276 resultados para Topi Salmi -palkinto
Resumo:
I nucleotidi trifosfato sono, dal punto di vista evoluzionistico, tra le molecole più antiche e conservate tra le specie. Oltre al ruolo che ricoprono nella sintesi degli acidi nucleici e nel metabolismo energetico della cellula, negli ultimi anni è emerso sempre di più il loro coinvolgimento nella regolazione di numerose funzioni cellulari. Questi importanti mediatori cellulari sono presenti nel microambiente e cambiamenti nella loro concentrazione extracellulare possono modulare la funzionalità cellulare. I nucleotidi trifosfato ATP e UTP, presenti nel microambiente midollare, sono dei potenti stimolatori dei progenitori emopoietici. Essi stimolano la proliferazione e l’attecchimento delle cellule staminali emopoietiche, così come la loro capacità migratoria, attraverso l’attivazione di specifici recettori di membrana, i recettori purinergici (P2R). In questo studio abbiamo dimostrato che ATP e UTP esercitano un effetto opposto sul compartimento staminale leucemico di leucemia acuta mieloide (LAM). Abbiamo dimostrato che le cellule leucemiche esprimono i recettori P2 funzionalmente attivi. Studi di microarray hanno evidenziato che, a differenza di ciò che avviene nelle CD34+, la stimolazione di cellule leucemiche con ATP induce la down-regolazione dei geni coinvolti nella proliferazione e nella migrazione, mentre up-regola geni inibitori del ciclo cellulare. Abbiamo poi confermato a livello funzionale, mediante test in vitro, gli effetti osservati a livello molecolare. Studi di inibizione farmacologica, ci hanno permesso di capire che l’attività inibitoria dell’ATP sulla proliferazione si esplica attraverso l’attivazione del recettore P2X7, mentre i sottotipi recettoriali P2 prevalentemente coinvolti nella regolazione della migrazione sono i recettori P2Y2 e P2Y4. Esperimenti di xenotrapianto, hanno evidenziato che l’esposizione ad ATP e UTP sia dei blasti leucemici sia delle cellule staminali leucemiche CD38-CD34+ diminuisce la loro capacità di homing e di engraftment in vivo. Inoltre, il trattamento farmacologico con ATP, di topi ai quali è stata indotta una leucemia umana, ha diminuito lo sviluppo della leucemia in vivo.
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Introduzione Attualmente i principali punti critici del trattamento dell’HCC avanzato sono: 1) la mancanza di predittori di risposta alla terapia con sorafenib, 2) lo sviluppo resistenze al sorafenib, 3) la mancanza di terapie di seconda linea codificate. Scopo della tesi 1) ricerca di predittori clinico-laboratoristici di risposta al sorafenib in pazienti ambulatoriali con HCC; 2) valutazione dell’impatto della sospensione temporanea-definitiva del sorafenib in un modello murino di HCC mediante tecniche ecografiche; 3) valutazione dell’efficacia della capecitabina metronomica come seconda linea dell’HCC non responsivo a sorafenib. Risultati Studio-1: 94 pazienti con HCC trattato con sorafenib: a presenza di metastasi e PVT-neoplastica non sembra inficiare l’efficacia del sorafenib. AFP basale <19 ng/ml è risultata predittrice di maggiore sopravvivenza, mentre lo sviluppo di nausea di una peggiore sopravvivenza. Studio -2: 14 topi con xenografts di HCC: gruppo-1 trattato con placebo, gruppo-2 trattato con sorafenib con interruzione temporanea del farmaco e gruppo-3 trattato con sorafenib con sospensione definitiva del sorafenib. La CEUS targettata per il VEGFR2 ha mostrato al giorno 13 valori maggiori di dTE nel gruppo-3 confermato da un aumento del VEGFR2 al Western-Blot. I tumori del gruppo-2 dopo 2 giorni di ritrattamento, hanno mostrato un aumento dell’elasticità tissutale all’elastonografia. Studio-3:19 pazienti trattati con capecitabina metronomica dopo sorafenib. Il TTP è stato di 5 mesi (95% CI 0-10), la PFS di 3,6 mesi (95% CI 2,8-4,3) ed la OS di 6,3 mesi (95% CI 4-8,6). Conclusioni Lo sviluppo di nausea ed astenia ed AFP basale >19, sono risultati predittivi di una minore risposta al sorafenib. La sospensione temporanea del sorafenib in un modello murino di HCC non impedisce il ripristino della risposta tumorale, mentre una interruzione definitiva tende a stimolare un “effetto rebound” dell’angiogenesi. La capecitabina metronomica dopo sorafenib ha mostrato una discreta attività anti-neoplastica ed una sicurezza accettabile.
