999 resultados para Filosofia moderna na literatura


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L’ermeneutica filosofica di Hans-Georg Gadamer – indubbiamente uno dei capisaldi del pensiero novecentesco – rappresenta una filosofia molto composita, sfaccettata e articolata, per così dire formata da una molteplicità di dimensioni diverse che si intrecciano l’una con l’altra. Ciò risulta evidente già da un semplice sguardo alla composizione interna della sua opera principale, Wahrheit und Methode (1960), nella quale si presenta una teoria del comprendere che prende in esame tre differenti dimensioni dell’esperienza umana – arte, storia e linguaggio – ovviamente concepite come fondamentalmente correlate tra loro. Ma questo quadro d’insieme si complica notevolmente non appena si prendano in esame perlomeno alcuni dei numerosi contributi che Gadamer ha scritto e pubblicato prima e dopo il suo opus magnum: contributi che testimoniano l’importante presenza nel suo pensiero di altre tematiche. Di tale complessità, però, non sempre gli interpreti di Gadamer hanno tenuto pienamente conto, visto che una gran parte dei contributi esegetici sul suo pensiero risultano essenzialmente incentrati sul capolavoro del 1960 (ed in particolare sui problemi della legittimazione delle Geisteswissenschaften), dedicando invece minore attenzione agli altri percorsi che egli ha seguito e, in particolare, alla dimensione propriamente etica e politica della sua filosofia ermeneutica. Inoltre, mi sembra che non sempre si sia prestata la giusta attenzione alla fondamentale unitarietà – da non confondere con una presunta “sistematicità”, da Gadamer esplicitamente respinta – che a dispetto dell’indubbia molteplicità ed eterogeneità del pensiero gadameriano comunque vige al suo interno. La mia tesi, dunque, è che estetica e scienze umane, filosofia del linguaggio e filosofia morale, dialogo con i Greci e confronto critico col pensiero moderno, considerazioni su problematiche antropologiche e riflessioni sulla nostra attualità sociopolitica e tecnoscientifica, rappresentino le diverse dimensioni di un solo pensiero, le quali in qualche modo vengono a convergere verso un unico centro. Un centro “unificante” che, a mio avviso, va individuato in quello che potremmo chiamare il disagio della modernità. In altre parole, mi sembra cioè che tutta la riflessione filosofica di Gadamer, in fondo, scaturisca dalla presa d’atto di una situazione di crisi o disagio nella quale si troverebbero oggi il nostro mondo e la nostra civiltà. Una crisi che, data la sua profondità e complessità, si è per così dire “ramificata” in molteplici direzioni, andando ad investire svariati ambiti dell’esistenza umana. Ambiti che pertanto vengono analizzati e indagati da Gadamer con occhio critico, cercando di far emergere i principali nodi problematici e, alla luce di ciò, di avanzare proposte alternative, rimedi, “correttivi” e possibili soluzioni. A partire da una tale comprensione di fondo, la mia ricerca si articola allora in tre grandi sezioni dedicate rispettivamente alla pars destruens dell’ermeneutica gadameriana (prima e seconda sezione) ed alla sua pars costruens (terza sezione). Nella prima sezione – intitolata Una fenomenologia della modernità: i molteplici sintomi della crisi – dopo aver evidenziato come buona parte della filosofia del Novecento sia stata dominata dall’idea di una crisi in cui verserebbe attualmente la civiltà occidentale, e come anche l’ermeneutica di Gadamer possa essere fatta rientrare in questo discorso filosofico di fondo, cerco di illustrare uno per volta quelli che, agli occhi del filosofo di Verità e metodo, rappresentano i principali sintomi della crisi attuale. Tali sintomi includono: le patologie socioeconomiche del nostro mondo “amministrato” e burocratizzato; l’indiscriminata espansione planetaria dello stile di vita occidentale a danno di altre culture; la crisi dei valori e delle certezze, con la concomitante diffusione di relativismo, scetticismo e nichilismo; la crescente incapacità