918 resultados para Patrimonio Natural Urbano


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Programa de doctorado: Reflexiones y reflejos: arte y arquitectura.

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La tesi individua alcune strategie di rigenerazione urbana e di riqualificazione edilizia, al fine di ottenere una serie di linee guida per l’intervento sul patrimonio di edilizia abitativa situata nelle periferie urbane. Tali principi sono stati poi applicati ad un edificio ACER collocato nella prima periferia di Forlì, per sperimentare l’efficacia delle strategie individuate. Dalla ricerca svolta sulle strategie di intervento volte alla riqualificazione sociale delle periferie, in particolare la teoria del “Defencible space” di Jacobs, si evidenzia l’importanza di accentuare nei residenti il sentimento di territorialità, ovvero la consapevolezza di far parte di una comunità specifica insediata in un particolare spazio, alimentata attraverso la frequentazione e l’appropriazione percettivo-funzionale degli spazi pubblici. Si è deciso quindi di allargare il campo di intervento alla rigenerazione dell’interno comparto, attraverso la riorganizzazione degli spazi verdi e la dotazione di attrezzature sportive e ricreative, in modo da offrire spazi specifici per le diverse utenze (anziani, giovani, bambini) e la definizione di un programma funzionale di servizi ricreativi e spazi destinati a piccolo commercio per integrare le dotazioni carenti dell’area. Dall’analisi approfondita dell’edificio sono emerse le criticità maggiori su cui intervenire: - l’intersezione dei percorsi di accesso all’edificio - la struttura portante rigida, non modificabile - la scarsa varietà tipologica degli alloggi - l’elevato fabbisogno energetico. La riqualificazione dell’edificio ha toccato quindi differenti campi: tecnologico, funzionale, energetico e sociale; il progetto è stato strutturato come una serie di fasi successive di intervento, eventualmente realizzabili in tempi diversi, in modo da consentire il raggiungimento di diversi obiettivi di qualità, in funzione della priorità data alle diverse esigenze. Secondo quest’ottica, il primo grado di intervento, la fase 1 - riqualificazione energetica, si limita all’adeguamento dello stato attuale alle prestazioni energetiche richieste dalla normativa vigente, in assenza di adeguamenti tipologici e spaziali. La fase 2 propone la sostituzione degli impianti di riscaldamento a caldaie autonome presenti attualmente con un impianto centralizzato con pompa di calore, un intervento invasivo che rende necessaria la realizzazione di un “involucro polifunzionale” che avvolge completamente l’edificio. Questo intervento nasce da tre necessità fondamentali : - architettonica: poter ampliare verso l’esterno le superfici degli alloggi, così da intervenire sulle unità abitative rendendole più rispondenti alle necessità odierne; - statica: non dover gravare in ciò sull’edificio esistente apportando ulteriori carichi, difficilmente sopportabili dalla struttura esistente, assicurando il rispetto della normativa antisismica in vigore; - impiantistica/tecnologica: alloggiare i condotti del nuovo impianto centralizzato per il riscaldamento, raffrescamento e acs; La fase 3 è invece incentrata sull’ampliamento dell’offerta abitativa, in modo da rispondere anche a necessità legate ad utenze speciali, come utenti disabili o anziani. L’addizione di nuovi volumi si sviluppa in tre direzioni: - un volume parassita, che aderisce all’edificio nel fronte sud/est, indipendente dal punto di vista strutturale, ruotato per sfruttare al meglio l’orientamento ottimale. - un volume satellite, indipendente, connesso all’edificio esistente tramite un elemento di raccordo, e nel quale sono collocati alcuni alloggi speciali. - un’addizione in copertura, che non appoggia direttamente sul solaio di copertura esistente, ma grava sull’elemento di chiusura del’involucro realizzato nella fase 2 Completano il progetto le addizioni volumetriche a piano terra, destinate a servizi quali un centro diurno, un micronido e un bar, i quali costituiscono la traduzione alla scala dell’edificio delle strategie applicate nel progetto di comparto. Questi interventi hanno consentito di trasformare un edificio costruito negli anni ’80 in un complesso residenziale moderno, dotato spazi accessori di grande qualità, tecnologie moderne che ne garantiscono il comfort abitativo, servizi alla persona disponibili in prossimità dell’edificio.