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Il Sorafenib è l’unica terapia sistemica approvata per l’epatocarcinoma (HCC) avanzato. Tuttavia, molti tumori sviluppano resistenze. La chemioterapia metronomica sembrerebbe avere un effetto antiangiogenetico. La Capecitabina metronomica è potenzialmente efficace nell’HCC avanzato. Lo scopo dello studio è stato valutare il comportamento di un modello murino di HCC sottoposto a Sorafenib, Capecitabina e terapia combinata, per dimostrarne un eventuale effetto sinergico. Il modello è stato creato in topi scid mediante inoculazione sottocutanea di 5 milioni di cellule HuH7. I topi sono stati suddivisi in 4 gruppi: gruppo 1 sottoposto a terapia con placebo (9 topi), gruppo 2 a Sorafenib (7 topi), gruppo 3 a Capecitabina (7 topi) e gruppo 4 a terapia combinata Sorafenib+Capecitabina (10 topi). I topi sono stati studiati al giorno 0 e 14 con ecografia B-mode e con mezzo di contrasto (CEUS). Al giorno 14 sono stati sacrificati e i pezzi tumorali sono stati conservati per l’analisi Western Blot. Un topo del gruppo 1 e 4 topi del gruppo 4 sono morti precocemente e quindi sono stati esclusi. Il delta di crescita tumorale al giorno 14 rispetto al giorno 0 è risultato di +503 %, +158 %, +462 % e +176 % rispettivamente nei 4 gruppi (p<0.05 tra i 4 gruppi, tra il gruppo 1 e 2, tra il gruppo 1 e 4, tra il gruppo 2 e 3, tra il gruppo 3 e 4). Alla CEUS non si sono evidenziate differenze statisticamente significative nei cambiamenti di perfusione tumorale al giorno 14 nei 4 gruppi. L’analisi Western Blot ha mostrato livelli di VEGFR-2 inferiori nel gruppo dei topi trattati con Sorafenib. La terapia di associazione di Sorafenib e Capecitabina non comporta un beneficio, in termini di riduzione della crescita tumorale, in un modello murino di HCC rispetto al solo Sorafenib. Inoltre, può essere sospettato un incremento di tossicità.
