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Progettazione e realizzazione di un dispositivo elettronico con lo scopo di coordinare e sincronizzare la presa dati del beam test del LUCID (CERN, luglio 2009) e tener traccia di tali eventi. Il circuito è stato progettato in linguaggio VHDL, simulato con il programma ModelSim, sintetizzato con il programma Quartus e implementato su un FPGA Cyclone residente su scheda di tipo VME 6U della CAEN. Infine la scheda è stata testata in laboratorio (verificandone il corretto funzionamento) assieme all'intero sistema di presa dati, e confermata per il beam test del LUCID.

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Lo scopo di questo studio è descrivere nel dettaglio la procedura di Valutazione Ambientale Strategica (VAS) relativa ai Piani Energetici Provinciali (PEP) al fine di delinearne un metodo efficace di valutazione, a partire dallo studio del caso della Provincia di Ravenna. In seguito alla mancanza di Linee Guida sulla VAS, si è ritenuta utile un´analisi comparativa tra metodologie e strumenti, e gli obiettivi specifici e generali che andrebbero rispettati in ogni VAS di un PEP. Lo studio si basa su confronti paralleli tra quattro casi di VAS di Piani Energetici Provinciali al fine di elaborare un modello di valutazione delle VAS, semplice e diretto, basato su contenuti teorici e metodologici provenienti da una selezione di studi e documenti nazionali e internazionali, di cui si è tenuto conto e da cui si sono estrapolate le migliori "Buone Pratiche" per la VAS. L´analisi seguente è stata effettuata attraverso matrici qualitative in cui, per ciascuna connessione tra metodologia e "obiettivo VAS" si è espresso un giudizio che cerca di tenere conto, quando possibile, dei criteri e dei principi generali di sostenibilità dettati dalle maggiori autorità e associazioni internazionali e nazionali di valutazione ambientale. Il confronto tra i quattro casi, ha evidenziato dei punti di debolezza nell´applicazione della Direttiva VAS. Questo studio inoltre, ha tra i suoi obiettivi, quello ambizioso di delineare un metodo efficace di valutazione strategica dei piani energetici provinciali, a partire dallo studio del caso della Provincia di Ravenna. Per questi obiettivi, si è deciso di impostare un programma di lavoro basato sui sistemi informativi geografici, che ha permesso di individuare le aree con potenziale di sviluppo energetico della risorsa solare. Nello specifico è stato possibile calcolare quanta “superficie utile”, presente nelle aree industriali e commerciali della Provincia, potrebbe essere sfruttata installandovi pannelli fotovoltaici. Si è riusciti con questa metodologia a fornire una stima più dettagliata delle reali potenzialità della risorsa solare in Provincia di Ravenna, individuando nel dettaglio territoriale le rispettive quote percentuali che potrebbero essere installate, per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità del piano. Il percorso iniziato con questa tesi consente di riflettere sulla necessità di approfondire il tema del rapporto tra valutazione ambientale qualitativa di uno strumento di pianificazione come la VAS, e la stima quantitativa sia della sostenibilità che del danno ambientale legato agli impatti negativi che questo strumento dovrebbe rilevare. Gli sviluppi futuri cui la tesi pone le basi sono l'implementazione di strumenti quantitativi di analisi delle potenzialità energetiche e di valutazione degli scenari. Questi strumenti sono necessari a definire i modelli ambientali per il supporto alle decisioni in campo energetico.

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Con il presente lavoro di tesi mi sono proposto di realizzare la Dichiarazione Ambientale EMAS di gruppo per la EDISON Stoccaggio S.p.A. Nell’affrontare questa tematica, ho avuto modo di comprendere a pieno la crescente importanza strategica che lo stoccaggio di gas naturale sta sempre più assumendo nei confronti della politica energetica nazionale ed internazionale. Il sistema degli stoccaggi, infatti, ha una duplice valenza: di riserva strategica, ai fini della sicurezza di approvvigionamento per il sistema energetico nazionale, e di riserva di modulazione, al fine di compensare fluttuazioni di domanda sia stagionali che di breve termine. Esso rappresenta quindi un fondamentale strumento di flessibilità per il sistema energetico nazionale. La mia attività è stata svolta giornalmente presso la Base Operativa di Edison Stoccaggio S.p.A situata nel comune di S. Giovanni Teatino (CH) dove si svolgono attività di gestione integrata ed ottimizzata dei Siti Operativi del settore Stoccaggio Gas Naturale. Visite periodiche, al fine di raccogliere dati operativi necessari al mio lavoro, sono state effettuate presso i due siti di EDISON Stoccaggio S.p.A. nei quali si svolgono attività di Stoccaggio e Produzione Gas Naturale: Centrale Gas di Cellino Attanasio (TE) e Centrale Gas di Collalto situata nel comune di Susegana (TV). La tesi è strutturata in una prima parte nella quale viene presentata una rapida panoramica sull’evoluzione e situazione europea attuale riguardante lo strumento di natura volontaria di Eco-gestione e sistema d’audit noto come regolamento EMAS; in particolare mi sono soffermato sullo studio delle fasi da compiere per ottenere la registrazione EMAS, con particolare attenzione alla Dichiarazione Ambientale, fulcro dell’iter di registrazione, e oggetto principale del mio lavoro. Particolarmente laborioso è stato infatti lo studio che è stato necessario per produrre una Dichiarazione Ambientale che contenesse tutti i dati operativi dettagliati e aggiornati dell’intera azienda Edison Stoccaggio S.p.A. Nella seconda parte dell’elaborato vengono descritte quelle che sono le caratteristiche di una centrale di stoccaggio gas, al fine di poter comprendere a pieno le tipologie di attività svolte con i loro relativi impatti ambientali e consumo di risorse, aspetti che, vengono trattati in modo dettagliato e risultano basilari nella Dichiarazione Ambientale. Nella parte riguardante la Dichiarazione Ambientale vengono esposte le linee guida e la struttura da seguire al fine di ottenere un documento completo e funzionale in modo che sia fruibile da tutti gli svariati interlocutori. A seguire viene presentata la “Proposta di Dichiarazione Ambientale” da me elaborata nel corso della esperienza avuta presso Edison Stoccaggio S.p.A. Gran parte del lavoro è stato volto all’analisi dei dati operativi dell’Organizzazione Edison Stoccaggio S.p.A. al fine di produrre una Dichiarazione Ambientale più dettagliata e particolareggiata possibile e che al contempo fornisca una chiara visione d’insieme di quelle che sono le attività e gli aspetti ambientali riguardanti i siti dell’Azienda. Sono stati esaminati nel dettaglio gli aspetti ambientali diretti e indiretti connessi all’utilizzo di risorse ed a potenziali influenze per l’ambiente esterno, formulando infine un programma ambientale contenente obbiettivi di miglioramento e conseguenti interventi da attuare allo scopo di ottenere i risultati prefissati. A conclusione del lavoro è stato inoltre presentato uno studio di fattibilità che prevede un analisi dei tempi necessari per l’ottenimento della certificazione e comprende i costi e gli interventi tecnici ritenuti necessari a seguito della visione dei documenti tecnico impiantistici, della conformità legislativa nonché dello stato attuale degli impianti.

