820 resultados para Landscape Archaeology
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CAPITOLO 1 INTRODUZIONE Il lavoro presentato è relativo all’utilizzo a fini metrici di immagini satellitari storiche a geometria panoramica; in particolare sono state elaborate immagini satellitari acquisite dalla piattaforma statunitense CORONA, progettata ed impiegata essenzialmente a scopi militari tra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, e recentemente soggette ad una declassificazione che ne ha consentito l’accesso anche a scopi ed utenti non militari. Il tema del recupero di immagini aeree e satellitari del passato è di grande interesse per un ampio spettro di applicazioni sul territorio, dall’analisi dello sviluppo urbano o in ambito regionale fino ad indagini specifiche locali relative a siti di interesse archeologico, industriale, ambientale. Esiste infatti un grandissimo patrimonio informativo che potrebbe colmare le lacune della documentazione cartografica, di per sé, per ovvi motivi tecnici ed economici, limitata a rappresentare l’evoluzione territoriale in modo asincrono e sporadico, e con “forzature” e limitazioni nel contenuto informativo legate agli scopi ed alle modalità di rappresentazione delle carte nel corso del tempo e per diversi tipi di applicazioni. L’immagine di tipo fotografico offre una rappresentazione completa, ancorché non soggettiva, dell’esistente e può complementare molto efficacemente il dato cartografico o farne le veci laddove questo non esista. La maggior parte del patrimonio di immagini storiche è certamente legata a voli fotogrammetrici che, a partire dai primi decenni del ‘900, hanno interessato vaste aree dei paesi più avanzati, o regioni di interesse a fini bellici. Accanto a queste, ed ovviamente su periodi più vicini a noi, si collocano le immagini acquisite da piattaforma satellitare, tra le quali rivestono un grande interesse quelle realizzate a scopo di spionaggio militare, essendo ad alta risoluzione geometrica e di ottimo dettaglio. Purtroppo, questo ricco patrimonio è ancora oggi in gran parte inaccessibile, anche se recentemente sono state avviate iniziative per permetterne l’accesso a fini civili, in considerazione anche dell’obsolescenza del dato e della disponibilità di altre e migliori fonti di informazione che il moderno telerilevamento ci propone. L’impiego di immagini storiche, siano esse aeree o satellitari, è nella gran parte dei casi di carattere qualitativo, inteso ad investigare sulla presenza o assenza di oggetti o fenomeni, e di rado assume un carattere metrico ed oggettivo, che richiederebbe tra l’altro la conoscenza di dati tecnici (per esempio il certificato di calibrazione nel caso delle camere aerofotogrammetriche) che sono andati perduti o sono inaccessibili. Va ricordato anche che i mezzi di presa dell’epoca erano spesso soggetti a fenomeni di distorsione ottica o altro tipo di degrado delle immagini che ne rendevano difficile un uso metrico. D’altra parte, un utilizzo metrico di queste immagini consentirebbe di conferire all’analisi del territorio e delle modifiche in esso intercorse anche un significato oggettivo che sarebbe essenziale per diversi scopi: per esempio, per potere effettuare misure su oggetti non più esistenti o per potere confrontare con precisione o co-registrare le immagini storiche con quelle attuali opportunamente georeferenziate. Il caso delle immagini Corona è molto interessante, per una serie di specificità che esse presentano: in primo luogo esse associano ad una alta risoluzione (dimensione del pixel a terra fino a 1.80 metri) una ampia copertura a terra (i fotogrammi di alcune missioni coprono strisce lunghe fino a 250 chilometri). Queste due caratteristiche “derivano” dal principio adottato in fase di acquisizione delle immagini stesse, vale a dire la geometria panoramica scelta appunto perché l’unica che consente di associare le due caratteristiche predette e quindi molto indicata ai fini spionaggio. Inoltre, data la numerosità e la frequenza delle missioni all’interno dell’omonimo programma, le serie storiche di questi fotogrammi permettono una ricostruzione “ricca” e “minuziosa” degli assetti territoriali pregressi, data appunto la maggior quantità di informazioni e l’imparzialità associabili ai prodotti fotografici. Va precisato sin dall’inizio come queste immagini, seppur rappresentino una risorsa “storica” notevole (sono datate fra il 1959 ed il 1972 e coprono regioni moto ampie e di grandissimo interesse per analisi territoriali), siano state molto raramente impiegate a scopi metrici. Ciò è probabilmente imputabile al fatto che il loro trattamento a fini metrici non è affatto semplice per tutta una serie di motivi che saranno evidenziati nei capitoli successivi. La sperimentazione condotta nell’ambito della tesi ha avuto due obiettivi primari, uno generale ed uno più particolare: da un lato il tentativo di valutare in senso lato le potenzialità dell’enorme patrimonio rappresentato da tali immagini (reperibili ad un costo basso in confronto a prodotti simili) e dall’altro l’opportunità di indagare la situazione territoriale locale per una zona della Turchia sud orientale (intorno al sito archeologico di Tilmen Höyük) sulla quale è attivo un progetto condotto dall’Università di Bologna (responsabile scientifico il Prof. Nicolò Marchetti del Dipartimento di Archeologia), a cui il DISTART collabora attivamente dal 2005. L’attività è condotta in collaborazione con l’Università di Istanbul ed il Museo Archeologico di Gaziantep. Questo lavoro si inserisce, inoltre, in un’ottica più ampia di quelle esposta, dello studio cioè a carattere regionale della zona in cui si trovano gli scavi archeologici di Tilmen Höyük; la disponibilità di immagini multitemporali su un ampio intervallo temporale, nonché di tipo multi sensore, con dati multispettrali, doterebbe questo studio di strumenti di conoscenza di altissimo interesse per la caratterizzazione dei cambiamenti intercorsi. Per quanto riguarda l’aspetto più generale, mettere a punto una procedura per il trattamento metrico delle immagini CORONA può rivelarsi utile all’intera comunità che ruota attorno al “mondo” dei GIS e del telerilevamento; come prima ricordato tali immagini (che coprono una superficie di quasi due milioni di chilometri quadrati) rappresentano un patrimonio storico fotografico immenso che potrebbe (e dovrebbe) essere utilizzato sia a scopi archeologici, sia come supporto per lo studio, in ambiente GIS, delle dinamiche territoriali di sviluppo di quelle zone in cui sono scarse o addirittura assenti immagini satellitari dati cartografici pregressi. Il lavoro è stato suddiviso in 6 capitoli, di cui il presente costituisce il primo. Il secondo capitolo è stato dedicato alla descrizione sommaria del progetto spaziale CORONA (progetto statunitense condotto a scopo di fotoricognizione del territorio dell’ex Unione Sovietica e delle aree Mediorientali politicamente correlate ad essa); in questa fase vengono riportate notizie in merito alla nascita e all’evoluzione di tale programma, vengono descritti piuttosto dettagliatamente gli aspetti concernenti le ottiche impiegate e le modalità di acquisizione delle immagini, vengono riportati tutti i riferimenti (storici e non) utili a chi volesse approfondire la conoscenza di questo straordinario programma spaziale. Nel terzo capitolo viene presentata una breve discussione in merito alle immagini panoramiche in generale, vale a dire le modalità di acquisizione, gli aspetti geometrici e prospettici alla base del principio panoramico, i pregi ed i difetti di questo tipo di immagini. Vengono inoltre presentati i diversi metodi rintracciabili in bibliografia per la correzione delle immagini panoramiche e quelli impiegati dai diversi autori (pochi per la verità) che hanno scelto di conferire un significato metrico (quindi quantitativo e non solo qualitativo come è accaduto per lungo tempo) alle immagini CORONA. Il quarto capitolo rappresenta una breve descrizione del sito archeologico di Tilmen Höyuk; collocazione geografica, cronologia delle varie campagne di studio che l’hanno riguardato, monumenti e suppellettili rinvenute nell’area e che hanno reso possibili una ricostruzione virtuale dell’aspetto originario della città ed una più profonda comprensione della situazione delle capitali del Mediterraneo durante il periodo del Bronzo Medio. Il quinto capitolo è dedicato allo “scopo” principe del lavoro affrontato, vale a dire la generazione dell’ortofotomosaico relativo alla zona di cui sopra. Dopo un’introduzione teorica in merito alla produzione di questo tipo di prodotto (procedure e trasformazioni utilizzabili, metodi di interpolazione dei pixel, qualità del DEM utilizzato), vengono presentati e commentati i risultati ottenuti, cercando di evidenziare le correlazioni fra gli stessi e le problematiche di diversa natura incontrate nella redazione di questo lavoro di tesi. Nel sesto ed ultimo capitolo sono contenute le conclusioni in merito al lavoro in questa sede presentato. Nell’appendice A vengono riportate le tabelle dei punti di controllo utilizzati in fase di orientamento esterno dei fotogrammi.
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Previous research shows that during the period of Japanese American internment gardening became a popular activity for the interned. Primarily approached historically, little work has been conducted to archaeologically analyze the efforts of landscaping by former internees. Gardening activity can paint a better picture of Japanese American identity during the period of forced confinement. This research investigates internee gardens methodologically through surface survey, ground penetrating radar, excavation, oral history, soil chemistry, archaeobotany, and palynology. The thorough investigation of landscaping efforts of internees builds upon knowledge of expression within Japanese American relocation centers, as well as the understanding of a lineage of gardening as Japanese immigrant tradition. Using available materials, gardeners adapted both tradition and environment for the purpose of improving conditions under internment and maintaining an affiliation to heritage. My examination of internee landscaping better explains how many collectively maintained, adapted, and publicly expressed an ethnic identity.
