950 resultados para cross – border cooperation
Resumo:
L’oggetto del lavoro si sostanzia nella verifica del grado di giustiziabilità che i diritti sociali ricevono nell’ordinamento dell’Unione europea. L’indagine si articola in tre capitoli. Il primo è dedicato ad una sintetica ricostruzione dei modelli di welfare state riconosciuti dagli ordinamenti dei diversi paesi membri dell’Unione attraverso cui, la candidata enuclea un insieme di diritti sociali che ricevono tutela in tutti gli ordinamenti nazionali. L’esposizione prosegue, con la ricostruzione dell’evoluzione dei Trattati istitutivi dell’Unione e l’inclusione della sfera sociale tra gli obiettivi di questa. In particolare, il secondo capitolo esamina la giurisprudenza della Corte di Giustizia in relazione alle materie sociali, nonché l’inclusione dei diritti sociali nel testo della Carta dei diritti fondamentali. L’analisi si sofferma sulle tecniche normative adottate nell’area della politica sociale, evidenziando la tendenza ad un approccio di tipo “soft” piuttosto che attraverso il classico metodo comunitario. Esaurita questa analisi il terzo capitolo analizza i rapporti tra il diritto dell’Ue e quello della CEDU in materia di diritti sociali, evidenziano il diverso approccio utilizzato dalle due istanze sovranazionali nella tutela di questi diritti. Sulla base del lavoro svolto si conclude per una sostanziale mancanza di giustiziabilità dei diritti sociali in ambito dell’Unione. In particolare i punti deboli dell’Europa sociale vengono individuati in: un approccio regolativo alla dimensione sociale di tipo sempre più soft; la permanenza di alcuni deficit di competenze; la mancata indicazione di criteri di bilanciamento tra diritti sociali e libertà economiche e dalla compresenza delle due nozioni di economia sociale e di economia di mercato. Le conclusioni mostrano come l’assenza di competenze esclusive dell’Unione in materia di politica sociale non consenta una uniformazione/armonizzazione delle politiche sociali interne, che si riflette nell’incapacità dei modelli sociali nazionali di assorbire i grandi mutamenti macro economici che si sono avuti negli ultimi vent’anni, sia a livello sovranazionale che internazionale.
Resumo:
L’elaborato è strutturato in quattro parti: la prima è dedicata all’inquadramento del background normativo. L’autrice affronta, con un approccio ricostruttivo, i precedenti alla redazione del regolamento e le difficoltà incontrate a causa delle resistenze degli Stati membri. Si sofferma altresì sulle norme UNCITRAL, anch’esse oggetto nel recente periodo, di numerose implementazioni. La seconda parte fotografa il ruolo della Corte di Giustizia nell’interpretazione del regolamento n. 1346/2000 ed individua i concetti fondamentali del regolamento: l’universalità attenuata, il campo di applicazione soggettivo del regolamento, la legge applicabile, il principio dell’automatico riconoscimento delle decisioni e la correlata tematica dell’ordine pubblico, nonché la figura del curatore. Si approfondisce l’attività degli Stati membri nel dotarsi di norme di coordinamento ( esemplare il caso della Spagna e della Germania) sottolineando il silenzio del legislatore italiano che, nonostante le numerose riforme in materia, a tutt’oggi non ha ideato un sistema in grado di coordinare la normativa nazionale con la struttura del regolamento europeo. Nella terza parte l'autrice approfondisce la giurisdizione nel regolamento n. 1346/2000. Si individuano le parole chiave: Comi e dipendenza, i cui significati sono sfumati seguendo le posizioni della Corte di Giustizia, (Leading Case Eurofood sino a Interedil) e si mette in discussione, nel panorama attuale, la tenuta di tali criteri giurisdizionali. Sempre intorno al concetto di Comi, si analizzano: la giurisdizione verso gruppi di imprese disciplina assente nel regolamento, i rapporti tra procedura principale e secondaria , la giurisdizione in materia di azioni connesse e/o correlate (Gourdain vs Nadler/Seagon vs Deko Marty). Il capitolo conclusivo offre una panoramica delle proposte finalizzate ad un’implementazione della struttura del regolamento sull’insolvenza. Numerose, infatti, sono le proposte a livello dottrinale e da parte degli organi comunitari in vista della scadenza del Report della Commissione Europea sulla applicazione del regolamento 1346 del 2000 (art. 46).