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Il peptide correlato al gene della calcitonina (CGRP) è una molecola presente nei neuroni del midollo spinale di diverse specie di Mammiferi, inclusi topi, ratti, conigli, cani, gatti, pecore, scimmie e uomo. Nonostante la distribuzione dei neuroni contenenti questo neuropeptide sia stata studiata in maniera dettagliata nel midollo spinale delle suddette specie, non sono disponibili, in letteratura, informazioni relative alla presenza di queste cellule nel midollo spinale dei Cetacei. Di conseguenza, è stata condotta la presente ricerca che ha avuto lo scopo di determinare, mediante metodiche di immunoistochimica, la distribuzione e la morfologia dei neuroni esprimenti il CGRP nel midollo spinale di tursiope (Tursiops truncatus). In questa specie, la distribuzione laminare (secondo Rexed) dei neuroni CGRP-immunoreattivi è assai simile a quella che si osserva nei Roditori, nei Carnivori e nei Primati; infatti, i corpi cellulari immunopositivi sono localizzati soprattutto in corrispondenza dell’apice del corno dorsale (lamine I e II) e nel corno ventrale (lamine VIII e IX). La distribuzione e la morfologia dei neuroni esprimenti CGRP nel midollo spinale di tursiope suggeriscono come tale neuropeptide possa essere coinvolto nella trasmissione delle informazioni sia sensitive (somatiche e viscerali) che motorie. I neuroni CGRP-immunoreattivi localizzati nelle lamine I e II del midollo spinale di tursiope, come dimostrato in altre specie, potrebbero agire da interneuroni modulando le informazioni nocicettive che dai gangli spinali vengono trasmesse al midollo spinale. Nelle lamine I e II sono presenti anche numerosi processi immunopositivi che, oltre ad appartenere a neuroni locali, derivano, molto probabilmente, dai ai neuroni pseudounipolari dei gangli spinali. In accordo con quanto appena affermato, è opportuno sottolineare come le fibre afferenti primarie provenienti dai gangli spinali utilizzino il CGRP per la trasmissione delle informazioni dolorifiche. La presenza di CGRP nei neuroni della lamina VIII, invece, indica come questo neuropeptide possa essere implicato nella trasmissione di segnali di natura motoria, utilizzando meccanismi presinaptici. Infine, la presenza di numerosi motoneuroni immunoreattivi per il CGRP nella lamina IX indicherebbe un’azione diretta svolta da questo neuropeptide nell’interazione tra motoneurone inferiore e muscolo scheletrico.
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Capire come modellare l'attività del cervello a riposo, resting state, è il primo passo necessario per avvicinarsi a una reale comprensione della dinamica cerebrale. Sperimentalmente si osserva che, quando il cervello non è soggetto a stimoli esterni, particolari reti di regioni cerebrali presentano un'attività neuronale superiore alla media. Nonostante gli sforzi dei ricercatori, non è ancora chiara la relazione che sussiste tra le connessioni strutturali e le connessioni funzionali del sistema cerebrale a riposo, organizzate nella matrice di connettività funzionale. Recenti studi sperimentali mostrano la natura non stazionaria della connettività funzionale in disaccordo con i modelli in letteratura. Il modello implementato nella presente tesi per simulare l'evoluzione temporale del network permette di riprodurre il comportamento dinamico della connettività funzionale. Per la prima volta in questa tesi, secondo i lavori a noi noti, un modello di resting state è implementato nel cervello di un topo. Poco è noto, infatti, riguardo all'architettura funzionale su larga scala del cervello dei topi, nonostante il largo utilizzo di tale sistema nella modellizzazione dei disturbi neurologici. Le connessioni strutturali utilizzate per definire la topologia della rete neurale sono quelle ottenute dall'Allen Institute for Brain Science. Tale strumento fornisce una straordinaria opportunità per riprodurre simulazioni realistiche, poiché, come affermato nell'articolo che presenta tale lavoro, questo connettoma è il più esauriente disponibile, ad oggi, in ogni specie vertebrata. I parametri liberi del modello sono stati scelti in modo da inizializzare il sistema nel range dinamico ottimale per riprodurre il comportamento dinamico della connettività funzionale. Diverse considerazioni e misure sono state effettuate sul segnale BOLD simulato per meglio comprenderne la natura. L'accordo soddisfacente fra i centri funzionali calcolati nel network cerebrale simulato e quelli ottenuti tramite l'indagine sperimentale di Mechling et al., 2014 comprovano la bontà del modello e dei metodi utilizzati per analizzare il segnale simulato.
