1000 resultados para grado di Brouwer grado di Leray-Schauder


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La Cognitive Radio è un dispositivo in grado di reagire ai cambiamenti dell’ambiente radio in cui opera, modificando autonomamente e dinamicamente i propri parametri funzionali tra cui la frequenza, la potenza di trasmissione e la modulazione. Il principio di base di questi dispositivi è l’accesso dinamico alle risorse radio potenzialmente non utilizzate, con cui utenti non in possesso di licenze possono sfruttare le frequenze che in un determinato spazio temporale non vengono usate, preoccupandosi di non interferire con gli utenti che hanno privilegi su quella parte di spettro. Devono quindi essere individuati i cosiddetti “spectrum holes” o “white spaces”, parti di spettro assegnate ma non utilizzate, dai quali prendono il nome i dispositivi.Uno dei modi per individuare gli “Spectrum holes” per una Cognitive Radio consiste nel cercare di captare il segnale destinato agli utenti primari; questa tecnica è nota con il nome di Spectrum Sensing e consente di ottenere essenzialmente una misura all’interno del canale considerato al fine di determinare la presenza o meno di un servizio protetto. La tecnica di sensing impiegata da un WSD che opera autonomamente non è però molto efficiente in quanto non garantisce una buona protezione ai ricevitori DTT che usano lo stesso canale sul quale il WSD intende trasmettere.A livello europeo la soluzione che è stata ritenuta più affidabile per evitare le interferenze sui ricevitori DTT è rappresentata dall’uso di un geo-location database che opera in collaborazione con il dispositivo cognitivo.Lo scopo di questa tesi è quello di presentare un algoritmo che permette di combinare i due approcci di geo-location database e Sensing per definire i livelli di potenza trasmissibile da un WSD.

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La ricerca nell’ambito dell’ingegneria tissutale e del rilascio controllato di farmaci ha compiuto notevoli progressi negli ultimi anni. In questo contesto, i materiali polimerici rappresentano senza dubbio la tipologia più adatta: è infatti possibile modularne piuttosto facilmente le proprietà finali per ottenere materiali con caratteristiche ad hoc per il tipo di applicazione scelta, garantendo al contempo il mantenimento di biodegradabilità e biocompatibilità, essenziali in campo biomedicale. All’interno della classe dei polimeri, i poliesteri alifatici risultano particolarmente interessanti e promettenti. Tra questi ultimi, il poli(butilene succinato) (PBS) è utilizzato soprattutto nel campo degli imballaggi biodegradabili grazie alla buona stabilità termica e alla elevata temperatura di fusione (115°C). Di contro, tale polimero è caratterizzato da tempi di biodegradazione lunghi, dovuti all’elevato grado di cristallinità (circa 45-50%), nonché da proprietà meccaniche non ottimali per alcune applicazioni. In tale contesto si inserisce il presente lavoro di tesi che ha come scopo la realizzazione di nuovi poli(esteri uretani) multiblocco a base di PBS, caratterizzati da proprietà migliorate rispetto all’omopolimero di partenza. Al fine di ottenere nuovi materiali che presentino una maggiore velocità di degradazione, combinata con un comportamento meccanico sia elastomerico che termoplastico, sono state prese in considerazione due diverse unità copolimeriche: una cosiddetta “hard” e l’altra “soft”. L’alternanza di queste due porzioni permette infatti di realizzare un polimero tenace, con una elevata temperatura di fusione (dovuta all’elevato grado di cristallinità del segmento hard), e con un basso modulo elastico ed un elevato allungamento a rottura (tipici invece del segmento soft).

