909 resultados para Early Christian literature Critical edition


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Il presente progetto è incentrato sull’analisi paleografica della scrittura delle carte dei notai bolognesi del secolo XII (dal 1100 al 1164) ed è stata condotta su un totale di circa 730 documenti, quasi totalmente inediti. La ricerca rientra nell’ambito del progetto di edizione critica delle Carte bolognesi del secolo XII, in corso presso la Cattedra di Paleografia e Diplomatica dell’Università di Bologna. Il lavoro ha previsto un’analisi tecnica e puntuale delle abitudini grafiche di ogni notaio, con particolare attenzione al sistema abbreviativo (al fine di fornire una serie di dati di confronto che potranno essere utili al momento dell’edizione). È stata così realizzata una sorta di database delle diverse grafie esistenti sul territorio, organizzate per notaio e in ordine cronologico. Le caratteristiche della documentazione sono state poi prese in esame sul piano sincronico e nel loro sviluppo diacronico, e si è proceduto a un confronto tra la produzione dei diversi notai, verificando la presenza di nessi e parentele “grafiche”, che hanno permesso di ricostruire raggruppamenti di scriventi con caratteristiche affini.L’analisi dei dati ha permesso di indagare a fondo gli sviluppi della minuscola carolina bolognese e di osservare l’organizzazione e le modalità di apprendimento della pratica notarile. È stato così possibile cogliere le dinamiche con cui la carolina, introdotta da alcuni notai “innovatori”, come Angelo e Bonando, si è diffusa dalla città al contado: si è trattato di un processo graduale, in cui accanto a forme già mature, di transizione verso la gotica, sono convissute forme ancora arcaiche. In linea con quanto la storiografia ha evidenziato, anche l’analisi grafica della documentazione privata bolognese conferma che il processo di rinnovamento della corporazione dovette essere successivo all’impresa irneriana, traendo probabilmente alimento anche dai rapporti diretti e documentati tra Irnerio e alcune personalità più avanzate del notariato bolognese.

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La ricerca ha come oggetto l’edizione critica di circa tremila regesti di documenti di area bolognese datati al X-XII secolo. I documenti sono stati trascritti tra il XVII e XVIII secolo in undici cartulari ecclesiastici, conservati presso l’Archivio di Stato di Bologna. Il lavoro s’inserisce nel progetto di edizione delle carte bolognesi di epoca medievale in corso presso la cattedra di Paleografia latina e Diplomatica dell’Università di Bologna, attualmente incentrata sull’edizione delle carte del secolo XII. La ricerca si propone come strumento di supporto a tale progetto e come completamento delle carte già pubblicate: i cartulari, infatti, offrono spesso copie di documenti mancanti dell’originale o in cattivo stato di conservazione, e costituiscono l’unica traccia di una memoria storica altrimenti perduta. Le raccolte esaminate si collocano a ridosso del periodo napoleonico, quando la maggior parte degli enti ecclesiastici venne soppressa e i loro beni incamerati dallo Stato; esse quindi rispecchiano la condizione dei principali archivi ecclesiastici cittadini dei primi secoli del Medioevo bolognese. La ricerca è strutturata in una prima parte volta a definire in termini storico-diplomatistici la tipologia di fonte esaminata: oggi i cartulari non sono più intesi come semplici raccoglitori di documenti, ma come sistema organico di fonti in grado di far luce su aspetti importanti della storia dell’ente che li ha prodotti. L’indagine del loro contesto di produzione permette di comprenderne meglio le finalità, la forma e il valore giuridico. Parte della ricerca è stata poi incentrata sullo studio delle ragioni che hanno portato gli istituti religiosi bolognesi alla redazione dei cartulari: a tal fine è stata esaminata la legislazione ecclesiastica cinque-settecentesca in materia di conservazione della documentazione e il rapporto della legislazione stessa con la prassi archivistica. Infine è stata realizzata l’edizione critica vera e propria dei regesti, mirante a descrivere le caratteristiche principali di ciascun cartulario.