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I terreni di Treporti, nella laguna di Venezia, sono caratterizzati da una fitta alternanza di strati con caratteristiche di compressibilità fortemente variabili, pertanto risulta alquanto complessa la determinazione e la scelta di parametri appropriati per la progettazione. La costruzione del terrapieno sperimentale, ed il contemporaneo impiego dell'assestimetro a basi multiple, ha permesso di misurare il comportamento deformativo del terreno in sito e le analisi retrospettive hanno simulato, in base a parametri di tentativo, il comportamento nel tempo dei terreni di fondazione. L'analisi a posteriori delle deformazioni è stata confrontata con le misure effettuate nel corso degli anni precedenti la fase di scarico, mentre oltre questa fase è stata eseguita una previsione confrontata con le tre misure eseguite dopo la fase di scarico, ottenendo in entrambi i casi un buon accordo tra simulazioni e misure. L’aderenza quasi perfetta ottenuta tra le curve ε-t calcolate e le corrispondenti curve ε-t sperimentali, fa ritenere che tutti i parametri geotecnici ottenuti dal modello, rispecchino con buona approssimazione quelli realmente mobilitati dai 40 m di sottosuolo interessati dal carico. Pertanto anche i risultati ottenuti in ordine all'influenza della consolidazione secondaria sugli abbassamenti totali, debbono ritenersi con buona approssimazione vicini al comportamento reale. Il modello è anche in grado di descrivere molto bene i cedimenti dei diversi strati di terreno e quello del piano di posa.

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Il Lavoro si inserisce nel quadro complesso del settore Energy & Utilities e si propone l’obiettivo di analizzare l’attuale mercato dell’energia per individuarne i driver al cambiamento e presentare un innovativo modello di business per le aziende di vendita di energia, con lo scopo di recuperare efficienza nella gestione del Cliente finale, cercando di quantificarne i vantaggi potenziali. L’attività di studio e progettuale è stata svolta nell’ambito di un periodo di tirocinio formativo della durata di sei mesi, effettuato presso Engineering Ingegneria Informatica S.p.A., in particolare nella sede di viale Masini di Bologna, a seguito della candidatura autonoma dello studente e del suo immediato inserimento nei processi di business della divisione Utilities dell’azienda. Il Lavoro si suddivide in 9 capitoli: dopo una breve introduzione sul settore Energy&Utilities, nei primi quattro capitoli sono descritte le filiere produttive dei principali servizi, i principali attori del mercato e gli aspetti normativi e tariffari che caratterizzano l’intero settore, valutando in particolare la formazione del prezzo del gas e dell’energia elettrica. I capitoli cinque e sei descrivono invece le principali tendenze, le strategie competitive in atto nel mercato delle Utilities e l’importanza del Cliente, in un’ottica di CRM che segue i dettami del modello “Customer Centric”. Gli ultimi capitoli mostrano invece, dopo una breve presentazione dell’azienda in cui lo studente ha svolto l’attività, l’intero lavoro di analisi realizzato, input del modello di business a chiusura del Lavoro, volto a quantificare gli impatti del processo di liberalizzazione che ha radicalmente modificato il settore delle Utilities negli ultimi anni, valutando a proposito la profittabilità per un cliente medio in base ad un’opportuna pre-analisi di segmentazione. Il modello di business che occupa l’ultimo capitolo costituisce una soluzione originale e innovativa per incrementare tale profittabilità.

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Il seguente elaborato è la diretta conseguenza di un periodo di stage, pari a cinque mesi, svolto presso l’azienda INTERTABA S.p.A., a Zola Predosa (BO). Il Dipartimento presso cui è stato svolto il tirocinio è l’Engineering. In particolare è stata compiuta un’analisi dei KPIs presenti e sono state proposte delle azioni migliorative. Il lavoro si è sviluppato in tre fasi. Nella prima fase è stata fatta un’analisi dei KPIs attuali per ciascuna funzione appartenente all’Engineering: Engineering Support, Project Engineering, Plant & Utilities Maintenance, Technical Warehouse e General Services. Nella seconda fase sono state descritte, per ciascuna funzione, alcune proposte migliorative per i KPIs presenti. Infine, per alcune funzioni, sono state proposte alcune iniziative in merito all’implementazione di nuovi KPIs.

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L’attività di ricerca del dottorando è stata rivolta allo studio della trasmissione del rumore per via strutturale negli edifici. Questo argomento e' di notevole interesse sia fondamentale che applicativo. Il fenomeno e le problematiche ad essa connesse contribuiscono alla diminuzione delle prestazioni fonoisolanti, sia per le strutture verticali (usualmente valutate rispetto al rumore aereo), sia per quelle orizzontali (valutate anche rispetto al rumore impattivo) ed è tipico degli edifici con struttura portante a telaio e tamponatura in laterizi. Si tratta delle tipiche tipologie edilizie italiane, per le quali il problema risulta amplificato rispetto ad altre tipologie. La metodologia di studio è stata di tipo sperimentale. La scelta è dettata sia dall’insufficiente avanzamento dello stato dell’arte dei metodi di calcolo teorici, o delle loro versioni numeriche, sia dalla necessità di disporre di dati certi da confrontare con i valori forniti dai metodi previsionali semplificati indicati nelle norme UNI (modello CEN); infatti queste ultime sono un recepimento letterale di quelle europee, sebbene esse si basino su tipologie costruttive, materiali e tecniche di realizzazione differenti da quelle comunemente in uso in Italia; da qui la difformità di risultati tra formule previsionali e misurazioni sperimentali. Al fine di realizzare uno studio completo delle principali casistiche della trasmissione laterale sono state utilizzate 6 configurazioni in scala reale, con elementi edilizi diversamente collegati fra loro in modo da simulare i nodi strutturali comunemente realizzati negli edifici. La parte sperimentale della ricerca è stata svolta presso le “Camere Acustiche di Prova” del Laboratorio del Lazzaretto “R. Alessi” del DIENCA. Oltre alle usuali misurazioni di isolamento acustico, sono state eseguite numerose misurazioni di vibrazione. Infatti, dal confronto dei livelli di velocità di vibrazione dei diversi elementi di una struttura, rigidamente connessi, è possibile determinare l’indice di riduzione delle vibrazioni Kij che è la grandezza chiave per modellizzare il fenomeno della trasmissione laterale. La possibilità di determinare sperimentalmente tali valori nel contesto di un lavoro di ricerca finalizzato a determinare i meccanismi di propagazione delle vibrazioni nelle strutture, permette di valutare la precisione delle formule previsionali del modello CEN e di proporne varianti e integrazioni. I valori di Kij così determinati assumono grande importanza anche in fase di progetto, fornendo dati attendibili da utilizzare per la progettazione acustica degli edifici.

