723 resultados para Scoliosi, Trattamento Chirurgico, Strumentazione, Fallimenti Chirurgici


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PRESUPPOSTI: Le tachicardie atriali sono comuni nei GUCH sia dopo intervento correttivo o palliativo che in storia naturale, ma l’incidenza è significativamente più elevata nei pazienti sottoposti ad interventi che prevedono un’estesa manipolazione atriale (Mustard, Senning, Fontan). Il meccanismo più frequente delle tachicardie atriali nel paziente congenito adulto è il macrorientro atriale destro. L’ECG è poco utile nella previsione della localizzazione del circuito di rientro. Nei pazienti con cardiopatia congenita sottoposta a correzione biventricolare o in storia naturale il rientro peritricuspidale costituisce il circuito più frequente, invece nei pazienti con esiti di intervento di Fontan la sede più comune di macrorientro è la parete laterale dell’atrio destro. I farmaci antiaritmici sono poco efficaci nel trattamento di tali aritmie e comportano un’elevata incidenza di effetti avversi, soprattutto l’aggravamento della disfunzione sinusale preesistente ed il peggioramento della disfunzione ventricolare, e di effetti proaritmici. Vari studi hanno dimostrato la possibilità di trattare efficacemente le IART mediante l’ablazione transcatetere. I primi studi in cui le procedure venivano realizzate mediante fluoroscopia tradizionale, la documentazione di blocco di conduzione translesionale bidirezionale non era routinariamente eseguita e non tutti i circuiti di rientro venivano sottoposti ad ablazione, riportano un successo in acuto del 70% e una libertà da recidiva a 3 anni del 40%. I lavori più recenti riportano un successo in acuto del 94% ed un tasso di recidiva a 13 mesi del 6%. Questi ottimi risultati sono stati ottenuti con l’utilizzo delle moderne tecniche di mappaggio elettroanatomico e di cateteri muniti di sistemi di irrigazione per il raffreddamento della punta, inoltre la dimostrazione della presenza di blocco di conduzione translesionale bidirezionale, l’ablazione di tutti i circuiti indotti mediante stimolazione atriale programmata, nonché delle sedi potenziali di rientro identificate alla mappa di voltaggio sono stati considerati requisiti indispensabili per la definizione del successo della procedura. OBIETTIVI: riportare il tasso di efficia, le complicanze, ed il tasso di recidiva delle procedure di ablazione transcatetere eseguite con le moderne tecnologie e con una rigorosa strategia di programmazione degli obiettivi della procedura. Risultati: Questo studio riporta una buona percentuale di efficacia dell’ablazione transcatetere delle tachicardie atriali in una popolazione varia di pazienti con cardiopatia congenita operata ed in storia naturale: la percentuale di successo completo della procedura in acuto è del 71%, il tasso di recidiva ad un follow-up medio di 13 mesi è pari al 28%. Tuttavia se l’analisi viene limitata esclusivamente alle IART il successo della procedura è pari al 100%, i restanti casi in cui la procedura è stata definita inefficace o parzialmente efficace l’aritmia non eliminata ma cardiovertita elettricamente non è un’aritmia da rientro ma la fibrillazione atriale. Inoltre, sempre limitando l’analisi alle IART, anche il tasso di recidiva a 13 mesi si abbassa dal 28% al 3%. In un solo paziente è stato possibile documentare un episodio asintomatico e non sostenuto di IART al follow-up: in questo caso l’aspetto ECG era diverso dalla tachicardia clinica che aveva motivato la prima procedura. Sebbene la diversa morfologia dell’attivazione atriale all’ECG non escluda che si tratti di una recidiva, data la possibilità di un diverso exit point del medesimo circuito o di un diverso senso di rotazione dello stesso, è tuttavia più probabile l’emergenza di un nuovo circuito di macrorientro. CONCLUSIONI: L'ablazione trancatetere, pur non potendo essere considerata una procedura curativa, in quanto non in grado di modificare il substrato atriale che predispone all’insorgenza e mantenimento della fibrillazione atriale (ossia la fibrosi, l’ipertrofia, e la dilatazione atriale conseguenti alla patologia e condizione anatomica di base)è in grado di assicurare a tutti i pazienti un sostanziale beneficio clinico. È sempre stato possibile sospendere l’antiaritmico, tranne 2 casi, ed anche nei pazienti in cui è stata documentata una recidiva al follow-up la qualità di vita ed i sintomi sono decisamente migliorati ed è stato ottenuto un buon controllo della tachiaritmia con una bassa dose di beta-bloccante. Inoltre tutti i pazienti che avevano sviluppato disfunzione ventricolare secondaria alla tachiaritmia hanno presentato un miglioramento della funzione sistolica fino alla normalizzazione o al ritorno a valori precedenti la documentazione dell’aritmia. Alla base dei buoni risultati sia in acuto che al follow-up c’è una meticolosa programmazione della procedura e una rigorosa definizione degli endpoint. La dimostrazione del blocco di conduzione translesionale bidirezionale, requisito indispensabile per affermare di aver creato una linea continua e transmurale, l’ablazione di tutti i circuiti di rientro inducibili mediante stimolazione atriale programmata e sostenuti, e l’ablazione di alcune sedi critiche, in quanto corridoi protetti coinvolti nelle IART di più comune osservazione clinica, pur in assenza di una effettiva inducibilità periprocedurale, sono obiettivi necessari per una procedura efficace in acuto e a distanza. Anche la disponibilità di moderne tecnologie come i sistemi di irrigazione dei cateteri ablatori e le metodiche di mappaggio elettroanantomico sono requisiti tecnici molto importanti per il successo della procedura.