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I viaggi e gli studi compiuti in Croazia, Montenegro e Bosnia Erzegovina in occasione della Tesi di Laurea hanno costituito l’occasione per comprendere quanto sia consistente il retaggio di Roma antica sulla sponda orientale dell’Adriatico. Nello stesso tempo si è potuto constatare che, per diversi motivi, dal punto di vista prettamente scientifico, la ricchezza di questo patrimonio archeologico aveva sino allora trovato soltanto poche occasioni di studio. Da qui la necessità di provvedere a un quadro completo e generale relativo alla presenza romana in un territorio come quello della provincia romana di Dalmatia che, pur considerando la sua molteplicità geografica, etnica, economica, culturale, sociale e politica, ha trovato, grazie all’intervento di Roma, una sua dimensione unitaria, un comune denominatore, tanto da farne una provincia che ebbe un ruolo fondamentale nella storia dell’Impero. Il lavoro prende le mosse da una considerazione preliminare e generale, che ne costituisce quasi lo spunto metodologico più determinante: la trasmissione della cultura e dei modelli di vita da parte di Roma alle altre popolazioni ha creato un modello in virtù del quale l’imperialismo romano si è in certo modo adattato alle diverse culture incontrate ed assimilate, dando vita ad una rete di culture unite da elementi comuni, ma anche profondamente diversificate per sintesi originali. Quella che pare essere la chiave di lettura impiegata è la struttura di un impero a forma di “rete” con forti elementi di coesione, ma allo stesso tempo dotato di ampi margini di autonomia. E questo a cominciare dall’analisi dei fattori che aprirono il cammino dell’afflusso romano in Dalmatia e nello stesso tempo permisero i contatti con il territorio italico. La ricerca ne analizza quindi i fattori:il diretto controllo militare, la costruzione di una rete viaria, l’estensione della cittadinanza romana, lo sviluppo della vita locale attraverso la formazione di una rete di municipi, i contatti economici e l’immigrazione di genti romanizzate. L’analisi ha posto in evidenza una provincia caratterizzata da notevoli contraddizioni, che ne condizionarono – presso entrambi i versanti del Velebit e delle Alpi Dinariche – lo sviluppo economico, sociale, culturale e urbanistico. Le profonde differenze strutturali tra questi due territori rimasero sempre presenti: la zona costiera divenne, sotto tutti i punti di vista, una sorta di continuazione dell’Italia, mntre quella continentale non progredì di pari passo. Eppure l’influenza romana si diffuse anche in questa, così che essa si pote conformare, in una certa misura, alla zona litoranea. Come si può dedurre dal fatto che il severo controllo militare divenne superfluo e che anche questa regione fu dotata progressivamente di centri amministrati da un gruppo dirigente compiutamente integrato nella cultura romana. Oltre all’analisi di tutto ciò che rientra nel processo di acculturazione dei nuovi territori, l’obiettivo principale del lavoro è l’analisi di uno degli elementi più importanti che la dominazione romana apportò nei territori conquistati, ovvero la creazione di città. In questo ambito relativamente periferico dell’Impero, qual è il territorio della provincia romana della Dalmatia, è stato dunque possibile analizzare le modalità di creazione di nuovi centri e di adattamento, da parte di Roma, ai caratteri locali dell’insediamento, nonché ai condizionamenti ambientali, evidenziando analogie e differenze tra le città fondate. Prima dell’avvento di Roma, nessuna delle regioni entrate a far parte dei territori della Dalmatia romana, con la sola eccezione della Liburnia, diede origine a centri di vero e proprio potere politico-economico, come ad esempio le città greche del Mediterraneo orientale, tali da continuare un loro sviluppo all’interno della provincia romana. In altri termini: non si hanno testimonianze di insediamenti autoctoni importanti che si siano trasformati in città sul modello dei centri provinciali romani, senza aver subito cambiamenti radicali quali una nuova pianificazione urbana o una riorganizzazione del modello di vita locale. Questo non significa che la struttura politico-sociale delle diverse tribù sia stata cambiata in modo drastico: almeno nelle modeste “città” autoctone, nelle quali le famiglie appaiono con la cittadinanza romana, assieme agli ordinamenti del diritto municipale, esse semplicemente continuarono ad avere il ruolo che i loro antenati mantennero per generazioni all’interno della propria comunità, prima della conquista romana. Il lavoro mette compiutamente in luce come lo sviluppo delle città nella provincia abbia risentito fortemente dello scarso progresso politico, sociale ed economico che conobbero le tribù e le popolazioni durante la fase pre-romana. La colonizzazione greca, troppo modesta, non riuscì a far compiere quel salto qualitativo ai centri autoctoni, che rimasero sostanzialmente privi di concetti basilari di urbanistica, anche se è possibile notare, almeno nei centri costieri, l’adozione di tecniche evolute, ad esempio nella costruzione delle mura. In conclusione questo lavoro chiarisce analiticamente, con la raccolta di un’infinità di dati (archeologici e topografici, materiali ed epigrafici, e desunti dalle fonti storiche), come la formazione della città e l’urbanizzazione della sponda orientale dell’adriatico sia un fenomeno prettamente romano, pur differenziato, nelle sue dinamiche storiche, quasi caso per caso. I dati offerti dalla topografia delle città della Dalmatia, malgrado la scarsità di esempi ben documentati, sembrano confermare il principio della regolarità degli impianti urbani. Una griglia ortogonale severamente applicata la si individua innanzi tutto nelle città pianificate di Iader, Aequum e, probabilmente, anche a Salona. In primis nelle colonie, quindi, ma non esclusivamente. Anche numerosi municipi sviluppatisi da insediamenti di origine autoctona hanno espresso molto presto la tendenza allo sviluppo di un sistema ortogonale regolare, se non in tutta l’area urbana, almeno nei settori di più possibile applicazione. Ne sono un esempio Aenona, Arba, Argiruntum, Doclea, Narona ed altri. La mancanza di un’organizzazione spaziale regolare non ha tuttavia compromesso l’omogeneità di un’attrezzatura urbana tesa alla normalizzazione, in cui i componenti più importanti, forum e suoi annessi, complessi termali, templi dinastici e capitolia, si avviano a diventare canonici. Le differenze più sensibili, che pure non mancano, sembrano dipendere dalle abitudini delle diverse etnie, dai condizionamenti topografici e dalla disponibilità finanziaria dei notabili. Una città romana non può prendere corpo in tutta la sua pienezza solo per la volontà del potere centrale. Un progetto urbanistico resta un fatto teorico finché non si realizzano le condizioni per cui si fondano due fenomeni importantissimi: uno socio-culturale, che consiste nell’emergenza di una classe di notabili “fortunati” desiderosi di dare a Roma dimostrazioni di lealtà, pronti a rispondere a qualsiasi sollecitazione da parte del potere centrale e addirittura ad anticiparlo; l’altro politico-amministrativo, che riguarda il sistema instaurato da Roma, grazie al quale i suddetti notabili possono godere di un certo potere e muoversi in vista della promozione personale nell’ambito della propria città. Aiuti provenienti dagli imperatori o da governatori provinciali, per quanto consistenti, rimangono un fatto non sistematico se non imprevedibile, e rappresentano comunque un episodio circoscritto. Anche se qualche città risulta in grado di costruire pecunia publica alcuni importanti edifici del quadro monumentale, il ruolo del finanziamento pubblico resta relativamente modesto. Quando la documentazione epigrafica esiste, si rivela che sono i notabili locali i maggiori responsabili della costruzione delle opere pubbliche. Sebbene le testimonianze epigrafiche siano scarse e, per la Dalmatia non sia possibile formulare un quadro completo delle committenze che favorirono materialmente lo sviluppo architettonico ed artistico di molti complessi monumentali, tuttavia è possibile osservare e riconoscere alcuni aspetti significativi e peculiari della provincia.