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In questo lavoro di tesi è stato elaborato un modello analitico al fine di ottenere una stima dell’ampiezza di delaminazione a seguito di impatti a bassa velocità in laminati in composito, in particolare carbon/epoxy. Nel capitolo 2 è descritto il comportamento meccanico di tali laminati (equazioni costitutive della singola lamina, dell’intero laminato e costanti ingegneristiche dell’intero laminato per qualsiasi sistema di riferimento). Nel capitolo 3 viene descritta la filosofia di progettazione damage tolerance per tali materiali sottoposti a low-velocity impact (LVI) e richiamato il concetto di structural health monitoring. In particolare vengono descritti i tipi di difetti per un laminato in composito, vengono classificati gli impatti trasversali e si rivolge particolare attenzione agli impatti a bassa velocità. Nel paragrafo 3.4 sono invece elencate diverse tecniche di ispezione, distruttive e non, con particolare attenzione alla loro applicazione ai laminati in composito. Nel capitolo 4 è riportato lo stato dell’arte per la stima e la predizione dei danni dovuti a LVI nei laminati: vengono mostrate alcune tecniche che permettono di stimare accuratamente l’inizio del danno, la profondità dell’indentazione, la rottura delle fibre di rinforzo e la forza massima di impatto. L’estensione della delaminazione invece, è difficile da stimare a causa dei numerosi fattori che influenzano la risposta agli impatti: spesso vengono utilizzati, per tale stima, modelli numerici piuttosto dispendiosi in termini di tempo e di calcolo computazionale. Nel capitolo 5 viene quindi mostrata una prima formula analitica per il calcolo della delaminazione, risultata però inaffidabile perché tiene conto di un numero decisamente ristretto di fattori che influenzano il comportamento agli LVI. Nel capitolo 6 è mostrato un secondo metodo analitico in grado di calcolare l’ampiezza di delaminazione mediante un continuo aggiornamento della deflessione del laminato. Dal confronto con numerose prove sperimentali, sembra che il modello fornisca risultati vicini al comportamento reale. Il modello è inoltre fortemente sensibile al valore della G_IIc relativa alla resina, alle dimensioni del laminato e alle condizioni di vincolo. É invece poco sensibile alle variazioni delle costanti ingegneristiche e alla sequenza delle lamine che costituiscono il laminato. La differenza tra i risultati sperimentali e i risultati del modello analitico è influenzata da molteplici fattori, tra cui il più significativo sembra essere il valore della rigidezza flessionale, assunto costante dal modello.

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La RNA interference è un processo attraverso il quale alcuni piccoli frammenti di RNA (19-25 nucleotidi) sono in grado di silenziare l'espressione genica. La sua scoperta, nel 1998, ha rivoluzionato le concezioni della biologia molecolare, minando le basi del cosiddetto Dogma Centrale. Si è visto che la RNAi riveste ruoli fondamentali in meccanismi di regolazione genica, nello spegnimento dell'espressione e funziona come meccanismo di difesa innata contro varie tipologie di virus. Proprio a causa di queste implicazioni richiama interesse non solo dal punto di vista scientifico, ma anche da quello medico, in quanto potrebbe essere impiegata per lo sviluppo di nuove cure. Nonostante la scoperta di tale azione desti la curiosità e l'interesse di molti, i vari processi coinvolti, soprattutto a livello molecolare, non sono ancora chiari. In questo lavoro si propongono i metodi di analisi di dati di un esperimento prodotto dall'Istituto di Biologia molecolare e cellulare di Strasburgo. Nell'esperimento in questione vengono studiate le funzioni che l'enzima Dicer-2 ha nel pathway - cioè la catena di reazioni biomolecolari - della RNA interference durante un'infezione virale nel moscerino della frutta Drosophila Melanogaster. Per comprendere in che modo Dicer-2 intervenga nel silenziamento bisogna capire in quali casi e quali parti di RNA vengono silenziate, a seconda del diverso tipo di mutazione dell'enzima stesso. Dunque è necessario sequenziare l'RNA nelle diverse condizioni sperimentali, ottenendo così i dati da analizzare. Parte dei metodi statistici che verranno proposti risultano poco convenzionali, come conseguenza della peculiarità e della difficoltà dei quesiti che l'esperimento mette in luce. Siccome le tematiche affrontate richiedono un approccio sempre più interdisciplinare, è aumentata considerevolmente la richiesta di esperti di altri settori scientifici come matematici, informatici, fisici, statistici e ingegneri. Questa collaborazione, grazie a una diversità di approccio ai problemi, può fornire nuovi strumenti di comprensione in ambiti che, fino a poco tempo fa, rientravano unicamente nella sfera di competenza dei biologi.