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Partnership Actions for Mitigating Syndromes (PAMS) are small transdisciplinary projects which bring scientific research insights from the NCCR North-South into policy and practice. They are implemented by researchers from different disciplines in collaboration with non-scientific actors. PAMS aim to implement and test approaches, methods and tools developed in research, in order to identify promising strategies and potentials for sustainable development. In this sense, they are solution-oriented. This paper will provide insights into our experience with PAMS, with a special focus on the implementation of transdisciplinarity and its outcomes. From 2001 to 2010, 77 PAMS were implemented in Africa, Asia and Latin America. An internal evaluation of the first 55 projects was conducted in 2006. Results of this evaluation led to a refinement and improvement of the tool. A second internal evaluation is currently underway in the NCCR North-South. This evaluation will provide an overview of 22 new PAMS. We will look at partners involved, project beneficiaries, activities implemented, outcomes achieved, and lessons learnt. In the first evaluation, transdisciplinarity was considered as “a form of collaboration within scientific fields … and as a form of continuous dialogue between research and society” (Messerli et al., 2007). The evaluation report concluded that this understanding of transdisciplinarity was not satisfactorily applied in the 55 projects. Only about half of the PAMS addressed mutual exchange between researchers and society. Some involved only one specific field of research and clearly lacked interdisciplinary co-operation, and most often knowledge was transferred mainly unilaterally from the scientific community to society, without society having any effect on science. It was therefore recommended to address transdisciplinarity more carefully in Phase 2 PAMS. The second evaluation, which is currently under way, is analysing whether and how this recommendation has been met, based on criteria defined in the NCCR North-South’s Outcome Monitoring Strategy. The analysis is focusing on partners with whom researchers interact and investigating whether practices have changed both in research and society. We are also exploring the role of researchers in PAMS. Preliminary results show that researchers can assume different roles, from direct implementation, mediation, and promotion of social learning between different actors, to giving advice as neutral outsiders.
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Within the framework of Switzerland’s international NCCR North-South research programme, Partnership Actions for Mitigating Syndromes (PAMS) are a practice-oriented component with a transdisciplinary approach. By linking research and development practice, they bring together researchers, practitioners and local communities in a common effort to test and evaluate research findings in concrete development contexts. They provide unique insights into innovative approaches and opportunities for promoting sustainable development in countries of the South and East. After an initial four-year phase, the PAMS projects implemented to date were evaluated in order to learn about their potentials and limits, as well as to decide on the direction of the component for the next phase of the programme. The present publication presents the results of this evaluation.
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Aunque se han logrado importantes avances en estudios de laboratorio con diseños experimentales poco representativos (e.g., Farrow y Reid, 2012; Nieminen, Piirainen, Salmi, y Linnamo, 2013), a día de hoy, todavía se desconoce a cabalidad cómo los jugadores de tenis de diferente nivel de pericia calibran o ajustan sus movimientos a las demandas espacio-temporales presentes en la tarea de resto de un primer servicio. ! Escasos trabajos se han llevado a cabo in situ y a la mayoría se les puede cuestionar algún aspecto de la metodología empleada. Así pues, en varios estudios la frecuencia de grabación ha sido limitada (e.g., a 50 Hz en Jackson y Gudgeon, 2004; Triolet, Benguigui, Le Runigo y Williams, 2013), o la velocidad del saque ha sido visiblemente inferior a la habitual (cf. Carboch, Süss y Kocib, 2014; Williams, Singer y Weigelt, 1998). También, en algunos estudios los participantes experimentados no han sido jugadores de nivel internacional (e.g., Avilés, Ruiz, Sanz y Navia, 2014), y el tamaño muestral ha sido muy pequeño (e.g., Gillet, Leroy, Thouvarecq, Mégrot y Stein, 2010). ! Además, en los diferentes trabajos se han utilizado una diversidad de métodos e instrumentos de medida y los criterios de codificación del inicio de los movimientos y de las respuestas han diferido; como consecuencia el lapso visomotor