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La ricerca iniziata all’interno del Laboratorio di Sintesi Finale, e che ha continuato ad approfondirsi parallelamente al progetto durante lo sviluppo della tesi, si è basata sullo studio del tessuto urbano e sulla sperimentazione della sostituzione di porzioni dello stesso come strumento progettuale. Oggi, il patrimonio immobiliare italiano è in gran parte caratterizzato da edifici costruiti nel periodo dell’emergenza, degli anni Cinquanta e Sessanta; la maggior parte di esso è costituito da edilizia che ora necessita di interventi di manutenzione e rinnovo (anche dai punti di vista energetico, impiantistico e sismico), perchè nel periodo della loro realizzazione sono stati usati sistemi costruttivi sbrigativi e si è cercato di ridurre i costi. Si tratta di un fenomeno diffuso che interessa anche la zona della costa dell’Emilia-Romagna: oltre 130 km di riviera caratterizzati da diversi paesaggi che sono il risultato diretto del rapporto uomo-natura. “La presenza e l’azione dell’uomo è ed è stata dominante sul paesaggio costiero mediterraneo, a volte con grande sapienza, equilibrio e rispetto dei luoghi, altre volte con devastante consumo e depauperamento dell’ambiente e delle sue risorse”. Rimini e le sue frazioni fanno parte di un paesaggio fortemente antropizzato, che mostra chiaramente i segni di quegli anni di costruzione privi di pianificazione che hanno favorito lo sviluppo di una serie di nuclei costieri contigui, addensati all’interno di una porzione di territorio delimitata da due linee: quella ferroviaria e quella di costa. Il caso di Viserba è emblematico, perché oggi rappresenta il risultato di una edilizia che ha seguito un’ottica prevalentemente privatistica e speculativa. Il territorio, estremamente parcellizzato e denso, ha favorito la creazione di una sorta di confusione urbana tale da rendere difficilmente riconoscibili i caratteri originari del luogo. Il lungomare è diventato il manifesto di questo intervento, tanto che se si rivolgono le spalle al mare per osservare il primo fronte, ciò che si nota non sono di certo i villini storici, i quali passano inevitabilmente in secondo piano. Il nostro esercizio progettuale si è concentrato proprio sulla fascia litoranea che oggi non dialoga più con il mare, ponendoci come obiettivi, non solo lo sviluppo di una strategia di riqualificazione urbana, ma anche la ricerca di un modo per ristabilire attraverso un nuovo segno urbano, il legame perso tra acqua e terra. Fondamentali per il recupero del rapporto della città con il mare sono stati l’inserimento di spazi destinati alla collettività, percorsi, accessi al mare in grado di ricostituire la facciata marittima e di fungere da legante di un sistema unico che comprende sia la struttura urbana sia la fascia costiera, estendendoci fino alle barriere frangiflutti, che oggi costituiscono solo un limite visivo molto forte. La sfida che, pertanto, è stata lanciata già all’interno del laboratorio era quella di cercare una risposta progettuale, una strategia chiara e condivisa, che aspirasse a risolvere i problemi generati da quegli anni di edificazione “compulsiva” e senza regole all’interno del particolare contesto viserbese. La nostra ricerca è stata supportata dall’approfondimento di un tema comune principale, la sostituzione di tessuto urbano, che è diventato per noi lo strumento chiave per lo sviluppo del progetto. L’analisi si è concentrata, tra i vari aspetti, anche sulla situazione attuale italiana che è apparsa critica e poco incoraggiante a causa del basso livello qualitativo degli edifici nelle principali aree urbane (circa il 35% è stato costruito attorno agli anni Cinquanta ed è inefficiente da diversi punti di vista), della crisi del mercato immobiliare e del disagio sociale derivante da ragioni di vario tipo. L’Italia è un paese eccessivamente radicato a una scelta urbanistica conservativa e perciò ancora molto lontano dalla logica della sostituzione urbana. Quest’ultima può costituire il mezzo per redigere un coraggioso progetto strategico che, nell’ottica del lungo periodo, permetta di delineare un disegno dello sviluppo urbano delle nostre città, migliorandone le loro realtà urbane? Il dibattito oggi è molto acceso. Ed è proprio per tentare di trovare una possibile risposta a questo interrogativo che il nostro esercizio progettuale ha sperimentato questo tipo di intervento.

