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La ricerca approfondisce gli studi iniziati dalla dott.ssa Baldini in occasione della tesi di laurea e amplia le indagini critiche avviate per la mostra sull’Aemilia Ars, società attiva nel campo delle arti decorative bolognesi e romagnole tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento. Inizialmente si intendeva allargare questo tipo di ricerca a tutto il territorio regionale, ma data la complessità e l’estensione della materia, si è optato per una ridefinizione degli ambiti. La ricerca si è quindi interessata alle aree di Bologna e Faenza individuando le connessioni che, nel periodo indicato, intercorrono tra la cultura artistica locale e quella nazionale ed europea. Per quanto riguarda l’ambiente faentino ci si è concentrati sull’opera degli artisti del Cenacolo baccariniano e delle botteghe artigiane locali, che stabiliscono un apprezzabile contatto tra le due città. L’indagine si orienta soprattutto allo studio degli aspetti decorativi legati agli arredi urbani, agli allestimenti d’interni e alle arti applicate, considerando gli eventuali collegamenti con pittura, grafica e scultura. Nella prima parte del lavoro viene delineato sinteticamente il panorama artistico e culturale di Bologna e di Faenza nel periodo che va dall’ultimo decennio dell’Ottocento al primo decennio del secolo successivo. Le due città, connesse da una rete di collaborazioni tra artisti e laboratori artigianali, vivono un momento di particolare vivacità e grazie all’impegno di valenti personalità e alla congiunzione d’interessanti sinergie, sono in grado confrontarsi con importanti esempi nazionali ed internazionali. Il clima artistico faentino di questi anni risente ancora della significativa eredità neoclassica lasciata da Felice Giani, il quale oltre a fornire ad artisti e artigiani ineludibili esempi nei palazzi locali – tra cui primeggiano gli splendidi apparati decorativi di Palazzo Milzetti – si era fatto promotore insieme al Laderchi della locale Scuola di Disegno. La Scuola, che dal 1879 era divenuta Scuola d’Arti e Mestieri, viene diretta da Antonio Berti per un quarantennio, dal 1866 al 1906. Il Berti, formatosi in area fiorentina e sostanzialmente antiaccademico, si fa portatore a Faenza d’istanze macchiaiole. In questi anni la Scuola si proietta anche verso una concezione delle arti decorative che s’ispira al mondo inglese delle Arts and Crafts. L’artigianato bolognese nella seconda metà dell’Ottocento è ancora saldamente ancorato ad una tradizione che affonda le sue radici nei due secoli precedenti. La cultura figurativa della città è inoltre influenzata dalla Accademia Clementina, i cui insegnamenti non risentono particolarmente del clima internazionale. Nasce proprio in questo periodo Aemilia Ars, uno dei più innovativi movimenti del contesto nazionale nel campo delle arti decorative. I membri del gruppo, raccoltisi intorno alla carismatica figura di Alfonso Rubbiani nei primi anni Ottanta, sono attratti da influenze nordeuropee e sin dall’inizio si mostrano orientati a seguire precetti ruskiniani e preraffaelliti. Molto importante in entrambe le città, per l’evoluzione dello scenario artistico e artigianale – in questi anni più che mai unite in un rapporto di strettissima correlazione – è l’apporto e il sostegno offerto dai salotti, dai circoli, dai caffé e dai cenacoli locali. Queste realtà alimentano il processo di rinnovamento, fornendo valide occasioni d’incontro e confronto tra gli operatori culturali locali e ospiti italiani e stranieri; supportano inoltre le nuove esperienze tese allo svecchiamento del settore produttivo, attraverso quel fenomeno sociale così tipico di questi anni che è la filantropia di marca più o meno utopista e socialista. Solo per citare alcuni esempi si deve ricordare l’attività dei cenacoli che si raccolsero a Faenza intorno ad Angelo Marabini, a Pietro Conti e a Domenico Baccarini, ma anche il sostegno che le famiglie Cavazza e Pizzardi non fecero mancare alle iniziative del gruppo bolognese, o ancora l’attività di cenacoli artistici come l’Accademia della Lira e il Comitato per Bologna Storica ed Artistica. Nella seconda parte del lavoro l’attenzione si è focalizzata sull’attività degli artisti e artigiani legati ad Alfonso Rubbiani, uniti in un sodalizio che fin dalla metà degli anni Ottanta prende il nome di Gilda di San Francesco e successivamente si istituzionalizza in Aemilia Ars. Si è cercato di esaminare l’intero campo di interventi per settori produttivi, delineando le principali modalità e caratteristiche operative di Aemilia Ars, dando risalto ai maggiori operatori di ogni settore. Ha inoltre dato ampio spazio dal punto di vista documentario, iconografico e fenomenologico al raffronto tra il lavoro dei bolognesi e quello che si ritiene essere stato per questi artefici il più rilevante ambito di riferimento, cioè l’attività degli artisti e artigiani inglesi che si formarono ed operarono attorno alla figura di William Morris. In conformità ai dettami anglosassoni si avvia un rinnovamento della tradizione artigianale sensibile dal punto di vista formale al mondo della natura, da cui sono selezionate forme eccentriche, idonee a subire un processo di razionalizzazione sintetizzante. Per quanto riguarda le modalità di realizzazione, si assiste spesso all’adozione di metodiche ibride che risentono di una volontà di recupero di modi produttivi antichi congiunti a materiali nuovi o