998 resultados para Cosmologia, astrofisica, ammassi di galassie, funzione di correlazione a due punti, BAO, clustering
Resumo:
L'elaborato tratta lo studio dell’evoluzione delle perturbazioni di densità non lineari, confrontando modelli con costante cosmologica (wΛ = −1) e modelli alternativi in cui l’energia oscura sia caratterizzata da un’equazione di stato con w diverso da −1, considerando sia il caso con energia oscura costante, sia quello in cui ha fluttuazioni. La costante cosmologica presenta infatti due problemi teorici attualmente senza soluzione: il problema del suo valore e il problema della coincidenza. Per analizzare l’evoluzione delle perturbazioni di materia ed energia oscura, sia nel caso delle sovradensità che nel caso delle sottodensità primordiali, si implementano numericamente le equazioni differenziali non lineari ricavate a partire dalla teoria del collasso sferico. Per parametrizzare il problema, si fa riferimento ai valori critici del contrasto di densità δc e δv che rappresentano, rispettivamente, la soglia lineare per il collasso gravitazionale e la soglia per l’individuazione di un vuoto cosmico. I valori di δc e δv sono importanti poich´e legati agli osservabili cosmici tramite la funzione di massa e la void size function. Le soglie critiche indicate sono infatticontenute nelle funzioni citate e quindi, cambiando δc e δv al variare del modello cosmologico assunto, è possibile influenzare direttamente il numero e il tipo di oggetti cosmici formati, stimati con la funzione di massa e la void size function. Lo scopo principale è quindi quello di capire quanto l’assunzione di un modello, piuttosto che di un altro, incida sui valori di δc e δv. In questa maniera è quindi possibile stimare, con l’utilizzo della funzione di massa e della void size function, quali sono gli effetti sulla formazione delle strutture cosmiche dovuti alle variazioni delle soglie critiche δc e δv in funzione del modello cosmologico scelto. I risultati sono messi a confronto con il modello cosmologico standard (ΛCDM) per cui si assume Ω0,m = 0.3, Ω0,Λ = 0.7 e wΛ = −1.
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Lo scenario oggi più accreditato per spiegare la formazione delle galassie è quello del merging gerarchico: Sgr è una delle prove più importanti a favore di questo scenario. Sgr è una galassia satellite della MW ed è il caso migliore di processo di distruzione mareale in corso dalla MW. La sua distruzione ha contribuito alla costituzione dell'alone della Via Lattea. Di Sgr si osserva solo ciò che ne rimane del corpo principale, i suoi streams ed il suo nucleo, dominato dall'ammasso metal-poor M54. È la presenza di M54 che rende complessa la selezione di stelle metal-poor di Sgr: il main-body di Sgr è rarefatto e fortemente contaminato da stelle galattiche ed il suo nucleo si sovrappone con M54 rendendo quasi impossibile identificare stelle di Sagittario metal-poor non appartenenti ad M54. Fino ad ora l'unico metodo utilizzato per selezionare i targets per studiare la chimica di Sgr ha fatto uso della loro posizione sul CMD: questo metodo introduce un bias, selezionando solo le stelle metal-rich di Sgr. In questo lavoro sono state studiate 23 stelle metal-poor appartenenti al main-body di Sgr ma fuori dal raggio mareale di M54 selezionate grazie ai moti propri dalla missione GAIA. Gli spettri analizzati sono stati ottenuti con lo spettrografo UVES-FLAMES del VLT (ESO)da cui è stata ottenuta l'abbondanza di 17 elementi sia di stelle di Sgr che in 12 stelle di M54. Questo campione di abbondanze chimiche permette per la prima volta: (a) di comprendere la storia di arricchimento chimico di Sgr in un ampio range di metallicità (mai studiato finora) e (b) di confrontare la chimica di Sgr con quella di M54. Tali abbondanze dimostrano come Sgr abbia avuto un'evoluzione chimica diversa da quella della MW, con un contributo inferiore da parte di stelle massive, probabilmente a causa del suo basso SFR. Inoltre è stato possibile determinare la forte somiglianza chimica tra Sgr e M54, confermando che i due sistemi condividono la stessa storia di arricchimento chimico.