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Le Indicazioni Geografiche (IG) giocano un ruolo importante nella crescita economica e nello sviluppo territoriale rurale quando una determinata qualità di prodotto, reputazione o altra caratteristica del prodotto siano attribuibili essenzialmente alla sua origine geografica. In questa ricerca si è verificato la possibilità di valorizzare la regione del Brasile denominata Vale do Paraiba Fluminense, soprannominata “Vale do Café” e di mettere in luce le potenzialità del caffè come prodotto di qualità, sostenibile sotto il profilo ambientale e sociale: un vero e proprio patrimonio culturale che può rivelarsi una valida risorsa economica per il territorio. Nella prima fase dell'indagine è stata realizzata la ricerca a tavolino e sul campo fondata sulle fonti bibliografiche; nella seconda fase è stata applicata la Metodologia Partecipativa della FAO per identificare il collegamento dell’area di origine e del prodotto locale ed il suo potenziale di sviluppo con le risorse locali attraverso questionari on line. Nell’analisi qualitativa sono stati intervistati rappresentanti delle differenti categorie di stakeholder per arricchire il quadro sul contesto storico della regione. Infine, nella parte quantitativa sono stati applicati dei questionari ai consumatori di caffè del territorio. A conclusione della ricerca il territorio potrebbe reintrodurre un caffè storico, simbolo della ricchezza e decadenza di quella regione come elemento di potenziale economico locale, sfruttando la parte immateriale delle aziende agricole storiche, rilocalizzando il prodotto nella memoria locale, riavvicinando la popolazione alla sua storia e principalmente sensibilizzandola del valore del nome geografico “Vale do Paraiba Fluminense” o “Vale do Café” relazionata alla storia della regione, e del prodotto caffè che si propone rilanciare a favore del territorio, rilocalizzando il nome geografico.