perlomeno inusuali. Questo slancio innovatore, che si avvale di elementi fitomorfi, si fonde a un gusto storicista rivolto in particolar modo al recupero di modelli tardogotici – assai diffuso in Europa – o del primo Rinascimento; in entrambi i casi si tratta di forme particolarmente adatte alla modalità lineare ed astrattiva a cui tendono i principali interpreti dell’ultimo ventennio dell’Ottocento. I settori produttivi che si sono indagati riguardano prevalentemente la ceramica, l’ebanisteria, i ferri battuti, l’oreficeria, le arti tessili e i cuoi. Gran parte di queste lavorazioni – che si erano attardate nella realizzazione di oggetti dalle forme pesanti, di ispirazione seicentesca, certamente poco adatte all’affermarsi di una produzione industriale – subiscono ora una decisa accelerazione verso forme più leggere e svelte che, adeguandosi alla possibilità di riproduzione seriale degli oggetti, si diffonderanno quasi capillarmente tra l’aristocrazia e la borghesia, faticando tuttavia a raggiungere le classi meno abbienti a causa degli elevati costi di produzione. Nell’ultima parte viene tracciato sinteticamente il quadro delle attività artistiche e artigianali faentine del periodo indicato, con una particolare attenzione all’opera delle personalità afferenti al Cenacolo baccariniano: Giovanni Guerrini (Faenza 1887 – Roma 1972), Francesco Nonni (Faenza 1885 – 1976), Domenico Rambelli (Faenza 1886 – Roma 1972), Orazio Toschi (Lugo 1887 – Firenze 1972) e Giuseppe Ugonia (Faenza 1881 – Brisighella 1944). Viene notato che i giovani artisti, riunitisi intorno alla figura di Domenico Baccarini, interessati all’area anglosassone ed impegnati nel rinnovamento dell’artigianato locale, si avvicinano marginalmente al gusto floreale nella fase iniziale di ispirazione simbolista, per approdare negli anni successivi ad esiti spesso più vicini all’Espressionismo o al gusto déco. Viene tracciato un panorama delle attività articolato per settori produttivi: ceramica, ebanisteria e ferri battuti, all’interno dei quali si è dato risalto a coloro che maggiormente hanno influito sull’innovazione e lo sviluppo dell’artigianato locale. Si è inteso ricercare quelle che furono le principali collaborazioni con gli artisti e le botteghe prese in esame nel capitolo precedente, mettendo in rilievo le affinità stilistiche con il contesto nazionale ed europeo. Oltre ai già citati artisti inglesi è stato messo in evidenza il riferimento all’area scozzese e mitteleuropea. Questa ricerca si propone lo studio delle relazioni che si stabiliscono tra l’estetica neomedievalista e l’aspirazione al rinnovamento delle arti decorative. Tale orientamento, che nasce e si sviluppa tra Francia e Inghilterra alla metà dell’Ottocento intorno agli scritti e alle opere di figure quali Eugène Viollet-le-Duc e John Ruskin, è prontamente recepito in Italia tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta dell’Ottocento dal gruppo di artisti e artigiani riunitosi nel capoluogo emiliano intorno ad Alfonso Rubbiani. In seguito questi artisti prenderanno strade diverse, portando con sé la propria cifra stilistica legata a quel gusto che in Italia si chiamerà “Stile Floreale”, che nel frattempo si diffonde anche attraverso importanti vetrine quali l’Esposizione Internazionale di Arte Decorativa di Torino e le Biennali veneziane nonché sulle pagine di autorevoli riviste come Emporium e Arte Italiana Decorativa e Industriale. Il successo dell’esperienza bolognese unito alla collaborazione che sorse con la città di Faenza, si ritiene abbia offerto significativi stimoli per la formazione di alcuni tra i principali artisti faentini di fine secolo.

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Lo scopo di questa dissertazione è quello di costruire un modello di promozione della salute nel contesto di lavoro in relazione al consumo di sostanze psicoattive fra lavoratori, attraverso il confronto tra la situazione italiana e inglese. L’ipotesi di fondo rimanda all’idea che i luoghi di lavoro possano rappresentare setting d’elezione per i progetti di prevenzione non solo perché alcuni studi dimostrano l’esistenza di fattori di rischio connessi alla mansione rispetto alle condotte relative allo stile di vita, ma anche perché il consumo di alcol e droghe è altamente diffuso tra i lavoratori e questo comporta rischi per la sicurezza e la salute personale nonché quella dei colleghi di lavoro. Si tratta quindi di indagare il rapporto tra contesto lavorativo e utilizzo di sostanze al fine di suggerire  alla luce degli studi internazionali in materia e delle riflessioni condotte dai soggetti coinvolti nella ricerca che si andrà a presentare  linee guida e indicazioni operative per la realizzazione di interventi di promozione alla salute nei contesti professionali. A tal fine, saranno analizzati gli esiti di 13 focus group che hanno coinvolto esperti italiani e 6 interviste somministrate a esperti inglesi volti a definire la situazione attuale in Italia e Gran Bretagna in materia di prevenzione del consumo di alcol e droghe nei luoghi di lavoro. In particolare, l’analisi verterà sulle seguenti aree: - Percezione circa la diffusione dei consumi nei luoghi di lavoro - Presentazione delle politiche adottate, in logica comparativa, tra i due paesi. - Analisi critica degli interventi e problematiche aperte. L’analisi del materiale empirico permette di delineare due modelli costruiti sulla base dei focus group e delle interviste: - in Italia