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Il progetto prevede l’applicazione dell’analisi del ciclo di vita al sistema integrato di raccolta, riciclaggio e smaltimento dei rifiuti urbani e assimilati. La struttura di una LCA (Life Cycle Assessment) è determinata dalla serie di norme UNI EN ISO 14040 e si può considerare come “un procedimento oggettivo di valutazione dei carichi energetici e ambientali relativi a un processo o un’attività, effettuato attraverso l’identificazione dell’energia e dei materiali usati e dei rifiuti rilasciati nell’ambiente. La valutazione include l’intero ciclo di vita del processo o attività, comprendendo l’estrazione e il trattamento delle materie prime, la fabbricazione, il trasporto, la distribuzione, l’uso, il riuso, il riciclo e lo smaltimento finale”. Questa definizione si riassume nella frase “ from cradle to grave” (dalla culla alla tomba). Lo scopo dello studio è l’applicazione di una LCA alla gestione complessiva dei rifiuti valutata in tre territori diversi individuati presso tre gestori italiani. Due di questi si contraddistinguono per modelli di raccolta con elevati livelli di raccolta differenziata e con preminenza del sistema di raccolta domiciliarizzato, mentre sul territorio del terzo gestore prevale il sistema di raccolta con contenitori stradali e con livelli di raccolta differenziata buoni, ma significativamente inferiori rispetto ai Gestori prima descritti. Nella fase iniziale sono stati individuati sul territorio dei tre Gestori uno o più Comuni con caratteristiche abbastanza simili come urbanizzazione, contesto sociale, numero di utenze domestiche e non domestiche. Nella scelta dei Comuni sono state privilegiate le realtà che hanno maturato il passaggio dal modello di raccolta a contenitori stradali a quello a raccolta porta a porta. Attuata l’identificazione delle aree da sottoporre a studio, è stato realizzato, per ognuna di queste aree, uno studio LCA dell’intero sistema di gestione dei rifiuti, dalla raccolta allo smaltimento e riciclaggio dei rifiuti urbani e assimilati. Lo studio ha posto anche minuziosa attenzione al passaggio dal sistema di raccolta a contenitori al sistema di raccolta porta a porta, evidenziando il confronto fra le due realtà, nelle fasi pre e post passaggio, in particolare sono stati realizzati tre LCA di confronto attraverso i quali è stato possibile individuare il sistema di gestione con minori impatti ambientali.

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Il carcinoma epatocellulare (HCC) è il più frequente tumore maligno del fegato e rappresenta il sesto tipo di tumore più comune nel mondo. Spesso i pazienti con HCC vengono diagnosticati a stadi piuttosto avanzati, quando le uniche opzioni terapeutiche in grado di migliorarne la sopravvivenza sono la chemoembolizzazione dell'arteria epatica ed il trattamento con l'inibitore multi-cinasico, Sorafenib. In questo contesto, la scoperta del ruolo centrale dei microRNA (miRNA) nella tumorigenesi umana risulta di fondamentale importanza per lo sviluppo di nuovi marcatori diagnostici e bersagli terapeutici. I microRNA (miRNA) sono delle piccole molecole di RNA non codificante, della lunghezza di 19-22 nucleotidi, filogeneticamente molto conservati, ed esercitano un ruolo cruciale nella regolazione di importanti processi fisiologici, quali sviluppo, proliferazione, differenziamento, apoptosi e risposta a numerosi segnali extracellulari e di stress. I miRNA sono inoltre responsabile della fine regolazione dell'espressione di centinaia di geni bersaglio attraverso il blocco della traduzione o la degradazione dell'mRNA target. Studi di profiling hanno evidenziato l'espressione aberrante di specifici miRNA in numerosi tipi di tumore umano. Lo scopo del presente lavoro è stato quello di individuare un pannello di miRNA deregolati nell'epatocarcinoma umano e di caratterizzare il ruolo biologico di tre miRNA deregolati nell'HCC, al fine di individuare alcuni dei meccanismi molecolari alla base della trasformazione maligna miRNA-associata. La nostra ricerca è stata inoltre focalizzata nell'individuazione di nuovi bersagli e strumenti terapeutici, quali i microRNA, per il trattamento combinato di HCC in stadio intermedio-avanzato.