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El presente trabajo se centra en el estudio del papel que juega el control visual del espacio en las prácticas sociales de las comunidades prehistóricas. Este trabajo se articula a partir de un estudio de caso, el término municipal de Calviá, situado en el sureste de la isla de Mallorca, para analizar las diferentes formas de monumentalidad arquitectónica y cómo estas se constituyen cómo un punto de referencia social dentro del paisaje. Partiendo de una amplia horquilla temporal, que abarcaría el Bronce Naviforme (1550-850 AC), el período Talayótico (850-550 AC) y el Postalayótico (550-123 AC), se propone analizar los cambios y pervivencias en la construcción del paisaje, a través de estrategias de visibilidad, percepción y movimiento alrededor de los monumentos arquitectónicos. A través de la perspectiva de la Arqueología del Paisaje y mediante el uso de Sistemas de Información Geográfica (SIG) se propone un análisis de tendencias a largo plazo en la configuración social de un paisaje.
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Three questions on the study of NO Iberian Peninsula sweat lodges are posed. First, the new sauna of Monte Ornedo (Cantabria), the review of the one of Armea (Ourense), and the Cantabrian pedra formosa type are discussed. Second, the known types of sweat lodges are reconsidered underlining the differences between the Cantabrian and the Douro - Minho groups as these differences contribute to a better assessment of the saunas located out of those territories, such as those of Monte Ornedo or Ulaca. Third, a richer record demands a more specific terminology, a larger use of archaeometric analysis and the application of landscape archaeology or art history methodologies. In this way the range of interpretation of the sweat lodges is opened, as an example an essay is proposed that digs on some already known proposals and suggests that the saunas are material metaphors of wombs whose rationale derives from ideologies and ritual practices of Indo-European tradition.
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Malone, C.A.T. and S.K.F. Stoddart. (eds.). IV. S243 1985. Cambridge: British Archaeological Reports.
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The current model of mid-latitude late Quaternary terrace sequences, is that they are uplift-driven but climatically controlled terrace staircases, relating to both regional-scale crustal and tectonic factors, and palaeohydrological variations forced by quasi-cyclic climatic conditions in the 100 K world (post Mid Pleistocene Transition). This model appears to hold for the majority of the river valleys draining into the English Channel which exhibit 8–15 terrace levels over approximately 60–100 m of altitudinal elevation. However, one valley, the Axe, has only one major morphological terrace and has long-been regarded as anomalous. This paper uses both conventional and novel stratigraphical methods (digital granulometry and terrestrial laser scanning) to show that this terrace is a stacked sedimentary sequence of 20–30 m thickness with a quasi-continuous (i.e. with hiatuses) pulsed, record of fluvial and periglacial sedimentation over at least the last 300–400 K yrs as determined principally by OSL dating of the upper two thirds of the sequence. Since uplift has been regional, there is no evidence of anomalous neotectonics, and climatic history must be comparable to the adjacent catchments (both of which have staircase sequences) a catchment-specific mechanism is required. The Axe is the only valley in North West Europe incised entirely into the near-horizontally bedded chert (crypto-crystalline quartz) and sand-rich Lower Cretaceous rocks creating a buried valley. Mapping of the valley slopes has identified many large landslide scars associated with past and present springs. It is proposed that these are thaw-slump scars and represent large hill-slope failures caused by Vauclausian water pressures and hydraulic fracturing of the chert during rapid permafrost melting. A simple 1D model of this thermokarstic process is used to explore this mechanism, and it is proposed that the resultant anomalously high input of chert and sand into the valley during terminations caused pulsed aggradation until the last termination. It is also proposed that interglacial and interstadial incision may have been prevented by the over-sized and interlocking nature of the sub-angular chert clasts until the Lateglacial when confinement of the river overcame this immobility threshold. One result of this hydrogeologically mediated valley evolution was to provide a sequence of proximal Palaeolithic archaeology over two MIS cycles. This study demonstrates that uplift tectonics and climate alone do not fully determine Quaternary valley evolution and that lithological and hydrogeological conditions are a fundamental cause of variation in terrestrial Quaternary records and landform evolution.
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Faced with the perceived need to redefine education for more economic utilitarian purposes, as well as to encourage compliance with government policies, Australia, like many other Anglophone nations, has engaged in numerous policy shifts resulting in performativity practices becoming commonplace in the educational landscape. A series of interviews with teachers from Queensland, Australia, in which they revealed their experiences of professionalism are examined archaeologically to reveal how they enact their roles in response to this performative agenda. Findings suggest that while there is some acceptance amongst teachers of the performative discourse, there is increasing resistance, which permits the construction of alternative or counter-discourses to the currently internationally pervasive performative climate.