Resumo:
Le ragioni della delocalizzazione sono molteplici e di differente natura. Si delocalizza, in primo luogo, per ragioni di stampo economico, finanziario eccetera, ma questa spinta naturale alla delocalizzazione è controbilanciata, sul piano strettamente tributario, dall’esigenza di preservare il gettito e da quella di controllare la genuinità della delocalizzazione medesima. E’ dunque sul rapporto tra “spinte delocalizzative” dell’impresa, da un lato, ed esigenze “conservative” del gettito pubblico, dall’altro, che si intende incentrare il presente lavoro. Ciò alla luce del fatto che gli strumenti messi in campo dallo Stato al fine di contrastare la delocalizzazione (più o meno) artificiosa delle attività economiche devono fare i conti con i principi comunitari introdotti con il Trattato di Roma e tratteggiati negli anni dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia. In quest’ottica, la disciplina delle CFC costituisce un ottimo punto di partenza per guardare ai fenomeni di produzione transnazionale della ricchezza e agli schemi di ordine normativo preposti alla tassazione di codesta ricchezza. Ed infatti, le norme sulle CFC non fanno altro che omogeneizzare un sistema che, altrimenti, sarebbe lasciato alla libera iniziativa degli uffici fiscali. Tale “normalizzazione”, peraltro, giustifica le esigenze di apertura che sono incanalate nella disciplina degli interpelli disapplicativi. Con specifico riferimento alla normativa CFC, assumono particolare rilievo la libertà di stabilimento ed il principio di proporzionalità anche nella prospettiva del divieto di abuso del diritto. L’analisi dunque verterà sulla normativa CFC italiana con l’intento di comprendere se codesta normativa, nelle sue diverse sfaccettature, possa determinare situazioni di contrasto con i principi comunitari. Ciò anche alla luce delle recenti modifiche introdotte dal legislatore con il d.l. 78/2009 in un quadro normativo sempre più orientato a combattere le delocalizzazioni meramente fittizie.
Resumo:
La ricerca affronta in modo unitario e nell’ottica europea i multiformi fenomeni della doppia imposizione economica e giuridica, assumendo come paradigma iniziale la tassazione dei dividendi cross-border. Definito lo statuto giuridico della doppia imposizione, se ne motiva la contrarietà all’ordinamento europeo e si indagano gli strumenti comunitari per raggiungere l’obiettivo europeo della sua eliminazione. In assenza di un’armonizzazione positiva, il risultato sostanziale viene raggiunto grazie all’integrazione negativa. Si dimostra che il riserbo della Corte di Giustizia di fronte a opzioni di politica fiscale è soltanto un’impostazione di facciata, valorizzando le aperture giurisprudenziali per il suo superamento. Questi, in sintesi, i passaggi fondamentali. Si parte dall’evoluzione delle libertà fondamentali in diritti di rango costituzionale, che ne trasforma il contenuto economico e la portata giuridica, attribuendo portata costituzionale ai valori di neutralità e non restrizione. Si evidenzia quindi il passaggio dal divieto di discriminazioni al divieto di restrizioni, constatando il fallimento del tentativo di configurare il divieto di doppia imposizione come principio autonomo dell’ordinamento europeo. Contemporaneamente, però, diventa opportuno riesaminare la distinzione tra doppia imposizione economica e giuridica, e impostare un unico inquadramento teorico della doppia imposizione come ipotesi paradigmatica di restrizione alle libertà. Conseguentemente, viene razionalizzato l’impianto giurisprudenziale delle cause di giustificazione. Questo consente agevolmente di legittimare scelte comunitarie per la ripartizione dei poteri impositivi tra Stati Membri e l’attribuzione delle responsabilità per l’eliminazione degli effetti della doppia imposizione. In conclusione, dunque, emerge una formulazione europea dell’equilibrato riparto di poteri impositivi a favore dello Stato della fonte. E, accanto ad essa, una concezione comunitaria del principio di capacità contributiva, con implicazioni dirompenti ancora da verificare. Sul piano metodologico, l’analisi si concentra criticamente sull’operato della Corte di Giustizia, svelando punti di forza e di debolezza della sua azione, che ha posto le basi per la risposta europea al problema della doppia imposizione.
Resumo:
La tesi affronta le problematiche fiscali della riorganizzazione societaria e la soluzione adoperata nell’Unione europea per le operazioni di carattere transfrontaliere. Si parte dalla definizione del termine “riorganizzazione societaria”, evidenziando le sue matici economiche e la varietà del suo contenuto secondo l’ordinamento giuridico e la branca del diritto di riferimento. Si prosegue sulla correlazione fra l’ampliazione del contenuto della libertà di stabilimento, dovuta maggiormente all’attività interpretativa della Corte di giustizia, e l’allargamento del concetto di riorganizzazione societaria nel quadro normativo dell’Unione. Si procede dunque all’analisi del regime fiscale comune della direttiva 2009/133/CE intravedendosi i suoi sviluppi successivi. In sede di conclusioni, si apporta un breve riassunto sullo stato della questione in Brasile e si riflette sull’attendibilità del modello impositivo dell’Unione quale parametro per una futura riforma fiscale in Brasile.