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I RAEE (Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche) costituiscono un problema prioritario a livello europeo per quanto riguarda la loro raccolta, stoccaggio, trattamento, recupero e smaltimento, essenzialmente per i seguenti tre motivi: Il primo riguarda le sostanze pericolose contenute nei RAEE. Tali sostanze, nel caso non siano trattate in modo opportuno, possono provocare danni alla salute dell’uomo e all’ambiente. Il secondo è relativo alla vertiginosa crescita relativa al volume di RAEE prodotti annualmente. La crescita è dovuta alla continua e inesorabile commercializzazione di prodotti elettronici nuovi (è sufficiente pensare alle televisioni, ai cellulari, ai computer, …) e con caratteristiche performanti sempre migliori oltre all’accorciamento del ciclo di vita di queste apparecchiature elettriche ed elettroniche (che sempre più spesso vengono sostituiti non a causa del loro malfunzionamento, ma per il limitato livello di performance garantito). Il terzo (ed ultimo) motivo è legato all’ambito economico in quanto, un corretto trattamento dei RAEE, può portare al recupero di materie prime secondarie (alluminio, ferro, acciaio, plastiche, …) da utilizzare per la realizzazione di nuove apparecchiature. Queste materie prime secondarie possono anche essere vendute generando profitti considerevoli in ragione del valore di mercato di esse che risulta essere in costante crescita. Questo meccanismo ha portato a sviluppare un vasto quadro normativo che regolamenta tutto l’ambito dei RAEE dalla raccolta fino al recupero di materiali o al loro smaltimento in discarica. È importante inoltre sottolineare come lo smaltimento in discarica sia da considerarsi come una sorta di ‘ultima spiaggia’, in quanto è una pratica piuttosto inquinante. Per soddisfare le richieste della direttiva l’obiettivo dev’essere quello di commercializzare prodotti che garantiscano un minor impatto ambientale concentrandosi sul processo produttivo, sull’utilizzo di materiali ‘environmentally friendly’ e sulla gestione consona del fine vita. La Direttiva a livello europeo (emanata nel 2002) ha imposto ai Paesi la raccolta differenziata dei RAEE e ha definito anche un obiettivo di raccolta per tutti i suoi Stati Membri, ovvero 4 kg di RAEE raccolti annualmente da ogni abitante. Come riportato di seguito diversi paesi hanno raggiunto l’obiettivo sopra menzionato (l’Italia vi è riuscita nel 2010), ma esistono anche casi di paesi che devono necessariamente migliorare il proprio sistema di raccolta e gestione dei RAEE. Più precisamente in Italia la gestione dei RAEE è regolamentata dal Decreto Legislativo 151/2005 discusso approfonditamente in seguito ed entrato in funzione a partire dal 1° Gennaio 2008. Il sistema italiano è basato sulla ‘multi consortilità’, ovvero esistono diversi Sistemi Collettivi che sono responsabili della gestione dei RAEE per conto dei produttori che aderiscono ad essi. Un altro punto chiave è la responsabilità dei produttori, che si devono impegnare a realizzare prodotti durevoli e che possano essere recuperati o riciclati facilmente. I produttori sono coordinati dal Centro di Coordinamento RAEE (CDC RAEE) che applica e fa rispettare le regole in modo da rendere uniforme la gestione dei RAEE su tutto il territorio italiano. Il documento che segue sarà strutturato in quattro parti. La prima parte è relativa all’inquadramento normativo della tematica dei RAEE sia a livello europeo (con l’analisi della direttiva ROHS 2 sulle sostanze pericolose contenute nei RAEE e la Direttiva RAEE), sia a livello italiano (con un’ampia discussione sul Decreto Legislativo 151/2005 e Accordi di Programma realizzati fra i soggetti coinvolti). La seconda parte tratta invece il sistema di gestione dei RAEE descrivendo tutte le fasi principali come la raccolta, il trasporto e raggruppamento, il trattamento preliminare, lo smontaggio, il riciclaggio e il recupero, il ricondizionamento, il reimpiego e la riparazione. La terza definisce una panoramica delle principali metodologie di smaltimento dei 5 raggruppamenti di RAEE (R1, R2, R3, R4, R5). La quarta ed ultima parte riporta i risultati a livello italiano, europeo ed extra-europeo nella raccolta dei RAEE, avvalendosi dei report annuali redatti dai principali sistemi di gestione dei vari paesi considerati.