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En algunas ciudades, se puede observar el cuidado con que atienden a la conservación de su patrimonio. Escarbando un poco más allá de esa lustrosa superficie, fácilmente se entiende que los ingresos generados por el turismo que perciben estas naciones, en la mayoría de los casos, se deben al llamado turismo cultural urbano. Es decir, a la motivación que implica la visita a esos bienes. De allí es que los administradores nacionales o urbanos comprenden la conveniencia de una fuerte política de rehabilitación de sus ciudades, que garantice la preservación y conservación de sus bienes. En Roma se emprendió la recuperación del casco histórico en ocasión de un evento excepcional: el Jubileo del año 2000. Ello implicó obras de rehabilitación y valorización del área arqueológica y de su patrimonio arquitectónico para que estuvieran en condiciones de ser visitados por los turistas para la fecha indicada. Es entonces que siguiendo la ruta del dinero nos encontramos con un sustrato más firme donde asentar la importancia del patrimonio y la urgencia en su conservación y protección. Para ponerlo de manera más clara: donde el turista ve la belleza de tal o cual monumento, sería importante para nosotros los especialistas en arquitectura poder entrever al menos esta sustantiva parte del negocio. En ese sentido, si prestamos atención a la tensión/fricción producida por la necesaria y dinámica renovación urbana y el anclaje que ello solicita del tratamiento de sus bienes patrimoniales, podemos tomar como ejemplo, además de Roma, las posiciones encontradas, adoptadas en Londres y París. Enfrentadas a la misma situación de renovación urbana, estas ciudades la resolvieron de manera absolutamente opuesta. El resultado visible de esas decisiones se nos muestra de manera acabada.

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Más allá del planteo urbano inicial, las características de una ciudad están dadas por el uso, la apropiación y el sentido de pertenencia de sus habitantes. Los rastros del pasado están a veces también en la toponimia. Artículo aceptado y publicado en revista especifica de arquitectura, urbanismo y diseño del diario Clarín de Buenos Aires

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El objetivo del trabajo ha sido la revalorización del Canal Zanjón Cacique Guaymallén como un patrimonio cultural ambiental de los mendocinos. La metodología aplicada incluye el análisis de la trayectoria histórica del asentamiento del Gran Mendoza, el zanjón como parte de la cuenca del río Mendoza, como parte del sistema de drenaje, como parte del sistema de riego. Luego, el reconocimiento de los paisajes particulares del zanjón y una posterior catalogación y ordenación, con el fin de ser material útil al planificador territorial primero y al diseñador urbano después. A modo de conclusión el autor menciona la necesidad implícita de proteger, enriquecer e integrar a la vida y memoria urbanos el cauce, las márgenes, el entorno y el oasis al que da vida el zanjón; junto con la urgencia de proyectar a futuro nuevamente los cursos de agua como potenciales ordenadores del territorio y su rol central en la planificación urbana.