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La ricerca si propone d’indagare sul concetto di “congruità” riferito alle trasformazioni di specifici contesti urbani, e di definire quindi un metodo “non arbitrario” per la valutazione di opere esistenti o in progetto, al fine di riconoscerne il carattere di congruità o, al contrario, d’incongruità. Interventi d’inserimento e di trasformazione, alla scala del comparto urbanistico o anche alla scala edilizia, possono presentarsi come congrui o incongrui rispetto all’identità del luogo di appartenenza (organismo a scala urbana o territoriale). Congrua risulta l’opera che non si pone in (conclamato) contrasto rispetto ai caratteri identitari del contesto. Le definizioni d’incongruità e di opera incongrua, divengono il metro di giudizio del rapporto tra un intervento ed il suo contesto, e si applicano mediante una valutazione che sia metodologicamente fondata e verificata. La valutazione di congruità-incongruità può riferirsi a opere esistenti già realizzate, oppure a progetti di nuove opere; in questo secondo approccio il metodo di valutazione si configura come linea-guida per l’orientamento del progetto stesso in termini di congruità rispetto al contesto. In una fase iniziale la ricerca ha fissato i principi di base, con la definizione di ciò che deve intendersi per congruità e per profilo di congruità. La specifica di congruità, non potendosi basare su una consolidata letteratura (il concetto nei termini descritti è stato introdotto dalla legge 16/2002 della Regione Emilia-Romagna; la Regione stessa riconosce che il concetto è in fase di precisazione tramite sperimentazioni, studi e interventi pilota), muove dallo studio dei concetti di luogo, caratteri del luogo, identità del luogo, contesto urbano, trasformazione dell’ambiente costruito, tutela del patrimonio edilizio, sviluppo tipologico, e superfetazione incongrua. Questi concetti, pur mutuati da ambiti di ricerca affini, costituiscono i presupposti per la definizione di congruità delle trasformazioni di contesti urbani, rispetto all’identità del luogo, tramite la tutela e valorizzazione dei suoi caratteri tipologici costitutivi. Successivamente, la ricerca ha affrontato l’analisi di taluni casi-tipo di opere incongrue. A tale scopo sono stati scelti quattro casi-tipo d’interventi per rimozione di opere ritenute incongrue, indagando la metodologia di valutazione di congruità in essi applicata. Inoltre è stata sperimentata l’applicazione del metodo di valutazione per “categorie di alterazioni” tramite lo studio del centro storico di Reggio Emilia, assunto come contesto urbano campione. Lo studio analitico è sviluppato attraverso l’indagine del rapporto tra edifici e caratteri del contesto, individuando e classificando gli edifici ritenuti incongrui. Qui sono emersi i limiti del metodo di individuazione delle incongruità per categorie di alterazioni; di fatto le alterazioni definite a priori rispetto al contesto, determinano un giudizio arbitrario, in quanto disancorato dai caratteri del luogo. La definizione di ciò che è congruo o incongruo deve invece riferirsi a uno specifico contesto, e le alterazioni dei caratteri che rappresentano l’identità del luogo non possono definirsi a priori generalizzandone i concetti. Completando la ricerca nella direzione del risultato proposto, si è precisato il metodo di valutazione basato sulla coincidenza dei concetti di congruità e di pertinenza di fase, in rapporto allo sviluppo tipologico del contesto. La conoscenza del contesto nei suoi caratteri tipologici, è già metodo di valutazione: nella misura in cui sia possibile effettuare un confronto fra contesto ed opera da valutare. La valutazione non si pone come vincolo all’introduzione di nuove forme che possano rappresentare un’evoluzione dell’esistente, aggiornando il processo di sviluppo tipologico in relazione alle mutazioni del quadro esigenzialeprestazionale, ma piuttosto come barriera alle trasformazioni acritiche nei confronti del contesto, che si sovrappongano o ne cancellino inconsapevolmente i segni peculiari e identitari. In ultima analisi, ai fini dell’applicabilità dei concetti esposti, la ricerca indaga sulla convergenza tra metodo proposto e possibili procedure applicative; in questo senso chiarisce come sia auspicabile definire la congruità in relazione a procedure valutative aperte. Lo strumento urbanistico, inteso come sistema di piani alle diverse scale, è l’ambito idoneo a recepire la lettura della stratificazione dei segni indentitari rilevabili in un contesto; lettura che si attua tramite processi decisionali partecipati, al fine di estendere alla collettività la definizione d’identità culturale del luogo. La valutazione specifica di opere o progetti richiede quindi una procedura aperta, similmente alla procedura di valutazione in vigore presso le soprintendenze, basandosi sul concetto di responsabilità del progettista e del valutatore, in riferimento alla responsabilità della collettività, espressa invece nello strumento urbanistico. Infatti la valutazione di tipo oggettivo, basata sul riferimento a regolamenti o schemi precostituiti, confligge con il senso della valutazione metodologicamente fondata che, al contrario, è assunto teorico basilare della ricerca.

