976 resultados para HPLC-PAD


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[ES] En este trabajo se realiza un análisis, empleando la cromatografía líquida (HPLC-RP), del contenido en polifenoles de distintas variedades de pimientos, tanto frescos como en conserva, de pimientos con distinto origen de cultivo y de pimientos en distinto estado y condiciones de maduración.

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Gli istoni sono proteine basiche che possono essere classificate in varie classi: H1, H2A, H2B, H3 e H4. Queste proteine formano l’ottamero proteico attorno al quale si avvolge il DNA per formare il nucleosoma che è l’unità fondamentale della cromatina. A livello delle code N-terminali, gli istoni possono essere soggetti a numerose modifiche posttraduzionali quali acetilazioni, metilazioni, fosforilazioni, ADP-ribosilazioni e ubiquitinazioni. Queste modifiche portano alla formazione di diversi siti di riconoscimento per diversi complessi enzimatici coinvolti in importanti processi come la riparazione e la replicazione del DNA e l’assemblaggio della cromatina. La più importante e la più studiata di queste modifiche è l’acetilazione che avviene a livello dei residui amminici della catena laterale dell’amminoacido lisina. I livelli corretti di acetilazione delle proteine istoniche sono mantenuti dall’attività combinata di due enzimi: istone acetil transferasi (HAT) e istone deacetilasi (HDAC). Gli enzimi appartenenti a questa famiglia possono essere suddivisi in varie classi a seconda delle loro diverse caratteristiche, quali la localizzazione cellulare, la dimensione, l’omologia strutturale e il meccanismo d’azione. Recentemente è stato osservato che livelli aberranti di HDAC sono coinvolti nella carcinogenesi; per questo motivo numerosi gruppi di ricerca sono interessati alla progettazione e alla sintesi di composti che siano in grado di inibire questa classe enzimatica. L’inibizione delle HDAC può infatti provocare arresto della crescita cellulare, apoptosi o morte cellulare. Per questo motivo la ricerca farmaceutica in campo antitumorale è mirata alla sintesi di inibitori selettivi verso le diverse classi di HDAC per sviluppare farmaci meno tossici e per cercare di comprendere con maggiore chiarezza il ruolo biologico di questi enzimi. Il potenziale antitumorale degli inibitori delle HDAC deriva infatti dalla loro capacità di interferire con diversi processi cellulari, generalmente non più controllati nelle cellule neoplastiche. Nella maggior parte dei casi l’attività antitumorale risiede nella capacità di attivare programmi di differenziamento, di inibire la progressione del ciclo cellulare e di indurre apoptosi. Inoltre sembra essere molto importante anche la capacità di attivare la risposta immunitaria e l’inibizione dell’angiogenesi. Gli inibitori delle HDAC possono essere a loro volta classificati in base alla struttura chimica, alla loro origine (naturale o sintetica), e alla loro capacità di inibire selettivamente le HDAC appartenenti a classi diverse. Non è ancora chiaro se la selettività di queste molecole verso una specifica classe di HDAC sia importante per ottenere un effetto antitumorale, ma sicuramente inibitori selettivi possono essere molto utili per investigare e chiarire il ruolo delle HDAC nei processi cellulari che portano all’insorgenza del tumore. Nel primo capitolo di questa tesi quindi è riportata un’introduzione sull’importanza delle proteine istoniche non solo da un punto di vista strutturale ma anche funzionale per il destino cellulare. Nel secondo capitolo è riportato lo stato dell’arte dell’analisi delle proteine istoniche che comprende sia i metodi tradizionali come il microsequenziamento e l’utilizzo di anticorpi, sia metodi più innovativi (RP-LC, HILIC, HPCE) ideati per poter essere accoppiati ad analisi mediante spettrometria di massa. Questa tecnica consente infatti di ottenere importanti e precise informazioni che possono aiutare sia a identificare gli istoni come proteine che a individuare i siti coinvolti nelle modifiche post-traduzionali. Nel capitolo 3 è riportata la prima parte del lavoro sperimentale di questa tesi volto alla caratterizzazione delle proteine istoniche mediante tecniche cromatografiche accoppiate alla spettrometria di massa. Nella prima fase del lavoro è stato messo a punto un nuovo metodo cromatografico HPLC che ha consentito di ottenere una buona separazione, alla linea di base, delle otto classi istoniche (H1-1, H1-2, H2A-1, H2A-2, H2B, H3-1, H3-2 e H4). La separazione HPLC delle proteine istoniche ha permesso di poter eseguire analisi accurate di spettrometria di massa mediante accoppiamento con un analizzatore a trappola ionica tramite la sorgente electrospray (ESI). E’ stato così possibile identificare e quantificare tutte le isoforme istoniche, che differiscono per il tipo e il numero di modifiche post-traduzionali