a relazionarsi in maniera adeguata e significativa all’arte, alla poesia e alla cultura, sempre più degradate a mero entertainment; infine, le problematiche legate alla diffusione di armi di distruzione di massa, alla concreta possibilità di una catastrofe ecologica ed alle inquietanti prospettive dischiuse da alcune recenti scoperte scientifiche (soprattutto nell’ambito della genetica). Una volta delineato il profilo generale che Gadamer fornisce della nostra epoca, nella seconda sezione – intitolata Una diagnosi del disagio della modernità: il dilagare della razionalità strumentale tecnico-scientifica – cerco di mostrare come alla base di tutti questi fenomeni egli scorga fondamentalmente un’unica radice, coincidente peraltro a suo giudizio con l’origine stessa della modernità. Ossia, la nascita della scienza moderna ed il suo intrinseco legame con la tecnica e con una specifica forma di razionalità che Gadamer – facendo evidentemente riferimento a categorie interpretative elaborate da Max Weber, Martin Heidegger e dalla Scuola di Francoforte – definisce anche «razionalità strumentale» o «pensiero calcolante». A partire da una tale visione di fondo, cerco quindi di fornire un’analisi della concezione gadameriana della tecnoscienza, evidenziando al contempo alcuni aspetti, e cioè: primo, come l’ermeneutica filosofica di Gadamer non vada interpretata come una filosofia unilateralmente antiscientifica, bensì piuttosto come una filosofia antiscientista (il che naturalmente è qualcosa di ben diverso); secondo, come la sua ricostruzione della crisi della modernità non sfoci mai in una critica “totalizzante” della ragione, né in una filosofia della storia pessimistico-negativa incentrata sull’idea di un corso ineluttabile degli eventi guidato da una razionalità “irrazionale” e contaminata dalla brama di potere e di dominio; terzo, infine, come la filosofia di Gadamer – a dispetto delle inveterate interpretazioni che sono solite scorgervi un pensiero tradizionalista, autoritario e radicalmente anti-illuminista – non intenda affatto respingere l’illuminismo scientifico moderno tout court, né rinnegarne le più importanti conquiste, ma più semplicemente “correggerne” alcune tendenze e recuperare una nozione più ampia e comprensiva di ragione, in grado di render conto anche di quegli aspetti dell’esperienza umana che, agli occhi di una razionalità “limitata” come quella scientista, non possono che apparire come meri residui di irrazionalità. Dopo aver così esaminato nelle prime due sezioni quella che possiamo definire la pars destruens della filosofia di Gadamer, nella terza ed ultima sezione – intitolata Una terapia per la crisi della modernità: la riscoperta dell’esperienza e del sapere pratico – passo quindi ad esaminare la sua pars costruens, consistente a mio giudizio in un recupero critico di quello che egli chiama «un altro tipo di sapere». Ossia, in un tentativo di riabilitazione di tutte quelle forme pre- ed extra-scientifiche di sapere e di esperienza che Gadamer considera costitutive della «dimensione ermeneutica» dell’esistenza umana. La mia analisi della concezione gadameriana del Verstehen e dell’Erfahrung – in quanto forme di un «sapere pratico (praktisches Wissen)» differente in linea di principio da quello teorico e tecnico – conduce quindi ad un’interpretazione complessiva dell’ermeneutica filosofica come vera e propria filosofia pratica. Cioè, come uno sforzo di chiarificazione filosofica di quel sapere prescientifico, intersoggettivo e “di senso comune” effettivamente vigente nella sfera della nostra Lebenswelt e della nostra esistenza pratica. Ciò, infine, conduce anche inevitabilmente ad un’accentuazione dei risvolti etico-politici dell’ermeneutica di Gadamer. In particolare, cerco di esaminare la concezione gadameriana dell’etica – tenendo conto dei suoi rapporti con le dottrine morali di Platone, Aristotele, Kant e Hegel – e di delineare alla fine un profilo della sua ermeneutica filosofica come filosofia del dialogo, della solidarietà e della libertà.

