebbe aspettare, data l’epoca in cui il romanzo è ambientato, dimostrandosi comprensivo ed indulgente con i propri alunni senza però dimenticare la sua funzione educativa. Dal punto di vista della didattica il maestro Mosca si mostra diverso, quasi “rivoluzionario”. E’ un maestro che non dà voti e non boccia, che critica il nozionismo, i problemi astrusi e le poesie a memoria. Il racconto si compone di ventuno episodi, nei quali l’autore non nasconde la sua simpatia nei confronti degli alunni per la loro fantasia e la loro candida immaginazione e la sua ironia e la sua disapprovazione nei confronti degli adulti, di quei “grandi” che pensano di possedere la saggezza e la verità, ma che spesso si rivelano personaggi più immaturi e fragili dei loro stessi alunni. L’elaborato si compone di: introduzione al libro, traduzione di alcuni capitoli in lingua spagnola e analisi delle difficoltá traduttive incontrate durante la stesura.
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Il seguente elaborato presenta la proposta di traduzione verso l’italiano del libro di poesia per l’infanzia “El lenguaje de las cosas” (2011), dell’autrice cilena María José Ferrada, illustrato da Pep Carrió ed edito dalla casa editrice spagnola El Jinete Azul. “El lenguaje de las cosas” è composto da 24 brevi poesie in versi liberi, ognuna di esse dedicata a un diverso oggetto della casa: attraverso un linguaggio semplice e immediato e originali intrecci di metafore, l’autrice invita i lettori a guardare ciò che li circonda con occhi diversi, regalando loro qualche attimo di dolcezza e strappando sempre un sorriso. Tutti i componimenti sono accompagnati dalle raffinate illustrazioni di Pep Carrió e, pertanto, durante il processo di traduzione è stato necessario prestare particolare attenzione sia al livello del suono e del linguaggio poetico che alla stretta interazione tra parole e immagini. Il lavoro è suddiviso in diverse sezioni: una prima parte di presentazione del libro originale e della sua autrice; la proposta di traduzione con relativo commento alle problematiche traduttive e alle diverse strategie impiegate; le interviste realizzate all’editore Antonio Ventura e alla scrittrice María José Ferrada; e infine una breve analisi del ruolo della poesia nella letteratura per l’infanzia e delle prospettive editoriali della versione italiana del libro, accompagnata dalla rispettiva scheda di presentazione editoriale.
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Il presente elaborato consiste nella traduzione dalla lingua araba alla lingua italiana di alcuni brani poetici dell'autore siriano Nizar Qabbani. Si tratta in particolare dei testi Aurāq Isbāniya, (Diari spagnoli), Ahzān fi-l-Andalus (Tristezze in Al-Andalus), Gharnāṭa (Granada). I temi principali di queste poesie sono delle suggestioni della Spagna e soprattutto la nostalgia sentita dall'autore, nel suo nazionalismo arabo, per l'antico califfato di Al-Andalus. L'elaborato è diviso in cinque sezioni: 1. Introduzione: spiegazione del tema centrale dei brani tradotti. 2. L'autore. Breve biografia e opera: un'introduzione sulla vita e la produzione artistica di Nizar Qabbani. 3. Traduzione e testo originale: parte centrale dell'elaborato, la traduzione dei poemi con testo originale arabo a fronte. 4. Commento di traduzione: esposizione di scelte e strategie traduttive che sono state seguite per la realizzazione del lavoro. 5. Bibliografia. Tutti i testi consultati per la stesura dell'elaborato.
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La poetessa Sofija Jakovlevna Parnok (1885 - 1933) ha attraversato anni che per la Russia sono stati travagliati e intensi, sia dal punto di vista storico che da quello culturale (e quindi letterario): percorrendo i primi decenni del XX secolo, da una parte raccolse tracce di quel periodo nella propria opera, dall’altra vi lasciò un segno indelebile e unico. Pochi sono tuttavia coloro che hanno deciso di ripercorrere il segno lasciato dalla poetessa. In questo elaborato si è voluto riportare alla luce il nome di Sofija Parnok, spesso sconosciuto ai più, attraverso la traduzione di alcune poesie scelte, attraverso la loro analisi e, contemporaneamente, attraverso il racconto della sua vita: la vita della cosiddetta “Saffo russa”.
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Nato in Abcasia ma vissuto a Mosca per quasi tutta la sua vita, Fazil' Iskander è uno degli autori più importanti del panorama letterario russo contemporaneo. La sua produzione letteraria vanta di un gran numero di poesie, romanzi, racconti e saggi pubblicati a partire dagli anni '60 fino quasi ai giorni nostri. Il genere letterario da lui prediletto è la narrativa satirica. Nei suoi romanzi e nei suoi racconti egli mette a nudo e deride ogni aspetto e ogni esponente della realtà sovietica. Il riso, nelle sue forme principali quali ironia, umorismo, parodia, diventa l'arma con cui lo scrittore affronta la dittatura, annientandone l'autorevolezza e il terrore che essa incute nelle persone. Fazil' Iskander manifesta una una grande forza, indipendenza e libertà spirituale nei confronti del regime, grazie al suo atteggiamento ironico nei confronti della realtà e grazie al suo bagaglio culturale abcaso. I costumi e le tradizioni abcase vengono infatti costantemente esaltate in quanto esempio di cultura autentica. Gli abcasi sono i protagonisti dei suoi racconti e vengono ritratti perennemente impegnati in una lotta silenziosa nei confronti del regime. In questa tesi abbiamo voluto esaminare gli aspetti del riso e della satira in tre opere di Iskander, abbiamo cercato di comprendere i meccanismi e i procedimenti comici con cui egli smonta e denigra il sistema sovietico. Nel primo capitolo abbiamo analizzato "Sozvezdie kozlotura" ("La costellazione del caprotoro"), nel secondo capitolo, il capolavoro di Iskander "Sandro iz Chegema" ("Sandro di Chegem") e nel terzo, "Kroliki i udavy" ("I conigli e i boa"). Queste opere, oltre a esaminare e deridere ogni aspetto della dittatura sovietica, ci offrono inoltre una panoramica completa del riso iskanderiano e della sua evoluzione nel corso degli anni.