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El objetivo de la ponencia es presentar los resultados de la investigación realizada con apoyo económico e institucional del Centro de Investigaciones de la Universidad Distrital, sobre los imaginarios que tienen los actores sociales en relación con su entorno y con su propio papel en la construcción de escenarios deseados de desarrollo. La ponencia presenta una reflexión sobre los imaginarios sobre el medio natural y la ciudad que se encuentran implícitos en la cultura occidental. Este viaje desde los imaginarios occidentales sobre la ciudad hasta llegar a los ámbitos locales permite entender los vínculos que se establecen entre territorios locales y contextos más amplios, análisis que facilita la emergencia de un marco propositivo en relación con la gestión ambiental y el desarrollo locales. Como resultados relevantes se tiene la necesidad de consolidar un proyecto colectivo de ciudad hacia el futuro, lo suficientemente incluyente para que permita la inserción de diferentes lógicas de desarrollo, reconociendo la multiculturalidad y la importancia de estas a la hora de la estructuración de una política pública en beneficio de los centros urbanos. Es pertinente pensar en nuevas propuestas surgidas desde las mismas comunidades, igualmente se requiere de mediaciones pedagógicas que permita a los ciudadanos generar nuevos procesos a partir de relaciones establecidas con los fenómenos vividos; solo a partir de procesos que eleven los niveles de conciencia de los ciudadanos respecto de los elementos naturales y a partir de su participación en los proyectos de intervención para el desarrollo será posible orientar modelos adecuados a las características socioambientales de los grupos sociales

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Partiendo de las raíces de la institución 'Café' en España, su relación evidente con las tertulias literarias y su manifestación ejemplar en el Café Gijón en Madrid, me centro en la historia de la Confitería del Molino en Buenos Aires y el papel de ese café como plataforma para el intercambio artístico e intelectual. Teniendo en cuenta el estudio de Monterde sobre el desarrollo y las reconstrucciones de algunos Cafés de Barcelona, me interesa plantear una alternativa a ciertas reconstrucciones artificiales, donde se pretende 'conservar' los lugares de memoria. Recurro entonces al concepto 'ideas literarias del café' las cuales 'se hacen cargo de su historia para constituir el secreto del presente' (Monterde, 2007: 467). Basándome también en A. Assmann y sus estudios en el área de la 'memoria', trataré de determinar en qué medida se podría consagrar el Molino como testimonio de un discurso intelectual fundacional y como vinculo entre memoria e identidad, es decir como parte integrante del patrimonio cultural material de la Capital y, a la vez, del patrimonio inmaterial de Argentina

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El objetivo de la ponencia es presentar los resultados de la investigación realizada con apoyo económico e institucional del Centro de Investigaciones de la Universidad Distrital, sobre los imaginarios que tienen los actores sociales en relación con su entorno y con su propio papel en la construcción de escenarios deseados de desarrollo. La ponencia presenta una reflexión sobre los imaginarios sobre el medio natural y la ciudad que se encuentran implícitos en la cultura occidental. Este viaje desde los imaginarios occidentales sobre la ciudad hasta llegar a los ámbitos locales permite entender los vínculos que se establecen entre territorios locales y contextos más amplios, análisis que facilita la emergencia de un marco propositivo en relación con la gestión ambiental y el desarrollo locales. Como resultados relevantes se tiene la necesidad de consolidar un proyecto colectivo de ciudad hacia el futuro, lo suficientemente incluyente para que permita la inserción de diferentes lógicas de desarrollo, reconociendo la multiculturalidad y la importancia de estas a la hora de la estructuración de una política pública en beneficio de los centros urbanos. Es pertinente pensar en nuevas propuestas surgidas desde las mismas comunidades, igualmente se requiere de mediaciones pedagógicas que permita a los ciudadanos generar nuevos procesos a partir de relaciones establecidas con los fenómenos vividos; solo a partir de procesos que eleven los niveles de conciencia de los ciudadanos respecto de los elementos naturales y a partir de su participación en los proyectos de intervención para el desarrollo será posible orientar modelos adecuados a las características socioambientales de los grupos sociales