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La ricerca si propone di definire le linee guida per la stesura di un Piano che si occupi di qualità della vita e di benessere. Il richiamo alla qualità e al benessere è positivamente innovativo, in quanto impone agli organi decisionali di sintonizzarsi con la soggettività attiva dei cittadini e, contemporaneamente, rende evidente la necessità di un approccio più ampio e trasversale al tema della città e di una più stretta relazione dei tecnici/esperti con i responsabili degli organismi politicoamministrativi. La ricerca vuole indagare i limiti dell’urbanistica moderna di fronte alla complessità di bisogni e di nuove necessità espresse dalle popolazioni urbane contemporanee. La domanda dei servizi è notevolmente cambiata rispetto a quella degli anni Sessanta, oltre che sul piano quantitativo anche e soprattutto sul piano qualitativo, a causa degli intervenuti cambiamenti sociali che hanno trasformato la città moderna non solo dal punto di vista strutturale ma anche dal punto di vista culturale: l’intermittenza della cittadinanza, per cui le città sono sempre più vissute e godute da cittadini del mondo (turisti e/o visitatori, temporaneamente presenti) e da cittadini diffusi (suburbani, provinciali, metropolitani); la radicale trasformazione della struttura familiare, per cui la famiglia-tipo costituita da una coppia con figli, solido riferimento per l’economia e la politica, è oggi minoritaria; l’irregolarità e flessibilità dei calendari, delle agende e dei ritmi di vita della popolazione attiva; la mobilità sociale, per cui gli individui hanno traiettorie di vita e pratiche quotidiane meno determinate dalle loro origini sociali di quanto avveniva nel passato; l’elevazione del livello di istruzione e quindi l’incremento della domanda di cultura; la crescita della popolazione anziana e la forte individualizzazione sociale hanno generato una domanda di città espressa dalla gente estremamente variegata ed eterogenea, frammentata e volatile, e per alcuni aspetti assolutamente nuova. Accanto a vecchie e consolidate richieste – la città efficiente, funzionale, produttiva, accessibile a tutti – sorgono nuove domande, ideali e bisogni che hanno come oggetto la bellezza, la varietà, la fruibilità, la sicurezza, la capacità di stupire e divertire, la sostenibilità, la ricerca di nuove identità, domande che esprimono il desiderio di vivere e di godere la città, di stare bene in città, domande che non possono essere più soddisfatte attraverso un’idea di welfare semplicemente basata sull’istruzione, la sanità, il sistema pensionistico e l’assistenza sociale. La città moderna ovvero l’idea moderna della città, organizzata solo sui concetti di ordine, regolarità, pulizia, uguaglianza e buon governo, è stata consegnata alla storia passata trasformandosi ora in qualcosa di assai diverso che facciamo fatica a rappresentare, a descrivere, a raccontare. La città contemporanea può essere rappresentata in molteplici modi, sia dal punto di vista urbanistico che dal punto di vista sociale: nella letteratura recente è evidente la difficoltà di definire e di racchiudere entro limiti certi l’oggetto “città” e la mancanza di un convincimento forte nell’interpretazione delle trasformazioni politiche, economiche e sociali che hanno investito la società e il mondo nel secolo scorso. La città contemporanea, al di là degli ambiti amministrativi, delle espansioni territoriali e degli assetti urbanistici, delle infrastrutture, della tecnologia, del funzionalismo e dei mercati globali, è anche luogo delle relazioni umane, rappresentazione dei rapporti tra gli individui e dello spazio urbano in cui queste relazioni si muovono. La città è sia concentrazione fisica di persone e di edifici, ma anche varietà di usi e di gruppi, densità di rapporti sociali; è il luogo in cui avvengono i processi di coesione o di esclusione sociale, luogo delle norme culturali che regolano i comportamenti, dell’identità che si esprime materialmente e simbolicamente nello spazio pubblico della vita cittadina. Per studiare la città contemporanea è necessario utilizzare un approccio nuovo, fatto di contaminazioni e saperi trasversali forniti da altre discipline, come la sociologia e le scienze umane, che pure contribuiscono a costruire l’immagine comunemente percepita della città e del territorio, del paesaggio e dell’ambiente. La rappresentazione del sociale urbano varia in base all’idea di cosa è, in un dato momento storico e in un dato contesto, una situazione di benessere delle persone. L’urbanistica moderna mirava al massimo benessere del singolo e della collettività e a modellarsi sulle “effettive necessità delle persone”: nei vecchi manuali di urbanistica compare come appendice al piano regolatore il “Piano dei servizi”, che comprende i servizi distribuiti sul territorio circostante, una sorta di “piano regolatore sociale”, per evitare quartieri separati per fasce di popolazione o per classi. Nella città contemporanea la globalizzazione, le nuove forme di marginalizzazione e di esclusione, l’avvento della cosiddetta “new economy”, la ridefinizione della base produttiva e del mercato del lavoro urbani sono espressione di una complessità sociale che può essere definita sulla base delle transazioni e gli scambi simbolici piuttosto che sui processi di industrializzazione e di modernizzazione verso cui era orientata la città storica, definita moderna. Tutto ciò costituisce quel complesso di questioni che attualmente viene definito “nuovo welfare”, in contrapposizione a quello essenzialmente basato sull’istruzione, sulla sanità, sul sistema pensionistico e sull’assistenza sociale. La ricerca ha quindi analizzato gli strumenti tradizionali della pianificazione e programmazione territoriale, nella loro dimensione operativa e istituzionale: la destinazione principale di tali strumenti consiste nella classificazione e nella sistemazione dei servizi e dei contenitori urbanistici. E’ chiaro, tuttavia, che per poter rispondere alla molteplice complessità di domande, bisogni e desideri espressi dalla società contemporanea le dotazioni effettive per “fare città” devono necessariamente superare i concetti di “standard” e di “zonizzazione”, che risultano essere troppo rigidi e quindi incapaci di adattarsi all’evoluzione di una domanda crescente di qualità e di servizi e allo stesso tempo inadeguati nella gestione del rapporto tra lo spazio domestico e lo spazio collettivo. In questo senso è rilevante il rapporto tra le tipologie abitative e la morfologia urbana e quindi anche l’ambiente intorno alla casa, che stabilisce il rapporto “dalla casa alla città”, perché è in questa dualità che si definisce il rapporto tra spazi privati e spazi pubblici e si contestualizzano i temi della strada, dei negozi, dei luoghi di incontro, degli accessi. Dopo la convergenza dalla scala urbana alla scala edilizia si passa quindi dalla scala edilizia a quella urbana, dal momento che il criterio del benessere attraversa le diverse scale dello spazio abitabile. Non solo, nei sistemi territoriali in cui si è raggiunto un benessere diffuso ed un alto livello di sviluppo economico è emersa la consapevolezza che il concetto stesso di benessere sia non più legato esclusivamente alla capacità di reddito collettiva e/o individuale: oggi la qualità della vita si misura in termini di qualità ambientale e sociale. Ecco dunque la necessità di uno strumento di conoscenza della città contemporanea, da allegare al Piano, in cui vengano definiti i criteri da osservare nella progettazione dello spazio urbano al fine di determinare la qualità e il benessere dell’ambiente costruito, inteso come benessere generalizzato, nel suo significato di “qualità dello star bene”. E’ evidente che per raggiungere tale livello di qualità e benessere è necessario provvedere al soddisfacimento da una parte degli aspetti macroscopici del funzionamento sociale e del tenore di vita attraverso gli indicatori di reddito, occupazione, povertà, criminalità, abitazione, istruzione, etc.; dall’altra dei bisogni primari, elementari e di base, e di quelli secondari, culturali e quindi mutevoli, trapassando dal welfare state allo star bene o well being personale, alla wellness in senso olistico, tutte espressioni di un desiderio di bellezza mentale e fisica e di un nuovo rapporto del corpo con l’ambiente, quindi manifestazione concreta di un’esigenza di ben-essere individuale e collettivo. Ed è questa esigenza, nuova e difficile, che crea la diffusa sensazione dell’inizio di una nuova stagione urbana, molto più di quanto facciano pensare le stesse modifiche fisiche della città.