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Questo lavoro è imperniato sullo studio di uno dei melodrammi più interessanti della fine del XVII secolo: “Il carceriere di sé medesimo” di Lodovico Adimari (1644-1708) e Alessandro Melani (1639-1703), allestito per la prima volta a Firenze nel 1681, e ripreso nel giro di una ventina d’anni a Reggio (1684), a Bologna (1697) e a Vienna (1702). L’opera vanta un’origine drammatica di spicco: risale infatti alla commedia “Guardarse a sí mismo” di Pedro Calderón de la Barca (1600-1681) mediata dal “Geôlier de soi-mesme” di Thomas Corneille (1625-1709), e presenta qualità poetiche e musicali evidenti, assicurate dai nomi del poeta Lodovico Adimari e del compositore Alessandro Melani. A ciò si aggiungano una tradizione articolata in quattro allestimenti, nonché un elevato numero di testimoni superstiti: cinque edizioni del libretto (testimoniate da numerosi esemplari) e il numero fortunatissimo di tre partiture manoscritte, conservate a Parigi, Bologna e Modena. La tesi contiene l’edizione critica del “Carceriere di sé medesimo” di Adimari con tutte le varianti accumulatesi nella riedizione del libretto e nella copiatura della partitura, l’analisi del dramma, a partire dal confronto tra i testi di Calderón, Corneille e Adimari, e lo studio delle sue componenti drammatiche, formali e contenutistiche. Si aggiunge uno studio sul contesto storico-musicale degli allestimenti di Firenze, Reggio, Bologna e Vienna, nonché l’edizione dei restanti tre drammi di Adimari: la commedia “Le gare dell’amore e dell’amicizia” (1679), e il dramma per musica “L’amante di sua figlia” (1684).

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L'inno dedicato ai sette Amesha Spəṇta è parte della produzione avestica recenziore, e si compone in gran parte di porzioni testuali riprese da altri testi avestici a loro volta di formazione tardiva. Lo Yašt si divide in tre parti principali: le stanze 0-10; 11-14; e infine la stanza 15 che comprende la formula di chiusura tipica degli inni avestici. La prima sezione (2.0-10) è composta dalla formula di apertura, incompleta rispetto a quelle dei restanti inni, seguita dai primi sette capitoli di entrambi i Sīh-rōzag compresi i Gāh. Le stanze centrali (11-14) si caratterizzano per l'assenza di passi gemelli, un elevato numero di hapax e di arcaismi formali e inoltre, una grande variabilità nella tradizione manoscritta. Si tratta di una formula magica per esorcizzare/allontanare demoni e stregoni, che doveva essere recitata per sette volte. Tale formula probabilmente rappresentava in origine un testo autonomo che veniva recitato assieme ad altri testi avestici. La versione a noi pervenuta comprende la recitazione di parte di entrambi i Sīh-rōzag, ma è molto probabile che tale arrangement sia soltanto una sequenza recitativa che doveva coesistere assieme ad altre. Attualmente la formula magica viene recitata principalmente assieme allo Yasna Haptaŋhāiti, senza le restanti stanze dell'inno nella sua versione geldneriana. Il testo sembra nascere come formula magica la quale venne recitata assieme a diversi testi avestici come per esempio parti dello Sīh-rōzag. In un periodo impossibile da stabilire con certezza la versione viene fissata nella forma a noi pervenuta nella maggior parte dei manoscritti e per la sua affinità formale probabilmente interpretato come inno e perciò incluso nell'innario avestico.

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This paper discusses the manuscript transmission of Chrétien’s Roman de Perceval ou le Conte du Graal and Wolfram’s Parzival in terms of their textual tradition and editorial criticism. It shows that the most recent edition of the Old French Perceval (K. Busby 1993) can be viewed as a landmark of the art of conventional editing that appeared at the peak of the discussion of ‘New Philology’ and took its own position in this context. At the same time, the Perceval was subject of critical studies based on the principle of ‘unrooted trees’ that questioned the genealogical concept of traditional ‘Lachmannian’ stemmatology. Conversely, a new edition of Wolfram’s Parzival, based on all known manuscripts, remained a desideratum for decades in German studies. Specific research on the textual tradition played a rather marginal role for a long time, but has been reinforced in the recent years in the context of a new critical edition presenting the totality of manuscripts as well as different textual versions in electronic form. The concept of ‘unrooted trees’ visualizing relationships of manuscript readings can be integrated in this concept. The article gives an overview of these methods, presents examples of editorial techniques, and develops ideas on how to combine the research on the manuscript tradition of both the German text and its French counterpart.