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Partiendo de las raíces de la institución 'Café' en España, su relación evidente con las tertulias literarias y su manifestación ejemplar en el Café Gijón en Madrid, me centro en la historia de la Confitería del Molino en Buenos Aires y el papel de ese café como plataforma para el intercambio artístico e intelectual. Teniendo en cuenta el estudio de Monterde sobre el desarrollo y las reconstrucciones de algunos Cafés de Barcelona, me interesa plantear una alternativa a ciertas reconstrucciones artificiales, donde se pretende 'conservar' los lugares de memoria. Recurro entonces al concepto 'ideas literarias del café' las cuales 'se hacen cargo de su historia para constituir el secreto del presente' (Monterde, 2007: 467). Basándome también en A. Assmann y sus estudios en el área de la 'memoria', trataré de determinar en qué medida se podría consagrar el Molino como testimonio de un discurso intelectual fundacional y como vinculo entre memoria e identidad, es decir como parte integrante del patrimonio cultural material de la Capital y, a la vez, del patrimonio inmaterial de Argentina

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El objetivo de la ponencia es presentar los resultados de la investigación realizada con apoyo económico e institucional del Centro de Investigaciones de la Universidad Distrital, sobre los imaginarios que tienen los actores sociales en relación con su entorno y con su propio papel en la construcción de escenarios deseados de desarrollo. La ponencia presenta una reflexión sobre los imaginarios sobre el medio natural y la ciudad que se encuentran implícitos en la cultura occidental. Este viaje desde los imaginarios occidentales sobre la ciudad hasta llegar a los ámbitos locales permite entender los vínculos que se establecen entre territorios locales y contextos más amplios, análisis que facilita la emergencia de un marco propositivo en relación con la gestión ambiental y el desarrollo locales. Como resultados relevantes se tiene la necesidad de consolidar un proyecto colectivo de ciudad hacia el futuro, lo suficientemente incluyente para que permita la inserción de diferentes lógicas de desarrollo, reconociendo la multiculturalidad y la importancia de estas a la hora de la estructuración de una política pública en beneficio de los centros urbanos. Es pertinente pensar en nuevas propuestas surgidas desde las mismas comunidades, igualmente se requiere de mediaciones pedagógicas que permita a los ciudadanos generar nuevos procesos a partir de relaciones establecidas con los fenómenos vividos; solo a partir de procesos que eleven los niveles de conciencia de los ciudadanos respecto de los elementos naturales y a partir de su participación en los proyectos de intervención para el desarrollo será posible orientar modelos adecuados a las características socioambientales de los grupos sociales

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Partiendo de las raíces de la institución 'Café' en España, su relación evidente con las tertulias literarias y su manifestación ejemplar en el Café Gijón en Madrid, me centro en la historia de la Confitería del Molino en Buenos Aires y el papel de ese café como plataforma para el intercambio artístico e intelectual. Teniendo en cuenta el estudio de Monterde sobre el desarrollo y las reconstrucciones de algunos Cafés de Barcelona, me interesa plantear una alternativa a ciertas reconstrucciones artificiales, donde se pretende 'conservar' los lugares de memoria. Recurro entonces al concepto 'ideas literarias del café' las cuales 'se hacen cargo de su historia para constituir el secreto del presente' (Monterde, 2007: 467). Basándome también en A. Assmann y sus estudios en el área de la 'memoria', trataré de determinar en qué medida se podría consagrar el Molino como testimonio de un discurso intelectual fundacional y como vinculo entre memoria e identidad, es decir como parte integrante del patrimonio cultural material de la Capital y, a la vez, del patrimonio inmaterial de Argentina