alle quali sono soggette, previa estrazione da colture cellulari di HT29 (cancro del colon). Un’analisi così dettagliata delle isoforme non può essere ottenuta con i metodi immunologici e permette di eseguire un’indagine molto accurata delle modifiche delle proteine istoniche correlandole ai diversi stadi della progressione del ciclo e alla morte cellulare. Il metodo messo a punto è stato convalidato mediante analisi comparative che prevedono la stessa separazione cromatografica ma accoppiata a uno spettrometro di massa avente sorgente ESI e analizzatore Q-TOF, dotato di maggiore sensibilità e risoluzione. Successivamente, per identificare quali sono gli specifici amminoacidi coinvolti nelle diverse modifiche post-traduzionali, l’istone H4 è stato sottoposto a digestione enzimatica e successiva analisi mediante tecniche MALDI-TOF e LC-ESI-MSMS. Queste analisi hanno permesso di identificare le specifiche lisine acetilate della coda N-terminale e la sequenza temporale di acetilazione delle lisine stesse. Nel quarto capitolo sono invece riportati gli studi di inibizione, mirati a caratterizzare le modifiche a carico delle proteine istoniche indotte da inibitori delle HDAC, dotati di diverso profilo di potenza e selettività. Dapprima Il metodo messo a punto per l’analisi delle proteine istoniche è stato applicato all’analisi di istoni estratti da cellule HT29 trattate con due noti inibitori delle HDAC, valproato e butirrato, somministrati alle cellule a dosi diverse, che corrispondono alle dosi con cui sono stati testati in vivo, per convalidare il metodo per studi di inibizione di composti incogniti. Successivamente, lo studio è proseguito con lo scopo di evidenziare effetti legati alla diversa potenza e selettività degli inibitori. Le cellule sono state trattate con due inibitori più potenti, SAHA e MS275, alla stessa concentrazione. In entrambi i casi il metodo messo a punto ha permesso di evidenziare l’aumento dei livelli di acetilazione indotto dal trattamento con gli inibitori; ha inoltre messo in luce differenti livelli di acetilazione. Ad esempio il SAHA, potente inibitore di tutte le classi di HDAC, ha prodotto un’estesa iperacetilazione di tutte le proteine istoniche, mentre MS275 selettivo per la classe I di HDAC, ha prodotto modifiche molto più blande. E’ stato quindi deciso di applicare questo metodo per studiare la dose e la tempo-dipendenza dell’effetto di quattro diversi inibitori delle HDAC (SAHA, MS275, MC1855 e MC1568) sulle modifiche post-traduzionali di istoni estratti da cellule HT29. Questi inibitori differiscono oltre che per la struttura chimica anche per il profilo di selettività nei confronti delle HDAC appartenenti alle diverse classi. Sono stati condotti quindi studi di dose-dipendenza che hanno consentito di ottenere i valori di IC50 (concentrazione capace di ridurre della metà la quantità relativa dell’istone meno acetilato) caratteristici per ogni inibitore nei confronti di tutte le classi istoniche. E’ stata inoltre calcolata la percentuale massima di inibizione per ogni inibitore. Infine sono stati eseguiti studi di tempo-dipendenza. I risultati ottenuti da questi studi hanno permesso di correlare i livelli di acetilazione delle varie classi istoniche con la selettività d’azione e la struttura chimica degli inibitori somministrati alle cellule. In particolare, SAHA e MC1855, inibitori delle HDAC di classi I e II a struttura idrossamica, hanno causato l’iperacetilazione di tutte le proteine istoniche, mentre MC1568 (inibitore selettivo per HDAC di classe II) ha prodotto l’iperacetilazione solo di H4. Inoltre la potenza e la selettività degli inibitori nel provocare un aumento dei livelli di acetilazione a livello delle distinte classi istoniche è stata correlata al destino biologico della cellula, tramite studi di vitalità cellulare. E’ stato osservato che il SAHA e MC1855, inibitori potenti e non selettivi, somministrati alla coltura HT29 a dose 50 μM producono morte cellulare, mentre MS275 alla stessa dose produce accumulo citostatico in G1/G0. MC1568, invece, non produce effetti significatici sul ciclo cellulare. Questo studio ha perciò dimostrato che l’analisi tramite HPLC-ESI-MS delle proteine istoniche permette di caratterizzare finemente la potenza e la selettività di nuovi composti inibitori delle HDAC, prevedendone l’effetto sul ciclo cellulare. In maggiore dettaglio è risultato che l’iperacetilazione di H4 non è in grado di provocare modifiche significative sul ciclo cellulare. Questo metodo, insieme alle analisi MALDI-TOF e LC-ESI-MSMS che permettono di individuare l’ordine di acetilazione delle lisine della coda N-terminale, potrà fornire importanti informazioni sugli inibitori delle HDAC e potrà essere applicato per delineare la potenza, la selettività e il meccanismo di azione di nuovi potenziali inibitori di questa classe enzimatica in colture cellulari tumorali.