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La mia sperimentazione si inserisce in un progetto di respiro nazionale- “AGER-STAY FRESH”- volto a trovare soluzioni di lavaggio alternative al cloro per il prolungamento della shelf-life delle produzioni di IV gamma. Questi prodotti rappresentano, attualmente, uno dei più promettenti ed innovativi comparti del settore ortofrutticolo e sono definiti, secondo le norme della Comunità Europea, prodotti minimamente trasformati, cioè soggetti a interventi tecnologici ridotti, ed utilizzabili per il consumo diretto senza ulteriori manipolazioni, o con manipolazioni minime. La loro espansione sul mercato deriva dal fatto che sono in grado di offrire alta convenienza, alto valore nutrizionale ed organolettico e sono concepiti dai consumatori come prodotti “genuini” in quanto a base vegetale e, generalmente, non contengono sostanze antimicrobiche. Tuttavia, le materie prime vegetali utilizzate per le produzioni di IV gamma sono spesso caratterizzate da elevate contaminazioni microbiche (4-6 log UFC/g) poiché, durante la crescita o il post-raccolta, frutti o vegetali vengono a contatto con il suolo, insetti o contaminazioni di origine umana.Al momento la shelf-life e la sicurezza d’uso di questa categoria di prodotti sono basate principalmente sul mantenimento della catena del freddo unitamente alla fase di lavaggio delle materie prime con sostanze clorate. Recentemente, però, alcuni autori hanno evidenziato alcuni svantaggi derivanti da questa fase di processo come la formazione di composti clorati cancerogeni. In questa prospettiva, il principale obiettivo di questo lavoro di tesi è stato quello di valutare gli effetti di olio essenziale di cedro e alcuni composti bioattivi degli oli essenziali (citrale, esanale, trans-2-esenale e carvacrolo), utilizzati singolarmente o in combinazione, sulla shelf-life di mele affettate di IV gamma. Su tutti i prodotti sono state eseguite analisi microbiologiche, di texture e colore. Un ulteriore obiettivo di questo lavoro sperimentale è stato quello di ottimizzare alcuni parametri di processo come la riduzione del rapporto acqua di lavaggio/prodotto ed incrementare la temperatura dell’acqua utilizzata al fine di meglio solubilizzare gli antimicrobici in fase di dipping.

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L’attività di dottorato qui descritta ha riguardato inizialmente lo sviluppo di biosensori elettrochimici semplificati per la rilevazione di DNA e successivamente lo studio di dispositivi organici ad effetto di campo per la stimolazione e il rilevamento dell’attività bioelettrica di cellule neuronali. Il lavoro di ricerca riguardante il prima parte è stato focalizzato sulla fabbricazione e sulla caratterizzazione di un biosensore a due elettrodi per la rilevazione di DNA solubile , facilmente producibile a livello industriale. Tale sensore infatti, è in grado di leggere livelli diversi di correnti faradiche sulle superfici in oro degli elettrodi, a discrezione di un eventuale ibridizzazione del DNA da analizzare su di esse. I risultati ottenuti riguardo a questo biosensore sono :la paragonabilità dello stesso con i sensori standard a tre elettrodi basati sulla medesima metodica, la possibilità di effettuare due misure in parallelo di uno stesso campione o di 2 diversi campioni su di uno stesso di dispositivo e la buona applicabilità della chimica superficiale a base di tale biosensore a superfici create con tecnologie industriali. Successivamente a tali studi, mi sono focalizzato sull’utilizzo di dispositivi organici ad effetto campo (in particolare OTFT) per lo sviluppo di un biosensore capace di stimolare e registrare l’attività bioelettrica di cellule neuronali. Inizialmente sono state identificate le caratteristiche del materiale organico utilizzato e successivamente del dispositivo fabbricato pre e post esposizione all’ambiente fisiologico. Poi, sono stati effettuati esperimenti per osservare la capacità di stimolare e di leggere i segnali elettrogenici da parte dell’OTFT. I risultati ottenuti da tali studi sono che: il materiale organico ed il dispositivo mantengo le loro caratteristiche morfologiche e funzionali dopo l’esposizione per giorni all’ambiente fisiologico. Inoltre l’OFET in grado di stimolare il cambiamento delle tensioni di membrana cellulari e contemporaneamente di registrare tali variazioni e le eventuali risposte cellulari provocate da esse.

