955 resultados para Maubeuge (Nord)
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Cet article porte sur l’analyse de trois configurations institutionnelles de la protection de l’enfance : celle en place au Burkina Faso, en Belgique et au Québec. Pour chaque configuration, le texte explore les transformations qui ont marqué le passage de la prise en charge exclusive de l’enfant par la famille vers la présence accrue de l’État et la manière dont la Convention internationale des droits de l’enfant de 1989 a influencé ce passage. Il montre, au travers d’une lecture historique, que l’implication de l’État dans la protection des enfants a connu des formes et des modalités variables selon le temps et l’espace. L’approche actuelle en matière de protection de l’enfance au Nord et au Sud, approche largement inspirée de la perspective des droits, représente un défi tant pour les intervenants que pour les familles, car son application dépend à fois des ressources disponibles pour aider les enfants et les familles en difficulté, de la capacité d’action des institutions publiques et de l’efficacité des interventions. This article deals with the analysis of three institutional configurations of child protection: those in Burkina Faso, in Belgium, and in Québec. With respect to each configuration, the text explores the changes from situations in which the family had sole control of the child to those where the State played a greater role, and the manner in which the 1989 International Convention on the Rights of the Child has affected such changes. It shows, through a reading of history, that the involvement of the State in child protection has gone through different forms and stages over time and space. The current strategies as regards child protection in the North and in the South—an approach that is largely subject to a legal perspective—represent a challenge both for intervenors and for families, since their application depends on the resources available for helping children and families in difficulty, on the ability of the public institutions to intervene, and on the efficiency of such interventions.
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Depuis très récemment, un changement est en train de se produire dans le domaine de la traduction de la littérature jeunesse: auparavant et pendant de nombreuses années, les ouvrages traduits venaient le plus souvent de la Suède pour être traduits en français (Gossas & Lindgren, 2011). Dans l’autre sens, on trouvait des imagiers plus ou moins sans texte, des bandes-dessinées (surtout franco-belges), des retraductions et quelques classiques comme les très populaires ouvrages de Jules Verne ou Le Petit Prince. Or, la littérature jeunesse française est certes abondante – et ce même si l’on s’en tient aux livres publiés en France, mais aussi souvent de grande qualité littéraire et iconique, ce qui devrait a priori encourager sa diffusion. Cette littérature a de surcroît la chance de pouvoir surfer sur la vague actuelle des traductions du français au suédois de livres ne faisant pas partie de cette catégorie. Mais il est bien connu que le système littéraire suédois de la littérature jeunesse comporte peu de livres traduits, en dehors des traductions massives d’ouvrages en anglais. Les questions auxquelles nous répondrons lors de notre présentation sont : Quels sont les livres actuellement traduits du français vers le suédois ? Qui les traduit (quels éditeurs et quels traducteurs) ? Nous allons ainsi montrer quelle a été l’évolution depuis 1970 jusqu’à nos jours. Nous ferons aussi le lien avec nos études précédentes concernant le sens inverse, c’est-à-dire la traduction en français de la littérature suédoise contemporaine pour la jeunesse et de nos résultats en la matière sur les livres traduits, les éditeurs et les traducteurs. Nous utiliserons comme base théorique la théorie du polysystème (Even-Zohar), notamment concernant le rôle de la littérature traduite dans un système littéraire, et les études descriptives de la traduction (voir Toury, Shavit, etc.).
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Inclut la bibliographie
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Project de Coopération Internationale pour le Développement complété par l'Université de Las Palmas de Gran Canaria (ULPGC) et l'Université Gaston Berger, financié par la Direction Générale pour les relations avec l'Afrique du Gouvernement des Canaries et géré par le Centre Universitaire de Coopération Internationale pour le Développement (CUCID) de l'ULPGC et l'FULP, Setembre 2010-Février 2012.