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Sekundäres organisches Aerosol (SOA) ist ein wichtiger Bestandteil von atmosphärischen Aerosolpartikeln. Atmosphärische Aerosole sind bedeutsam, da sie das Klima über direkte (Streuung und Absorption von Strahlung) und indirekte (Wolken-Kondensationskeime) Effekte beeinflussen. Nach bisherigen Schätzungen ist die SOA-Bildung aus biogenen Kohlenwasserstoffen global weit wichtiger als die SOA-Bildung aus anthropogenen Kohlenwasserstoffen. Reaktive Kohlenwasserstoffe, die in großen Mengen von der Vegetation emittiert werden und als die wichtigsten Vorläufersubstanzen für biogenes SOA gelten, sind die Terpene. In der vorliegenden Arbeit wurde eine Methode entwickelt, welche die Quantifizierung von aciden Produkten der Terpen-Oxidation ermöglicht. Die Abscheidung des größenselektierten Aerosols (PM 2.5) erfolgte auf Quarzfilter, die unter Zuhilfenahme von Ultraschall mittels Methanol extrahiert wurden. Nach Aufkonzentrierung und Lösungsmittelwechsel auf Wasser sowie Standardaddition wurden die Proben mit einer Kapillar-HPLC-ESI-MSn-Methode analysiert. Das verwendete Ionenfallen-Massenspektrometer (LCQ-DECA) bietet die Möglichkeit, Strukturaufklärung durch selektive Fragmentierung der Qasimolekülionen zu betreiben. Die Quantifizierung erfolgte teilweise im MS/MS-Modus, wodurch Selektivität und Nachweisgrenze verbessert werden konnten. Um Produkte der Terpen-Oxidation zu identifizieren, die nicht als Standards erhältlich waren, wurden Ozonolysexperimente durchgeführt. Dadurch gelang die Identifizierung einer Reihe von Oxidationsprodukten in Realproben. Neben schon bekannten Produkten der Terpen-Oxidation konnten einige Produkte erstmals in Realproben eindeutig als Produkte des α Pinens nachgewiesen werden. In den Proben der Ozonolyseexperimente konnten auch Produkte mit hohem Molekulargewicht (>300 u) nachgewiesen werden, die Ähnlichkeit zeigen zu den als Dimeren oder Polymeren in der Literatur bezeichneten Substanzen. Sie konnten jedoch nicht in Feldproben gefunden werden. Im Rahmen von 5 Messkampagnen in Deutschland und Finnland wurden Proben der atmosphärischen Partikelphase genommen. Die Quantifizierung von Produkten der Oxidation von α-Pinen, β-Pinen, 3-Caren, Sabinen und Limonen in diesen Proben ergab eine große zeitliche und örtliche Variationsbreite der Konzentrationen. Die Konzentration von Pinsäure bewegte sich beispielsweise zwischen etwa 0,4 und 21 ng/m³ während aller Messkampagnen. Es konnten stets Produkte verschiedener Terpene nachgewiesen werden. Produkte einiger Terpene eignen sich sogar als Markersubstanzen für verschiedene Pflanzenarten. Sabinen-Produkte wie Sabinsäure können als Marker für die Emissionen von Laubbäumen wie Buchen oder Birken verwendet werden, während Caren-Produkte wie Caronsäure als Marker für Nadelbäume, speziell Kiefern, verwendet werden können. Mit den quantifizierten Substanzen als Marker wurde unter zu Hilfenahme von Messungen des Gehaltes an organischem und elementarem Kohlenstoff im Aerosol der Anteil des sekundären organischen Aerosols (SOA) errechnet, der von der Ozonolyse der Terpene stammt. Erstaunlicherweise konnten nur 1% bis 8% des SOA auf die Ozonolyse der Terpene zurückgeführt werden. Dies steht im Gegensatz zu der bisherigen Meinung, dass die Ozonolyse der Terpene die wichtigste Quelle für biogenes SOA darstellt. Gründe für diese Diskrepanz werden in der Arbeit diskutiert. Um die atmosphärischen Prozesse der Bildung von SOA vollständig zu verstehen, müssen jedoch noch weitere Anstrengungen unternommen werden.

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Five different methods were critically examined to characterize the pore structure of the silica monoliths. The mesopore characterization was performed using: a) the classical BJH method of nitrogen sorption data, which showed overestimated values in the mesopore distribution and was improved by using the NLDFT method, b) the ISEC method implementing the PPM and PNM models, which were especially developed for monolithic silicas, that contrary to the particulate supports, demonstrate the two inflection points in the ISEC curve, enabling the calculation of pore connectivity, a measure for the mass transfer kinetics in the mesopore network, c) the mercury porosimetry using a new recommended mercury contact angle values. rnThe results of the characterization of mesopores of monolithic silica columns by the three methods indicated that all methods were useful with respect to the pore size distribution by volume, but only the ISEC method with implemented PPM and PNM models gave the average pore size and distribution based on the number average and the pore connectivity values.rnThe characterization of the flow-through pore was performed by two different methods: a) the mercury porosimetry, which was used not only for average flow-through pore value estimation, but also the assessment of entrapment. It was found that the mass transfer from the flow-through pores to mesopores was not hindered in case of small sized flow-through pores with a narrow distribution, b) the liquid penetration where the average flow-through