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This article discusses the manuscript transmission of Chrétien’s Roman de Perceval ou le Conte du Graal and Wolfram’s Parzival in terms of their textual tradition and editorial criticism. It shows that the most recent edition of the Old French Perceval (K. Busby 1993) can be viewed as a landmark of the art of conventional editing that appeared at the peak of the discussion of ‘New Philology’ and took its own position in this context. At the same time, the Perceval was subject of critical studies based on the principle of ‘unrooted trees’ that questioned the genealogical concept of traditional ‘Lachmannian’ stemmatology. Conversely, a new edition of Wolfram’s Parzival, based on all known manuscripts, remained a desideratum for decades in German studies. Specific research on the textual tradition played a rather marginal role for a long time, but has been reinforced in the recent years in the context of a new critical edition presenting the totality of manuscripts as well as different textual versions in electronic form. The concept of ‘unrooted trees’ visualizing relationships of manuscript readings can be integrated in this concept. The article gives an overview of these methods, presents examples of editorial techniques, and develops ideas on how to combine the research on the manuscript tradition of both the German text and its French counterpart.

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A discussion of the long-term “Hölderlinism” of Italian poets, starting from Vigolo’s essay on Hölderlin and the music (1966), moving back to Carducci’s translations, with a critical edition of his version of Hölderlin’s Achill (1874, see the leaf reproduced in the appendix), and concluding with a look at later Italian poets up to Pusterla (2004).

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Introduction. Injury mortality was classically described with a tri-modal distribution, with immediate deaths at the scene, early deaths due to hemorrhage, and late deaths from organ failure. We hypothesized that trauma systems development have improved pre-hospital care, early resuscitation, and critical care, and altered this pattern. ^ Methods. This is a population-based study of all trauma deaths in an urban county with a mature trauma system (n=678, median age 33 years, 81% male, 43% gunshot, 20% motor vehicle crashes). Deaths were classified as immediate (scene), early (in hospital, ≤ 4 hours from injury), or late (>4 hours post injury). Multinomial regression was used to identify independent predictors of immediate and early vs. late deaths, adjusted for age, gender, race, intention, mechanism, toxicology and cause of death. ^ Results. There were 416 (61%) immediate, 199 (29%) early, and 63 (10%) late deaths. Immediate deaths remained unchanged and early deaths occurred much earlier (median 52 minutes vs. 120). However, unlike the classic trimodal distribution, there was no late peak. Intentional injuries, alcohol intoxication, asphyxia, and injuries to the head and chest were independent predictors of immediate deaths. Alcohol intoxication and injuries to the chest were predictors of early deaths, while pelvic fractures and blunt assaults were associated with late deaths. ^ Conclusion. Trauma deaths now have a bimodal distribution. Elimination of the late peak likely represents advancements in resuscitation and critical care that have reduced organ failure. Further reductions in mortality will likely come from prevention of intentional injuries, and injuries associated with alcohol intoxication. ^

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La Patrística cristiana recibió la noción veterotestamentaria de asthéneia de la versión griega de los LXX. Entendida como “debilidad" y “falta de fuerza", se la asoció con “enfermedad" o “estado general de debilidad", significado que se conservó tanto en los libros históricos como en los poéticos. El término aparece con frecuencia también en los Evangelios y en los escritos de Pablo, posibilitando así una comprensión de la enfermedad en clave filosófico-teológica por parte de los Padres, entre los que se destaca el Patriarca de Constantinopla San Juan Crisóstomo, quien recurriendo a una exégesis literal de la Escritura según los principios de la escuela antioquena, analiza el concepto en sus comentarios a las Epístolas llamadas “Mayores" de San Pablo y, particularmente, a la Segunda Carta a los Corintios. De esta lectura se desprende la necesidad de considerar la asthéneia de manera inseparable de la antropología cristiana. En los orígenes del cristianismo la concepción de hombre resultaba extremadamente compleja, oscilando desde la antropología tripartita de San Pablo (I Tes. 5, 23) a la quíntuple presentada por ciertos textos gnósticos (Carta esotérica de Santiago 11, 36-12, 17; 14, 24-36) y a la década de Clemente de Alejandría (Strómata VI, 16, 135, 1-2). El estudio de la aplicación del concepto de asthéneia a los distintos componentes del hombre en la polifacética literatura cristiana primitiva, permite comprender la importancia asignada a cada uno de ellos según las distintas corrientes interpretativas.