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Il tema della Logistica Urbana è un argomento complesso che coinvolge diverse discipline. Infatti, non è possibile affrontare la distribuzione delle merci da un solo punto di vista. Da un lato, infatti, manifesta l’esigenza della città e della società in generale di migliorare la qualità della vita anche attraverso azioni di contenimento del traffico, dell’inquinamento e degli sprechi energetici. A questo riguardo, è utile ricordare che il trasporto merci su gomma costituisce uno dei maggiori fattori di impatto su ambiente, sicurezza stradale e congestione della viabilità urbana. Dall’altro lato vi sono le esigenze di sviluppo economico e di crescita del territorio dalle quali non è possibile prescindere. In questa chiave, le applicazioni inerenti la logistica urbana si rivolgono alla ricerca di soluzioni bilanciate che possano arrecare benefici sociali ed economici al territorio anche attraverso progetti concertati tra i diversi attori coinvolti. Alla base di tali proposte di pratiche e progetti, si pone il concetto di esternalità inteso come l’insieme dei costi esterni sostenuti dalla società imputabili al trasporto, in particolare al trasporto merci su gomma. La valutazione di questi costi, che rappresentano spesso una misurazione qualitativa, è un argomento delicato in quanto, come è facile immaginare, non può essere frutto di misure dirette, ma deve essere dedotto attraverso meccanismi inferenziali. Tuttavia una corretta definizione delle esternalità definisce un importante punto di partenza per qualsiasi approccio al problema della Logistica Urbana. Tra gli altri fattori determinanti che sono stati esplorati con maggiore dettaglio nel testo integrale della tesi, va qui accennata l’importanza assunta dal cosiddetto Supply Chain Management nell’attuale assetto organizzativo industriale. Da esso dipendono approvvigionamenti di materie prime e consegne dei prodotti finiti, ma non solo. Il sistema stesso della distribuzione fa oggi parte di quei servizi che si integrano con la qualità del prodotto e dell’immagine della Azienda. L’importanza di questo settore è accentuata dal fatto che le evoluzioni del commercio e l’appiattimento dei differenziali tra i sistemi di produzione hanno portato agli estremi la competizione. In questa ottica, minimi vantaggi in termini di servizio e di qualità si traducono in enormi vantaggi in termini di competitività e di acquisizione di mercato. A questo si aggiunge una nuova logica di taglio dei costi che porta a ridurre le giacenze di magazzino accorciando la pipeline di produzione ai minimi termini in tutte le fasi di filiera. Naturalmente questo si traduce, al punto vendita in una quasi totale assenza di magazzino. Tecnicamente, il nuovo modello di approvvigionamento viene chiamato just-in-time. La ricerca che è stata sviluppata in questi tre anni di Dottorato, sotto la supervisione del Prof. Piero Secondini, ha portato ad un approfondimento di questi aspetti in una chiave di lettura ad ampio spettro. La ricerca si è quindi articolata in 5 fasi: 1. Ricognizione della letteratura italiana e straniera in materia di logistica e di logistica urbana; 2. Studio delle pratiche nazionali ed europee 3. Analisi delle esperienze realizzate e delle problematiche operative legate ai progetti sostenuti dalla Regione Emilia Romagna 4. Il caso di studio di Reggio Emilia e redazione di più proposte progettuali 5. Valutazione dei risultati e conclusioni Come prima cosa si è quindi studiata la letteratura in materia di Logistica Urbana a livello nazionale. Data la relativamente recente datazione dei primi approcci nazionali ed europei al problema, non erano presenti molti testi in lingua italiana. Per contro, la letteratura straniera si riferisce generalmente a sistemi urbani di dimensione e configurazione non confrontabili con le realtà nazionali. Ad esempio, una delle nazioni che hanno affrontato per prime tale tematica e sviluppato un certo numero di soluzioni è stata il Giappone. Naturalmente, città come Tokyo e Kyoto sono notevolmente diverse dalle città europee ed hanno necessità ed esigenze assai diverse. Pertanto, soluzioni tecnologiche e organizzative applicate in questi contesti sono per la maggior parte inattuabili nei contesti del vecchio continente. Le fonti che hanno costituito maggiore riferimento per lo sviluppo del costrutto teorico della tesi, quindi, sono state i saggi che la Regione Emilia Romagna ha prodotto in occasione dello sviluppo del progetto City Ports di cui la Regione stessa era coordinatore di numerosi partners nazionali ed europei. In ragione di questo progetto di ricerca internazionale, l’Emilia Romagna ha incluso il trattamento della logistica delle merci negli “Accordi di Programma per il miglioramento della qualità dell’aria” con le province ed i capoluoghi. In Questo modo si è posta l’attenzione sulla sensibilizzazione delle Pubbliche Amministrazioni locali verso la mobilità sostenibile anche nell’ambito di distribuzione urbana delle merci. Si noti infatti che l’impatto sulle esternalità dei veicoli leggeri per il trasporto merci, quelli cioè che si occupano del cosiddetto “ultimo miglio” sono di due ordini di grandezza superiori rispetto a quelli dei veicoli passeggeri. Nella seconda fase, la partecipazione a convegni di ambito regionale e nazionale ha permesso di arricchire le conoscenze delle best-practice attuate in Italia per lo sviluppo di strumenti finalizzati ad condividere i costi esterni della mobilità delle merci con gli operatori logistici. In questi contesti è stato possibile verificare la disponibilità di tre linee di azione sulle quali, all’interno del testo della tesi si farà riferimento molto spesso: - linea tecnologica; - linea amministrativa; - linea economico/finanziaria. Nel discutere di questa tematica, all’interno di questi contesti misti in cui partecipavano esponenti della cultura accademica, delle pubbliche amministrazioni e degli operatori, ci si è potuti confrontare con la complessità che il tema assume. La terza fase ha costituito la preparazione fondamentale allo studio del caso di studio. Come detto sopra, la Regione Emilia Romagna, all’interno degli Accordi di Programma con le Province, ha deliberato lo stanziamento di co-finanziamenti per lo sviluppo di progetti, integrati con le pratiche della mobilità, inerenti la distribuzione delle merci in città. Inizialmente, per tutti i capoluoghi di provincia, la misura 5.2 degli A.d.P. prevedeva la costruzione di un Centro di Distribuzione Urbana e l’individuazione di un gestore dei servizi resi dallo stesso. Successive considerazioni hanno poi portato a modifiche della misura lasciando una maggiore elasticità alle amministrazioni locali. Tramite una esperienza di ricerca parallela e compatibile con quella del Dottorato finanziata da un assegno di ricerca sostenuto dall’Azienda Consorziale Trasporti di Reggio Emilia, si è potuto partecipare a riunioni e seminari presentati dalla Regione Emilia Romagna in cui si è potuto prendere conoscenza delle proposte progettuali di tutte le province. L’esperienza di Reggio Emilia costituisce il caso di studio della tesi di Dottorato. Le molteplici problematiche che si sono affrontate si sono protratte per tempi lunghi che hanno visto anche modifiche consistenti