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Lo studio effettuato pone le sue basi sulla ricerca di materiali stradali che combinino ad elevati standard prestazionali, la riduzione dell’impatto ambientale in fase realizzativa e manutentiva. In particolare il seguente lavoro si occupa dello studio di 7 leganti modificati con polimeri ed additivati con cere. I primi infatti conferiscono alla miscela maggiore elastoplasticità, incrementandone la durabilità e la resistenza a fatica. Nei secondi la presenza del materiale paraffinico contribuisce a ridurre la viscosità del bitume, consentendo un notevole abbassamento della temperatura di produzione e stesa della miscela. Numerosi studi hanno dimostrato che le caratteristiche meccaniche della pavimentazione sono fortemente influenzate dal grado di ossidazione delle componenti organiche del bitume, ovvero dal fenomeno dell’invecchiamento o aging. Pertanto allo studio reologico del bitume, si sono affiancate prove di simulazione dell’ invecchiamento nel breve e lungo termine. In fase di ricerca sperimentale si sono analizzati i leganti modificati ed additivati secondo la teoria della viscoelasticità, simulando le reali condizioni di carico ed invecchiamento alle quali il bitume è sottoposto. Tutte le prove di caratterizzazione reologica avanzata sono state effettuate mediante l’utilizzo del DSR (Dynamic Shear Rheometer - UNI EN 14770 ) in varie configurazioni di prova e l’invecchiamento a breve termine è stato simulato mediante RTFOT (Rolling thin film oven test -UNI EN 12607-1). Si è proposto inoltre una nuova procedura di aging invecchiando il bitume alla temperatura di Twork, ovvero a quel valore della temperatura tale per cui, in fase di messa in opera, si avrà una distribuzione molecolare omogenea del modificante all’interno del bitume.

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Il lavoro svolto durante questa tesi di dottorato pone le basi per lo sviluppo di nuove biotecnologie della micorrizazione di piante forestali con tartufi pregiati ed in particolare con Tuber magnatum. Durante questa tesi è stato possibile isolare e mantenere in coltura pura il micelio di T. magnatum, ad ottenere e descrivere le sue micorrize e quelle di altri tartufi “bianchi” (T. oligospermum, T. borchii) e a seguire l’evoluzione del micelio nel suolo utilizzando la tecnica della real time PCR. Sono stati disegnati primer specie specifici in grado di identificare T. oligospermum ed è stata verificata la possibiltà di utilizzare questi primers in PCR multiplex con quelli specifici di T. magnatum e di T. borchii già presenti in bibliografia, al fine di “scovare” sia frodi nella commercializzaione degli ascomi sia eventuali contaminazioni nelle piante micorrizate. Per migliorare lo sviluppo miceliare di tartufo abbiamo si è cercato di migliorare il mezzo nutritivo per la crescita del micelio utilizzando: fonti di carbonio diverse, estratti radicali di nocciolo e singole frazioni separate dagli stessi. Infine sono stati sviluppati protocolli di crioconservazione per miceli di tartufo. Gli estratti radicali sono in grado di stimolare le crescita miceliare del tartufo modello T. borchii e dimodificarne la morfologia ifale. Questo risultati sono stati confermati anche dall’aumento dell’espressione di geni CDC42 e Rho-GDI, due geni legati alla crescita apicale polarizzata delle ife dei funghi filamentosi. Inoltre è stato dimostrato che il mantenimento in coltura per numerosi anni dei miceli di tartufo provoca una perdita della capacità d’infettare le radici delle piante e quindi il loro potenziale utilizzo sia a scopo sperimentale sia a scopo colturale. Questo pone in risalto l’importanza della conservazione a lungo termine del materiale biologico a disposizione ed è stato dimostrato che la crioconservazione è applicabile con successo anche alle specie del genere Tuber.