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pp. 285-302
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Dendritic Cells (DCs) derived from human blood monocytes that have been nurtured in GM-CSF and IL-4, followed by maturation in a monocyte-conditioned medium, are the most potent APCs known. These DCs have many features of primary DCs, including the expression of molecules that enhance antigen capture and selective receptors that guide DCs to and from several sites in the body, where they elicit the T cell mediated immune response. For these features, immature DCs (iDC) loaded with tumor antigen and matured (mDC) with a standard cytokine cocktail, are used for therapeutic vaccination in clinical trials of different cancers. However, the efficacy of DCs in the development of immunocompetence is critically influenced by the type (whole lysate, proteins, peptides, mRNA), the amount and the time of exposure of the tumor antigens used for loading in the presentation phase. The aim of the present study was to create instruments to acquire more information about DC antigen uptake and presentation mechanisms to improve the clinical efficacy of DCbased vaccine. In particular, two different tumor antigen were studied: the monoclonal immunoglobulin (IgG or IgA) produced in Myeloma Multiple, and the whole lysate obtained from melanoma tissues. These proteins were conjugated with fluorescent probe (FITC) to evaluate the kinetic of tumor antigen capturing process and its localization into DCs, by cytofluorimetric and fluorescence microscopy analysis, respectively. iDC pulsed with 100μg of IgG-FITC/106 cells were monitored from 2 to 22 hours after loading. By the cytofluorimetric analysis it was observed that the monoclonal antibody was completely captured after 2 hours from pulsing, and was decreased into mDC in 5 hours after maturation stimulus. To monitor the lysate uptake, iDC were pulsed with 80μg of tumor lysate/106 cells, then were monitored in the 2h to 22 hours interval time after loading. Then, to reveal difference between increasing lysate concentration, iDC were loaded with 20-40-80-100-200-400μg of tumor lysate/106 cells and monitored at 2-4-8-13h from pulsing. By the cytofluorimetric analysis, it was observed that, the 20-40-80-100μg uptake, after 8 hours loading was completed reaching a plateau phase. For 200 and 400μg the mean fluorescence of cells increased until 13h from pulsing. The lysate localization into iDC was evaluated with conventional and confocal fluorescence microscopy analysis. In the 2h to 8h time interval from loading an intensive and diffuse fluorescence was observed within the cytoplasmic compartment. Moreover, after 8h, the lysate fluorescence appeared to be organized in a restricted cloudy-shaded area with a typical polarized aspect. In addition, small fluorescent spots clearly appeared with an increment in the number and fluorescence intensity. The nature of these spot-like formations and cloudy area is now being investigated detecting the colocalization of the fluorescence lysate and specific markers for lysosomes, autophagosomes, endoplasmic reticulum and MHCII positive vesicles.
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Premessa: nell’aprile 2006, l’American Heart Association ha approvato la nuova definizione e classificazione delle cardiomiopatie (B. J. Maron e coll. 2006), riconoscendole come un eterogeneo gruppo di malattie associate a disfunzione meccanica e/o elettrica riconducibili ad un ampia variabilità di cause. La distinzione tra le varie forme si basa non più sui processi etiopatogenetici che ne sono alla base, ma sulla modalità di presentazione clinica della malattia. Si distinguono così le forme primarie, a prevalente od esclusivo interessamento cardiaco, dalle forme secondarie in cui la cardiomiopatia rientra nell’ambito di un disordine sistemico dove sono evidenziabili anche disturbi extracardiaci. La nostra attenzione è, nel presente studio, focalizzata sull’analisi delle cardiomiopatie diagnosticate nei primi anni di vita in cui si registra una più alta incidenza di forme secondarie rispetto all’adulto, riservando un particolare riguardo verso quelle forme associate a disordini metabolici. Nello specifico, il nostro obiettivo è quello di sottolineare l’influenza di una diagnosi precoce sull’evoluzione della malattia. Materiali e metodi: abbiamo eseguito uno studio descrittivo in base ad un’analisi retrospettiva di tutti i pazienti giunti all’osservazione del Centro di Cardiologia e Cardiochirurgia Pediatrica e dell’ Età Evolutiva del Policlinico S. Orsola- Malpighi di Bologna, dal 1990 al 2006, con diagnosi di cardiomiopatia riscontrata nei primi due anni di vita. Complessivamente sono stati studiati 40 pazienti di cui 20 con cardiomiopatia ipertrofica, 18 con cardiomiopatia dilatativa e 2 con cardiomiopatia