de respuesta (LVMr) ha sido muy dispar variando considerablemente de 198 a 410 ms. Considerando los inconvenientes señalados anteriormente, el presente estudio tuvo como objetivo determinar un modelo técnico de regulación temporal de los movimientos y de la respuesta del restador, tomando en cuenta el flujo continuo de información proporcionado por el sacador. Para ello, se realizó un análisis cronométrico de los restos de doce jugadores de diferente nivel deportivo (seis internacionales y seis nacionales) que respondieron de forma natural enviando sus devoluciones hacia las dianas. Se grabaron las acciones de los restadores y sacadores con una cámara Casio Exilim Pro Ex-F1 de alta velocidad (300 Hz) y luego se realizó un análisis imagen por imagen cada 3.33 ms. Una vez obtenidos los datos de los vídeos se realizaron análisis con las pruebas de ANOVA de un factor, ANCOVA con la velocidad del saque como covariable, U de Mann-Whitney y Chi-cuadrado de Pearson. En cuanto a la regulación del movimiento hasta el momento del despegue, los jugadores internacionales iniciaron sus acciones antes que los jugadores nacionales lo que podría indicar una mejor preparación al ejecutar los movimientos como reflejo del nivel de pericia. Los jugadores internacionales iniciaron la elevación del pie posterior a -293 ms y los jugadores nacionales a -202 ms. Todas estas acciones se fueron enlazando unas con otras y fue en el momento del impacto del sacador donde los restadores demostraron una remarcable coordinación perceptivo-motriz. Por consiguiente, los jugadores internacionales despegaron e iniciaron el vuelo a tan solo -6.5 ms del impacto y los jugadores nacionales lo hicieron más tarde a +19.5 ms. A lo largo de la secuencia temporal, todo parece indicar que las informaciones que utilizan los restadores interactúan entre sí; información más temprana y menos fiable para anticipar o moverse antes e información más tardía y más fiable para regular la temporalización de las acciones. Los restadores de nivel internacional y nacional anticiparon a nivel espacial en un bajo porcentaje (7.7% vs. 13.6%) y en tiempos similares (-127 vs. -118 ms) sugiriendo que la utilización de variables ópticas tempranas y menos fiables solo se produce en contadas ocasiones. Por otra parte, estos datos se relacionan con una gran precisión en la respuesta ya que tanto los jugadores internacionales como los nacionales demostraron un alto porcentaje de acierto al responder (95.4% vs. 96.7%). Se había señalado que los jugadores internacionales y nacionales se diferenciarían en el tiempo de caída (i.e., aterrizaje) del primer pie del salto preparatorio, sin embargo ese efecto no fue encontrado (128 vs. 135 ms). Tampoco se hallaron diferencias en el porcentaje de caída con el pie contrario a la dirección de la pelota (58% vs. 62%). Donde sí ambos grupos se diferenciaron fue en el tiempo de caída del segundo pie (147 vs. 168 ms). Esta diferencia de 21 ms fue crucial y fue una prueba de la mayor rapidez de los jugadores internacionales; sugiriendo que ésta acción se podría relacionar con el momento del inicio de la respuesta. Aunque los jugadores internacionales hayan demostrado ser más rápidos en relación con sus capacidades funcionales, ambos grupos no se diferenciaron en todas las variables relacionadas con el LVMr. Ellos no utilizaron esos valiosos milisegundos ganados en el instante de la caída del segundo pie para responder más pronto, ya que el LVMr del miembro superior fue el mismo para ambos grupos (179 vs. 174 ms). Es como si hubiesen tenido todo el tiempo del mundo para seguir ajustando sus acciones hasta el propio golpeo. Además, estos tiempos largos sugieren que en la gran mayoría de los restos la información clave que determinó la respuesta fue detectada (extraída) en momentos cercanos al golpeo del sacador y en la primera parte del vuelo de la pelota. Asimismo, se constató que en general el LVMr se ve influenciado por el tipo de información utilizada. De esta manera, cuando se tomaron en cuenta los ensayos en los que hubo anticipación espacial reflejados en el LVMr del cuerpo entero los tiempos disminuyeron (152 vs. 136 ms). Por otra parte, existieron ocasiones (13%) en los que tanto los jugadores internacionales como los nacionales respondieron tarde recibiendo saques directos (208 vs. 195 ms). Es muy posible que en estos casos los jugadores hayan tenido problemas para detectar la información respondiendo fuera de los márgenes temporales de acción lo que mermó su rendimiento. Lo mismo pudo haber ocurrido cuando ambos grupos de jugadores corrigieron el movimiento del miembro superior tras el impacto (17% vs. 10%) lo que aumentó el tiempo en responder al redirigir la respuesta hacia el lado correcto (208 vs. 205 ms). Además, los jugadores internacionales obtuvieron tiempos de movimiento menores que el de los