nell’assetto della giunta e del consiglio comunali. Il fatto ha evidenziato l’ennesimo aspetto problematico legato al mantenimento del patrimonio conoscitivo acquisito, delle metodiche adottate e di mantenimento della coerenza dell’impostazione – in termini di finalità ed obiettivi – da parte dell’Amministrazione Pubblica. Essendo numerosi gli attori coinvolti, in un progetto di logistica urbana è determinante per la realizzazione e la riuscita del progetto che ogni fattore sia allineato e ben informato dell’evoluzione del progetto. In termini di programmazione economica e di pianificazione degli interventi, inoltre, la pubblica amministrazione deve essere estremamente coordinata internamente. Naturalmente, questi sono fattori determinanti per ogni progetto che riguarda le trasformazioni urbane e lo sviluppo delle città. In particolare, i diversi settori (assessorati) coinvolti su questa tematica, fanno o possno fare entrare in situazioni critiche e rischiose la solidità politica dello schieramento di maggioranza. Basti pensare che la distribuzione delle merci in città coinvolge gli assessorati della mobilità, del commercio, del centro storico, dell’ambiente, delle attività produttive. In funzione poi delle filiere che si ritiene di coinvolgere, anche la salute e la sicurezza posso partecipare al tavolo in quanto coinvolte rispettivamente nella distribuzione delle categorie merceologiche dei farmaci e nella security dei valori e della safety dei trasporti. L’esperienza di Reggio Emilia è stata una opportunità preziosissima da molteplici punti di vista. Innanzitutto ha dato modo di affrontare in termini pratici il problema, di constatare le difficoltà obiettive, ad esempio nella concertazione tra gli attori coinvolti, di verificare gli aspetti convergenti su questo tema. Non ultimo in termini di importanza, la relazione tra la sostenibilità economica del progetto in relazione alle esigenze degli operatori commerciali e produttivi che ne configurano gli spazi di azione. Le conclusioni del lavoro sono molteplici. Da quelle già accennate relative alla individuazione delle criticità e dei rischi a quelle dei punti di forza delle diverse soluzioni. Si sono affrontate, all’interno del testo, le problematiche più evidenti cercando di darne una lettura costruttiva. Si sono evidenziate anche le situazioni da evitare nel percorso di concertazione e si è proposto, in tal proposito, un assetto organizzativo efficiente. Si è presentato inoltre un modello di costruzione del progetto sulla base anche di una valutazione economica dei risultati per quanto riguarda il Business Plan del gestore in rapporto con gli investimenti della P.A.. Si sono descritti diversi modelli di ordinanza comunale per la regolamentazione della circolazione dei mezzi leggeri per la distribuzione delle merci in centro storico con una valutazione comparativa di meriti ed impatti negativi delle stesse. Sono inoltre state valutate alcune combinazioni di rapporto tra il risparmio in termini di costi esterni ed i possibili interventi economico finanziario. Infine si è analizzato il metodo City Ports evidenziando punti di forza e di debolezza emersi nelle esperienze applicative studiate.

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La ricerca oggetto di questa tesi, come si evince dal titolo stesso, è volta alla riduzione dei consumi per vetture a forte carattere sportivo ed elevate prestazioni specifiche. In particolare, tutte le attività descritte fanno riferimento ad un ben definito modello di vettura, ovvero la Maserati Quattroporte. Lo scenario all’interno del quale questo lavoro si inquadra, è quello di una forte spinta alla riduzione dei cosiddetti gas serra, ossia dell’anidride carbonica, in linea con quelle che sono le disposizioni dettate dal protocollo di Kyoto. La necessità di ridurre l’immissione in atmosfera di CO2 sta condizionando tutti i settori della società: dal riscaldamento degli edifici privati a quello degli stabilimenti industriali, dalla generazione di energia ai processi produttivi in senso lato. Nell’ambito di questo panorama, chiaramente, sono chiamati ad uno sforzo considerevole i costruttori di automobili, alle quali è imputata una percentuale considerevole dell’anidride carbonica prodotta ogni giorno e riversata nell’atmosfera. Al delicato problema inquinamento ne va aggiunto uno forse ancor più contingente e diretto, legato a ragioni di carattere economico. I combustibili fossili, come tutti sanno, sono una fonte di energia non rinnovabile, la cui disponibilità è legata a giacimenti situati in opportune zone del pianeta e non inesauribili. Per di più, la situazione socio politica che il medio oriente sta affrontando, unita alla crescente domanda da parte di quei paesi in cui il processo di industrializzazione è partito da poco a ritmi vertiginosi, hanno letteralmente fatto lievitare il prezzo del petrolio. A causa di ciò, avere una vettura efficiente in senso lato e, quindi, a ridotti consumi, è a tutti gli effetti un contenuto di prodotto apprezzato dal punto di vista del marketing, anche per i segmenti vettura più alti. Nell’ambito di questa ricerca il problema dei consumi è stato affrontato come una conseguenza del comportamento globale della vettura in termini di efficienza, valutando il miglior compromesso fra le diverse aree funzionali costituenti il veicolo. Una parte consistente del lavoro è stata dedicata alla messa a punto di un modello di calcolo, attraverso il quale eseguire una serie di analisi di sensibilità sull’influenza dei diversi parametri vettura sul consumo complessivo di carburante. Sulla base di tali indicazioni, è stata proposta una modifica dei rapporti del cambio elettro-attuato con lo scopo di ottimizzare il compromesso tra consumi e prestazioni, senza inficiare considerevolmente queste ultime. La soluzione proposta è stata effettivamente realizzata e provata su vettura, dando la possibilità di verificare i risultati ed operare un’approfondita attività di correlazione del modello di calcolo per i consumi. Il beneficio ottenuto in termini di autonomia è stato decisamente significativo con riferimento sia ai cicli di omologazione europei, che a quelli statunitensi. Sono state inoltre analizzate le ripercussioni dal punto di vista delle prestazioni ed anche in questo caso i numerosi dati rilevati hanno permesso di migliorare il livello di correlazione del modello di simulazione per le prestazioni. La vettura con la nuova rapportatura proposta è stata poi confrontata con un prototipo di Maserati Quattroporte avente cambio automatico e convertitore di coppia. Questa ulteriore attività ha permesso di valutare il differente comportamento tra le due soluzioni, sia in termini di consumo istantaneo, che di consumo complessivo rilevato durante le principali missioni su banco a rulli previste dalle normative. L’ultima sezione del lavoro è stata dedicata alla valutazione dell’efficienza energetica del sistema vettura, intesa come resistenza all’avanzamento incontrata durante il moto ad una determinata velocità. Sono state indagate sperimentalmente le curve di “coast down” della Quattroporte e di alcune concorrenti e sono stati proposti degli interventi volti alla riduzione del coefficiente di penetrazione aerodinamica, pur con il vincolo di non alterare lo stile vettura.