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Questo lavoro di tesi intende approfondire gli aspetti relativi alla valorizzazione della frazione organica da rifiuti solidi urbani (FORSU) per la produzione di biogas mediante fermentazione anaerobica. In particolare sono stati studiati pretrattamenti di tipo enzimatico al fine di agevolare la fase di idrolisi della sostanza organica che costituisce uno degli stadi limitanti la resa del processo di produzione di biogas. A tal fine sono stati caratterizzati e selezionati alcuni preparati enzimatici commerciali indicati per il trattamento di matrici ligno-cellulosiche per le loro attività carboidrasiche come quella amilasica, xilanasica e pectinasica. Gli esperimenti hanno comportato la necessità di fare un’approfondita analisi merceologica della FORSU al fine di poter sviluppare un sistema modello da utilizzare per le prove di laboratorio. L’azione enzimatica è stata verificata sulla FORSU modello sottoposta a vari pre-trattamenti termici e meccanici in cui l’azione idrolitica è stata maggiormente osservata per quelle frazioni tipicamente di origine amidacea. I risultati di laboratorio sono stati poi utilizzati per valutare un’estrapolazione industriale del pre-trattamento su un impianto che tratta FORSU per produrre biogas attraverso un processo di fermentazione industriale dry in biocella.

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Questo lavoro di tesi rientra nel progetto europeo SaveMe, al quale partecipa il gruppo di ricerca del dipartimento di chimica organica nel quale ho svolto l’attività di tirocinio. Obiettivo finale di tale progetto è la sintesi di nanoparticelle a base di PLGA (acido poli(D,L-lattico-co-glicolico)) superficialmente funzionalizzate con biomolecole, per l’impiego nel trattamento e nella diagnosi del cancro al pancreas. L’obiettivo da raggiungere nel primo anno di ricerca per il mio gruppo era la sintesi delle nanoparticelle centrali (core nanosystems). Nel presente lavoro sono quindi riportati i metodi di sintesi di polimeri derivati da PLGA e suoi copolimeri con PEG (polietilenglicole) aventi vari gruppi funzionali terminali: acidi idrossamici, amminici e acidi carbossilici. I polimeri sintetizzati sono stati caratterizzati tramite test colorimetrici qualitativi, 1H-NMR, 13C-NMR, spettrometria IR e TGA. Sono state sintetizzate nanoparticelle polimeriche (PNPs), con le tecniche Oil/Water (O/W) e nanoprecipitazione (NP), basate sui polimeri ottenuti, aventi quindi funzioni acide, idrossamiche ed amminiche sulla superficie. Su queste PNPs è stato effettuata una decorazione superficiale con nanoparticelle metalliche di maghemite (CAN-Maghemite). Le nanoparticelle polimeriche sono state caratterizzate tramite DLS e delle PNPs decorate sono state ottenute immagini TEM. Sono riportati inoltre i test di viabilità cellulare delle nanoparticelle ottenute.

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La gestione di fanghi da dragaggio richiede una buona conoscenza della natura degli inquinanti da cui essi sono contaminati. Questo studio si è posto l’obiettivo di individuare una strategia di caratterizzazione applicata a sedimenti dragati nel Porto di Ravenna. Particolare attenzione è stata rivolta allo studio della mobilità degli inquinanti inorganici (metalli pesanti), sia sul materiale tal quale che sui residui ottenuti dopo trattamento di soil washing, operazione prevista al fine di separare sabbie a basso carico di contaminanti dalla frazione sitosa-argillosa dove si ha la maggior concentrazione di contaminanti. Lo studio sulla mobilità è stato eseguito avvalendosi di opportuni test di rilascio, valutando gli effetti di diversi parametri, quali pH, tempo di dilavamento, rapporto solido-liquido. In conclusione, dai risultati della caratterizzazione chimica si è potuto valutare l’efficienza del Soil Washing sui sedimenti trattati: efficienza elevata per le componenti organiche, meno vistosa la decontaminazione dei metalli sulle sabbie per valori bassi di contaminazione. I sedimenti e le sabbie non presentano livelli di contaminazione preoccupanti, cosa che li renderebbe idonei al riuso secondo le modalità previste. Il metallo la cui lisciviazione dipende maggiormente dal pH è lo Zn, il Cu è il metallo più influenzato dalla complessazione con la sostanza organica, l’As è l’unico metallo ad avere massima lisciviazione a pH basico. Dopo trattamento Soil Washing tutti i metalli ad esclusione di Cu e del Fe aumentano la loro mobilità nella frazione fina rispetto al sedimento tal quale.