Resumo:
L’armonizzazione fiscale è una importante sfida che l’Unione Europea si trova ad affrontare per la completa realizzazione del mercato interno. Le istituzioni comunitarie, tuttavia, non dispongono delle competenze legislative per intervenire direttamente negli ordinamenti tributari degli Stati membri. Svolgendo una analisi del contesto legislativo vigente, ed esaminando le prospettive de iure condendo della materia fiscale dell’Unione, il presente lavoro cerca di comprendere le prospettive di evoluzione del sistema, sia dal punto di vista della normativa fiscale sostanziale, che procedimentale. Mediante la disciplina elaborata a livello comunitario che regola la cooperazione amministrativa in materia fiscale, con particolare riferimento alle direttive relative allo scambio di informazioni e all’assistenza alla riscossione (dir. 2011/16/UE e dir. 2010/24/UE) si permette alle Amministrazioni degli Stati membri di avere accesso ai reciproci ordinamenti giuridici, e conoscerne i meccanismi. L’attuazione di tali norme fa sì che ciascun ordinamento abbia l’opportunità di importare le best practices implementate dagli altri Stati. L’obiettivo sarà quello di migliorare il proprio procedimento amministrativo tributario, da un lato, e di rendere più immediati gli scambi di informazione e la cooperazione alla riscossione, dall’altro. L’armonizzazione fiscale all’interno dell’Unione verrebbe perseguita, anziché mediante un intervento a livello europeo, attraverso un coordinamento “dal basso” degli ordinamenti fiscali, realizzato attraverso l’attività di cooperazione delle amministrazioni che opereranno su un substrato di regole condivise. La maggiore apertura delle amministrazioni fiscali dei Paesi membri e la maggiore spontaneità degli scambi di informazioni, ha una efficacia deterrente di fenomeni di evasione e di sottrazione di imposta posti in essere al fine di avvantaggiarsi delle differenze dei sistemi impositivi dei vari paesi. Nel lungo periodo ciò porterà verosimilmente, gli Stati membri a livellare i sistemi impositivi, dal momento che i medesimi non avranno più interesse ad utilizzare la leva fiscale per generare una concorrenza tra gli ordinamenti.
Resumo:
Market manipulation is an illegal practice that enables a person can profit from practices that artificially raise or lower the prices of an instrument in the financial markets. Its prohibition is based on the 2003 Market Abuse Directive in the EU. The current market manipulation regime was broadly considered as a big success except for enforcement and supervisory inconsistencies in the Member States at the initial. A review of the market manipulation regime began at the end of 2007, which became quickly incorporated into the wider EU crisis-era reform program. A number of weaknesses of current regime have been identified, which include regulatory gaps caused by the development of trading venues and financial products, regulatory gaps concerning cross-border and cross-markets manipulation (particular commodity markets), legal uncertainty as a result of various implementation, and inefficient supervision and enforcement. On 12 June 2014, a new regulatory package of market abuse, Market Abuse Regulation and Directive on criminal sanctions for market abuse, has been adopted. And several changes will be made concerning the EU market manipulation regime. A wider scope of the regime and a new prohibition of attempted market manipulation will ensure the prevention of market manipulation at large. The AMPs will be subject to strict scrutiny of ESMA to reduce divergences in implementation. In order to enhance efficiency of supervision and enforcement, powers of national competent authorities will be strengthened, ESMA is imposed more power to settle disagreement between national regulators, and the administrative and criminal sanctioning regimes are both further harmonized. In addition, the protection of fundamental rights is stressed by the new market manipulation regime, and some measures are provided to guarantee its realization. Further, the success EU market manipulation regime could be of significant reference to China, helping China to refine its immature regime.