si può affermare che prevalga il cd. modello della sicurezza: di recente trasformazione, questo sistema enfatizza la dimensione del controllo, tanto che si parla di sorveglianza sanitaria. É orientato alla sicurezza concepita quale rimozione dei fattori di rischio. Il consumo di sostanze (anche sporadico) è inteso quale espressione di una patologia che richiede l’intervento sanitario secondo modalità previste dal quadro normativo: una procedura che annulla la discrezionalità sia del datore di lavoro sia del medico competente. Si connota inoltre per contraddizioni interne e trasversali rispetto alle categorie lavorative (i controlli non si applicano alle professioni associate a maggiore prestigio sociale sebbene palesemente associate a rischio, come per esempio i medici) e alle sostanze (atteggiamento repressivo soprattutto verso le droghe illegali); - in Gran Bretagna, invece, il modello si configura come responsabilità bilaterale: secondo questo modello, se è vero che il datore di lavoro può decidere in merito all’attuazione di misure preventive in materia di alcol e droghe nei luoghi di lavoro, egli è ritenuto responsabile della mancata vigilanza. D’altro canto, il lavoratore che non rispetta quanto previsto nella politica scritta può essere soggetto a licenziamento per motivi disciplinari. Questo modello, particolarmente attento al consumo di tutte le sostanze psicoattive (legali e illegali), considera il consumo quale esito di una libera scelta individuale attraverso la quale il lavoratore decide di consumare alcol e droghe così come decide di dedicarsi ad altre condotte a rischio. Si propone di ri-orientare le strategie analizzate nei due paesi europei presi in esame attraverso la realizzazione di un modello della promozione della salute fondato su alcuni punti chiave: – coinvolgimento di tutti i lavoratori (e non solo coloro che svolgono mansioni a rischio per la sicurezza) al fine di promuovere benessere secondo un approccio olistico di salute, orientato ad intervenire non soltanto in materia di consumo di sostanze psicoattive (legali e illegali), ma più in generale sulle condotte a rischio; – compartecipazione nelle diverse fasi (programmazione, realizzazione e valutazione del progetto) del lavoratore, datore di lavoro e medico competente secondo una logica di flessibilità, responsabilizzazione condivisa fra i diversi attori, personalizzazione e co-gestione dell’intervento; – azione volta a promuovere i fattori di protezione agendo simultaneamente sul contrasto dei fattori di rischio (stress, alienazione, scarso riconoscimento del ruolo svolto), attraverso interventi che integrano diverse strategie operative alla luce delle evidenze scientifiche (Evidence-Based Prevention); – ricorso a strumenti di controllo (drug testing) subordinato all’esigenza di tutelare l’incolumità fisica del lavoratore e dei colleghi, da attuarsi sempre e comunque attraverso prassi che non violino la privacy e attraverso strumenti in grado di verificare l’effettivo stato di alterazione psico-fisica sul luogo di lavoro; – demedicalizzazione delle situazioni di consumo che non richiedono un intervento prettamente sanitario, ma che al contrario potrebbero essere affrontate attraverso azioni incentrate sul care anziché la cure; – messa a disposizione di servizi ad hoc con funzione di supporto, counselling, orientamento per i lavoratori, non stigmatizzanti e con operatori di formazione non solamente sanitaria, sull’esempio degli EAPs (Employee Assistence Programs) statunitensi. Si ritiene che questo modello possa trasformare i contesti di lavoro da agenzie di controllo orientate alla sicurezza a luoghi di intervento orientati al benessere attraverso un’azione sinergica e congiunta volta a promuovere i fattori di protezione a discapito di quelli di rischio in modo tale da intervenire non soltanto sul consumo di sostanze psicotrope, ma più in generale sullo stile di vita che influenza la salute complessiva.

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Questo elaborato si pone l'obiettivo di analizzare e valutare la sostenibilità dell'intera filiera dell'olio di palma, che viene importato da paesi del Sud Est asiatico per essere utilizzato in Europa per scopi sia energetici che alimentari. Nell'introduzione è inquadrata la problematica dei biocombustibili e degli strumenti volontari che possono essere utilizzati per garantire ed incentivare la sostenibilità in generale e dei biocombustibili; è presente inoltre un approfondimento sull'olio di palma, sulle sue caratteristiche e sulla crescita che ha subito negli ultimi anni in termini di produzione e compra/vendita. Per questa valutazione sono stati impiegati tre importanti strumenti di analisi e certificazione della sostenibilità, che sono stati applicati ad uno specifico caso di studio: l'azienda Unigrà SpA. La certificazione RSPO (Roundtable on Sustainable Palm Oil) è uno strumento volontario per la garanzia della sostenibilità della filiera dell'olio di palma in termini economici (vitalità nel mercato), ambientali (risparmio delle emissioni di gas ad effetto serra o GHG, conservazione delle risorse naturali e della biodiversità) e sociali (preservazione delle comunità locali e miglioramento nella gestione delle aree di interesse). La Global Reporting Initiative è un'organizzazione che prevede la redazione volontaria di un documento chiamato bilancio di sostenibilità secondo delle linee guida standardizzate che permettono alle organizzazioni