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L’attuale condizione che caratterizza il settore energetico richiede un necessario processo di riconversione che, oltre a favorire il risparmio energetico, riduca la dipendenza dai combustibili fossili ed accresca l’impiego di fonti energetiche rinnovabili, dando un contributo fondamentale alla riduzione delle emissioni di gas serra come diversi accordi internazionali richiedono. Si rende pertanto necessario accelerare i processi che da alcuni anni stanno favorendo l’utilizzo di energia da fonti rinnovabili. Tra queste, le fonti legate ai processi di trattamento biologico dei reflui stanno avendo un interessante sviluppo. Esistono numerosi processi biologici che consentono la produzione di energia in maniera indiretta, quali ad esempio i processi di digestione anaerobica finalizzati alla produzione di biogas e/o produzione biologica di idrogeno. In tale contesto si inserisce la tecnologia delle Microbial Fuel Cell, che consente la produzione diretta di energia elettrica, finalizzata al recupero energetico inteso al miglioramento dell’efficienza energetica e alla riduzione dei costi d’esercizio di impianti di trattamento biologico dei reflui. Il presente lavoro di Tesi di Dottorato sperimentale, svoltosi in collaborazione al laboratorio PROT.-IDR. della sede ENEA di Bologna, riporta i risultati dell’attività di ricerca condotta su una MFC (Microbial Fuel Cell) a doppio stadio biologico per il trattamento di reflui ad elevato carico organico e produzione continua di energia elettrica. E’ stata provata l’applicabilità della MFC con entrambi i comparti biotici utilizzando elettrodi di grafite non trattata ottenendo, con un carico organico in ingresso di circa 9 gd-1, valori di potenza massima prodotta che si attestano su 74 mWm-2, corrente elettrica massima generata di 175 mAm-2 ad una tensione di 421 mV, ed una conversione di COD in elettricità pari a 1,2 gCODm-2d-1. I risultati sono stati molto positivi per quanto riguarda le prestazioni depurative ottenute dalla MFC. L’efficienza di depurazione misurata ha raggiunto un valore massimo del 98% di rimozione del COD in ingresso, mentre e la concentrazione di azoto ammoniacale nell’effluente raccolto all’uscita del sedimentatore è sempre stata inferiore a 1 mgN-NH4+l-1. Tra gli obiettivi posti all’inizio della sperimentazione si è rivelata di notevole interesse la valutazione del possibile utilizzo della MFC come sistema per il monitoraggio on-line del COD e degli acidi grassi volatili (VFA) prodotti all’interno di un digestore anaerobico, attraverso la definizione di una correlazione tra i dati elettrici registrati in continuo e le concentrazioni di CODanaer e VFA misurate in diversi periodi della sperimentazione. L’analisi DGGE della biomassa catodica ha fornito uno strumento analitico utile allo studio della diversità della comunità microbica sospesa ed adesa al catodo e ha confermato la forte similarità delle specie batteriche riconosciute nei campioni analizzati. In particolare, le bande di sequenziamento ottenute sono affiliate ai gruppi batterici Firmicutes, -Proteobacteria,  -Proteobacteria, -Proteobacteria e Bacteroidetes. Da quanto emerso dalla sperimentazione condotta si può pertanto concludere che ad oggi le MFC sono in fase di evoluzione rispetto ai primi prototipi utilizzati per lo studio delle comunità microbiali e per la comprensione dei meccanismi di trasferimento elettronico. Sfruttarne la potenza prodotta in maniera commerciale diviene una grande sfida per il futuro, ed è opinione comune che le prime applicazioni pratiche delle MFC saranno come fonte di recupero energetico per i dispositivi utilizzati per il monitoraggio dell’ambiente e per il trattamento delle acque reflue.

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L’attività di ricerca ha riguardato lo studio di popolazioni di cellule staminali mesenchimali umane (MSC) ottenute da molteplici tessuti adulti. Sono state investigate sorgenti di MSC alternative al midollo osseo, libere da conflitti etici, dotate di vantaggi per l’applicabilità clinica che vanno dalla elevata resa nel recupero cellulare alla tessuto-specificità. Le cellule ottenute dalle diverse sorgenti sono state caratterizzate immunofenotipicamente, commissionate mediante protocolli di induzione specifici per i diversi tipi cellulari ed analizzate con opportuni saggi istologici, immunoistochimici, di espressione genica e proteica. Esperimenti di cocoltura hanno permesso la descrizione di capacità immunomodulatorie e trofiche. - La placenta a termine risulta essere una ricca sorgente di cellule staminali mesenchimali (MSC). Dalla membrana amniotica, dal corion e dalla gelatina di Wharton del cordone ombelicale sono state ottenute MSC con potenzialità differenziative verso commissionamenti mesenchimali, con capacità immunomodulatorie e trofiche. Tali tessuti sono ampiamente disponibili, garantiscono una elevata resa nel recupero cellulare e sono liberi da conflitti etici. - Due popolazioni di cellule con caratteristiche di MSC sono state individuate nella mucosa e nella sottomucosa intestinale. Queste cellule possiedono caratteristiche di tessuto-specificità, sono dotate di attività trofiche ed immunomodulatorie che potrebbero essere vantaggiose per approcci di terapia cellulare in patologie quali le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (IBD). - Popolazioni di cellule staminali con caratteristiche simili alle MSC sono state ottenute da isole pancreatiche. Tali popolazioni possiedono vantaggi di tessuto-specificità per approcci di terapia cellulare per il Diabete. - Sono stati investigati ed individuati marcatori molecolari (molecole HLA-G) correlati con il livello di attività immunomodulatoria delle MSC. La valutazione di tali marcatori potrebbere permettere di determinare l’attività immunosoppressiva a priori del trapianto, con l’obiettivo di scegliere le popolazioni di MSC più adatte per l’applicazione e di definirne il dosaggio. - E’ stato messa a punto una metodica e una strumentazione per il frazionamento di cellule staminali in Campo Flusso in assenza di marcatura (NEEGA-DF). Questa metodica permette di discriminare sottopopolazioni cellulari in base a caratteristiche biofisiche.