pore values were obtained via existing equations and improved by the additional methods developed according to Hagen-Poiseuille rules. The result was that not the flow-through pore size influences the column bock pressure, but the surface area to volume ratio of silica skeleton is most decisive. Thus the monolith with lowest ratio values will be the most permeable. rnThe flow-through pore characterization results obtained by mercury porosimetry and liquid permeability were compared with the ones from imaging and image analysis. All named methods enable a reliable characterization of the flow-through pore diameters for the monolithic silica columns, but special care should be taken about the chosen theoretical model.rnThe measured pore characterization parameters were then linked with the mass transfer properties of monolithic silica columns. As indicated by the ISEC results, no restrictions in mass transfer resistance were noticed in mesopores due to their high connectivity. The mercury porosimetry results also gave evidence that no restrictions occur for mass transfer from flow-through pores to mesopores in the small scaled silica monoliths with narrow distribution. rnThe prediction of the optimum regimes of the pore structural parameters for the given target parameters in HPLC separations was performed. It was found that a low mass transfer resistance in the mesopore volume is achieved when the nominal diameter of the number average size distribution of the mesopores is appr. an order of magnitude larger that the molecular radius of the analyte. The effective diffusion coefficient of an analyte molecule in the mesopore volume is strongly dependent on the value of the nominal pore diameter of the number averaged pore size distribution. The mesopore size has to be adapted to the molecular size of the analyte, in particular for peptides and proteins. rnThe study on flow-through pores of silica monoliths demonstrated that the surface to volume of the skeletons ratio and external porosity are decisive for the column efficiency. The latter is independent from the flow-through pore diameter. The flow-through pore characteristics by direct and indirect approaches were assessed and theoretical column efficiency curves were derived. The study showed that next to the surface to volume ratio, the total porosity and its distribution of the flow-through pores and mesopores have a substantial effect on the column plate number, especially as the extent of adsorption increases. The column efficiency is increasing with decreasing flow through pore diameter, decreasing with external porosity, and increasing with total porosity. Though this tendency has a limit due to heterogeneity of the studied monolithic samples. We found that the maximum efficiency of the studied monolithic research columns could be reached at a skeleton diameter of ~ 0.5 µm. Furthermore when the intention is to maximize the column efficiency, more homogeneous monoliths should be prepared.rn

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Wasserlösliche organische Verbindungen (WSOCs) sind Hauptbestandteile atmosphärischer Aerosole, die bis zu ~ 50% und mehr der organischen Aerosolfraktion ausmachen. Sie können die optischen Eigenschaften sowie die Hygroskopizität von Aerosolpartikeln und damit deren Auswirkungen auf das Klima beeinflussen. Darüber hinaus können sie zur Toxizität und Allergenität atmosphärischer Aerosole beitragen.In dieser Studie wurde Hochleistungsflüssigchromatographie gekoppelt mit optischen Diodenarraydetektion und Massenspektrometrie (HPLC-DAD-MS und HPLC-MS/MS) angewandt, um WSOCs zu analysieren, die für verschiedene Aerosolquellen und -prozesse charakteristisch sind. Niedermolekulare Carbonsäuren und Nitrophenole wurden als Indikatoren für die Verbrennung fossiler Brennstoffe und die Entstehung sowie Alterung sekundärer organischer Aerosole (SOA) aus biogenen Vorläufern untersucht. Protein-Makromoleküle wurden mit Blick auf den Einfluss von Luftverschmutzung und Nitrierungsreaktionen auf die Allergenität primärer biologischer Aerosolpartikel – wie Pollen und Pilzsporen – untersucht.rnFilterproben von Grob- und Feinstaubwurden über ein Jahr hinweg gesammelt und auf folgende WSOCs untersucht: die Pinen-Oxidationsprodukte Pinsäure, Pinonsäure und 3-Methyl-1,2,3-Butantricarbonsäure (3-MBTCA) sowie eine Vielzahl anderer Dicarbonsäuren und Nitrophenole. Saisonale Schwankungen und andere charakteristische Merkmale werden mit Blick auf Aerosolquellen und -senken im Vergleich zu Daten anderen Studien und Regionen diskutiert. Die Verhätlnisse von Adipinsäure und Phthalsäure zu Azelainsäure deuten darauf hin, dass die untersuchten Aerosolproben hauptsächlich durch biogene Quellen beeinflusst werden. Eine ausgeprägte Arrhenius-artige Korrelation wurde zwischen der 3-MBTCA-¬Konzentration und der inversen Temperatur beobachtet (R2 = 0.79, Ea = 126±10 kJ mol-1, Temperaturbereich 275–300 K). Modellrechnungen zeigen, dass die Temperaturabhängigkeit auf eine Steigerung der photochemischen Produktionsraten von 3-MBTCA durch erhöhte OH-Radikal-Konzentrationen bei erhöhten Temperaturen zurückgeführt