jugadores nacionales (509 vs. 531 ms) lo que se reflejó en un tiempo total de actuación menor (683 vs. 703 ms). Por último, en cuanto al rendimiento del resto, los jugadores internacionales obtuvieron valores superiores a los jugadores nacionales (1.3 vs. 0.9). ABSTRACT Although there have been significant advances in laboratory studies with unrepresentative experimental designs (e.g., Farrow y Reid, 2012; Nieminen, Piirainen, Salmi, y Linnamo, 2013), today it is still unknown to full extent how tennis players of different levels of expertise calibrate or adjust their movements to the spatial-temporal demands present in the return of a first serve. Few studies have been carried out in situ and some aspects of the methodology most of them used can be questioned. Thus, in several studies the recording frequency has been limited (e.g., a 50 Hz en Jackson y Gudgeon, 2004; Triolet, Benguigui, Le Runigo y Williams, 2013), or serve speed was visibly lower than the usual one (cf. Carboch, Süss y Kocib, 2014; Williams, Singer y Weigelt, 1998). Also, in some studies, experienced participants have not played at international level (e.g., Avilés, Ruiz, Sanz y Navia, 2014), and the sample size has been very small (e.g., Gillet, Leroy, Thouvarecq, Mégrot y Stein, 2010). Furthermore, different works have used a variety of methods and measurement instruments and coding criteria of the onset of movements and responses have differed; due to this, visuomotor response delay (LVMr) has been very uneven, varying considerably from 198-410 ms. Considering the drawbacks mentioned above, this study aimed to determine a technical model of temporal regulation of movements and returner’s response, taking into account the continuous flow of information provided by the server. For this, a chronometric analysis of the returns of twelve players (six international and six national) of different sports level, that naturally responded by hitting their returns towards the targets, was performed. Actions of servers and returners were recorded with a Casio Exilim Pro Ex-F1 high speed camera (300 Hz) and then every 3.33 ms analysis was made frame by frame. Once the data of the videos were obtained, analyses were performed using one factor ANOVA test, ANCOVA with the speed of the serve as a covariate, U of Mann- Whitney and Pearson’s Chi-square test. As for the regulation of movement until the moment of serve, international players began their actions before national players, which could indicate that they were better prepared to execute movements reflecting the level of their expertise. International players began raising the rear foot at -293 ms and national players at -202 ms. All these actions were being linked to each other and it was at the moment of impact of the server when the receivers demonstrated a remarkable perceptual-motor coordination. Therefore, international players took off and started their flight just -6.5 ms before the serve and national players did the same somewhat later: +19.5 ms after the serve. Along the timeline, everything seems to indicate that the information used by returners interact with each other; early information which is less reliable to anticipate or move before, and later information more reliable appears to regulate the timing of actions. Returners of international and national levels anticipated at spatial level in a low percentage (7.7% vs. 13.6%) and in similar times (-127 vs. -118 ms) suggesting that the use of early and less reliable optical variables is only produced on rare occasions. Moreover, these data relate to a precise response as both international and national players showed a high percentage of success in responding (95.4% vs. 96.7%). It had been noted that international and national players would differ in the time the fall (i.e., landing) of the first foot of the split-step, however, this effect was not found (128 vs. 135 ms). No differences in the percentage of fall with the opposite foot to the direction of the ball (58% vs. 62%) were found. Where the two groups differed was in the time of the fall of the second foot (147 vs. 168 ms). This difference of 21 ms was crucial and it was a proof of mayor speed of international players; suggesting that this action could be related to the onset time of response. Although international players have proven to be faster in relation to their functional capabilities, both groups did not differ in all variables related to LVMr. They did not use those precious milliseconds earned at the time of the fall of the second foot to respond as soon, since the LVMr of the upper limb was the same for both groups (179 vs. 174 ms). It is as if they had all the time in the world to continue to adjust their actions until the return itself. Furthermore, these long times suggest that in the vast majority of the returns, key information