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In questa dissertazione viene descritto un sistema sviluppato per ottenere una rappresentazione a tre dimensioni in real time di una superficie. Il sistema si avvale di alcune tecniche di ottimizza- zione e di trattamento dell’immagine e sfrutta dispositivi comuni e di facile reperibilita`: una videocamera e un proiettore.

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E’ stimato che circa 4.000 sostanze diverse vengano utilizzate nella medicina umana, fra cui soprattutto analgesici, antinfiammatori, contraccettivi, antibiotici, beta-bloccanti, regolatori lipidici, composti neuroattivi e molti altri. Inoltre un elevato numero di farmaci, spesso simili a quelli umani tra cui antibiotici e antinfiammatori, viene usato nella medicina veterinaria. L’uso può essere diverso nei diversi Paesi ma farmaci quali l’ibuprofene, la carbamazepina, o i beta-bloccanti vengono consumati in quantità di tonnellate per anno. Le analisi chimiche hanno riscontrato la presenza dei residui dei farmaci nelle acque reflue dai depuratori, nei fiumi e nei laghi in maniera ubiquitaria a concentrazioni nell’intervallo di 10-1000 ng/L. Come ci si aspetta, i farmaci sono molto concentrati nelle acque reflue degli ospedali, tuttavia la percentuale di farmaci provenienti dagli ospedali è stata valutata complessivamente non oltre il 20% del quantitativo totale. L’origine preponderante dei farmaci proviene dall’uso domiciliare, per cui gli impianti municipali di raccolta delle acqua di rifiuto sono la maggiore via di ingresso in ambiente. Una volta ingeriti e metabolizzati, i farmaci vengono escreti via urine o feci e introdotti nella rete fognaria fino alle sedi di trattamento delle acque. Altra sorgente è rappresentata dalle manifatture dei farmaci, dalle quali possono derivare scarichi illegali o accidentali. Una sorgente importante di farmaci, soprattutto di antibiotici, è rappresentata dagli allevamenti animali, sia in ambienti interni che al pascolo, e dall’acquacoltura. Nel primo caso in particolare vengono prodotti e raccolti una grande quantità di rifiuti, che di solito sono accumulati temporaneamente e poi dispersi sui suoli agricoli. I farmaci presenti nei suoli possono essere trasportati alle acque sotterranee, o dilavati a livello superficiale contribuendo ad aumentare il livello di farmaci nei corsi d’acqua oppure una volta sciolti nell’acqua interstiziale possono essere assunti dai vegetali. Gli impianti di depurazione attuali non sono pianificati per eliminare microinquinanti altamente polari come i farmaci, e in relazione alle differenti molecole la eliminazione può essere in percentuale diversa, spesso anche molto bassa. I test ecotossicologici di tipo acuto utilizzati per molto tempo per valutare la tossicità dei farmaci ambientali hanno riportato effetti soltanto a concentrazioni superiori a quelle ambientali; nei 2-3 anni più recenti tuttavia è stato messo in luce come, già a basse concentrazioni, alcuni farmaci modifichino le attività riproduttive o il metabolismo di pesci e molluschi. Da qui è nata l’esigenza di studiare quale sia la possibile interazione dei residui dei farmaci con la fauna acquatica a concentrazioni compatibili con quelle ambientali, e valutare il meccanismo d’azione sfruttando per quanto possibile le conoscenze disponibili per i farmaci messi in commercio. I farmaci infatti sono composti disegnati per avere effetti terapeutici attraverso specifici meccanismi d’azione. Negli organismi non bersaglio che risultano esposti ai residui dei farmaci in ambiente, queste sostanze potrebbero però indurre effetti simili a quelli specifici nel caso i bersagli molecolari siano stati conservati durante l’evoluzione. Inoltre, i farmaci manifestano effetti collaterali, in genere se usati a dosi elevate o per lungo tempo, e molto spesso si tratta di effetti ossidanti. E’ possibile che tali effetti siano indotti dai farmaci ambientali nei molluschi o nei pesci, magari a basse dosi se questi animali sono più sensibili dell’uomo. Lo scopo di questa tesi è stato quello di valutare nei mitili Mytilus galloprovincialis i potenziali effetti indotti dalla fluoxetina (farmaco antidepressivo), dal propranololo (farmaco β-bloccante), o dalla loro miscela con riferimento a quelli classificati come collaterali nell’uomo. In particolare, è stata studiata l’espressione di geni che codificano per gli enzimi antiossidanti catalasi (CAT), glutatione S transferasi (GST) e superossido dismutasi (SOD), mediatori della risposta allo stress ossidativo. I possibili effetti dei farmaci sono stati valutati dopo esposizione dei mitili Mytilus galloprovincialis per 7 giorni a fluoxetina (FX) e propranololo (PROP) ad un range di concentrazioni che comprendono quelle misurate in ambiente, e alla loro miscela alla concentrazione di 0,3 ng/l, scelta perché rappresentativa delle dosi inferiori dei due farmaci riscontrate in ambiente acquatico. I risultati hanno dimostrato che FX causa una generale diminuzione dell’espressione dei geni CAT, mentre per i geni codificanti per GST e SOD si osservano variazioni significative soltanto ad una concentrazione di FX, 300 e 3 ng/L rispettivamente. La riduzione dei livelli di espressione di CAT non sempre accompagnata dalla significativa variazione dei livelli di espressione di SOD e GST, può indicare che il sistema anti-ossidante non è in grado di adattarsi in modo efficiente all’alterazione indotta dall’esposizione a FX, portando ad un progressivo aumento dei livelli di stress. Per quanto riguarda gli effetti del PROP, i risultati ottenuti mostrano che nei mitili esposti a concentrazioni crescenti del farmaco i geni CAT e SOD risultano progressivamente sovra-espressi rispetto al controllo, anche se in maniera non significativa mentre i livelli di espressione di GST non sono