997 resultados para Catania (Italy) Regia università degli studi. Orto botanico]


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La terapia di resincronizzazione cardiaca (TRC) è un presidio non farmacologico che riduce la mortalità e la morbosità nei pazienti con scompenso refrattario alla terapia medica. La maggior parte dei dati riguardanti gli effetti della TRC coinvolgono i pazienti con le indicazioni consolidate seguenti: classe NYHA III-IV, ritardo della conduzione ventricolare (QRS>opp= 20 msec), disfunzione sistolica ventricolare sinistra (frazione di eiezione ventricolare sinistra >opp= 35%) e ritmo sinusale (RS). Mentre è noto che la fibrillazione atriale permanente (FA) sia presente in una porzione consistente dei pazienti con scompenso cardiaco, vi sono pochi dati riguardanti la sopravvivenza e gli effetti a lungo-termine della TRC in pazienti con scompenso cardiaco e fibrillazione atriale (FA); la maggior parte degli studi sono osservazionali ed hanno dimostrato che la TRC potrebbe conferire dei benefici a corto e medio termine anche in pazienti con FA permanente. Solo recentemente un ampio studio osservazionale ha descritto che, a lungo-termine, la TRC migliora significativamente la capacità funzionale, la frazione di eiezione e induce il rimodellamento inverso del ventricolo sinistro solamente in quei pazienti con FA dove la TRC viene combinata con l’ablazione del nodo atrio-ventricolare (NAV). La strategia ablativa del NAV infatti conferendo una stimolazione completa e costante, permette di eliminare gli effetti del ritmo spontaneo di FA (ritmo irregolare e tendenzialmente tachicardico) cheinterferisce in maniera importante con la stimolazione biventricolare in particolare durante gli sforzi fisici. Sulla base di queste premesse il presente studio si propone di valutare gli effetti a lungo-termine della TRC su pazienti con scompenso cardiaco e FA permanente focalizzando su due aspetti principali: 1) confrontando la sopravvivenza di pazienti con FA permanente rispetto ai pazienti in RS; 2) confrontando la sopravvivenza di pazienti in FA suddivisi secondo la modalità di controllo della frequenza con somministrazione di farmaci antiaritmici (gruppo FA-farm) oppure mediante controllo ablazione del NAV (gruppo FA-abl). Metodi e risultati: Sono presentati i dati di 1303 pazienti sottoposti consecutivamente ad impianto di dispositivo per la TRC e seguiti per un periodo mediano di 24 mesi. Diciotto pazienti sono stati persi durante il follow-up per cui la popolazione dello studio è rappresentata da una popolazione totale di 1295 pazienti di cui 1042 in RS e 243 (19%) in FA permanente. Nei pazienti con FA il controllo della frequenza cardiaca è stato effettuato mediante la somministrazione di farmaci anti-aritmici (gruppo FA-farm: 125 pazienti) oppure mediante ablazione del NAV (FA-abl: 118 pazienti). Rispetto ai pazienti in RS, i pazienti in FA permanente erano significativamente più vecchi, più spesso presentavano eziologia nonischemica, avevano una frazione di eiezione più elevata al preimpianto, una durata del QRS minore e erano più raramente trattati con un defibrillatore. Lungo un follow-up mediano di 24 mesi, 170/1042 pazienti in RS e 39/243 in FA sono deceduti (l’incidenza di mortalità a 1 anno era di 8,4% e 8,9%, rispettivamente). I rapporti di rischio derivanti dall’analisi multivariata con il 95% dell’intervallo di confidenza (HR, 95% CI) erano simili sia per la morte per tutte le cause che per la morte cardiaca (0.9 [0.57-1.42], p=0.64 e 1.00 [0.60-1.66] p=0.99, rispettivamente). Fra i pazienti con FA, il gruppo FA-abl presentava una durata media del QRS minore ed era meno frequentemente trattato con il defibrillatore impiantabile rispetto al gruppo FA-farm. Soli 11/118 pazienti del FA-abl sono deceduti rispetto a 28/125 nel gruppo FA-farm (mortalità cumulativa a 1 anno di 9,3% e 15,2% rispettivamente, p<0.001), con HR, 95% CI per FA-abl vs FA-farm di 0.15 [0.05-0.43],,p<0.001 per la mortalità per tutte le cause, di 0.18 [0.06-0.57], p=0.004 per la mortalità cardiaca, e di 0.09 [0.02-0.42], p<0.002 per la mortalità da scompenso cardiaco. Conclusioni: I pazienti con scompenso cardiaco e FA permanente trattati con la TRC presentano una simile sopravvivenza a lungo-termine di pazienti in RS. Nei pazienti in FA l’ablazione del NAV in aggiunta alla TRC migliora significativamente la sopravvivenza rispetto alla sola TRC; questo effetto è ottenuto primariamente attraverso una riduzione della morte per scompenso cardiaco.