that determined the response was detected (pick-up) in moments close to the hit of the server and in the first part of the ball flight. It was also found that in general the LVMr is influenced by the type of information used. Thus, when taking into account the trials during which there was spatial anticipation, reflected in LVMr of the whole body, the times decreased (152 vs. 136 ms). On the other hand, there were occasions (13%) where both international and national players responded late, thus receiving aces (208 vs. 195 ms). It is quite possible that in these cases the players have had trouble to pick-up information, responding out of temporary margins of action, which affected their performance. The same could have occurred when both groups of players corrected upper limb movement after impact (17% vs. 10%), which increased the time to respond and to redirect the return towards the right side (208 vs. 205 ms). Moreover, international players scored lower movement times than the national players (509 vs. 531 ms), which was reflected in a shorter total response time (683 vs. 703 ms). Finally, as far as the performance of return is concerned, international players scored above the national players values (1.3 vs. 0.9).
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Insufficient efficacy and/or specificity of antisense oligonucleotides limit their in vivo usefulness. We demonstrate here that a high-affinity DNA analog, locked nucleic acid (LNA), confers several desired properties to antisense agents. Unlike DNA, LNA/DNA copolymers were not degraded readily in blood serum and cell extracts. However, like DNA, the LNA/DNA copolymers were capable of activating RNase H, an important antisense mechanism of action. In contrast to phosphorothioate-containing oligonucleotides, isosequential LNA analogs did not cause detectable toxic reactions in rat brain. LNA/DNA copolymers exhibited potent antisense activity on assay systems as disparate as a G-protein-coupled receptor in living rat brain and an Escherichia coli reporter gene. LNA-containing oligonucleotides will likely be useful for many antisense applications.
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Proper understanding of processes underlying visual perception requires information on the activation order of distinct brain areas. We measured dynamics of cortical signals with magnetoencephalography while human subjects viewed stimuli at four visual quadrants. The signals were analyzed with minimum current estimates at the individual and group level. Activation emerged 55–70 ms after stimulus onset both in the primary posterior visual areas and in the anteromedial part of the cuneus. Other cortical areas were active after this initial dual activation. Comparison of data between species suggests that the anteromedial cuneus either comprises a homologue of the monkey area V6 or is an area unique to humans. Our results show that visual stimuli activate two cortical areas right from the beginning of the cortical response. The anteromedial cuneus has the temporal position needed to interact with the primary visual cortex V1 and thereby to modify information transferred via V1 to extrastriate cortices.
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In normal rats and mice, immunostaining with specific antibodies revealed that nuclei of most prostatic epithelial cells harbor estrogen receptor β (ERβ). In rat ventral prostate, 530- and 549-aa isoforms of the receptor were identified. These sediment in the 4S region of low-salt sucrose gradients, indicating that prostatic ERβ does not contain the same protein chaperones that are associated with ERα. Estradiol (E2) binding and ERβ immunoreactivity coincide on the gradient, with no indication of ERα. In prostates from mice in which the ERβ gene has been inactivated (BERKO), androgen receptor (AR) levels are elevated, and the tissue contains multiple hyperplastic foci. Most epithelial cells express the proliferation antigen Ki-67. In contrast, prostatic epithelium from wild-type littermates is single layered with no hyperplasia, and very few cells express Ki-67. Rat ventral prostate contains an estrogenic component, which comigrates on HPLC with the testosterone metabolite 5α-androstane-3β,17β-diol (3βAdiol). This compound, which competes with E2 for binding to ERβ and elicits an estrogenic response in the aorta but not in the pituitary, decreases the AR content in prostates of wild-type mice but does not affect the elevated levels seen in ERβ knockout (BERKO) mice. Thus ERβ, probably as a complex with 3βAdiol, is involved in regulating the AR content of the rodent prostate and in restraining epithelial growth. These findings suggest that ligands specific for ERβ may be useful in the prevention and/or clinical management of prostatic hyperplasia and neoplasia.