significativamente alterati. I dati ottenuti esponendo i mitili alla miscela dei due farmaci, indicano che FX e PROP possono avere effetti interattivi sulla regolazione dei tre geni coinvolti nella risposta antiossidante. In presenza della miscela si osserva infatti una riduzione significativa dell’espressione del gene CAT, del gene GST mentre non ci sono effetti sul gene SOD. In conclusione, concentrazioni di PROP e FX nell’intervallo di quelle misurate in ambiente possono generare significativi effetti sui geni CAT, GST, e SOD. Come riscontrato nella precedente letteratura, l’attività o l’espressione degli enzimi antiossidanti risente molto dello stato fisiologico dei mitili e della stagionalità, quindi il ruolo degli enzimi antiossidanti come biomarker deve essere interpretato all’interno di batterie più ampie di risposte subletali degli organismi sentinella. Nel laboratorio questi dati sono stati ottenuti in precedenti lavoro di Tesi (Tosarelli, Tesi Magistrale in Biologia Marina, A.A. 2011; Inzolia, Tesi Magistrale in Biologia Marina, A.A. 2011). Le alterazioni ottenute a concentrazioni circa 1.000 volte inferiori rispetto a quelle efficaci nei test ecotossicologici acuti, dimostrano comunque che i farmaci possono avere effetti sugli organismi anche a concentrazioni molto basse come quelle ambientali. In particolare, poiché gli effetti ossidativi sono i più comuni effetti collaterali dei farmaci nell’Uomo che ne assuma elevate quantità o somministrazioni prolungate nel tempo, possiamo affermare che questi hanno luogo anche negli organismi non-target, a concentrazioni basse e dopo soli 7 giorni di esposizione. I dati della tesi non dimostrano che propranololo e fluoxetina hanno effetti deleteri sulle popolazioni o le comunità dei molluschi, ma debbono essere considerati come indicatori della vulnerabilità degli animali a questi composti.

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Organic electronics has grown enormously during the last decades driven by the encouraging results and the potentiality of these materials for allowing innovative applications, such as flexible-large-area displays, low-cost printable circuits, plastic solar cells and lab-on-a-chip devices. Moreover, their possible field of applications reaches from medicine, biotechnology, process control and environmental monitoring to defense and security requirements. However, a large number of questions regarding the mechanism of device operation remain unanswered. Along the most significant is the charge carrier transport in organic semiconductors, which is not yet well understood. Other example is the correlation between the morphology and the electrical response. Even if it is recognized that growth mode plays a crucial role into the performance of devices, it has not been exhaustively investigated. The main goal of this thesis was the finding of a correlation between growth modes, electrical properties and morphology in organic thin-film transistors (OTFTs). In order to study the thickness dependence of electrical performance in organic ultra-thin-film transistors, we have designed and developed a home-built experimental setup for performing real-time electrical monitoring and post-growth in situ electrical characterization techniques. We have grown pentacene TFTs under high vacuum conditions, varying systematically the deposition rate at a fixed room temperature. The drain source current IDS and the gate source current IGS were monitored in real-time; while a complete post-growth in situ electrical characterization was carried out. At the end, an ex situ morphological investigation was performed by using the atomic force microscope (AFM). In this work, we present the correlation for pentacene TFTs between growth conditions, Debye length and morphology (through the correlation length parameter). We have demonstrated that there is a layered charge carriers distribution, which is strongly dependent of the growth mode (i.e. rate deposition for a fixed temperature), leading to a variation of the conduction channel from 2 to 7 monolayers (MLs). We conciliate earlier reported results that were apparently contradictory. Our results made evident the necessity of reconsidering the concept of Debye length in a layered low-dimensional device. Additionally, we introduce by the first time a breakthrough technique. This technique makes evident the percolation of the first MLs on pentacene TFTs by monitoring the IGS in real-time, correlating morphological phenomena with the device electrical response. The present thesis is organized in the following five chapters. Chapter 1 makes an introduction to the organic electronics, illustrating the operation principle of TFTs. Chapter 2 presents the organic growth from theoretical and experimental points of view. The second part of this chapter presents the electrical characterization of OTFTs and the typical performance of pentacene devices is shown. In addition, we introduce a correcting technique for the reconstruction of measurements hampered by leakage current. In chapter 3, we describe in details the design and operation of our innovative home-built experimental setup for performing real-time and in situ electrical measurements. Some preliminary results and the breakthrough technique for correlating morphological and electrical changes are presented. Chapter 4 meets the most important results obtained in real-time and in situ conditions, which correlate growth conditions, electrical properties and morphology of pentacene TFTs. In chapter 5 we describe applicative experiments where the electrical performance of pentacene TFTs has been investigated in ambient conditions, in contact to water or aqueous solutions and, finally, in the detection of DNA concentration as label-free sensor, within the biosensing framework.