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In questo elaborato, articolato in quattro sezioni principali, propongo la traduzione di poesie per l’infanzia scritte dagli autori brasiliani Sônia Barros, Cecília Meireles, José Paulo Paes e Ruy Proença, con attenzione particolare alla riproduzione delle sonorità originali. Nella prima sezione, presento un excursus riassuntivo della storia della letteratura brasiliana. Al fine di creare dei riferimenti cronologici e culturali per il lettore dell’elaborato, fornisco nozioni sulla nascita e lo sviluppo della letteratura in Brasile dalle origini fino ai giorni nostri, dando informazioni relative ad autori, opere e correnti letterarie e, quando necessario, citando avvenimenti storici particolarmente importanti. Accanto a questa contestualizzazione più generica, i paragrafi presentano approfondimenti sull’evoluzione che la letteratura dedicata all’infanzia ha avuto in Brasile attraverso i secoli. La seconda sezione si concentra sugli autori delle poesie tradotte, ovvero Sônia Barros, Cecília Meireles, José Paulo Paes e Ruy Proença. Per ognuno di essi riporto le notizie biografiche più importanti, le tappe della carriera letteraria, la linea di pensiero e di scrittura che li caratterizza maggiormente e i titoli delle loro opere più famose. Successivamente troviamo la sezione dedicata al lavoro di traduzione. Ognuna delle tredici poesie è presentata a fianco della propria traduzione, così da poter cogliere già a un primo sguardo le peculiarità che caratterizzano l’originale e versione italiana da me proposta. Infine, l’ultima sezione dell’elaborato riguarda il commento della traduzione. In questa parte motivo l’atteggiamento traduttivo tenuto nei confronti dei testi, cosciente delle peculiarità del genere poesia e in particolare di quella rivolta a un pubblico di giovanissimi. In seguito, analizzo dettagliatamente quali sono stati i problemi riscontrati durante il mio lavoro e le strategie che ho adottato per superarli.
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Der Architekt und Pritzker-Preisträger von 2012 Wang Shu und seine Frau Lu Wenyu setzen traditionelle chinesische Baukultur neu um. Das kommt insbesondere im Fügen alter und neuer Materialien nach tradierten Handwerksregeln zum Ausdruck. Das theoretische wie praktische Interesse am lokalen Handwerk führen sie unter anderem auf die Beschäftigung mit den chinesischen Literati zurück. Auf diese Weise widersetzen sie sich der heute vorherrschenden Ökonomie im chinesischen Baugewerbe. Sie aktualisieren nicht nur das traditionelle chinesische Handwerk, sondern setzen sich auch für eine Nachhaltigkeit ein, in welcher die zeitliche Entwicklung im Zusammenhang mit bestimmten Erfahrungsräumen gesehen wird. Mittels Improvisationen und Handwerk lassen Wang Shu und Lu Wenyu die alten kulturellen Traditionen mit spezifischen Ästhetiken in einem neuen Licht einer anderen gegenwärtigen Moderne wieder aufscheinen.
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Nach Gott tasten ist die Grundbewegung, die die drei in diesem Band versammelten Vorlesungen verknüpft und für die Paul Klees «Engel, noch tastend» zum hermeneutischen Leitbild wird. Torsten Meireis, inspiriert durch Karl Barth, reflektiert inmitten religiöser und weltanschaulicher Pluralität ein moralisches Verhalten, das dem Handeln des in Jesus Christus offenbaren Gottes entspricht. Wegweisend wird ihm dabei ein dreifacher Begriff des Guten: unverfügbares, intendiertes und realisiertes Gutes. Um angesichts des Sinnverlustes religiöser Rede dennoch nicht von Gott zu schweigen, plädiert Andreas Krebs, angeregt durch Ludwig Wittgensteins Spätphilosophie, für ein «halbes Sagen, halbes Verstehen», das sich in der Nähe zur Sprache der Poesie weiss – eine Gottesrede, die sich ihrer selbst nicht mehr sicher ist und gerade so Gott Gewicht zu geben sucht. Als Baustein einer um den Eigennamen kreisenden Eschatologie entwirft Magdalene L. Frettlöh die Hoffnung auf eine als neuschöpferischen göttlichen Namensruf an die Toten verstandene Auferweckung. Diese schliesst Rettung wie Verwandlung des irdischen Lebens ein.