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La tecnica di ozonolisi viene applicata ai fanghi biologici derivanti da impianti di depurazione acque reflue urbane, e consiste nell'ottenere, grazie all'ozono, una minor massa fangosa da smaltire e una miglior trattabilità del fango residue. In questo elaborato si prendono in esame le sperimentazioni effettuate a Marina di Ravenna e si estraggono le prime conclusioni gestionali, economiche e ambientali sull'applicabilità del metodo a questo tipo di fango.

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La tesi tratta di strumenti finalizzati alla valutazione dello stato conservativo e di supporto all'attività di manutenzione dei ponti, dai più generali Bridge Management Systems ai Sistemi di Valutazione Numerica della Condizione strutturale. Viene proposto uno strumento originale con cui classificare i ponti attraverso un Indice di Valutazione Complessiva e grazie ad esso stabilire le priorità d'intervento. Si tara lo strumento sul caso pratico di alcuni ponti della Provincia di Bologna. Su un ponte in particolare viene realizzato un approfondimento specifico sulla determinazione approssimata dei periodi propri delle strutture da ponte. Si effettua un confronto dei risultati di alcune modellazioni semplificate in riferimento a modellazioni dettagliate e risultati sperimentali.

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Introduzione L’importanza clinica, sociale ed economica del trattamento dell’ipertensione arteriosa richiede la messa in opera di strumenti di monitoraggio dell’uso dei farmaci antiipertensivi che consentano di verificare la trasferibilità alla pratica clinica dei dati ottenuti nelle sperimentazioni. L’attuazione di una adatta strategia terapeutica non è un fenomeno semplice da realizzare perché le condizioni in cui opera il Medico di Medicina Generale sono profondamente differenti da quelle che si predispongono nell’esecuzione degli studi randomizzati e controllati. Emerge, pertanto, la necessità di conoscere le modalità con cui le evidenze scientifiche trovano reale applicazione nella pratica clinica routinaria, identificando quei fattori di disturbo che, nei contesti reali, limitano l’efficacia e l’appropriatezza clinica. Nell’ambito della terapia farmacologica antiipertensiva, uno di questi fattori di disturbo è costituito dalla ridotta aderenza al trattamento. Su questo tema, recenti studi osservazionali hanno individuato le caratteristiche del paziente associate a bassi livelli di compliance; altri hanno focalizzato l’attenzione sulle caratteristiche del medico e sulla sua capacità di comunicare ai propri assistiti l’importanza del trattamento farmacologico. Dalle attuali evidenze scientifiche, tuttavia, non emerge con chiarezza il peso relativo dei due diversi attori, paziente e medico, nel determinare i livelli di compliance nel trattamento delle patologie croniche. Obiettivi Gli obiettivi principali di questo lavoro sono: 1) valutare quanta parte della variabilità totale è attribuibile al livello-paziente e quanta parte della variabilità è attribuibile al livello-medico; 2) spiegare la variabilità totale in funzione delle caratteristiche del paziente e in funzione delle caratteristiche del medico. Materiale e metodi Un gruppo di Medici di Medicina Generale che dipendono dall’Azienda Unità Sanitaria Locale di Ravenna si è volontariamente proposto di partecipare allo studio. Sono stati arruolati tutti i pazienti che presentavano almeno una misurazione di pressione arteriosa nel periodo compreso fra il 01/01/1997 e il 31/12/2002. A partire dalla prima