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Da quando Chuck Hoberman, all'inizio degli anni '90, ideò la prima cosiddetta "Hoberman sphere", le strutture che da lui prendono il nome hanno suscitato grande interesse, a partire dal successo avuto nell'ambito della scultura e architettura, e hanno determinato la nascita di numerose ricerche ed analisi sul loro funzionamento, che potessero portare allo sviluppo di applicazioni ingegneristiche basate su di esse. La particolarità dei meccanismi inventati da Hoberman consiste nella possibilità di variare la configurazione delle strutture a cui essi sono applicati, dando luogo a costruzioni che sono in grado di trasformarsi ed assumere forme e dimensioni diverse a seconda delle necessità. In particolare, è possibile ottenere strutture capaci di espandersi e ripiegarsi su se stesse, riducendosi ad un volume notevolmente inferiore a quello occupato dalla configurazione aperta. Questa peculiarità ne ha suggerito l'utilizzo in tutti quegli ambiti nei quali la possibilità di occupare spazi ridotti si rivela un vantaggio, oppure quando ciò è una necessità, come per esempio quello spaziale, date le limitazioni imposte dalle dimensioni dei lanciatori. L'obiettivo del presente studio è pertanto quello di individuare possibili applicazioni nel campo aeronautico e spaziale delle strutture di Hoberman. Si è dunque svolta una ricerca sul funzionamento dei meccanismi su cui questo genere di strutture si basa, e sulle loro attuali applicazioni, per individuarne le caratteristiche che potrebbero renderle idonee e vantaggiose per l'utilizzo in campo aerospaziale. Successivamente, sono state individuate alcune possibili applicazioni che sono state studiate da un punto di vista concettuale.

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Gonocerus acuteangulatus (Hemiptera: Coreidae) è considerato uno dei principali fitofagi del nocciolo, in grado di causare con l’attività trofica pesanti perdite quali-quantitative di produzione. Nel triennio sono state quindi condotte indagini sulla bioetologia di G. acuteangulatus volte a: I) studiare comportamento alimentare ed effetti sulla produzione corilicola, II) identificare i feromoni e valutarne l’attività mediante biosaggi fisiologici e comportamentali in laboratorio, semi-campo e campo, III) rilevare le piante ospiti alternative al nocciolo. Mediante isolamento di adulti del coreide su rami di nocciolo con frutti è stata confermata l’assenza di correlazione fra entità del danno e numerosità degli individui presenti in corileto. Dalle analisi sensoriali su nocciole sane e danneggiate è emerso che le alterazioni causate delle punture di nutrizione sono rese più evidenti da conservazione e tostatura. Variazioni di tempi e temperature di tostatura potrebbero mitigare gli effetti del cimiciato. Nello studio dei feromoni, G. acuteangulatus, molto mobile nell’ambiente, è risultato poco adatto ai biosaggi in condizioni artificiali, come quelle in olfattometro e semi-campo. Le femmine sono tuttavia apparse attrattive per adulti di entrambi i sessi, mentre la miscela feromonale sintetizzata ha mostrato un’azione attrattiva, seppure non costante. Pertanto, ulteriori ripetizioni sono necessarie per convalidare questi risultati preliminari, modificando le condizioni di saggio in relazione alle caratteristiche della specie. Infine è stata accertata la preferenza del fitofago per alcune specie vegetali rispetto al nocciolo. Nel corso del triennio, popolazioni molto consistenti di G. acuteangulatus sono state rilevate su bosso, ciliegio di Santa Lucia, rosa selvatica, sanguinello, spino cervino, in corrispondenza del periodo di comparsa e maturazione dei frutti. Nell’impostazione di una strategia di difesa a basso impatto ambientale, l’attrattività di queste piante, in sinergia con eventuali feromoni di aggregazione, potrebbe essere utilmente sfruttata, per mantenere il coreide lontano dalla coltura.

