66 resultados para RAEE trashware smaltimento nromativa


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Este reportaje aborda el desarrollo de la política colombiana para la gestión de residuos de teléfonos celulares, tabletas y computadores, desde la perspectiva de los actores implicados en el proceso y el impacto social de la problemática.

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Fundação de Amparo à Pesquisa do Estado de São Paulo (FAPESP)

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Coordenação de Aperfeiçoamento de Pessoal de Nível Superior (CAPES)

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OBJETIVO:Relatar o caso de um lactente com citomegalovírus congênito e disacusia neurossensorial progressiva, analisado por três métodos de avaliação auditiva.DESCRIÇÃO DO CASO:Na primeira avaliação auditiva, aos quatro meses de idade, o lactente apresentou ausência de Emissões Otoacústicas (EOA) e Potencial Evocado Auditivo de Tronco Encefálico (PEATE) dentro dos padrões de normalidade para a faixa etária, com limiar eletrofisiológico em 30dBnHL, bilateralmente. Com seis meses, apresentou ausência de PEATE bilateral em 100dBnHL. A avaliação comportamental da audição mostrou-se prejudicada devido ao atraso no desenvolvimento neuropsicomotor. Aos oito meses, foi submetido ao exame de Resposta Auditiva de Estado Estável (RAEE) e os limiares encontrados foram 50, 70, ausente em 110 e em 100dB, respectivamente para 500, 1.000, 2.000 e 4.000Hz, à direita, e 70, 90, 90 e ausente em 100dB, respectivamente para 500, 1.000, 2.000 e 4.000Hz, à esquerda.COMENTÁRIOS:Na primeira avaliação, o lactente apresentou alteração auditiva no exame de EOA e PEATE normal, que passou a ser alterado aos seis meses de idade. A intensidade da perda auditiva só pôde ser identificada pelo exame de RAEE, permitindo estabelecer a melhor conduta na adaptação de aparelho de amplificação sonora individual. Ressalta-se a importância do acompanhamento audiológico para crianças com CMV congênito.

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Le acque di vegetazione (AV) costituiscono un serio problema di carattere ambientale, sia a causa della loro elevata produzione sia per l’ elevato contenuto di COD che oscilla fra 50 e 150 g/l. Le AV sono considerate un refluo a tasso inquinante fra i più elevati nell’ambito dell’industria agroalimentare e la loro tossicità è determinata in massima parte dalla componente fenolica. Il presente lavoro si propone di studiare e ottimizzare un processo non solo di smaltimento di tale refluo ma anche di una sua valorizzazione, utlizzandolo come materia prima per la produzione di acidi grassi e quindi di PHA, polimeri biodegradabili utilizzabili in varie applicazioni. A tale scopo sono stati utilizzati due bioreattori anaerobici a biomassa adesa, di identica configurazione, con cui si sono condotti due esperimenti in continuo a diverse temperature e carichi organici al fine di studiare l’influenza di tali parametri sul processo. Il primo esperimento è stato condotto a 35°C e carico organico pari a 12,39 g/Ld, il secondo a 25°C e carico organico pari a 8,40 g/Ld. Si è scelto di allestire e mettere in opera un processo a cellule immobilizzate in quanto questa tecnologia si è rivelata vantaggiosa nel trattamento continuo di reflui ad alto contenuto di COD e carichi variabili. Inoltre si è scelto di lavorare in continuo poiché tale condizione, per debiti tempi di ritenzione idraulica, consente di minimizzare la metanogenesi, mediata da microrganismi con basse velocità specifiche di crescita. Per costituire il letto fisso dei due reattori si sono utilizzati due diversi tipi di supporto, in modo da poter studiare anche l’influenza di tale parametro, in particolare si è fatto uso di carbone attivo granulare (GAC) e filtri ceramici Vukopor S10 (VS). Confrontando i risultati si è visto che la massima quantità di VFA prodotta nell’ambito del presente studio si ha nel VS mantenuto a 25°C: in tale condizione si arriva infatti ad un valore di VFA prodotti pari a 524,668 mgCOD/L. Inoltre l’effluente in uscita risulta più concentrato in termini di VFA rispetto a quello in entrata: nell’alimentazione la percentuale di materiale organico presente sottoforma di acidi grassi volatili era del 54 % e tale percentuale, in uscita dai reattori, ha raggiunto il 59 %. Il VS25 rappresenta anche la condizione in cui il COD degradato si è trasformato in percentuale minore a metano (2,35 %) e questo a prova del fatto che l’acidogenesi ha prevalso sulla metanogenesi. Anche nella condizione più favorevole alla produzione di VFA però, si è riusciti ad ottenere una loro concentrazione in uscita (3,43 g/L) inferiore rispetto a quella di tentativo (8,5 g/L di VFA) per il processo di produzione di PHA, sviluppato da un gruppo di ricerca dell’università “La Sapienza” di Roma, relativa ad un medium sintetico. Si può constatare che la modesta produzione di VFA non è dovuta all’eccessiva degradazione del COD, essendo questa nel VS25 appena pari al 6,23%, ma piuttosto è dovuta a una scarsa concentrazione di VFA in uscita. Questo è di buon auspicio nell’ottica di ottimizzare il processo migliorandone le prestazioni, poiché è possibile aumentare tale concentrazione aumentando la conversione di COD in VFA che nel VS25 è pari a solo 5,87%. Per aumentare tale valore si può agire su vari parametri, quali la temperatura e il carico organico. Si è visto che il processo di acidogenesi è favorito, per il VS, per basse temperature e alti carichi organici. Per quanto riguarda il reattore impaccato con carbone attivo la produzione di VFA è molto ridotta per tutti i valori di temperatura e carichi organici utilizzati. Si può quindi pensare a un’applicazione diversa di tale tipo di reattore, ad esempio per la produzione di metano e quindi di energia.