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Il presente lavoro di tesi riguarda la sintesi di nanopolveri allumina-zirconia, seguendo tre differenti metodologie (sintesi per coprecipitazione, sintesi con il metodo dei citrati, sintesi idrotermale assistita da microonde) e il trattamento termico (calcinazione) delle polveri ottenute, mediante tecniche di riscaldamento convenzionali ed alternative (microonde). Lo scopo del lavoro è consistito nell’individuare, tra le tecniche esaminate, quella più idonea e conveniente, per la preparazione di nanopolveri cristalline 95 mol% Al2O3 – 5 mol% ZrO2 e nell’esaminare gli effetti che la calcinazione condotta con le microonde, ha sulle caratteristiche finali delle polveri, rispetto ai trattamenti termici convenzionali. I risultati ottenuti al termine del lavoro hanno evidenziato che, tra le tecniche di sintesi esaminate, la sintesi idrotermale assistita da microonde, risulta il metodo più indicato e che, il trattamento termico eseguito con le microonde, risulta di gran lunga vantaggioso rispetto a quello convenzionale. La sintesi idrotermale assistita da microonde consente di ottenere polveri nano cristalline poco agglomerate, che possono essere facilmente disaggregate e con caratteristiche microstrutturali del tutto peculiari. L’utilizzo di tale tecnica permette, già dopo la sintesi a 200°C/2ore, di avere ossido di zirconio, mentre per ottenere gli ossidi di alluminio, è sufficiente un ulteriore trattamento termico a basse temperature e di breve durata (400°C/ 5 min). Si è osservato, inoltre, che il trattamento termico condotto con le microonde comporta la formazione delle fasi cristalline desiderate (ossidi di alluminio e zirconio), impiegando (come per la sintesi) tempi e temperature significativamente ridotti. L’esposizione delle polveri per tempi ridotti e a temperature più basse consente di evitare la formazione di aggregati duri nelle nanopolveri finali e di contrastare il manifestarsi di fenomeni di accrescimento di grani, preservando così la “nanostruttura” delle polveri e le sue caratteristiche proprietà.

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La tesi tratta l'istituto dell'arbitrato estero sotto la duplice prospettiva internazionale e italiana. Particolare attenzione è dedicata alla disciplina dettata in materia dalla Convenzione di New York del 1958 in tema di riconoscimento e l'esecuzione delle sentenze arbitrali estere, con uno sguardo preferenziale alle interpretazioni e alle applicazioni concrete della stessa in campo internazionale. Ugualmente si affrontano i temi che maggiormente interessano il fenomeno arbitrale, e segnatamente il regime di circolazione del suo prodotto finale, con particolare attenzione ai rapporti fra il fenomeno arbitrale da un lato e i sistemi giurisdizionali dall'altro (con riferimento all'applicabilità a livello internazionale di principi come la Competence-Competence o il rilievo del meccanismo del forum prorgatum). Illuminata la prospettiva internazionale si analizza l'istituto in chiave interna: dalla definizione del concetto di arbitrato interno ed estero secondo l'ordinamento italiano, all'analisi delle condizioni richieste per il riconoscimento e della relativa procedura, fino ad affrontare gli aspetti ancora discussi, in particolare in relazione al trattamento da riservarsi ai lodi de eadem re e in generale al regime giuridico da riconoscersi alla clausola che preveda arbitrato estero, anche il relazione alle evoluzioni giurisprudenziali e legislative degli ultimi anni. Lo studio si conclude con uno sguardo alla circolabilità extra moenia del prodotto arbitrale italiano.