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Prima di parlare di lotto zero, credo sia opportuno inquadrare in modo più preciso il significato che riveste la Secante per Cesena. La Secante è senza dubbio l’opera più rilevante e strategica in assoluto degli ultimi decenni ed è destinata a incidere in modo profondo (almeno così ci auguriamo) sulla vita della città, contribuendo a migliorarla sensibilmente. A questa arteria è affidato il compito di raccogliere tutto il traffico di attraversamento di Cesena, e specialmente quello rappresentato dai mezzi pesanti, che gravita principalmente sulla via Emilia, creando da tempo una situazione difficile, ma che negli ultimi anni è divenuta pressoché insostenibile: sono molte migliaia i veicoli che ogni giorno percorrono questa strada che già dalla fine degli anni Sessanta ha cessato di essere periferica e che ai giorni nostri fa ormai parte del centro urbano. La Secante, una volta completata, porrà un rimedio definitivo a questa situazione: secondo le previsioni, sarà in grado di smaltire in modo efficiente circa 40mila veicoli al giorno e, quindi, di rispondere alle necessità di circolazione della città per almeno i prossimi 20-30 anni. Proprio per l’importanza che il nuovo asse di collegamento riveste, diventa fondamentale garantirne la massima fruibilità, dedicando estrema attenzione non solo alla funzionalità della struttura in sé ( per altro progettata con criteri d’avanguardia, soprattutto per la parte in galleria, che si configura come il primo eco-tunnel italiano ), ma anche al complesso delle opere di collegamento con la viabilità preesistente: svincoli, nodi stradali, nuove connessioni. È in questo quadro che si inserisce il cosiddetto “lotto zero”, cioè quel tratto stradale che prolungherà il primo lotto della Secante verso Forlì e avrà una lunghezza pari a circa 1 chilometro. Entrando nel dettaglio, questo lotto dovrà portare il traffico in uscita dalla Secante dalla via comunale San Cristoforo alla via Provinciale San Giuseppe, sicuramente più idonea a sopportare l’importante mole di traffico veicolare e meglio collegata alla viabilità principale. Il lotto zero si congiungerà con la via Emilia attraverso la già esistente rotatoria davanti al cimitero di Diegaro. Naturalmente, il nuovo tratto sarà dotato di barriere acustiche: si è pensato a strutture in lamiera di acciaio, con funzioni fonoassorbenti e fonoisolanti, per una lunghezza totale di circa 310 metri. Il costo complessivo dell’opera si aggira intorno ai 25 milioni di euro. Il Comune di Cesena considera questo intervento irrinunciabile, e per questo si stanno valutando le soluzioni più opportune per una sua realizzazione in tempi ragionevolmente brevi. Non a caso, per accelerare le procedure già nel 2004 l’Amministrazione Comunale di Cesena e l’Amministrazione Provinciale di Forlì – Cesena hanno deciso di finanziare direttamente il progetto, e sono stati avviati contatti con i ministeri delle Infrastrutture e dell’Ambiente per sollecitarne l’approvazione e la conseguente disponibilità di fondi. D’altro canto, non si può dimenticare che il lotto zero s’inserisce nella necessità più complessiva di un nuovo assetto della viabilità del territorio, che troverà una risposta definitiva con il progetto della cosiddetta via Emilia bis. Si tratta di un intervento prioritario non solo per Cesena, ma per tutta la Romagna, e che acquisisce un significato ancor più rilevante alla luce del recente progetto relativo alla Civitavecchia-Orte-Cesena-Ravenna-Mestre. In quest’ottica, il lotto zero assume una funzione indispensabile per armonizzare la grande circolazione che gravita sul nodo cesenate, destinato a diventare ancora più rilevante nel momento in cui si svilupperà la dorsale autostradale appenninica, la futura E45/E55.
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La proliferazione di strutture di difesa costiere ha determinato un interesse crescente circa l’ecologia di questi ambienti artificiali. Ricerche precedenti svolte lungo le coste del Nord Adriatico avevano evidenziato che mentre i substrati naturali in questa regione sono abbondantemente colonizzati da specie algali, i substrati artificiali tendono ad essere quantitativamente poveri di specie algali e dominati da specie di invertebrati. La seguente tesi ha analizzato l’ipotesi che tali differenze nella crescita di alghe tra habitat naturali ed artificiali potessero essere legate ad una iversa pressione da parte di organismi erbivori. Il lavoro si è focalizzato sulla specie Cystoseira barbata che è naturalmente presente nella regione di studio, ma che negli ultimi 70 anni ha subito una significativa regressione. Si volevano pertanto analizzare i fattori che possono favorire o inibire la crescita di Cystoseira su strutture artificiali di difesa costiera, al fine di poter valutare la possibilità di utilizzare questi substrati artificiali come mezzo per la conservazione di questa specie. I principali obiettivi del lavoro erano: 1. individuare e caratterizzare le potenziali specie erbivore presenti nei siti di studio che potessero limitare la crescita di C. barbata 2. analizzare se ci sono differenze nell’abbondanza di erbivori tra i siti artificiali e quelli naturali. 3. testare se il diverso stadio di sviluppo dell’alga o le modalità di trapianto potessero influenzarne la suscettibilità alla predazione. Mediante esperimenti in campo ho testato gli effetti dell’esclusione di erbivori sulla sopravvivenza e la crescita di Cystoseira barbata. Ho inoltre effettuato test in laboratorio determinare per individuare il potenziale ruolo come erbivori di varie tipologie di organismi, quali anfipodi, paguri e pesci. I risultati confermano l’importanza dell’erbivoria nel determinare il successo dei trapianti e ci dicono che gli erbivori da ricercare superano 1 cm di grandezza. In più, si è osservato che modalità di trapianto che distanzino i talli dal fondo aumentano la sopravvivenza dei talli, mentre non sono state osservate differenze in funzione della taglia dell’alga. Attraverso i test di laboratorio è stato possibile escludere gli Anfipodi come potenziali erbivori mentre Pagurus bernardus ha dimostrato un’effettiva azione di consumo dell’alga. Al contrario, i tests effettuati per approfondire la dieta di alcune specie di blennidi, composta almeno in parte da alghe, non hanno fornito conferme, almeno per il momento. Mediante visual census, si è inoltre escluso il ruolo di grandi erbivori quali ricci e salpe, scarsi nei siti di studio. Il lavoro fino a qui svolto indica, tuttavia, chiaramente che gli ambienti artificiali possono essere influenzati dall’azione di organismi predatori in maniera maggiore rispetto agli ambienti rocciosi circostanti. Questa ipotesi è particolarmente interessante in quanto rappresenterebbe una differenza fondamentale nel funzionamento delle strutture artificiali rispetto agli ambienti rocciosi naturali.