di misurare e confrontare le loro performance economiche, sociali e ambientali nel tempo. La Direttiva Comunitaria 2009/28/CE (Renewable Energy Directive o RED) è invece uno strumento cogente nel caso in cui le organizzazioni intendano utilizzare risorse rinnovabili per ottenere incentivi finanziari. A seguito di un calcolo delle emissioni di GHG, le organizzazioni devono dimostrare determinate prestazioni ambientali attraverso il confronto con delle soglie presenti nel testo della Direttiva. Parallelamente alla valutazione delle emissioni è richiesto che le organizzazioni aderiscano a dei criteri obbligatori di sostenibilità economica, ambientale e sociale, verificabili grazie a degli schemi di certificazione che rientrano all'interno di politiche di sostenibilità globale. Questi strumenti sono stati applicati ad Unigrà, un'azienda che opera nel settore della trasformazione e della vendita di oli e grassi alimentari, margarine e semilavorati destinati alla produzione alimentare e che ha recentemente costruito una centrale da 58 MWe per la produzione di energia elettrica, alimentata in parte da olio di palma proveniente dal sud-est asiatico ed in parte dallo scarto della lavorazione nello stabilimento. L'adesione alla RSPO garantisce all'azienda la conformità alle richieste dell'organizzazione per la commercializzazione e la vendita di materie prime certificate RSPO, migliorando l'immagine di Unigrà all'interno del suo mercato di riferimento. Questo tipo di certificazione risulta importante per le organizzazioni perché può essere considerato un mezzo per ridurre l'impatto negativo nei confronti dell'ambiente, limitando deforestazione e cambiamenti di uso del suolo, oltre che consentire una valutazione globale, anche in termini di sostenibilità sociale. Unigrà ha visto nella redazione del bilancio di sostenibilità uno strumento fondamentale per la valutazione della sostenibilità a tutto tondo della propria organizzazione, perché viene data uguale rilevanza alle tre sfere della sostenibilità; la validazione esterna di questo documento ha solo lo scopo di controllare che le informazioni inserite siano veritiere e corrette secondo le linee guida del GRI, tuttavia non da giudizi sulle prestazioni assolute di una organizzazione. Il giudizio che viene dato sulle prestazioni delle organizzazioni e di tipo qualitativo ma non quantitativo. Ogni organizzazione può decidere di inserire o meno parte degli indicatori per una descrizione più accurata e puntuale. Unigrà acquisterà olio di palma certificato sostenibile secondo i principi previsti dalla Direttiva RED per l'alimentazione della centrale energetica, inoltre il 10 gennaio 2012 ha ottenuto la certificazione della sostenibilità della filiera secondo lo schema Bureau Veritas approvato dalla Comunità Europea. Il calcolo delle emissioni di tutte le fasi della filiera dell'olio di palma specifico per Unigrà è stato svolto tramite Biograce, uno strumento di calcolo finanziato dalla Comunità Europea che permette alle organizzazioni di misurare le emissioni della propria filiera in maniera semplificata ed adattabile alle specifiche situazioni. Dei fattori critici possono però influenzare il calcolo delle emissioni della filiera dell'olio di palma, tra questi i più rilevanti sono: cambiamento di uso del suolo diretto ed indiretto, perché possono provocare perdita di biodiversità, aumento delle emissioni di gas serra derivanti dai cambiamenti di riserve di carbonio nel suolo e nella biomassa vegetale, combustione delle foreste, malattie respiratorie, cambiamenti nelle caratteristiche dei terreni e conflitti sociali; presenza di un sistema di cattura di metano all'oleificio, perché gli effluenti della lavorazione non trattati potrebbero provocare problemi ambientali; cambiamento del rendimento del terreno, che può influenzare negativamente la resa delle piantagioni di palma da olio; sicurezza del cibo ed aspetti socio-economici, perché, sebbene non inseriti nel calcolo delle emissioni, potrebbero provocare conseguenze indesiderate per le popolazioni locali. Per una valutazione complessiva della filiera presa in esame, è necessario ottenere delle informazioni puntuali provenienti da paesi terzi dove però non sono di sempre facile reperibilità. Alla fine della valutazione delle emissioni, quello che emerge dal foglio di Biograce e un numero che, sebbene possa essere confrontato con delle soglie specifiche che descrivono dei criteri obbligatori di sostenibilità, non fornisce informazioni aggiuntive sulle caratteristiche della filiera considerata. È per questo motivo che accanto a valutazioni di questo tipo è necessario aderire a specifici criteri di sostenibilità aggiuntivi. Il calcolo delle emissioni dell'azienda Unigrà risulta vantaggioso in quasi tutti i casi, anche considerando i fattori critici; la certificazione della sostenibilità della filiera garantisce l'elevato livello di performance anche nei casi provvisti di maggiore incertezza. L'analisi del caso Unigrà ha reso evidente come l'azienda abbia intrapreso la strada della sostenibilità globale, che si traduce in azioni concrete. Gli strumenti di certificazione risultano quindi dei mezzi che consentono di garantire la sostenibilità della filiera dell'olio di palma e diventano parte integrante di programmi per la strategia europea di promozione della sostenibilità globale. L'utilizzo e l'implementazione di sistemi di certificazione della sostenibilità risulta per questo da favorire.