werden kann. Im Vergleich zur chemischen Reaktionskinetik scheint der Einfluss von Gas-Partikel-Partitionierungseffekten nur eine untergeordnete Rolle zu spielen. Die Ergebnisse zeigen, dass die OH-initiierte Oxidation von Pinosäure der geschwindigkeitsbestimmende Schritt der Bildung von 3-MBTCA ist. 3-MBTCA erscheint somit als Indikator für die chemische Alterung von biogener sekundärer organischer Aerosole (SOA) durch OH-Radikale geeignet. Eine Arrhenius-artige Temperaturabhängigkeit wurde auch für Pinäure beobachtet und kann durch die Temperaturabhängigkeit der biogenen Pinen-Emissionen als geschwindigkeitsbestimmender Schritt der Pinsäure-Bildung erklärt werden (R2 = 0.60, Ea = 84±9 kJ mol-1).rn rnFür die Untersuchung von Proteinnitrierungreaktionen wurde nitrierte Protein¬standards durch Flüssigphasenreaktion von Rinderserumalbumin (BSA) und Ovalbumin (OVA) mit Tetranitromethan (TNM) synthetisiert.Proteinnitrierung erfolgt vorrangig an den Resten der aromatischen Aminosäure Tyrosin auf, und mittels UV-Vis-Photometrie wurde der Proteinnnitrierungsgrad (ND) bestimmt. Dieser ist definiert als Verhältnis der mittleren Anzahl von Nitrotyrosinresten zur Tyrosinrest-Gesamtzahl in den Proteinmolekülen. BSA und OVA zeigten verschiedene Relationen zwischen ND und TNM/Tyrosin-Verhältnis im Reaktionsgemisch, was vermutlich auf Unterschiede in den Löslichkeiten und den molekularen Strukturen der beiden Proteine zurück zu führen ist.rnDie Nitrierung von BSA und OVA durch Exposition mit einem Gasgemisch aus Stickstoffdioxid (NO2) und Ozon (O3) wurde mit einer neu entwickelten HPLC-DAD-¬Analysemethode untersucht. Diese einfache und robuste Methode erlaubt die Bestimmung des ND ohne Hydrolyse oder Verdau der untersuchten Proteine und ernöglicht somit eine effiziente Untersuchung der Kinetik von Protein¬nitrierungs-Reaktionen. Für eine detaillierte Produktstudien wurden die nitrierten Proteine enzymatisch verdaut, und die erhaltenen Oligopeptide wurden mittels HPLC-MS/MS und Datenbankabgleich mit hoher Sequenzübereinstimmung analysiert. Die Nitrierungsgrade individueller Nitrotyrosin-Reste (NDY) korrelierten gut mit dem Gesamt-Proteinnitrierungsgrad (ND), und unterschiedliche Verhältnisse von NDY zu ND geben Aufschluss über die Regioselektivität der Reaktion. Die Nitrierungmuster von BSA und OVA nach Beahndlung mit TNM deuten darauf hin, dass die Nachbarschaft eines negativ geladenen Aminosäurerestes die Tyrosinnitrierung fördert. Die Behandlung von BSA durch NO2 und O3 führte zu anderend Nitrierungemustern als die Behandlung mit TNM, was darauf hindeutet, dass die Regioselektivität der Nitrierung vom Nitrierungsmittel abhängt. Es zeigt sich jedoch, dass Tyrosinreste in Loop-Strukturen bevorzugt und unabhängig vom Reagens nitriert werden.Die Methoden und Ergebnisse dieser Studie bilden eine Grundlage für weitere, detaillierte Untersuchungen der Reaktionskinetik sowie der Produkte und Mechanismen von Proteinnitrierungreaktionen. Sie sollen helfen, die Zusammenhänge zwischen verkehrsbedingten Luftschadstoffen wie Stickoxiden und Ozon und der Allergenität von Luftstaub aufzuklären.rn

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The physico-chemical characterization, structure-pharmacokinetic and metabolism studies of new semi synthetic analogues of natural bile acids (BAs) drug candidates have been performed. Recent studies discovered a role of BAs as agonists of FXR and TGR5 receptor, thus opening new therapeutic target for the treatment of liver diseases or metabolic disorders. Up to twenty new semisynthetic analogues have been synthesized and studied in order to find promising novel drugs candidates. In order to define the BAs structure-activity relationship, their main physico-chemical properties (solubility, detergency, lipophilicity and affinity with serum albumin) have been measured with validated analytical methodologies. Their metabolism and biodistribution has been studied in “bile fistula rat”, model where each BA is acutely administered through duodenal and femoral infusion and bile collected at different time interval allowing to define the relationship between structure and intestinal absorption and hepatic uptake ,metabolism and systemic spill-over. One of the studied analogues, 6α-ethyl-3α7α-dihydroxy-5β-cholanic acid, analogue of CDCA (INT 747, Obeticholic Acid (OCA)), recently under approval for the treatment of cholestatic liver diseases, requires additional studies to ensure its safety and lack of toxicity when administered to patients with a strong liver impairment. For this purpose, CCl4 inhalation to rat causing hepatic decompensation (cirrhosis) animal model has been developed and used to define the difference of OCA biodistribution in respect to control animals trying to define whether peripheral tissues might be also exposed as a result of toxic plasma levels of OCA, evaluating also the endogenous BAs biodistribution. An accurate and sensitive HPLC-ES-MS/MS method is developed to identify and quantify all BAs in biological matrices (bile, plasma, urine, liver, kidney, intestinal content and tissue) for which a sample pretreatment have been optimized.