restrittiva con un’età media alla diagnosi di 4,5 mesi (range:0-24 mesi). Per i pazienti descritti a partire dal 2002, 23 in totale, sono state eseguite le seguenti indagini metaboliche: emogasanalisi, dosaggio della carnitina, metabolismo degli acidi grassi liberi (pre e post pasto), aminoacidemia quantitativa (pre e post pasto), acidi organici, mucopolisaccaridi ed oligosaccaridi urinari, acilcarnitine. Gli stessi pazienti sono stati inoltre sottoposti a prelievo bioptico di muscolo scheletrico per l’analisi ultrastrutturale, e per l’analisi dell’attività enzimatica della catena respiratoria mitocondriale. Nella stessa seduta veniva effettuata la biopsia cutanea per l’eventuale valutazione di deficit enzimatici nei fibroblasti. Risultati: l’età media alla diagnosi era di 132 giorni (range: 0-540 giorni) per le cardiomiopatie ipertrofiche, 90 giorni per le dilatative (range: 0-210 giorni) mentre le 2 bambine con cardiomiopatia restrittiva avevano 18 e 24 mesi al momento della diagnosi. Le indagini metaboliche eseguite sui 23 pazienti ci hanno permesso di individuare 5 bambini con malattia metabolica (di cui 2 deficit severi della catena respiratoria mitocondriale, 1 con insufficienza della β- ossidazione per alterazione delle acilcarnitine , 1 con sindrome di Barth e 1 con malattia di Pompe) e un caso di cardiomiopatia dilatativa associata a rachitismo carenziale. Di questi, 4 sono deceduti e uno è stato perduto al follow-up mentre la forma associata a rachitismo ha mostrato un netto miglioramento della funzionalità cardiaca dopo appropriata terapia con vitamina D e calcio. In tutti la malattia era stata diagnosticata entro l’anno di vita. Ciò concorda con gli studi documentati in letteratura che associano le malattie metaboliche ad un esordio precoce e ad una prognosi infausta. Da un punto di vista morfologico, un’evoluzione severa si associava alla forma dilatativa, ed in particolare a quella con aspetto non compaction del ventricolo sinistro, rispetto alla ipertrofica e, tra le ipertrofiche, alle forme con ostruzione all’efflusso ventricolare. Conclusioni: in accordo con quanto riscontrato in letteratura, abbiamo visto come le cardiomiopatie associate a forme secondarie, ed in particolare a disordini metabolici, sono di più frequente riscontro nella prima infanzia rispetto alle età successive e, per questo, l’esordio molto precoce di una cardiomiopatia deve essere sempre sospettata come l’espressione di una malattia sistemica. Abbiamo osservato, inoltre, una stretta correlazione tra l’età del bambino alla diagnosi e l’evoluzione della cardiomiopatia, registrando un peggioramento della prognosi in funzione della precocità della manifestazione clinica. In particolare la diagnosi eseguita in epoca prenatale si associava, nella maggior parte dei casi, ad un’evoluzione severa, comportandosi come una variabile indipendente da altri fattori prognostici. Riteniamo, quindi, opportuno sottoporre tutti i bambini con diagnosi di cardiomiopatia effettuata nei primi anni di vita ad uno screening metabolico completo volto ad individuare quelle forme per le quali sia possibile intraprendere una terapia specifica o, al contrario, escludere disordini che possano controindicare, o meno, l’esecuzione di un trapianto cardiaco qualora se ne presenti la necessità clinica.
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In questa Tesi forniamo una libreria di funzioni aritmetiche che operano in spazio logaritmico rispetto all'input. Partiamo con un'analisi dei campi in cui è necessario o conveniente porre dei limiti, in termini di spazio utilizzato, alla computazione di un determinato software. Vista la larga diffusione del Web, si ha a che fare con collezioni di dati enormi e che magari risiedono su server remoti: c'è quindi la necessità di scrivere programmi che operino su questi dati, pur non potendo questi dati entrare tutti insieme nella memoria di lavoro del programma stesso. In seguito studiamo le nozioni teoriche di Complessità, in particolare quelle legate allo spazio di calcolo, utilizzando un modello alternativo di Macchina di Turing: la Offline Turing Machine. Presentiamo quindi un nuovo “modello” di programmazione: la computazione bidirezionale, che riteniamo essere un buon modo di strutturare la computazione limitata in spazio. Forniamo poi una “guida al programmatore” per un linguaggio di recente introduzione, IntML, che permettere la realizzazione di programmi logspace mantenendo però il tradizionale stile di programmazione funzionale. Infine, per mostrare come IntML permetta concretamente di scrivere programmi limitati in spazio, realizziamo una libreria di funzioni aritmetiche che operano in spazio logaritmico. In particolare, mostriamo funzioni per calcolare divisione intera e resto sui naturali, e funzioni per confrontare, sommare e moltiplicare numeri espressi come parole binarie.