Resumo:
Caratteristica comune ai regimi di consolidamento previsti dai diversi ordinamenti, è quella di consentire la compensazione tra utili e perdite di società residenti, e, di negare, o rendere particolarmente difficoltosa, la stessa compensazione, quando le perdite sono maturate da società non residenti. La non considerazione delle perdite comporta una tassazione al lordo del gruppo multinazionale, per mezzo della quale, non si colpisce il reddito effettivo dei soggetti che vi appartengono. L’effetto immediato è quello di disincentivare i gruppi a travalicare i confini nazionali. Ciò impedisce il funzionamento del Mercato unico, a scapito della libertà di stabilimento prevista dagli artt. 49-54 del TFUE. Le previsioni ivi contenute sono infatti dirette, oltre ad assicurare a società straniere il beneficio della disciplina dello Stato membro ospitante, a proibire altresì allo Stato di origine di ostacolare lo stabilimento in un altro Stato membro dei propri cittadini o delle società costituite conformemente alla propria legislazione. Gli Stati membri giustificano la discriminazione tra società residenti e non residenti alla luce della riserva di competenza tributaria ad essi riconosciuta dall’ordinamento europeo in materia delle imposte dirette, dunque, in base all’equilibrata ripartizione del potere impositivo. In assenza di qualsiasi riferimento normativo, va ascritto alla Corte di Giustizia il ruolo di interprete del diritto europeo. La Suprema Corte, con una serie di importanti pronunce, ha infatti sindacato la compatibilità con il diritto comunitario dei vari regimi interni che negano la compensazione transfrontaliera delle perdite. Nel verificare la compatibilità con il diritto comunitario di tali discipline, la Corte ha tentato di raggiungere un (difficile) equilibrio tra due interessi completamenti contrapposti: quello comunitario, riconducibile al rispetto della libertà di stabilimento, quello degli Stati membri, che rivendicano il diritto di esercitare il proprio potere impositivo.
Resumo:
This manuscript focuses on development assistance players’ efforts to cooperate, coordinate and collaborate on projects of mutual interest. I target the case of the cross-sectoral and international Media Issues Group designed to reform and develop the media sector in Bosnia and Herzegovina. I identify and categorize variables that influenced interorganizational relationships to summarize lessons learned and potentially inform similar interventions. This work suggests that cooperation, coordination and collaboration are constrained by contextual, strategic and procedural variables. Through participant narrative based on observation and interviews, this work clarifies the nuances within these three sets of variables for potential extrapolation to other settings. Perhaps more importantly, it provides lessons learned that can inform future international community interventions in market development activities.
Resumo:
International migration has increased rapidly in the Czech Republic, with more than 150,000 legally registered foreign residents at the end of 1996. A large proportion of these are in Prague - 35% of the total in December 1996. The aim of this project was to enrich the fund of information concerning the "environment", reasons and "mechanisms" behind immigration to the Czech Republic. Mr. Drbohlav looked first at the empirical situation and on this basis set out to test certain well-known migration theories. He focused on four main areas: 1) a detailed description and explanation of the stock of foreign citizens legally settled in Czech territory, concentrating particularly on "economic" migrants; 2) a questionnaire survey targeting a total of 192 Ukrainian workers (98 in the fall 1995 and 94 in the fall 1996) working in Prague or its vicinity; 3) a second questionnaire survey of 40 "western" firms (20 in 1996 and 20 in 1997) operating out of Prague; 4) an opinion poll on how the Czech population reacts to foreign workers in the CR. Over 80% of economic immigrants at the end of 1996 were from European countries, 16% from Asia and under 2% from North America. The largest single nationalities were Ukrainians, Slovaks, Vietnamese and Poles. There has been a huge increase in the Ukrainian immigrant community over both space (by region) and time (a ten-fold increase since 1993), and at 40,000 persons this represents one third of all legal immigrants. Indications are that many more live and work there illegally. Young males with low educational/skills levels predominate, in contrast with the more heterogeneous immigration from the "West". The primary reason for this migration is the higher wages in the Czech Republic. In 1994 the relative figures of GDP adjusted for parity of purchasing power were US$ 8,095 for the Czech Republic versus US$ 3,330 for the Ukraine as a whole and US$ 1,600 for the Zakarpatye region from which 49% of the respondents in the survey came. On an individual level, the average Czech wage is about US$ 330 per month, while 50% of the Ukrainian respondents put their last monthly wage before leaving for the Czech Republic at under US$ 27. The very low level of unemployment in the latter country (fluctuating around 4%) was also mentioned as an important factor. Migration was seen as a way of diversifying the family's source of income and 49% of the respondents had made their plans together with partners or close relatives, while 45% regularly send remittances to Ukraine (94% do so through friends or relatives). Looking at Ukrainian migration from the point of view of the dual market theory, these migrants' type and conditions of work, work load and earnings were all significantly worse than in the primary sector, which employs well educated people and offers them good earnings, job security and benefits. 