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Pearson, Mike, In Comes I: Performance, Memory and Landscape (Exeter: University of Exeter Press, 2007) RAE2008
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It is apparent from the widespread distribution of burnt mounds that Ireland was the most prolific user of pyrolithic technology in Bronze Age Europe. Even though burnt mounds are the most common prehistoric site type in Ireland, they have not received the same level of research as other prehistoric sites. This is primarily due to the paucity of artefact finds and the unspectacular nature of the archaeological remains, compounded by the absence of an appropriate research framework. Due to the widespread use of the technology and the various applications of hot water, narratives related to these sites have revolved around discussions of age and function. This has resulted in a generalised classification, where the term ‘fulacht fia’ covers several site types that have similar features but differing functions and age. The study presents a re-evaluation of fulachtaí fia in light of some 1000 sites excavated in Ireland. This is the most comprehensive study undertaken on the use of pyrolithic technology in prehistoric Ireland, dealing with different aspects of site function, chronology, social role and cultural context. A number of key areas have been identified in relation to our understanding of these sites. Previous investigations of burnt mounds have provided little information on the temporality of individual sites. It has been established that appropriate sampling strategies can provide important information about the formation of individual sites, their relationships to each other and to other monuments in the same cultural landscape. The evidence suggests that considerable caution should be exercised with regard to certain single radiometric dates from burnt stone deposits, based on the degree of certainty of the dated sample and its association with pyrolithic activity. Previously regarded as Bronze Age in date, there are now numerous examples of pyrolithic-type processes in earlier contexts, with the origins of the water-boiling phenomenon now considered to be Early Neolithic. A review of recent excavation evidence provides new insights into the use of pyrolithic technology for cooking. This is based on the discovery of faunal remains at several sites, combined with insights gained through experimental studies. The model proposed here is of open-air communal feasting and food sharing hosted by small family groups, as a medium for social bonding and the construction of community. It is also argued that if cooking was the primary activity taken place at these sites, this should not be viewed as a mundane functional activity, but rather one that actively contributed to the constitution of social relations. The formality of the technology is also supported by the presence of possible specialised structures, some of which were used for cooking/feasting while others were for ritualised sweat-bathing. The duration and frequency of activities associated with burnt mounds and the opportunities they provided for social interaction suggest that these sites contributed some familiar frames of reference to contemporary discourse.
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Human activity has undoubtedly had a major impact on Holocene forested ecosystems, with the concurrent expansion of plants and animals associated with cleared landscapes and pasture, also known as 'culture-steppe'. However, this anthropogenic perspective may have underestimated the contribution of autogenic disturbance (e.g. wind-throw, fire), or a mixture of autogenic and anthropogenic processes, within early Holocene forests. Entomologists have long argued that the north European primary forest was probably similar in structure to pasture woodland. This idea has received support from the conservation biologist Frans Vera, who has recently strongly argued that the role of large herbivores in maintaining open forests in the primeval landscapes of Europe has been seriously underestimated. This paper reviews this debate from a fossil invertebrate perspective and looks at several early Holocene insect assemblages. Although wood taxa are indeed important during this period, species typical of open areas and grassland and dung beetles, usually associated with the dung of grazing animals, are persistent presences in many early woodland faunas. We also suggest that fire and other natural disturbance agents appear to have played an important ecological role in some of these forests, maintaining open areas and creating open vegetation islands within these systems. More work, however, is required to ascertain the role of grazing animals, but we conclude that fossil insects have a significant contribution to make to this debate. This evidence has fundamental implications in terms of how the palaeoecological record is interpreted, particularly by environmental archaeologists and palaeoecologists who may be more interested in identifying human-environment interactions rather than the ecological processes which may be preserved within palaeoecological records.
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Investigations of geomorphology, geoarchaeology, pollen, palynofacies, and charcoal indicate the comparative scales and significance of palaeoenvironmental changes throughout the Holocene at the junction between the hyper-arid hot Wadi â??Arabah desert and the front of the Mediterranean-belt Mountains of Edom in southern Jordan through a series of climatic changes and episodes of intense mining and smelting of copper ores. Early Holocene alluviation followed the impact of Neolithic grazers but climate drove fluvial geomorphic change in the Late Holocene, with a major arid episode corresponding chronologically with the â??Little Ice Ageâ?? causing widespread alluviation. The harvesting of wood for charcoal may have been sufficiently intense and widespread to affect the capacity of intensively harvested tree species to respond to a period of greater precipitation deduced for the Roman-Byzantine period - a property that affects both taphonomic and biogeographical bases for the interpretation of palynological evidence from arid-lands with substantial industrial histories. Studies of palynofacies have provided a record of human and climatic causes of soil erosion, and the changing intensity of the use of fire over time. The patterns of vegetational, climatic change and geomorphic changes are set out for this area for the last 8000 years.