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Il continuo verificarsi di gravi incidenti nei grandi impianti industriali ha spinto gli Stati membri dell’Unione Europea a dotarsi di una politica comune in materia di prevenzione dei grandi rischi industriali. Anche a seguito della pressione esercitata dall’opinione pubblica sono state implementate, nel corso degli ultimi quarant’anni, misure legislative sempre più efficaci per la prevenzione e la mitigazione dei rischi legati ad attività industriali particolarmente pericolose. A partire dagli ultimi anni dello scorso secolo, l’Unione Europea ha emanato una serie di direttive che obbligano gli Stati membri ad essere garanti della sicurezza per l’uomo e per l’ambiente nelle zone circostanti a stabilimenti a rischio di incidente rilevante. In quest’ottica è stata pubblicata nel 1982 la Direttiva Seveso I [82/501/EEC], che è stata ampliata nel 1996 dalla Direttiva Seveso II [96/82/CE] ed infine emendata nel dicembre 2003 dalla Direttiva Seveso III [2003/105/CE]. Le Direttive Seveso prevedono la realizzazione negli Stati membri di una valutazione dei rischi per gli stabilimenti industriali che sono suscettibili a incendi, esplosioni o rilasci di gas tossici (quali, ad esempio, le industrie chimiche, le raffinerie, i depositi di sostanze pericolose). La Direttiva Seveso II è stata trasposta in legge belga attraverso “l’Accord de Coopération” del 21 giugno 1999. Una legge federale nel giugno del 2001 [M.B. 16/06/2001] mette in vigore “l’Accord de Coopération”, che è stato in seguito emendato e pubblicato il 26 aprile del 2007 [M.B. 26/04/2007]. A livello della Regione Vallona (in Belgio), la tematica del rischio di incidente rilevante è stata inclusa nelle disposizioni decretali del Codice Vallone della Pianificazione Territoriale, dell’Urbanismo e del Patrimonio [CWATUP]. In questo quadro la Regione Vallona ha elaborato in collaborazione con la FPMs (Faculté Polytechnique de Mons) una dettagliata metodologia di analisi del rischio per gli stabilimenti a rischio di incidente rilevante. In Italia la Direttiva Seveso II è stata recepita dal Decreto Legislativo n°334 emanato nell’agosto del 1999 [D. Lgs. 334/99], che ha introdotto per la prima volta nel quadro normativo italiano i concetti fondamentali di “controllo dell’urbanizzazione” e “requisiti minimi di sicurezza per la pianificazione territoriale”. Il Decreto Legislativo 334/99 è attualmente in vigore, modificato ed integrato dal Decreto Legislativo n°238 del 21 settembre 2005 [D. Lgs. 238/05], recepimento italiano della Direttiva Seveso III. Tra i decreti attuativi del Decreto Legislativo 334/99 occorre citare il Decreto Ministeriale n°151 del 2001 [D. M. 151/01] relativo alla pianificazione territoriale nell’intorno degli stabilimenti a rischio di incidente rilevante. L’obiettivo di questo lavoro di tesi, che è stato sviluppato presso la Faculté Polytechnique di Mons, è quello di analizzare la metodologia di quantificazione del rischio adottata nella Regione Vallona, con riferimento alla pianificazione territoriale intorno agli stabilimenti a rischio di incidente rilevante, e di confrontarla con quella applicata in Italia. La metodologia applicata in Vallonia è di tipo “probabilistico” ovvero basata sul rischio quale funzione delle frequenze di accadimento e delle conseguenze degli scenari incidentali. Il metodo utilizzato in Italia è “ibrido”, ovvero considera sia le frequenze che le conseguenze degli scenari incidentali, ma non la loro ricomposizione all’interno di un indice di rischio. In seguito al confronto teorico delle due metodologie, se ne è effettuato anche una comparazione pratica tramite la loro applicazione ad un deposito di GPL. Il confronto ha messo in luce come manchino, nella legislazione italiana relativa agli stabilimenti a rischio di incidente rilevante, indicazioni di dettaglio per la quantificazione del rischio, a differenza di quanto accade nella legislazione belga. Ciò lascia all’analista di rischio italiano una notevole arbitrarietà nell’effettuare ipotesi ed assunzioni che rendono poi difficile la comparazione del rischio di stabilimenti differenti. L’auspicio è che tale lacuna possa essere rapidamente superata.

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Riba Composites, azienda specializzata nella lavorazione della fibra di materiali compositi avanzati, si trova in una vantaggiosa situazione di sviluppo e ampliamento del proprio raggio d’azione, e dove le informazioni da gestire sono sempre più numerose. E’ quindi risultato necessario un supporto informativo che gestisca le informazioni. Dal punto di vista produttivo, l’introduzione del sistema informativo ha l’obiettivo di rispondere alle problematiche legate alla gestione dei materiali, sia a livello di materie prime, che di semilavorati e prodotti finiti in modo tale da gestirli con efficienza ed evitando le rotture di stock. L’obiettivo di fondo che Riba vuole perseguire é di crescere e svilupparsi in logica di lean production che, nell’ottica della gestione dei magazzini significa “approvvigionare i materiali solamente nel momento in cui si manifesta un fabbisogno”. Quest’approccio abbandona la attuale logica di pianificazione “a spinta” (push) che prevedeva la programmazione degli approvvigionamenti e la produzione di semilavorati e prodotti finiti attraverso previsioni basate sull’analisi di dati storici o di mercato, e non attraverso gli ordini effettivamente acquisiti su cui si basa la logica di produzione “snella” (pull). L’implementazione di un sistema ERP ha richiesto un’analisi approfondita dell’azienda in cui si opera così come del prodotto finito e del processo produttivo, a tal punto da poter riconoscere le esigenze e le necessità a cui dovrà rispondere il sistema informativo. A questa fase di analisi e raccolta dati segue un momento di assestamento del sistema informativo, in cui solo una parte di articoli viene gestita dal sistema per poter procedere contemporaneamente con la graduale formazione del personale. La durata del progetto in questione è stata stimata di circa 20 mesi, tempo necessario per poter adattare il sistema e le diverse personalizzazioni ad un processo così complesso come la lavorazione della fibra di carbonio. Termine previsto Agosto 2010

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Nel presente lavoro sono stati illustrati i risultati preliminari di uno studio mirato alla modellazione del processo di vagliatura di RSU. Il modello, sviluppato sulla base di ipotesi sia cinematiche che probabilistiche, è stato implementato ed applicato per la verifica dell’influenza delle condizioni operative sull’efficienza del processo di separazione. La modellazione è stata sviluppata studiando la cinematica di una particella all’interno di un vaglio rotante, prima studiando il comportamento della singola particella e poi studiando il comportamento di più particelle. Lo sviluppo di tale modello, consente di determinare l’efficienza di rimozione per le diverse frazioni merceologiche di un rifiuto, ciascuna caratterizzata da una propria distribuzione dimensionale,. La validazione è stata svolta effettuando una campagna di misurazioni utilizzando un vaglio in scala (1:10) e un vaglio di dimensioni reali . Da queste misurazioni è emerso che il modello è ben rappresentativo della realtà, in alcuni casi, si sono evidenziate delle discrepanze dal comportamento reale del rifiuto, ciò è senz’altro da attribuite alla forte eterogeneità dei materiali costituenti il rifiuto solido urbano e dall’interferenza che le une causano sulle altre. Si è appurato che, variando i parametri quali: l’angolo di inclinazione longitudinale del vaglio, la velocità di rotazione si ha un diverso comportamento del rifiuto all’interno del vaglio e quindi una variazione dell’efficienza di separazione di quest’ultimo. In particolare è stata mostrata una possibile applicazione del modello legata alla valutazione delle caratteristiche del sopravaglio nel caso questo sia destinato alla produzione di CDR. Attraverso la formula di Dulong si è calcolato il potere calorifico superiore, (sia allo stato umido che allo stato secco), ottenuto effettuando delle variazioni dei parametri citati precedentemente, calcolato sulla massa uscente dal sopravaglio e quindi quella utilizzata come combustibile per gli impianti di termovalorizzazione.( C.D.R.) Si è osservato il legame esistente tra le condizioni operative inclinazione e velocità di rotazione del tamburo ed il potere calorifico del flusso selezionato con l’obiettivo di massimizzare quest’ultimo. Dalle è prove è emerso come il fattore umidità giochi un ruolo fondamentale per l’ottimizzazione del CDR, l’umidità infatti incide negativamente sul potere calorifico del rifiuto invertendo il rapporto normalmente direttamente proporzionale tra percentuale di sopravaglio e potere calorifico, dunque a causa dell’umidità all’aumentare del flusso di sopravaglio si ha una diminuzione del potere calorifico. Lo sviluppo e la validazione di un modello teorico, ci permette di affrontare il problema della selezione e separazione dei RSU,non più solo tramite un procedimento induttivo basato unicamente sulle osservazioni, ma tramite un procedimento deduttivo grazie al quale "conoscendo l’input si prevede quale sarà l’output". Allo stato attuale la scelta e il dimensionamento delle unità di separazione dimensionale nei processi di selezione è basata unicamente su conoscenze di natura empirica L’obiettivo principale è stato dunque quello di costruire uno strumento in grado di determinare le caratteristiche dei flussi uscenti dall’unità di vagliatura, note che siano le caratteristiche del flusso in ingresso ed i parametri operativi Questo approccio permette di eseguire valutazioni oggettive circa la reale rispondenza delle caratteristiche dei flussi in uscita a standard prefissati,peraltro consente di eseguire valutazioni sulle uscite di processo rispetto alla variabilità delle caratteristiche dei rifiuti in ingresso .