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In der vorliegenden Arbeit wurde eine Top Down (TD) und zwei Bottom Up (BU) MALDI/ESI Massenspektrometrie/HPLC-Methoden entwickelt mit dem Ziel Augenoberfächenkomponenten, d.h. Tränenfilm und Konjunktivalzellen zu analysieren. Dabei wurde ein detaillierter Einblick in die Entwicklungsschritte gegeben und die Ansätze auf Eignung und methodische Grenzen untersucht. Während der TD Ansatz vorwiegend Eignung zur Analyse von rohen, weitgehend unbearbeiteten Zellproben fand, konnten mittels des BU Ansatzes bearbeitete konjunktivale Zellen, aber auch Tränenfilm mit hoher Sensitivität und Genauigkeit proteomisch analysiert werden. Dabei konnten mittels LC MALDI BU-Methode mehr als 200 Tränenproteine und mittels der LC ESI Methode mehr als 1000 Tränen- sowie konjunktivale Zellproteine gelistet werden. Dabei unterschieden sich ESI- and MALDI- Methoden deutlich bezüglich der Quantität und Qualität der Ergebnisse, weshalb differente proteomische Anwendungsgebiete der beiden Methoden vorgeschlagen wurden. Weiterhin konnten mittels der entwickelten LC MALDI/ESI BU Plattform, basierend auf den Vorteilen gegenüber dem TD Ansatz, therapeutische Einflüsse auf die Augenoberfläche mit Fokus auf die topische Anwendung von Taurin sowie Taflotan® sine, untersucht werden. Für Taurin konnten entzündungshemmende Effekte, belegt durch dynamische Veränderungen des Tränenfilms, dokumentiert werden. Außerdem konnten vorteilhafte, konzentrationsabhängige Wirkweisen auch in Studien an konjunktival Zellen gezeigt werden. Für die Anwendung von konservierungsmittelfreien Taflotan® sine, konnte mittels LC ESI BU Analyse eine Regenerierung der Augenoberfläche in Patienten mit Primärem Offenwinkel Glaukom (POWG), welche unter einem “Trockenem Auge“ litten nach einem therapeutischen Wechsel von Xalatan® basierend auf dynamischen Tränenproteomveränderungen gezeigt werden. Die Ergebnisse konnten mittels Microarray (MA) Analysen bestätigt werden. Sowohl in den Taurin Studien, als auch in der Taflotan® sine Studie, konnten charakteristische Proteine der Augenoberfläche dokumentiert werden, welche eine objektive Bewertung des Gesundheitszustandes der Augenoberfläche ermöglichen. Eine Kombination von Taflotan® sine und Taurin wurde als mögliche Strategie zur Therapie des Trockenen Auges bei POWG Patienten vorgeschlagen und diskutiert.

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Die Erdatmosphäre besteht hauptsächlich aus Stickstoff (78%), Sauerstoff (21%) und Edelga¬sen. Obwohl Partikel weniger als 0,1% ausmachen, spielen sie eine entscheidende Rolle in der Chemie und Physik der Atmosphäre, da sie das Klima der Erde sowohl direkt als auch indirekt beeinflussen. Je nach Art der Bildung unterscheidet man zwischen primären und sekundären Partikeln, wobei primäre Partikel direkt in die Atmosphäre eingetragen werden. Sekundäre Partikel hingegen entstehen durch Kondensation von schwerflüchtigen Verbindungen aus der Gasphase, welche durch Reaktionen von gasförmigen Vorläufersubstanzen (volatile organic compounds, VOCs) mit atmosphärischen Oxidantien wie Ozon oder OH-Radikalen gebildet werden. Da die meisten Vorläufersubstanzen organischer Natur sind, wird das daraus gebil¬dete Aerosol als sekundäres organisches Aerosol (SOA) bezeichnet. Anders als die meisten primären Partikel stammen die VOCs überwiegend aus biogenen Quellen. Es handelt sich da¬bei um ungesättigte Kohlenwasserstoffe, die bei intensiver Sonneneinstrahlung und hohen Temperaturen von Pflanzen emittiert werden. Viele der leichtflüchtigen Vorläufersubstanzen sind chiral, sowohl die Vorläufer als auch die daraus gebildeten Partikel werden aber in den meisten Studien als eine Verbindung betrachtet und gemeinsam analysiert. Die mit Modellen berechneten SOA-Konzentrationen, welche auf dieser traditionellen Vorstellung der SOA-Bil¬dung beruhen, liegen deutlich unterhalb der in der Atmosphäre gefundenen, so dass neben diesem Bildungsweg auch noch andere SOA-Bildungsarten existieren müssen. Aus diesem Grund wird der Fokus der heutigen Forschung vermehrt auf die heterogene Chemie in der Partikelphase gerichtet. Glyoxal als Modellsubstanz kommt hierbei eine wichtige Rolle zu. Es handelt sich bei dieser Verbindung um ein Molekül mit einem hohen Dampfdruck, das auf Grund dieser Eigenschaft nur in der Gasphase zu finden sein sollte. Da es aber über zwei Alde¬hydgruppen verfügt, ist es sehr gut wasserlöslich und kann dadurch in die Partikelphase über¬gehen, wo es heterogenen chemischen Prozessen unterliegt. Unter anderem werden in An¬wesenheit von Ammoniumionen Imidazole gebildet, welche wegen der beiden Stickstoff-He¬teroatome lichtabsorbierende Eigenschaften besitzen. Die Verteilung von Glyoxal zwischen der Gas- und der Partikelphase wird durch das Henrysche Gesetz beschrieben, wobei die Gleichgewichtskonstante die sogenannte Henry-Konstante ist. Diese ist abhängig von der un¬tersuchten organischen Verbindung und den im Partikel