53% of respondents were working and/or staying in the Czech Republic illegally at the time of the research, 73% worked as unqualified, unskilled workers or auxiliary workers, 62% worked more than 12 hours a day, and 40% evaluated their working conditions as hard. 51% had no days off, earnings were low in relation to the number of hours worked. and 85% said that their earnings did not increase over time. Nearly half the workers were recruited in Ukraine and only 4% expressed a desire to stay in the Czech Republic. Network theories were also borne out to some extent as 33% of immigrants came together with friends from the same village, town or region in Ukraine. The number who have relatives working in the Czech Republic is rising, and many wish to invite relatives or children to visit them. The presence of organisations which organised cross-border migration, including some which resort to organising illegal documents, also gives some support for the institutional theory. Mr. Drbohlav found that all the migration theories considered offered some insights on the situation, but that none was sufficient to explain it all. He also points out parallels with many other regions of the world, including Central America, South and North America, Melanesia, Indonesia, East Africa, India, the Middle East and Russia. For the survey of foreign and international firms, those chosen were largely from countries represented by more than one company and were mainly active in market services such as financial and trade services, marketing and consulting. While 48% of the firms had more than 10,000 employees spread through many countries, more than two thirds had fewer than 50 employees in the Czech Republic. Czechs formed 80% plus of general staff in these firms although not more than 50% of senior management, and very few other "easterners" were employed. All companies absolutely denied employing people illegally. The average monthly wage of Czech staff was US$ 850, with that of top managers from the firm's "mother country" being US$ 6,350 and that of other western managers US$ 3,410. The foreign staff were generally highly mobile and were rarely accompanied by their families. Most saw their time in the Czech Republic as positive for their careers but very few had any intention of remaining there. Factors in the local situation which were evaluated positively included market opportunities, the economic and political environment, the quality of technical and managerial staff, and cheap labour and low production costs. In contrast, the level of appropriate business ethics and conduct, the attitude of local and regional authorities, environmental production conditions, the legal environment and financial markets and fiscal policy were rated very low. In the final section of his work Mr. Drbohlav looked at the opinions expressed by the local Czech population in a poll carried out at the beginning of 1997. This confirmed that international labour migration has become visible in this country, with 43% of respondents knowing at least one foreigner employed by a Czech firm in this country. Perception differ according to the region from which the workers come and those from "the West" are preferred to those coming from further east. 49% saw their attitude towards the former as friendly but only 20% felt thus towards the latter. Overall, attitudes towards migrant workers is neutral, although 38% said that such workers should not have the same rights as Czech citizens. Sympathy towards foreign workers tends to increase with education and the standard of living, and the relatively positive attitudes towards foreigners in the South Bohemia region contradicted the frequent belief that a lack of experience of international migration lowers positive perceptions of it.
Resumo:
This article examines the conditions under which a system of extended collective licensing (ECL) for the use of works contained in the collections of cultural heritage institutions (CHIs) participating in Europeana could function within a cross-border basis. ECL is understood as a form of collective rights management whereby the application of freely negotiated copyright licensing agreements between a user and a collective management organisation (“CMO”), is extended by law to non-members of the organisation. ECL regimes have already been put in place in a few Member States and so far, all have the ability to apply only on a national basis. This article proposes a mechanism that would allow works licensed under an ECL system in one territory of the European Union to be made available in all the territories of the Union. The proposal rests on the statutory recognition of the “country of origin” principle, as necessary and sufficient territory for the negotiation and application of an ECL solution for the rights clearance of works contained in the collection of a cultural heritage institution, including orphan works.
Resumo:
In this paper, we address the role of countries’ goods-trade networks for their services-trade volume. The paper employs a large cross section of bilateral trade data on aggregate cross-border goods and services sales and illustrates that the depth and overlap of two countries’ services networks induce a positive direct impact on their services-trade volume. The evidence takes into account that goods trade flows and networks are potentially endogenous so that the estimated direct effects support a causal interpretation. We find that the magnitude of the multilateral goods-trade network effect on the bilateral services-trade volume is much larger than that of bilateral goods-trade volume.
Resumo:
We examine the choice of modes of delivery in services based on US data, including both cross-border exports and sales through foreign affiliates. We focus on characteristics of destination markets and how this impacts on mode choice. We find that market size, distance and policy all play a role in where firms establish, and in how many markets firms enter. The importance of sales through affiliates relative to total foreign sales also depends on factors like market size, geographic and economic distance and the policy regime in place. Precisely, how important these factors are depends on the sector in question.