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Premessa: nell’aprile 2006, l’American Heart Association ha approvato la nuova definizione e classificazione delle cardiomiopatie (B. J. Maron e coll. 2006), riconoscendole come un eterogeneo gruppo di malattie associate a disfunzione meccanica e/o elettrica riconducibili ad un ampia variabilità di cause. La distinzione tra le varie forme si basa non più sui processi etiopatogenetici che ne sono alla base, ma sulla modalità di presentazione clinica della malattia. Si distinguono così le forme primarie, a prevalente od esclusivo interessamento cardiaco, dalle forme secondarie in cui la cardiomiopatia rientra nell’ambito di un disordine sistemico dove sono evidenziabili anche disturbi extracardiaci. La nostra attenzione è, nel presente studio, focalizzata sull’analisi delle cardiomiopatie diagnosticate nei primi anni di vita in cui si registra una più alta incidenza di forme secondarie rispetto all’adulto, riservando un particolare riguardo verso quelle forme associate a disordini metabolici. Nello specifico, il nostro obiettivo è quello di sottolineare l’influenza di una diagnosi precoce sull’evoluzione della malattia. Materiali e metodi: abbiamo eseguito uno studio descrittivo in base ad un’analisi retrospettiva di tutti i pazienti giunti all’osservazione del Centro di Cardiologia e Cardiochirurgia Pediatrica e dell’ Età Evolutiva del Policlinico S. Orsola- Malpighi di Bologna, dal 1990 al 2006, con diagnosi di cardiomiopatia riscontrata nei primi due anni di vita. Complessivamente sono stati studiati 40 pazienti di cui 20 con cardiomiopatia ipertrofica, 18 con cardiomiopatia dilatativa e 2 con cardiomiopatia restrittiva con un’età media alla diagnosi di 4,5 mesi (range:0-24 mesi). Per i pazienti descritti a partire dal 2002, 23 in totale, sono state eseguite le seguenti indagini metaboliche: emogasanalisi, dosaggio della carnitina, metabolismo degli acidi grassi liberi (pre e post pasto), aminoacidemia quantitativa (pre e post pasto), acidi organici, mucopolisaccaridi ed oligosaccaridi urinari, acilcarnitine. Gli stessi pazienti sono stati inoltre sottoposti a prelievo bioptico di muscolo scheletrico per l’analisi ultrastrutturale, e per l’analisi dell’attività enzimatica della catena respiratoria mitocondriale. Nella stessa seduta veniva effettuata la biopsia cutanea per l’eventuale valutazione di deficit enzimatici nei fibroblasti. Risultati: l’età media alla diagnosi era di 132 giorni (range: 0-540 giorni) per le cardiomiopatie ipertrofiche, 90 giorni per le dilatative (range: 0-210 giorni) mentre le 2 bambine con cardiomiopatia restrittiva avevano 18 e 24 mesi al momento della diagnosi. Le indagini metaboliche eseguite sui 23 pazienti ci hanno permesso di individuare 5 bambini con malattia metabolica (di cui 2 deficit severi della catena respiratoria mitocondriale, 1 con insufficienza della β- ossidazione per alterazione delle acilcarnitine , 1 con sindrome di Barth e 1 con malattia di Pompe) e un caso di cardiomiopatia dilatativa associata a rachitismo carenziale. Di questi, 4 sono deceduti e uno è stato perduto al follow-up mentre la forma associata a rachitismo ha mostrato un netto miglioramento della funzionalità cardiaca dopo appropriata terapia con vitamina D e calcio. In tutti la malattia era stata diagnosticata entro l’anno di vita. Ciò concorda con gli studi documentati in letteratura che associano le malattie metaboliche ad un esordio precoce e ad una prognosi infausta. Da un punto di vista morfologico, un’evoluzione severa si associava alla forma dilatativa, ed in particolare a quella con aspetto non compaction del ventricolo sinistro, rispetto alla ipertrofica e, tra le ipertrofiche, alle forme con ostruzione all’efflusso ventricolare. Conclusioni: in accordo con quanto riscontrato in letteratura, abbiamo visto come le cardiomiopatie associate a forme secondarie, ed in particolare a disordini metabolici, sono di più frequente riscontro nella prima infanzia rispetto alle età successive e, per questo, l’esordio molto precoce di una cardiomiopatia deve essere sempre sospettata come l’espressione di una malattia sistemica. Abbiamo osservato, inoltre, una stretta correlazione tra l’età del bambino alla diagnosi e l’evoluzione della cardiomiopatia, registrando un peggioramento della prognosi in funzione della precocità della manifestazione clinica. In particolare la diagnosi eseguita in epoca prenatale si associava, nella maggior parte dei casi, ad un’evoluzione severa, comportandosi come una variabile indipendente da altri fattori prognostici. Riteniamo, quindi, opportuno sottoporre tutti i bambini con diagnosi di cardiomiopatia effettuata nei primi anni di vita ad uno screening metabolico completo volto ad individuare quelle forme per le quali sia possibile intraprendere una terapia specifica o, al contrario, escludere disordini che possano controindicare, o meno, l’esecuzione di un trapianto cardiaco qualora se ne presenti la necessità clinica.