vorhandenen anorganischen Salzen. Für die Untersuchung chiraler Verbindungen im SOA wurde zunächst eine Filterextraktions¬methode entwickelt und die erhaltenen Proben anschließend mittels chiraler Hochleistungs-Flüssigchromatographie, welche an ein Elektrospray-Massenspektrometer gekoppelt war, analysiert. Der Fokus lag hierbei auf dem am häufigsten emittierten Monoterpen α-Pinen und seinem Hauptprodukt, der Pinsäure. Da bei der Ozonolyse des α-Pinens das cyclische Grund¬gerüst erhalten bleibt, können trotz der beiden im Molekül vorhanden chiralen Zentren nur zwei Pinsäure Enantiomere gebildet werden. Als Extraktionsmittel wurde eine Mischung aus Methanol/Wasser 9/1 gewählt, mit welcher Extraktionseffizienzen von 65% für Pinsäure Enan¬tiomer 1 und 68% für Pinsäure Enantiomer 2 erreicht werden konnten. Des Weiteren wurden Experimente in einer Atmosphärensimulationskammer durchgeführt, um die Produkte der α-Pinen Ozonolyse eindeutig zu charakterisieren. Enantiomer 1 wurde demnach aus (+)-α-Pinen gebildet und Enantiomer 2 entstand aus (-)-α-Pinen. Auf Filterproben aus dem brasilianischen Regenwald konnte ausschließlich Pinsäure Enantiomer 2 gefunden werden. Enantiomer 1 lag dauerhaft unterhalb der Nachweisgrenze von 18,27 ng/mL. Im borealen Nadelwald war das Verhältnis umgekehrt und Pinsäure Enantiomer 1 überwog vor Pinsäure Enantiomer 2. Das Verhältnis betrug 56% Enantiomer 1 zu 44% Enantiomer 2. Saisonale Verläufe im tropischen Regenwald zeigten, dass die Konzentrationen zur Trockenzeit im August höher waren als wäh¬rend der Regenzeit im Februar. Auch im borealen Nadelwald wurden im Sommer höhere Kon¬zentrationen gemessen als im Winter. Die Verhältnisse der Enantiomere änderten sich nicht im jahreszeitlichen Verlauf. Die Bestimmung der Henry-Konstanten von Glyoxal bei verschiedenen Saataerosolen, nämlich Ammoniumsulfat, Natriumnitrat, Kaliumsulfat, Natriumchlorid und Ammoniumnitrat sowie die irreversible Produktbildung aus Glyoxal in Anwesenheit von Ammoniak waren Forschungs¬gegenstand einer Atmosphärensimulationskammer-Kampagne am Paul-Scherrer-Institut in Villigen, Schweiz. Hierzu wurde zunächst das zu untersuchende Saataerosol in der Kammer vorgelegt und dann aus photochemisch erzeugten OH-Radikalen und Acetylen Glyoxal er¬zeugt. Für die Bestimmung der Glyoxalkonzentration im Kammeraerosol wurde zunächst eine beste¬hende Filterextraktionsmethode modifiziert und die Analyse mittels hochauflösender Mas¬senspektrometrie realisiert. Als Extraktionsmittel kam 100% Acetonitril, ACN zum Einsatz wo¬bei die Extraktionseffizienz bei 85% lag. Für die anschließende Derivatisierung wurde 2,4-Di¬nitrophenylhydrazin, DNPH verwendet. Dieses musste zuvor drei Mal mittels Festphasenex¬traktion gereinigt werden um störende Blindwerte ausreichend zu minimieren. Die gefunde¬nen Henry-Konstanten für Ammoniumsulfat als Saataerosol stimmten gut mit in der Literatur gefundenen Werten überein. Die Werte für Natriumnitrat und Natriumchlorid als Saataerosol waren kleiner als die von Ammoniumsulfat aber größer als der Wert von reinem Wasser. Für Ammoniumnitrat und Kaliumsulfat konnten keine Konstanten berechnet werden. Alle drei Saataerosole führten zu einem „Salting-in“. Das bedeutet, dass bei Erhöhung der Salzmolalität auch die Glyoxalkonzentration im Partikel stieg. Diese Beobachtungen sind auch in der Litera¬tur beschrieben, wobei die Ergebnisse dort nicht auf der Durchführung von Kammerexperi¬menten beruhen, sondern mittels bulk-Experimenten generiert wurden. Für die Trennung der Imidazole wurde eine neue Filterextraktionsmethode entwickelt, wobei sich ein Gemisch aus mit HCl angesäuertem ACN/H2O im Verhältnis 9/1 als optimales Extrak¬tionsmittel herausstellte. Drei verschiedenen Imidazole konnten mit dieser Methode quanti¬fiziert werden, nämlich 1-H-Imidazol-4-carbaldehyd (IC), Imidazol (IM) und 2,2‘-Biimidazol (BI). Die Effizienzen lagen für BI bei 95%, für IC bei 58% und für IM bei 75%. Kammerexperimente unter Zugabe von Ammoniak zeigten höhere Imidazolkonzentrationen als solche ohne. Wurden die Experimente ohne Ammoniak in Anwesenheit von Ammoni¬umsulfat durchgeführt, wurden höhere Imidazol-Konzentrationen gefunden als ohne Ammo¬niumionen. Auch die relative Luftfeuchtigkeit spielte eine wichtige Rolle, da sowohl eine zu hohe als auch eine zu niedrige relative Luftfeuchtigkeit zu einer verminderten Imidazolbildung führte. Durch mit 13C-markiertem Kohlenstoff durchgeführte Experimente konnte eindeutig gezeigt werden, dass es sich bei den gebildeten Imidazolen und Glyoxalprodukte handelte. Außerdem konnte der in der Literatur beschriebene Bildungsmechanismus erfolgreich weiter¬entwickelt werden. Während der CYPHEX Kampagne in Zypern konnten erstmalig Imidazole in Feldproben nach¬gewiesen werden. Das Hauptprodukt IC zeigte einen tageszeitlichen Verlauf mit höheren Kon¬zentrationen während der Nacht und korrelierte signifikant aber schwach mit der Acidität und Ammoniumionenkonzentration des gefundenen Aerosols.