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Negli ultimi cinquant’anni, in particolare dal 1956 al 2010, grazie a miglioramenti di tipo economico e sociale, il territorio urbanizzato italiano è aumentato di circa 600 mila ettari, cioè una superficie artificializzata pari quasi a quella dell’intera regione Friuli Venezia Giulia, con un aumento del 500% rispetto agli anni precedenti. Quando si parla di superfici “artificializzate” ci si riferisce a tutte quelle parti di suolo che perdono la propria caratteristica pedologica per essere asportate e divenire urbanizzate, cioè sostituite da edifici, spazi di pertinenza, parcheggi, aree di stoccaggio, strade e spazi accessori. La costruzione di intere periferie e nuclei industriali dagli anni ’50 in poi, è stata facilitata da un basso costo di mano d’opera e da una supposta presenza massiccia di risorse disponibili. Nonché tramite adeguati piani urbanistico-territoriali che hanno accompagnato ed assecondato questo orientamento. All’oggi, è evidente come questa crescita tumultuosa del tessuto urbanizzato non sia più sostenibile. Il consumo del suolo provoca infatti vari problemi, in particolare di natura ecologica e ambientale, ma anche sanitaria, economica e urbana. Nel dettaglio, secondo il dossier Terra Rubata1, lanciato all’inizio del 2012 dal FAI e WWF gli aspetti che vengono coinvolti direttamente ed indirettamente dalla conversione urbana dei suoli sono complessivamente i seguenti. Appartenenti alla sfera economico-energetica ritroviamo diseconomie dei trasporti, sperperi energetici, riduzione delle produzioni agricole. Per quanto riguarda la sfera idro-geo-pedologica vi è la possibilità di destabilizzazione geologica, irreversibilità d’uso dei suoli, alterazione degli assetti idraulici ipo ed epigei. Anche la sfera fisico-climatica non è immune a questi cambiamenti, ma può invece essere soggetta ad accentuazione della riflessione termica e dei cambiamenti 1 Dossier TERRA RUBATA Viaggio nell’Italia che scompare. Le analisi e le proposte di FAI e WWF sul consumo del suolo, 31 gennaio 2012 2 climatici, ad una riduzione della capacità di assorbimento delle emissioni, ad effetti sul sequestro del carbonio e sulla propagazione spaziale dei disturbi fisico-chimici. In ultimo, ma non per importanza, riguardo la sfera eco-biologica, ritroviamo problemi inerenti l’erosione fisica e la distruzione degli habitat, la frammentazione eco sistemica, la distrofia dei processi eco-biologici, la penalizzazione dei servizi ecosistemici dell’ambiente e la riduzione della «resilienza» ecologica complessiva. Nonostante ci sia ancora la speranza che questo orientamento possa “invertire la rotta”, non è però possibile attendere ancora. È necessario agire nell’immediato, anche adottando adeguati provvedimenti normativi e strumenti pianificatori ed operativi nell’azione delle pubbliche amministrazioni analogamente a quanto, come evidenziato nel dossier sopracitato2, hanno fatto altri paesi europei. In un recente documento della Commissione Europea3 viene posto l’anno 2050 come termine entro il quale “non edificare più su nuove aree”. Per fare ciò la Commissione indica che nel periodo 2000-2020 occorre che l’occupazione di nuove terre sia ridotta in media di 800 km2 totali. È indispensabile sottolineare però, che nonostante la stabilità demografica della situazione attuale, se non la sua leggera decrescenza, e la società attuale ha necessità di spazi di azione maggiori che non nel passato e possiede una capacità di spostamento a velocità infinitamente superiori. Ciò comporta una variazione enorme nel rapporto tra le superfici edificate (quelle cioè effettivamente coperte dal sedime degli edifici) e le superfici urbanizzate (le pertinenze pubbliche e private e la viabilità). Nell’insediamento storico, dove uno degli obiettivi progettuali era quello di minimizzare i tempi di accesso tra abitazioni e servizi urbani, questo rapporto varia tra il 70 e il 90%, mentre nell’insediamento urbano moderno è quasi sempre inferiore al 40-50% fino a valori anche inferiori al 20% in taluni agglomerati commerciali, 2 Dossier TERRA RUBATA Viaggio nell’Italia che scompare. Le analisi e le proposte di FAI e WWF sul consumo del suolo, 31 gennaio 2012 3 Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse, settembre 2011 3 industriali o direzionali nei quali il movimento dei mezzi o le sistemazioni paesaggistiche di rappresentanza richiedono maggiori disponibilità di spazi. Come conciliare quindi la necessità di nuovi spazi e la necessità di non edificare più su nuove aree? Dai dati Istat il 3% del territorio Italiano risulta occupato da aree dismesse. Aree che presentano attualmente problemi di inquinamento e mancata manutenzione ma che potrebbero essere la giusta risorsa per rispondere alle necessità sopracitate. Enormi spazi, costruiti nella precedente epoca industriale, che possono essere restituiti al pubblico sotto forma di luoghi destinati alla fruizione collettiva come musei, biblioteche, centri per i giovani, i bambini, gli artisti. Allo stesso tempo questi spazi possono essere, completamente o in parte, rinaturalizzati e trasformati in parchi e giardini. La tematica, cosiddetta dell’archeologia industriale non si presenta come una novità, ma come una disciplina, definita per la sua prima volta in Inghilterra nel 1955, che vanta di esempi recuperati in tutta Europa. Dagli anni ’60 l’opinione pubblica cominciò ad opporsi alla demolizione di alcune strutture industriali, come ad esempio la Stazione Euston a Londra, riconoscendone l’importanza storica, culturale ed artistica. Questo paesaggio industriale, diviene oggi testimonianza storica di un’epoca e quindi per questo necessita rispetto e attenzione. Ciò non deve essere estremizzato fino alla esaltazione di questi immensi edifici come rovine intoccabili, ma deve invitare l’opinione pubblica e i progettisti a prendersene cura, a reintegrarli nel tessuto urbano donando loro nuove funzioni compatibili con la struttura esistente che andrà quindi lasciata il più possibile inalterata per mantenere una leggibilità storica del manufatto. L’Europa presenta vari casi di recupero industriale, alcuni dei quali presentano veri e propri esempi da