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Fil: Salazar, Oscar. Universidad Nacional de Cuyo. Facultad de Artes y Diseño

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Introducción: Frecuentemente oímos hablar de la época contemporánea y del siglo veinte como del comienzo de una nueva era. Se la determina con el termino de era atómica. Y en realidad nos damos cuenta que algo ha terminado, que hemos dejado las costas, que una tormenta nos ha arrancado de lo seguro y nos ha arrastrado mar adentro, donde ahora navegamos en "un mar de dudas" en busca de un puerto que desconocemos y que ninguno está en situación de determinar, porque como todo fin es trascendental al movimiento mismo. Por eso se a hecho ya un término no trillado hablar de época de crisis. Romano Guardini acuñó un concepto para caracterizar a nuestra época: "fin de los tiempos modernos". Estamos al fin de una era, y eso es claro; pero, lo nuevo, el nuevo mundo que nace es solo pálpito y presentimiento. Esto aflora con mayor claridad en el pensamiento metafísico, que es el lugar donde se manifiesta, toma conciencia el movimiento histórico y se expresa en forma conceptual. Así como el hombre de nuestros días en una actitud adolescente (en sentido positivo y negativo), quiere pintar no como los modernos, quiere componer no como sus maestros; del mismo modo, quiere pensar, pero no como pensaron sus antecesores. El pensamiento moderno le resulta demasiado estrecho y se a dispuesto a salir de él ensayando los primeros gestos. Una parte muy grande de los escritos de Heidegger consisten en decir que la metafísica ha terminado y que hay que buscar el ser y el sentido de los entes por otro camino. De ahí que el mismo Heidegger dice que su filosofía que es un "estar en camino" (unterwegs), y O. Pöggeler titula su libro sobre la filosofía de Heidegger "El camino del pensamiento de Martín Heidegger". La primera parte del presente trabajo procura establecer una comparación entre una corriente contemporánea (que por lo tanto está al fin del "tiempo moderno") como es la fenomenología, para establecer un parangón con la filosofía de Tomás de Aquino, procurando descubrir las raíces recónditas de la "Philosophia perennis". No es un trabajo de estudio histórico del pensamiento, ni un trabajo de crítica histórica, sino que pretende ser un trabajo de filosofía. De ahí que será fácil ver que el autor ha leído a Santo Tomás con el deseo de descubrir en él una respuesta a los problemas eternos de la filosofía del ser, tal como se plantean en nuestro tiempo.

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Frente a la narratología estructuralista, una subdisciplina relativamente unificada, la nueva narratología se constituye como un proyecto interdisciplinario integrado por posturas heterogéneas que focalizan en procesos abiertos y dinámicos en lugar de productos estáticos. Entre estos nuevos acercamientos narratológicos, la teoría de los mundos posibles presenta, como característica específica frente a otras corrientes relacionadas con alguna forma de orientación contextualista, un alto grado de teorización que ha conducido en los últimos tiempos a profundizar en la pregunta ineludible sobre qué es lo relevante de una narración y qué rasgos particulares definen a la ficcionalidad. Esta moderna semántica construccional de la ficción resulta una herramienta muy productiva para la interpretación de cualquier tipo de texto, incluidos los textos medievales. En contraste con acercamientos ad hoc, la semántica ficcional concibe los textos literarios como sistemas semióticos para construir (generar la existencia de) mundos ficcionales, paralelos al mundo real aunque autónomos. "Mundo ficcional" es un concepto macroestructural y como tal proporciona un marco general para interpretar semánticamente los constituyentes particulares del texto literario

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El vínculo estrecho entre historia y literatura ha sido objeto de consideración desde hace mucho tiempo, tanto desde la teoría literaria como desde la propia teoría de la historia. Dado que el conocimiento historiográfico se expresa en la forma de un relato, desde los inicios de la moderna ciencia histórica se ha insistido en su carácter diferencial, frente al campo más amplio de los relatos "literarios". La pretensión de verdad que le es característica al texto historiográfico expresaría así un rasgo propio de la historia como ciencia que no compartiría con la literatura, en la medida en que en esta última esa pretensión estaría suspendida. A los análisis que han mostrado que, en cuanto discurso, la historiografía comparte los mismos rasgos estructurales que otros relatos (comúnmente considerados "ficcionales") deben sumarse otras consideraciones por parte de aquellos escritores que se han interesado en abordar "literariamente" el pasado. Estaríamos frente a la propuesta de una comprensión alternativa de los hechos "históricos", resultado en parte importante del punto de vista asumido por el escritor en su búsqueda de disputar a la ciencia historiográfica el monopolio de la voz que da cuenta del pasado. Me concentraré en este trabajo en el análisis de dos textos "ficcionales" que abordan hechos históricos, con el objeto de mostrar cómo el tratamiento literario del pasado pone en evidencia las limitaciones de la comprensión histórica tal como ésta es tradicionalmente entendida. El análisis se concentrará en La revolución es un sueño eterno (A. Rivera) y "Esa mujer" (R. Walsh)

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La historia mundial toma otro rumbo con la llegada de la modernidad en el inicio del siglo XX y el vertiginoso crecimiento de las ciudades europeas. La industrialización, la urbanización y la evolución tecnológica determinan mudanzas tanto en las realidades vividas como también en las apariencias y en las costumbres de sus habitantes. Concomitantemente con los cambios sociales y económicos acontece una transformación de los sentidos con una importante repercusión sobre las representaciones en la literatura y las artes. El presente trabajo pretende ofrecer una breve evaluación comparativa de las representaciones de Madrid en textos de Unamuno, de Valle-Inclán y de Gómez de la Serna que reflejan la posición del escritor modernista delante de los cambios fundamentales que esta ciudad experimenta en las primeras décadas del siglo XX. Unamuno publica entre 1931 y 1935 doce artículos con enfoque en la capital de España, Valle-Inclán aborda el tema en el drama esperpéntico Luces de Bohemia y Gómez de la Serna es autor de textos ensayísticos como "Elucidario de Madrid" y también de novelas ubicadas en el ambiente madrileño como La viuda blanca y negra que exponen al lector su visión de esta metrópolis moderna.