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Il presente elaborato è stato finalizzato allo sviluppo di un processo di digestione anaerobica della frazione organica dei rifiuti solidi urbani (FORSU oppure, in lingua inglese OFMSW, Organic Fraction of Municipal Solid Waste) provenienti da raccolta indifferenziata e conseguente produzione di biogas da impiegarsi per il recupero energetico. Questo lavoro rientra nell’ambito di un progetto, cofinanziato dalla Regione Emilia Romagna attraverso il Programma Regionale per la Ricerca Industriale, l’Innovazione e il Trasferimento Tecnologico (PRRIITT), sviluppato dal Dipartimento di Chimica Applicata e Scienza dei Materiali (DICASM) dell’Università di Bologna in collaborazione con la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Ferrara e con la società Recupera s.r.l. che applicherà il processo nell’impianto pilota realizzato presso il proprio sito di biostabilizzazione e compostaggio ad Ostellato (FE). L’obiettivo è stato la verifica della possibilità di impiegare la frazione organica dei rifiuti indifferenziati per la produzione di biogas, e in particolare di metano, attraverso un processo di digestione anaerobica previo trattamento chimico oppure in codigestione con altri substrati organici facilmente fermentabili. E’ stata inoltre studiata la possibilità di impiego di reattori con biomassa adesa per migliorare la produzione specifica di metano e diminuire la lag phase. Dalla sperimentazione si può concludere che è possibile giungere allo sviluppo di metano dalla purea codigerendola assieme a refluo zootecnico. Per ottenere però produzioni significative la quantità di solidi volatili apportati dal rifiuto non deve superare il 50% dei solidi volatili complessivi. Viceversa, l’addizione di solfuri alla sola purea si è dimostrata ininfluente nel tentativo di sottrarre gli agenti inibitori della metanogenesi. Inoltre, l’impiego di supporti di riempimento lavorando attraverso processi batch sequenziali permette di eliminare, nei cicli successivi al primo, la lag phase dei batteri metanogeni ed incrementare la produzione specifica di metano.

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L’argomento trattato in questo elaborato è il problema sempre più emergente dello smaltimento dei fanghi provenienti dalla depurazione delle acque reflue. La quantità di fanghi da smaltire, infatti, è in continuo aumento e continuerà a crescere nel corso dei prossimi anni a causa di trattamenti sempre più spinti di depurazione e della costruzione di nuovi impianti. Dopo aver analizzato i vari scenari possibili per lo smaltimento dei fanghi ed i relativi costi, si passa ad analizzare le varie tecniche utilizzate per l’essiccamento dei fanghi (dirette ed indirette), includendo anche tecniche di ultima generazione come l’essiccamento per via solare. Si è andati poi ad analizzare nel dettaglio il funzionamento dell’impianto di essiccamento termico dei fanghi di depurazione di Coriano (RN), situato presso il termovalorizzatore e che sfrutta il calore proveniente da questo come fonte di calore per essiccare i fanghi. Sono state evidenziate le varie parti che compongono l’impianto e le caratteristiche delle correnti in ingresso ed uscita. Si è passati poi ad analizzare il pericolo di esplosione, all’interno dello stesso impianto, dovuto alla presenza di miscele esplosive formate dalla polvere organica del fango e dall’aria. Si sono analizzate tutte le modifiche apportate all’impianto in modo tale da prevenire questo rischio di esplosione. Infine è stata condotta una valutazione economica per dimostrare che l’essiccamento dei fanghi risulta un processo molto conveniente, perché consente di ridurre i volumi da trattare, e, quindi, di conseguenza anche i costi dello smaltimento finale.