seguire e che meritano quindi una citazione ed un approfondimento all’interno di questo saggio. Tra questi l’ex stabilimento FIAT del Lingotto a Torino, 4 la celebre Tate Modern di Londra, il Leipzig Baumwollspinnerei, il Matadero Madrid e la Cable Factory a Elsinky. Questi edifici abbandonati risultano all’oggi sparsi in maniera disomogenea anche in tutta Italia, con una maggiore concentrazione lungo le linee ferroviarie e nei pressi delle città storicamente industrializzate. Essi, prima di un eventuale recupero, risultano come rifiuti abbandonati. Ma come sopradetto questi rifiuti urbani possono essere recuperati, reinventati, riabilitati, ridotati di dignità, funzione, utilità. Se questi rifiuti urbani possono essere una nuova risorsa per le città italiane come per quelle Europee, perché non provare a trasformare in risorse anche i rifiuti di altra natura? Il problema dei rifiuti, più comunemente chiamati come tali, ha toccato direttamente l’opinione pubblica italiana nel 2008 con il caso drammatico della regione Campania e in particolare dalla condizione inumana della città di Napoli. Il rifiuto è un problema dovuto alla società cosiddetta dell’usa e getta, a quella popolazione che contrariamente al mondo rurale non recupera gli scarti impiegandoli in successive lavorazioni e produzioni, ma li getta, spesso in maniera indifferenziata senza preoccuparsi di ciò che ne sarà. Nel passato, fino agli anni ’60, il problema dello smaltimento dei rifiuti era molto limitato in quanto in genere gli scatti del processo industriale, lavorativo, costruttivo venivano reimpiegati come base per una nuova produzione; il materiale da riciclare veniva di solito recuperato. Il problema degli scarti è quindi un problema moderno e proprio della città, la quale deve quindi farsene carico e trasformarlo in un valore, in una risorsa. Se nell’equilibrio ecologico la stabilità è rappresentata dalla presenza di cicli chiusi è necessario trovare una chiusura anche al cerchio del consumo; esso non può terminare in un oggetto, il rifiuto, ma deve riuscire a reinterpretarlo, a trovare per 5 esso una nuova funzione che vada ad attivare un secondo ciclo di vita, che possa a sua volta generare un terzo ciclo, poi un quarto e cosi via. Una delle vie possibili, è quella di riciclare il più possibile i nostri scarti e quindi di disassemblarli per riportare alla luce le materie prime che stavano alla base della loro formazione. Uno degli ultimi nati, su cui è possibile agire percorrendo questa strada è il rifiuto RAEE4. Esso ha subito un incremento del 30,7% negli ultimi 5 anni arrivando ad un consumo di circa 19 kilogrammi di rifiuti all’anno per abitante di cui solo 4 kilogrammi sono attualmente smaltiti nelle aziende specializzate sul territorio. Dismeco s.r.l. è una delle aziende sopracitate specializzata nello smaltimento e trattamento di materiale elettrico ed elettronico, nata a Bologna nel 1977 come attività a gestione familiare e che si è poi sviluppata divenendo la prima in Italia nella gestione specifica dei RAEE, con un importante incremento dei rifiuti dismessi in seguito all'apertura del nuovo stabilimento ubicato nel Comune di Marzabotto, in particolare nel lotto ospitante l’ex-cartiera Rizzoli-Burgo. L’azienda si trova quindi ad operare in un contesto storicamente industriale, in particolare negli edifici in cui veniva stoccato il caolino e in cui veniva riciclata la carta stampata. Se la vocazione al riciclo è storica dell’area, grazie all’iniziativa dell’imprenditore Claudio Tedeschi, sembra ora possibile la creazione di un vero e proprio polo destinato alla cultura del riciclo, all’insegnamento e all’arte riguardanti tale tematica. L’intenzione che verrà ampliamente sviluppata in questo saggio e negli elaborati grafici ad esso allegati è quella di recuperare alcuni degli edifici della vecchia cartiera e donane loro nuove funzioni pubbliche al fine di rigenerare l’area. 4 RAEE: Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche, in lingua inglese: Waste of electric and electronic equipment (WEEE) o e-waste). Essi sono rifiuti di tipo particolare che consistono in qualunque apparecchiatura elettrica o elettronica di cui il possessore intenda disfarsi in quanto guasta, inutilizzata, o obsoleta e dunque destinata all'abbandono. 6 Il progetto, nello specifico, si occuperà di riqualificare energeticamente il vecchio laboratorio in cui veniva riciclata la carta stampata e di dotarlo di aree per esposizioni temporanee e permanenti, sale conferenze, aule didattiche, zone di ristoro e di ricerca. Per quanto riguarda invece l’area del lotto attualmente artificializzata, ma non edificata, vi è l’intenzione di riportarla a zona verde attraverso la creazione di un “Parco del Riciclo”. Questa zona verde restituirà al lotto un collegamento visivo con le immediate colline retrostanti, accoglierà i visitatori e li ospiterà nelle stagioni più calde per momenti di relax ma al tempo stesso di apprendimento. Questo perché come già detto i rifiuti sono risorse e quando non possono essere reimpiegati come tali vi è l’arte che se ne occupa. Artisti del calibro di Picasso, Marinetti, Rotella, Nevelson e molti altri, hanno sempre operato con i rifiuti e da essi sono scaturite opere d’arte. A scopo di denuncia di una società consumistica, semplicemente come oggetti del quotidiano, o come metafora della vita dell’uomo, questi oggetti, questi scarti sono divenuti materia sotto le mani esperte dell’artista. Se nel 1998 Lea Vergine dedicò proprio alla Trash Art una mostra a Rovereto5 significa che il rifiuto non è scarto invisibile, ma oggetto facente parte della nostra epoca, di una generazione di consumatori frugali, veloci, e indifferenti. La generazione dell’”usa e getta” che diviene invece ora, per necessita o per scelta generazione del recupero, del riciclo, della rigenerazione. L’ipotesi di progetto nella ex-cartiera Burgo a Lama di Reno è proprio questo, un esempio di come oggi il progettista possa guardare con occhi diversi queste strutture dismesse, questi rifiuti, gli scarti della passata società e non nasconderli, ma reinventarli, riutilizzarli, rigenerarli per soddisfare le necessità della nuova generazione. Della generazione riciclo.