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La historia de la construcción de las catedrales góticas es la historia de la búsqueda de la luz. Esta afirmación casi metafísica, recoge una realidad asumida por todos los historiadores tanto de la arquitectura antigua como del resto de las artes. La luz en el gótico ha sido descrita bajo múltiples matices como son su carácter simbólico, cromático e incluso místico, sin embargo no existe, en el estudio del conocimiento de la luz gótica, ninguna referencia a la misma como realidad física cuantificable, cualificable y por tanto, clasificable. La presente tesis doctoral aborda el concepto de la iluminación gótica desde una perspectiva nueva. Demuestra, con un método analítico inédito, que la iluminación gótica es cuantificable y cualificable. Para ello analiza en profundidad la iluminación de una selección de 6 edificios muestra, las catedrales de Gerona, Toledo, Sevilla y León, la basílica de Santa María del Mar y la capilla de la Sainte Chapelle de París, mediante una toma de datos “in situ” de iluminación y su comparación con los datos lumínicos obtenidos por un programa de soleamiento de la simulación en tres dimensiones de los distintos proyectos originales góticos. El análisis exhaustivo de las muestras y su introducción en el método analítico descrito, permite determinar, en primer lugar, unas cualidades inéditas que identifican la luz de los espacios góticos según unos parámetros nuevos como son la intensidad, expresividad, recorrido, distorsión y color. También describe cuales son los factores determinantes, de nuevo inéditos, que modulan cada una de las cualidades y en que proporción lo hacen cada uno de ellos. Una vez establecidas las cualidades y los factores que las definen, la tesis doctoral establece los rangos en los que se mueven las distintas cualidades y que conformarán la definitiva clasificación según “tipos de cualidad lumínica”. Adicionalmente, la tesis propone un procedimiento abreviado de acercamiento a la realidad de la iluminación gótica a través de unas fórmulas matemáticas que relacionan los factores geométricos detectados y descritos en la tesis con el resultado luminoso del espacio en lo que concierne a las dos cualidades más importantes de las reflejadas, la intensidad y la expresividad. Gracias a este método y su procedimiento abreviado, la clasificación se hace extensible al resto de catedrales góticas del panorama español y europeo y abre el camino a nuevas clasificaciones de edificios históricos de distintas épocas, iniciando un apasionante camino por recorrer en la recuperación de “la luz original”. Esta clasificación y sus cualidades podrán a su vez, ser utilizadas como herramientas de conocimiento de un factor determinante a la hora de describir cualquier espacio gótico y su aportación pretende ser un nuevo condicionante a tener en cuenta en el futuro, ayudando a entender y respetar, en las posibles intervenciones a realizar sobre el patrimonio arquitectónico, aquello que fue en su inicio motor principal del proyecto arquitectónico y que hoy día no se valora suficientemente tan solo por falta de conocimiento: su luz. The history of the construction of the Gothic cathedrals is the history of the search for light. This almost etaphysical statement reflects a reality accepted by all historians both of ancient architecture and other arts. Light in the Gothic period has been described under multiple approaches such as its symbolic, chromatic and even mystical character. However, in the study of the Gothic light, no references exist to it as a physical quantifiable and qualifiable reality and therefore, classifiable. This dissertation deals with the concept of Gothic light from a new perspective. With a new analytical method, it shows that Gothic lighting is quantifiable and can be classified regarding quality. To this end, a selection of 6 buildings light samples are analyzed; the cathedrals of Gerona, Toledo, Seville and León, the basilica of Santa María of the Sea and the Sainte Chapelle in Paris. "In situ" lighting data is collected and it is compared with lighting data obtained by a program of sunlight of the 3D simulation of various Gothic original projects. The comprehensive analysis of the samples and the data introduced in the analytical method described, allows determining, first, important qualities that identify the light of Gothic spaces according to new parameters such as intensity, expressiveness, trajectory, distortion and color. It also describes the determinant factors, which modulate each of the qualities and in what proportion they do it. Once the qualities and factors that define them have been established, in this doctoral dissertation the ranges regarding different qualities are set, which will make up the final classification according to "types of light quality". In addition, this work proposes an abbreviated procedure approach to the reality of the Gothic lighting through some mathematical formulae, relating the geometric factors identified and described in the study with the bright result of space regarding the two most important qualities of the light,intensity and expressiveness. Thanks to this method and to the abbreviated procedure, the classification can be applied to other Spanish and European Gothic cathedrals and opens up the way to new classifications of historic buildings from different eras, starting an exciting road ahead in the recovery of the "original light". This classification and its qualities may in turn be used as tools to know a determinant factor when describing any Gothic space. Its contribution is intended to be a new conditioning factor to keep in mind in the future, helping to understand and respect, in possible interventions on the architectural heritage, what was the main engine to start the architectural project and which today is not valued enough due to the lack knowledge: the light.