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Lo studio del processo produttivo del riciclo di materiali provenienti da attività di C&D in un impianto di nuova realizzazione, presentato in questa tesi di laurea,è così articolato: nel primo capitolo si analizza la complicata evoluzione della normativa in materia di rifiuti (non solo da C&D) su scala europea e nazionale accennando i provvedimenti legislativi su scala regionale, con particolare riferimento alla Regione Veneto. Si esamineranno, pertanto, le direttive e le decisioni della Comunità Europea che hanno ispirato, a partire dal 1975, i provvedimenti legislativi nazionali, tra cui vale la pena di ricordare il “Decreto Ronchi”, emanato nel febbraio del 1997, l’attuale D.Lgs. 3/4/2006 n.152, e i Decreti Ministeriali di riferimento per la materia di studio, ovvero il D.M. 5/2/1998, riguardante l’individuazione dei rifiuti per cui è possibile procedere al loro trattamento in regime semplificato e l’ancora poco attuato D.M.8/5/2003 n.203, riferito all’utilizzo di materiale riciclato nelle Pubbliche Amministrazioni. Il secondo capitolo definisce, invece, le caratteristiche principali dei rifiuti da C&D, appartenenti alla categoria dei rifiuti inerti, e delinea le odierne problematiche inerenti a tali materiali. A conferma di queste, nella seconda parte del capitolo, sono presentati alcuni dati che fotografano oggettivamente gli scenari attuali in Europa e in Italia in riferimento alla produzione, al recupero e allo smaltimento di questa categoria di rifiuti. In seguito, il terzo capitolo inizia a definire gli aspetti relativi alla realizzazione di un impianto di studio per il riciclo di rifiuti da C&D. In esso si evidenziano le procedure amministrative, gli adempimenti burocratici e in generale tutti gli aspetti inerenti alla gestione dei rifiuti da C&D per l’esecuzione delle attività di recupero e smaltimento previste dal D.Lgs. n.152/2006, così come modificato dal recentissimo D.Lgs. n.4/2008. Il quarto capitolo definisce i termini per poter considerare i rifiuti da C&D trattati in impianto come MPS. L’attenzione è riposta sulla Direttiva 89/106/CEE, che impone obbligatoriamente, dal 01/06/2004, la marcatura CE per tutti i prodotti da costruzione e, quindi, anche per gli aggregati riciclati. Pertanto, in questo capitolo, vengono definite le prove richieste obbligatoriamente dal D.M 11/4/2007 in accordo con la norma europea UNI EN 13242 recante “Aggregati per materiali non legati e legati con leganti idraulici per l'impiego in opere di ingegneria civile e nella costruzione di strade" ed, in conclusione, viene studiata la Circolare n.5205/2005 che dovrebbe dare attuazione nel settore edile, stradale e ambientale al D.M. n.203/2003. Successivamente, il quinto capitolo delinea le caratteristiche principali degli impianti di trattamento per il recupero dei rifiuti da C&D, delineando le principali differenze tra gli impianti fissi e i mobili ed esaminando le diverse fasi del ciclo produttivo, anche in relazione ad un impianto di studio situato nella provincia di Verona. Infine, il sesto capitolo riassume i risultati delle prove di marcatura CE per gli aggregati riciclati prodotti nell’impianto descritto. Tali prove sono state eseguite presso il Laboratorio di Strade della Facoltà di Ingegneria dell’Università degli Studi di Bologna.