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L'elaborato intende proporre un'analisi sociolinguistica della comunità portoricana di New York. Il lavoro di ricerca, condotto proprio nella città di New York, ha lo scopo di fornire una prospettiva, il più ampia possibile, sull'uso dell'inglese, dello spagnolo e delle pratiche linguistiche legate allo Spanglish da parte di questa specifica comunità ispanofona. Lo studio si è concentrato prevalentemente sull'analisi del comportamento linguistico di due generazioni di portoricani, i cui usi linguistici variano in relazione a specifici parametri riscontrati all'interno dell'organizzazione sociale.

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Questo lavoro si basa su una delle varietà del tedesco, lingua pluricentrica, e , in particolare, sul tedesco austriaco. L'analisi verrà fatta su un testo di teatro austriaco dell'Ottocento. Si traccerà, quindi, un breve profilo dell’autore, Ferdinand Raimund, e del periodo storico-culturale in cui questo pezzo teatrale si inserisce, l’Alt-Wiener Volkstheater. Si rivolgerà poi l’attenzione sul testo in particolare scelto,"Der Alpenkönig und der Menschenfeind", fornendo una breve descrizione della trama e degli aspetti simbolici principali. Successivamente si passerà all’analisi vera e propria dei tratti del tedesco austriaco più ricorrenti e significativi del testo, cercando di attingere da più campi (fonologia, morfologia, sintassi, lessico e pragmatica). Infine, prima di trarre le conclusioni, si dedicherà una parte del lavoro anche al linguaggio aulico e del XIX secolo e a quello tipico letterario.

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Il presente lavoro di tesi è dedicato alla localizzazione verso il tedesco dei siti web di tre aziende metalmeccaniche della provincia di Forlì-Cesena. Il lavoro prevede, inoltre, la revisione in tedesco del sito internet della rete d'impresa di cui fanno parte le suddette aziende e la traduzione in tedesco del relativo company profile. Il primo capitolo del presente lavoro offre un'introduzione teorica agli argomenti che verranno trattati nello specifico nei capitoli seguenti; in particolare fornisce un'introduzione alla localizzazione, di cui verranno analizzati i concetti ad essa correlati, la storia ed infine l'applicazione ai siti web commerciali, con una particolare attenzione alla cultura e al simbolismo nei siti web. Nella prima parte del secondo capitolo si fornisce una panoramica dell'industria del settore metalmeccanico sia in Italia che in Germania, in termini di imprese ed addetti e di livelli di importazioni ed esportazioni in entrambi i Paesi. Infine, la seconda parte del capitolo prevede l'analisi dei siti web paralleli di alcune aziende tedesche del settore, riguardante le particolarità strutturali, linguistiche e grafiche dei siti in questione. Il terzo capitolo è dedicato al tema della qualità della traduzione e della revisione: la prima parte del capitolo riguarda l'analisi degli standard di qualità professionali, in riferimento alle norme riconosciute a livello internazionale sul tema; la seconda parte del capitolo verte sui criteri di qualità della traduzione; la parte centrale del capitolo riguarda il processo di revisione e, infine, l'ultima parte del capitolo sarà costituita dall'analisi e dalla revisione del sito web www.coneng.it. Nel corso del quarto capitolo viene proposta la localizzazione in tedesco dei siti web di tre aziende metalmeccaniche della provincia di Forlì-Cesena, ovvero l'azienda Meccanica 2000 (www.meccanica2000.com), l'azienda Mancini MecService (www.mancinimecservice.it) e l'azienda MPC - Meccanica di Precisione Cesenate (www.mpcmeccanica.it). L'ultimo capitolo del lavoro è, infine, dedicato all'analisi e alla traduzione in tedesco del company profile della rete di imprese di cui fanno parte le tre aziende per cui è stata realizzata la localizzazione dei siti web in tedesco.

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L’obiettivo di questo elaborato è fornire una panoramica sul tema vasto e complesso dell’istruzione bilingue, con particolari riferimenti alla combinazione linguistica inglese/spagnolo nello stato del Massachusetts. La mia analisi è ristretta alle politiche adottate a riguardo dal Massachusetts, perché nonostante il bilinguismo sia una realtà molto diffusa negli Stati Uniti d’America, ogni stato fa storia a sé e la gestisce in maniera differente. In questo elaborato, dopo un breve excursus storico sugli eventi principali che hanno spianato la strada all’istruzione bilingue, ho passato in rassegna varie tipologie di programmi che sono stati messe a punto nelle scuole del Bay State, concentrandomi infine sul ruolo che i genitori hanno nell’istruzione dei propri figli. Un ultimo paragrafo finale è dedicato alla possibile applicazione di queste direttive in territorio italiano.