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OBJECTIVES: To briefly inform on the conclusions from a conference on the next 10 years in the management of peripheral artery disease (PAD). DESIGN OF THE CONFERENCE: International participation, invited presentations and open discussion were based on the following issues: Why is PAD under-recognised? Health economic impact of PAD; funding of PAD research; changes of treatment options? Aspects on clinical trials and regulatory views; and the role of guidelines. RESULTS AND CONCLUSIONS: A relative lack of knowledge about cardiovascular risk and optimal management of PAD patients exists not only among the public, but also in parts of the health-care system. Specialists are required to act for improved information. More specific PAD research is needed for risk management and to apply the best possible evaluation of evidence for treatment strategies. Better strategies for funding are required based on, for example, public/private initiatives. The proportion of endovascular treatments is steadily increasing, more frequently based on observational studies than on randomised controlled trials. The role of guidelines is therefore important to guide the profession in the assessment of most relevant treatment.

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Gemcitabine (2'2'-difluorodeoxycytidine) is a pyrimidine analog used in the treatment of a variety of solid tumors. After intravenous (i.v.) administration, it is rapidly inactivated to 2'-deoxy-2',2'-difluorouridine (dFdU). A sensitive analytical method for the quantitation of gemcitabine is required for the assessment of alternative dosage and treatment schemes. A rapid and robust RP-HPLC assay for analysis of gemcitabine in human and animal plasma and serum was developed and validated using 2'-deoxyuridine (dU) and 5-fluoro-2'-deoxyuridine (5FdU) as internal standards. It is based on protein precipitation, the use of an Atlantis dC18 column of 100 mm length (inner diameter, 4.6 mm; particle size, 3 microm) and isocratic elution using a 10 mM phosphate buffer, pH 3.0, followed by isocratic elution with the same buffer containing 3% of ACN. For gemcitabine, RSD values for intraday and interday precision were < 4.4 and 5.3%, respectively, the LOQ was 20 ng/mL, and the assay was linear in the range of 0.020-20 microg/mL with an accuracy of > or =89%. The recovery for gemcitabine, dU and 5FdU was 86-98%. The assay was applied to determine gemcitabine levels in plasma samples of patients collected during and shortly after conventional infusion of 25-30 mg/kg body mass (levels: 2.0-18.9 microg/mL) and rats that received lower doses (1.5 mg/kg) via i.v., subcutaneous and oral drug administration (levels: 0.20-2.60 microg/mL). It could also be applied to estimate dFdU levels in human plasma.

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Reactive nitrogen oxide species (RNOS) have been implicated as effector molecules in inflammatory diseases. There is emerging evidence that gamma-tocopherol (gammaT), the major form of vitamin E in the North American diet, may play an important role in these diseases. GammaT scavenges RNOS such as peroxynitrite by forming a stable adduct, 5-nitro-gammaT (NGT). Here we describe a convenient HPLC method for the simultaneous determination of NGT, alphaT, and gammaT in blood plasma and other tissues. Coulometric detection of NGT separated on a deactivated reversed-phase column was linear over a wide range of concentrations and highly sensitive (approximately 10 fmol detection limit). NGT extracted from blood plasma of 15-week-old Fischer 344 rats was in the low nM range, representing approximately 4% of gammaT. Twenty-four h after intraperitoneal injection of zymosan, plasma NGT levels were 2-fold higher compared to fasted control animals when adjusted to gammaT or corrected for total neutral lipids, while alpha- and gammaT levels remained unchanged. These results demonstrate that nitration of gammaT is increased under inflammatory conditions and highlight the importance of RNOS reactions in the lipid phase. The present HPLC method should be helpful in clarifying the precise physiological role of gammaT.

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Zymosan-induced peritonitis is associated with an increased production of reactive nitrogen oxides that may contribute to the often-observed failure of multiple organ systems in this model of acute inflammation. Quantitative biochemical evidence is provided for a marked 13-fold increase in protein-bound 3-nitrotyrosine (NTyr), a biomarker of reactive nitrogen oxides, in liver tissue of zymosan-treated rats. In order to investigate the localization of NTyr in this affected tissue, a monoclonal antibody, designated 39B6, was raised against 3-(4-hydroxy-3-nitrophenylacetamido) propionic acid-bovine serum albumin conjugate and its performance characterized. 39B6 was judged by competition ELISA to be approximately 2 orders of magnitude more sensitive than a commercial anti-NTyr monoclonal antibody. Binding characteristics of 39B6 were similar, but not identical, to that of a commercial affinity-purified polyclonal antibody in ELISA and immunohistochemical analyses. Western blot experiments revealed high specificity of 39B6 against NTyr and increased immunoreactivity of specific proteins from liver tissue homogenates of zymosan-treated rats. Immunohistochemical analysis of liver sections indicated a marked zymosan-induced increase in immunofluorescent staining, which was particularly intense in or adjacent to nonparenchymal cells, but not in the parenchymal cells of this tissue. Quantitative analysis of fractions enriched in these cell populations corroborated the immunofluorescent data, although the relative amounts detected in response to zymosan treatment was greatly reduced compared to whole liver tissue. These results demonstrate the high specificity of the newly developed antibody and its usefulness in Western blot and immunohistochemical analysis for NTyr, confirm the presence of NTyr by complementary methods, and suggest the possible involvement of reactive nitrogen oxides in hepatic vascular dysfunction.