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L'outcome dei pazienti sottoposti a trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche è fortemente influenzato da graft versus leukemia (GvL) e graft versus host disease (GvHD) che sono mediate, almeno in parte, dagli antigeni minori di istocompatibilità (mHAgs). In letteratura sono stati identificati 26 mHAgs che sono stati correlati a GvHD/GvL con risultati incompleti e in alcuni casi contrastanti; inoltre manca una metodica che sia in grado di genotipizzare contemporaneamente un pannello così ampio. Il lavoro è stato finalizzato alla preparazione di un protocollo di laboratorio che permetta di studiare in modo efficace i 26 mHAgs identificati, per poi correlarli con GvHD/GvL all’interno di uno specifico gruppo di trapiantati. Utilizzando la metodica IPlex Gold Mass Array Sequenom e tecniche di biologia molecolare convenzionale sono stati genotipizzati 26 antigeni minori di istocompatibilità per 46 coppie full-matched. Tutti i pazienti inclusi nel progetto di studio erano stati sottoposti a trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche da donatore familiare o volontario full-compatibile per leucemia mieloide cronica (n=46) o leucemia acuta linfoblastica Philadelphia positiva (LAL-Ph+, n=24). Il progetto ha confermato l'efficienza (98.6%) e la fattibilità delle metodiche proposte. Dal lavoro è inoltre emerso che, le differenze tra donatore e ricevente a libello mHAgs ACC-1, ACC-4, ACC-5, LB-MTHFD1-1Q, UGT2B17, DPH1, LRH1 potrebbero essere fattori predittivi di GvHD (p<0.05). La seconda evidenza è legata a un trend secondo cui il mismatch per LB-ADIR1 protegge dalla recidiva di malattia, in particolare nei confronti della LAL-Ph+ che è scarsamente responsiva all'allo-immunoterapia. Questo lavoro pilota, la cui casistica deve quindi essere ampliata, ha dimostrato l’efficacia della genotipizzazione con IPlex Gold Sequenom e l’elevato potenziale degli mHAgs sia come fattori predittivi di GvHD che come driver di GvL.

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La diffusione nelle strutture sanitarie di un numero sempre crescente di apparecchiature biomediche e di tecnologie "avanzate" per la diagnosi e la terapia ha radicalmente modificato l'approccio alla cura della salute. Questo processo di "tecnologizzazione" rende evidente la necessità di fare ricorso a competenze specifiche e a strutture organizzative adeguate in modo da garantire un’efficiente e corretta gestione delle tecnologie, sia dal punto di vista tecnico che economico, bisogni a cui da circa 40 anni risponde l’Ingegneria Clinica e i Servizi di Ingegneria Clinica. Nei paesi industrializzati la crescita economica ha permesso di finanziare nuovi investimenti e strutture all'avanguardia dal punto di vista tecnologico, ma d'altra parte il pesante ingresso della tecnologia negli ospedali ha contribuito, insieme ad altri fattori (aumento del tenore di vita, crescente urbanizzazione, invecchiamento della popolazione, ...) a rendere incontrollabile e difficilmente gestibile la spesa sanitaria. A fronte quindi di una distribuzione sempre più vasta ed ormai irrinunciabile di tecnologie biomediche, la struttura sanitaria deve essere in grado di scegliere le appropriate tecnologie e di impiegare correttamente la strumentazione, di garantire la sicurezza dei pazienti e degli operatori, nonché la qualità del servizio erogato e di ridurre e ottimizzare i costi di acquisto e di gestione. Davanti alla necessità di garantire gli stessi servizi con meno risorse è indispensabile utilizzare l’approccio dell’Health Technology Assessment (HTA), ossia la Valutazione delle Tecnologie Sanitarie, sia nell’introduzione di innovazioni sia nella scelta di disinvestire su servizi inappropriati od obsoleti che non aggiungono valore alla tutela della salute dei cittadini. Il seguente elaborato, dopo la definizione e classificazione delle tecnologie sanitarie, un’analisi del mercato di tale settore e delle spesa sanitaria sostenuta dai vari paesi Ocse, pone l’attenzione ai Servizi di Ingegneria Clinica e il ruolo chiave che essi hanno nel garantire efficienza ed economicità grazie anche all’ausilio dei profili HTA per la programmazione degli acquisti in sanità.