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Questo elaborato si specializza nell'ambito della traduzione multimediale, un campo che a mio parere, risalta lo sviluppo tecnologico e sociale del nostro tempo. Nello specifico, ho focalizzato la mia attenzione sul sottotitolaggio di un frammento della seconda puntata di una serie televisiva spagnola dal titolo "El tiempo entre costuras". Tale serie è tratta da un romanzo spagnolo di successo dallo stesso titolo, dell'autrice María Dueñas. Il mio elaborato perciò, tratterà delineare un confronto di tipo linguistico e traduttivo fra la versione letteraria del romanzo e il sottotitolaggio correlato della serie. L'elaborato si suddivide in tre capitoli che trattano in maniera sistematica il processo lavorativo che ho deciso di seguire. Il primo capitolo riguarda la descrizione della serie televisiva trattata e allo stesso tempo una presentazione del romanzo cui si ispira. In altre parole, una panoramica del contesto storico, culturale, sociale e linguistico di queste due opere e dei loro risvolti traduttivi. Il secondo capitolo affronta in maniera generale il tema della traduzione audiovisiva, la sua evoluzione nel tempo, l'importanza di questa nella società odierna, in modo particolare del sottotitolaggio in Italia. Inoltre, si vuole anche trattare il tema della traduzione intersemiotica, cioè l’azione di trasportare un romanzo a livello multimediale e il relativo regolamento del processo traduttivo.Infine, il terzo capitolo è dedicato al confronto delle due realtà di traduzione, quella letterale e quella multimediale e soprattutto alle differenze che esistono tra i due processi linguistici e alle particolarità culturali della lingua spagnola con rispetto a quella italiana.

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A translation of some chapters of the book "La kryptonite nella borsa” by Ivan Cotroneo and subtitles for the equivalents scenes in the movie “La kryptonite nella borsa”. A translation of cultural references from Italian into English without adapting them to the target culture.

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In der vorliegenden Masterarbeit geht es um das Thema Selbstreparaturen beim Simultandolmetschen vom Deutschen ins Italienische und konzentriert man vor allem auf das progressive Verhalten der Studierenden im Laufe des Studiums. Um das oben genannte Phänomen zu analysieren, wurden zehn Studierenden im Masterstudiengang Konferenzdolmetschen an der Fakultät SSLMIT in Forlì (heute DIT) der Universität von Bologna ausgewählt. Ihre Leistungen bei den Prüfungen vom Simultandolmetschen vom ersten Jahr, zweites Jahr und Endprüfung, zusammen mit dementsprechenden Originaltexten, wurden gesammelt, transkribiert und analysiert. Der Zweck der vorliegenden Masterarbeit besteht darin, die Ansätze der Studierenden zum Phänomen der Selbstreparaturen zu beobachten, um dann feststellen zu können, ob eine Verbesserung zu verzeichnen ist oder nicht. Die Verbesserung lässt sich durch die folgende drei Parameter messen: Vollendung von abgeschnittenen Wörtern und Korrektur von falsch ausgesprochenen Wörtern; effektive Reparatur von Error-Repair und verbesserte Formulierung von Appropriatness-Repair; Verminderung von carry-over effect. Die Ergebnisse zeigen, dass es im Laufe des Studiums für keine Studierende eine reine Verbesserung für alle drei Parameter zu verzeichnen ist: manchmal gibt es Verbesserungen, manchmal ist die Tendenz unregelmäßig, manchmal gibt es sogar Verschlechterungen. Der Grund dieser Ungleichartigkeit liegt darin, dass das Ergebnis von zu vielen Bedingungen abhängig ist: mehreren Themen und Präsentationsarten, unterschiedlichen Redegeschwindigkeiten und noch die Vorbereitung der Studierenden in jenem präzisen Moment und die Vollständigkeit des Briefings, das von den Professoren den Studierenden vor der Prüfungen gegeben wird. Auch der Versuch, die Leistungen von verschiedenen Studierenden in Bezug auf den gleichen Text zu vergleichen, war nicht in der Lage, einen eindeutigen Ansatz zu definieren. Das bedeutet, dass jeder Studierende ein eigenes Profil erarbeitet, das im Laufe des Studiums noch nicht so weit entwickelt ist, um ähnliche Leistungen beim Dolmetschen jeder Textart erreichen zu können.

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Настоящая защитная работа касается вероятностное прогнозирование в синхронном переводе с немецкого на итальянский. В первой главе речь идет об особенностиях синхронного перевода. В частности говорится о стратегиях, которые помогают переводчику правильно переводить синхронно, то есть когда он должен одновременно слушать речь на одном языке и передавать смысль на другом языке. Во второй главе представляются разные исследования в литературе, выделяя особое внимане на исследованиях, посвещенных синхронному переводу с немецкого. В третьей главе предаставляется провоженное исследование, которое фокузирует на то, как студенты в течение тренировки относятся к антиципации в синхронном переводе с немецкого на итальянский. В последной главе обсуждаются результаты провеженного исследования, которые показывают, что студенты антиципируют правильно но совершенно редко. Это значит, что они используют такую стратегию только тогда, когда они чувствуют себя уверенными, что их ожидания – правильны. В итоге делаются выводы и дается несколько советов, чтобы улучшить подход к этой стратеге во время тренировки.