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No âmbito brasileiro, as interpretações da poesia moderna simbolista de fins do século XIX, em sua maior parte, apesar dos avanços, apontam com freqüência para a consagração do poeta e do poema, numa espécie de síntese superadora que, ao fim e ao cabo, elimina quaisquer impurezas e normativiza a visão moderna do simbolismo, reinstaurando, com suas especificidades locais, a idéia da torre de marfim. No entanto, de acordo com Roger Caillois, em L'homme et le sacré, não só puro e impuro são noções móveis, intercambiáveis, equívocas, como os ritos de consagração e dessacralização demonstram a mobilidade entre os mundos sagrado e profano. A partir deste pressuposto, confrontam-se aqui as leituras recentes da poesia simbolista brasileira com uma parte pouco lida da obra do poeta brasileiro João da Cruz e Sousa (1861-1898), instaurando-se, neste sentido, uma polêmica ficcional do poeta com seus críticos que, de alguma forma, ainda vêem produtor (poeta) e produto (poema) como instâncias sagradas.

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Este artigo visa percorrer, através de incursao documental sobre o mundo da dança na sociedade moderna e sobretudo em sua prática na cidade do Rio de Janeiro. O objeto do trabalho é a presença do homem nos vários contextos em havia a prática da dança, seja nos espaços da alta sociedade, nos saloes de frequência predominante masculina ou nas ruas na forma do lazer e da sátira, como é o caso do carnaval. Nesse estudo coube nossas reflexoes pessoais, considerando nossa experiência no campo da dança e as valorosas contribuiçoes dos jornais de época, quando nos concentramos no cotidiano do século XIX e início do Século XX. As maiores contribuiçoes partem das crônicas do Jornalista Delso Renault, que compilou inúmeras reportagens de época onde a presença do homem no mundo da dança nao reflete o atual momento em que a predominância da presença feminina nos saloes e nos palcos nos revela uma imagem de que o homem abandonou, se afastou ou foi excluído por algum motivo no cenário que envolve a dança. Nesse sentido o trabalho no levou analisar a trajetória do homem na dança e como esse gênero se fez e se faz ausente ou presente em determinado espaços sociais. Além de Delso Renault, fizemos incursos pela literatura discutindo o cotidiano e sua transformaçao moral, religiosa, artística e sócio-econômica, uma vez que a dança deixa de ser um aspecto meramente lúdico, de aproximaçao corporal de homem e mulher e passa, em boa parte de sua prática, por um ato profissional

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Ezra Pound (1885-1972) mantuvo una constante y compleja relación con las tradiciones clásicas y medievales. Desde Personae (1909), de ascendencia ovidiana, hasta el Homage to Sextus Propercius (1919), pasando por su recurrencia sistemática a mitos y figuras de la tradición grecolatina en los Cantos (1920-1972), la obra de Pound se realiza en múltiples operaciones de lecturas y reescrituras de las tradiciones grecolatinas y medievales. Este trabajo realiza un acercamiento a las recreaciones de mitos clásicos puestos en juego por el autor en función del relevamiento y la crítica de algunos paradigmas de la modernidad.

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Desde el primer número de la revista Los Libros aparecen una serie de reseñas sobre obras críticas. Esta crítica de la crítica cobra importancia porque en ese conjunto de reseñas se configura un espacio de lecturas contrapuestas que se perfilan con mayor nitidez que en las reseñas sobre obras literarias, en donde, debido a la diversidad de los colaboradores, las lecturas resultan muy dispares. La crítica de la crítica pone en escena modos de lectura diferenciados entre sí que suponen estrategias antagónicas de encarar la modernización de la disciplina. Este trabajo se propone analizar en esta serie de reseñas las diversas tendencias de la crítica literaria argentina que comienzan a distinguirse en esta revista.

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Fil: Pérez, Alberto Aníbal. Universidad Nacional de La Plata. Facultad de Humanidades y Ciencias de la Educación; Argentina.