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Juan Cruz Varela es el poeta argentino más importante de la primera generación revolucionaria. Su abundante producción tiene como eje principal el tópico de defender la libertad, en contra de toda tiranía. Sin embargo, y de acuerdo con la política del momento, ese reclamo de libertad no beneficia a todos los habitantes de la pampa. Varela elogia tanto las medidas de Bernardino Rivadavia sobre la cuestión india, como al brazo ejecutor, el coronel Federico Rauch, a través de un comentario periodístico y de un poema, textos de 1827 cuya estructura semántica es casi idéntica. Sin embargo, la posterior corrección del poema (1831) permite apreciar que la conciencia poética de Varela se impone sobre la circunstancia política eventual. Este artículo se complementa con la edición crítica de “En el regreso de la expedición contra los indios bárbaros, mandada por el Coronel D. Federico Rauch", incluida en la sección “Documentos" de esta misma revista.

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Se propone un repaso de algunas cuestiones relacionadas con la edición crítica del Poema de Mio Cid, algunas de carácter general, como la discusión sobre la pertinencia de tener en cuenta la labor de los editores anteriores y el actual debate planteado por los partidarios de ediciones ultra-conservadoras, otras de carácter más puntual, referidas a criterios concretos de edición y casos ilustrativos de enmiendas realizadas. Todas estas consideraciones surgen de la propia experiencia de editar el poema

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Se ilustra un Glosario exhaustivo de todas las palabras del Lazarillo registradas en el devenir de los contextos, realizado de manera distinta de las Concordancias y que pronto se va a colgar en la red. El Glosario permite estudiar datos estadísticos (cifras y porcentajes), clases gramaticales, voces más frecuentes, campos semánticos dominantes, estilemas, sintagmas, topografía de términos y voces exclusivas de un Tratado, etc. La conclusión es que el Lazarillo es obra muy rica en léxico (por tener muchas palabras con una sola mención y a la vez un bajo índice de repetición) y que expolios como éstos son imprescindibles, sea para estudios lingüísticos y estilísticos, sea para una edición crítica por brindar reunido el usus scribendi del autor con el que sopesar variantes adiáforas o dudosas

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Se propone un repaso de algunas cuestiones relacionadas con la edición crítica del Poema de Mio Cid, algunas de carácter general, como la discusión sobre la pertinencia de tener en cuenta la labor de los editores anteriores y el actual debate planteado por los partidarios de ediciones ultra-conservadoras, otras de carácter más puntual, referidas a criterios concretos de edición y casos ilustrativos de enmiendas realizadas. Todas estas consideraciones surgen de la propia experiencia de editar el poema

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Se ilustra un Glosario exhaustivo de todas las palabras del Lazarillo registradas en el devenir de los contextos, realizado de manera distinta de las Concordancias y que pronto se va a colgar en la red. El Glosario permite estudiar datos estadísticos (cifras y porcentajes), clases gramaticales, voces más frecuentes, campos semánticos dominantes, estilemas, sintagmas, topografía de términos y voces exclusivas de un Tratado, etc. La conclusión es que el Lazarillo es obra muy rica en léxico (por tener muchas palabras con una sola mención y a la vez un bajo índice de repetición) y que expolios como éstos son imprescindibles, sea para estudios lingüísticos y estilísticos, sea para una edición crítica por brindar reunido el usus scribendi del autor con el que sopesar variantes adiáforas o dudosas

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Se propone un repaso de algunas cuestiones relacionadas con la edición crítica del Poema de Mio Cid, algunas de carácter general, como la discusión sobre la pertinencia de tener en cuenta la labor de los editores anteriores y el actual debate planteado por los partidarios de ediciones ultra-conservadoras, otras de carácter más puntual, referidas a criterios concretos de edición y casos ilustrativos de enmiendas realizadas. Todas estas consideraciones surgen de la propia experiencia de editar el poema