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I moderni motori a combustione interna diventano sempre più complessi L'introduzione della normativa antinquinamento EURO VI richiederà una significativa riduzione degli inquinanti allo scarico. La maggiore criticità è rappresentata dalla riduzione degli NOx per i motori Diesel da aggiungersi a quelle già in vigore con le precedenti normative. Tipicamente la messa a punto di una nuova motorizzazione prevede una serie di test specifici al banco prova. Il numero sempre maggiore di parametri di controllo della combustione, sorti come conseguenza della maggior complessità meccanica del motore stesso, causa un aumento esponenziale delle prove da eseguire per caratterizzare l'intero sistema. L'obiettivo di questo progetto di dottorato è quello di realizzare un sistema di analisi della combustione in tempo reale in cui siano implementati diversi algoritmi non ancora presenti nelle centraline moderne. Tutto questo facendo particolare attenzione alla scelta dell'hardware su cui implementare gli algoritmi di analisi. Creando una piattaforma di Rapid Control Prototyping (RCP) che sfrutti la maggior parte dei sensori presenti in vettura di serie; che sia in grado di abbreviare i tempi e i costi della sperimentazione sui motopropulsori, riducendo la necessità di effettuare analisi a posteriori, su dati precedentemente acquisiti, a fronte di una maggior quantità di calcoli effettuati in tempo reale. La soluzione proposta garantisce l'aggiornabilità, la possibilità di mantenere al massimo livello tecnologico la piattaforma di calcolo, allontanandone l'obsolescenza e i costi di sostituzione. Questa proprietà si traduce nella necessità di mantenere la compatibilità tra hardware e software di generazioni differenti, rendendo possibile la sostituzione di quei componenti che limitano le prestazioni senza riprogettare il software.

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Il lavoro discusso in questa tesi è lo sviluppo di un metodo sintetico basato sulla catalisi asimmetrica che consente di ottenere precursori di alcuni alcaloidi dell’Ergot in forma enantioarricchita. La reazione sviluppata consiste in un processo domino Friedel-Crafts/nitro-Michael fra indoli sostituiti in posizione 4 con un accettore di Michael e nitroetene. I catalizzatori utilizzati sono in grado di attivare il nitroetene per la Friedel-Crafts mediante legami a idrogeno e di indurre stereoselezione nella successiva ciclizzazione di Michael intramolecolare. Mediante la procedura ottimizzata è possibile ottenere una serie di indoli policiclici, potenziali precursori sintetici di alcaloidi dell’Ergot, con buone rese ed enantioselezioni.

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L'obiettivo della tesi è la valutazione delle prestazioni delle migrazioni di reti di macchine virtuali. Ci si è concentrati sul trasferimento delle memorie di tali macchine virtuali in quanto è l'azione che maggiormente comporta l'impiego di tempo e risorse. Allo scopo, si è scelto l'approccio pre-copy in quanto utilizzato dagli hypervisor più diffusi. Si è costruito un modello in grado di descrivere il sistema in esame, analizzandolo sia dal punto di vista matematico, che simulativo. Proprio grazie ai simulatori proposti si sono confrontati i valori del tempo di migrazione e del downtime, indici fondamentali per la migrazione in tempo reale, nel caso di trasferimento in serie e in parallelo delle macchine di un insieme. Si sono considerate anche reti di macchine virtuali aventi diversa dimensione delle memorie, analizzando e confrontando, anche questa volta, gli indici di prestazione con quelli degli altri processi. Si è prestata particolare attenzione anche alla caratterizzazione della dirtying-rate, parametro importante dell'approccio pre-copy.