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Negli ultimi anni, si sono diffusi nuove strategie per il trattamento delle malattie cardiovascolari, che possano supportare una terapia medica, o in alcuni casi, sostituirla. Infatti, l’abbandono delle terapie è il più importante problema di salute pubblica del mondo occidentale, soprattutto per le malattie croniche. Ciò è dovuto alla complessità delle terapie farmacologiche e ai numerosi e in alcuni casi gravi effetti collaterali dei farmaci somministrati. Di conseguenza, una riduzione di questi effetti migliorerebbe le condizioni di vita del paziente e quindi diminuirebbe il rischio di abbandono della terapia. Per ottenere ciò, è possibile affiancare al trattamento farmacologico una terapia nutraceutica, consistente nella somministrazione di complessi molecolari o microorganismi, provenienti da piante, latte o cibi funzionali. Lo scopo generale di questo studio è indagare le attività ipolipidemizzanti di un composto nutraceutico e di un ceppo batterio specifico nel modello animale che presenta elevati alti livelli plasmatici di colesterolo. Inoltre, sono stati analizzati gli effetti del trattamento nutraceutico sui meccanismi fisiologici che contrastano la creazione della placca aterosclerotica come l’efflusso di colesterolo dalle “foam cells” presenti nell’ateroma, o la riduzione dell’assorbimento intestinale di colesterolo. La presente tesi è divisa in due parti. Nella prima parte, abbiamo analizzato la capacità dei Bifidobacteria di ridurre i livelli di colesterolo nel medium di crescita. Dall’analisi, si è osservato che vari ceppi del genere Bifidobacteria presentano un’ampia capacità di assimilazione del colesterolo all’interno della cellula batterica, in particolare il Bifidobacterium bifidum PRL2010. Le analisi di trascrittomica del Bb PRL2010 incubato in presenza di colesterolo, hanno rivelato un significativo aumento dei livelli di trascrizione di geni codificanti trasportatori e riduttasi, responsabili del meccanismo di accumulo all’interno della cellula batterica e della conversione del colesterolo in coprostanolo. L’attività ipolipidemizzante del Bb PRL2010 è stata poi valutata nel modello murino, mostrando la modificazione del microbiota dei topi trattati dopo somministrazione del batterio in questione. Nella seconda parte del progetto di ricerca, abbiamo indagato sugli effetti di un composto coperto da brevetto, chiamato “Ola”, sull’efflusso di colesterolo di criceti trattati con questo composto nutraceutico. L’efflusso di colesterolo è il primo step del meccanismo fisiologico noto come Trasporto Inverso del Colesterolo, che consente l’eliminazione del colesterolo dalle placche aterosclerotiche, attraverso l’interazione fra le HDL, presenti nella circolazione sanguigna, e specifici trasportatori delle foam cells, come ABCA1/G1 e SR-BI. In seguito, le lipoproteine rilasciano il colesterolo alle cellule epatiche, dove è metabolizzato ed escreto attraverso le feci. Per valutare l’effetto dell’Ola sul profilo lipidico dei criceti, sono state condotte analisi in vitro. I risultati mostrano un aumento dell’efflusso di colesterolo in cellule che esprimono il trasportatore ABCA1, comparato con il gruppo controllo. Questi due studi mostrano come l’approccio nutraceutico può essere un importante modo per contrastare l’aterosclerosi. Come mostrato in letteratura, gli effetti dei composti nutraceutici sull’aterosclerosi e su altre malattie croniche, hanno portato a un ampio uso come supporto alle terapie farmacologiche, ed in alcuni casi hanno rimpiazzato la terapia farmacologica stessa.