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ABSTRACT In passato valeva il motto “grande è meglio”. Le aziende avevano enormi magazzini che riempivano fino a che questi riuscivano a contenere merce. Ciò avveniva nella convinzione che gli alti costi della gestione delle scorte sarebbero stati superati dalle vendite. Negli ultimi anni le aziende hanno però radicalmente cambiato il loro approccio alla gestione delle rimanenze: queste, vengono considerate un eccesso e i magazzini con elevate scorte vengono visti come un‟opportunità mancata e capitale sprecato. I produttori sono sempre più consapevoli della necessità di minimizzare l‟inventario e massimizzare la rotazione dei prodotti. In questo contesto si inseriscono le problematiche connesse alla gestione delle scorte, con particolare riferimento al fenomeno dello slow moving, espressione che indica tutti i materiali a lenta movimentazione stoccati a magazzino. Questi spesso rappresentano un importante onere finanziario per le aziende: si sostengono costi di immobilizzo del capitale, di stoccaggio del materiale oltre a quelli connessi al rischio di obsolescenza. Molto spesso si tende a trascurare il problema, fino a quando le dimensioni di quest‟ultimo si ingrandiscono al punto di diventare una priorità aziendale da cui si cerca una rapida soluzione. L‟elaborato presenta un preliminare studio di caso che ha costituito il punto di partenza per la progettazione di un action plan per la riduzione e lo smaltimento degli item obsoleti e a bassa movimentazione di una realtà aziendale italiana del settore metalmeccanico di cui si presentano anche i primi risultati dell‟implementazione. Dopo aver fornito una panoramica teorica sul ruolo e la gestione delle scorte, si passa ad analizzare il problema dello slow moving in una particolare realtà aziendale, la Biffi s.r.l. di Fiorenzuola d‟Arda (Piacenza), un‟ impresa che dal 1955 produce attuatori per valvole. Esaminato il mercato di riferimento, il tipo di prodotto e il processo di fabbricazione, si passa all‟as-is del magazzino. Attraverso tale analisi, vengono poste in risalto le problematiche legate all‟identificazione, classificazione e gestione dei codici slow moving. E‟ stato proprio lo studio di questi dati che ha posto le basi per lo sviluppo dell‟action plan per la razionalizzazione delle giacenze a magazzino. Nell‟ultima parte dell‟elaborato ho quindi descritto le azioni intraprese e presentato i risultati ottenuti, che hanno consentito risparmi significativi senza effettuare investimenti , ma semplicemente utilizzando al meglio le risorse già disponibili.

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La relazione mira ad illustrare l'importanza del compostaggio, quale tecnologia per lo smaltimento dei rifiuti e recupero di risorse. Vengono descritti il processo di stabilizzazione aerobica, i meccanismi microbici e i parametri fisico-chimici che lo caratterizzano. E' evidenziata l'importanza della raccolta differenziata e della scelta delle matrici compostabili nell'ottimizzazione di questa biotecnologia spontanea per il trattamento di rifiuti e reflui organici putrescibili. E' sottolineato, inoltre, come una corretta gestione del processo permetta di valorizzare residui di varia natura trasformandoli in un buon compost, prodotto valido dal punto di vista agronomico e ambientale. Nella parte finale della relazione verrà inoltre descritto un impianto di compostaggio, presente nel territorio regionale, la Nuova Geovis di Sant'Agata Bolognese e dal punto di vista applicativo, verrà  costruito un modello, che permetta di legare l'andamento della temperatura all'andamento dell'IRD, Indice di Respirazione Dinamico, attraverso dati raccolti presso l'impianto, relativi ovviamente a Indice di Respirazione Dinamico (IRD) e temperatura. Questo anche per valutare il corretto del processo stesso.

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Il presente lavoro ha come oggetto l’analisi di impatto ambientale, svolta mediante la metodologia Life Cycle Assessment (LCA) di un gruppo elettrogeno prodotto da COGEM s.r.l., azienda italiana situata a Castel d’Argile, nel bolognese, con l’obiettivo di supportare eventuali scelte di riprogettazione del prodotto anche in termini di Design for Disassembly. Dopo una prima analisi del contesto attuale in cui si colloca, la metodologia LCA è stata studiata nel dettaglio per poterla poi applicare al prodotto in oggetto. Esso è stato individuato mediante un’analisi delle vendite di COGEM, in seguito si è svolta una fase di raccolta dati e si sviluppata l’analisi LCA usando il software SimaPro 7.1. I risultati ottenuti hanno consentito di individuare le possibili aree di miglioramento dell’impatto ambientale dell’intero ciclo di vita del gruppo elettrogeno. In particolare si sono valutate due soluzioni innovative: un gruppo elettrogeno alimentato a olio vegetale e uno progettato in ottica DFD per consentire un corretto smaltimento dei rifiuti.