prescrizione di farmaci antiipertensivi successiva o coincidente alla data di arruolamento, gli assistiti sono stati osservati per 365 giorni al fine di misurare la persistenza in trattamento. La durata del trattamento antiipertensivo è stata calcolata come segue: giorni intercorsi tra la prima e l’ultima prescrizione + proiezione, stimata sulla base delle Dosi Definite Giornaliere, dell’ultima prescrizione. Sono stati definiti persistenti i soggetti che presentavano una durata del trattamento maggiore di 273 giorni. Analisi statistica I dati utilizzati per questo lavoro presentano una struttura gerarchica nella quale i pazienti risultano “annidati” all’interno dei propri Medici di Medicina Generale. In questo contesto, le osservazioni individuali non sono del tutto indipendenti poiché i pazienti iscritti allo stesso Medico di Medicina Generale tenderanno ad essere tra loro simili a causa della “storia comune” che condividono. I test statistici tradizionali sono fortemente basati sull’assunto di indipendenza tra le osservazioni. Se questa ipotesi risulta violata, le stime degli errori standard prodotte dai test statistici convenzionali sono troppo piccole e, di conseguenza, i risultati che si ottengono appaiono “impropriamente” significativi. Al fine di gestire la non indipendenza delle osservazioni, valutare simultaneamente variabili che “provengono” da diversi livelli della gerarchia e al fine di stimare le componenti della varianza per i due livelli del sistema, la persistenza in trattamento antiipertensivo è stata analizzata attraverso modelli lineari generalizzati multilivello e attraverso modelli per l’analisi della sopravvivenza con effetti casuali (shared frailties model). Discussione dei risultati I risultati di questo studio mostrano che il 19% dei trattati con antiipertensivi ha interrotto la terapia farmacologica durante i 365 giorni di follow-up. Nei nuovi trattati, la percentuale di interruzione terapeutica ammontava al 28%. Le caratteristiche-paziente individuate dall’analisi multilivello indicano come la probabilità di interrompere il trattamento sia più elevata nei soggetti che presentano una situazione clinica generale migliore (giovane età, assenza di trattamenti concomitanti, bassi livelli di pressione arteriosa diastolica). Questi soggetti, oltre a non essere abituati ad assumere altre terapie croniche, percepiscono in minor misura i potenziali benefici del trattamento antiipertensivo e tenderanno a interrompere la terapia farmacologica alla comparsa dei primi effetti collaterali. Il modello ha inoltre evidenziato come i nuovi trattati presentino una più elevata probabilità di interruzione terapeutica, verosimilmente spiegata dalla difficoltà di abituarsi all’assunzione cronica del farmaco in una fase di assestamento della terapia in cui i principi attivi di prima scelta potrebbero non adattarsi pienamente, in termini di tollerabilità, alle caratteristiche del paziente. Anche la classe di farmaco di prima scelta riveste un ruolo essenziale nella determinazione dei livelli di compliance. Il fenomeno è probabilmente legato ai diversi profili di tollerabilità delle numerose alternative terapeutiche. L’appropriato riconoscimento dei predittori-paziente di discontinuità (risk profiling) e la loro valutazione globale nella pratica clinica quotidiana potrebbe contribuire a migliorare il rapporto medico-paziente e incrementare i livelli di compliance al trattamento. L’analisi delle componenti della varianza ha evidenziato come il 18% della variabilità nella persistenza in trattamento antiipertensivo sia attribuibile al livello Medico di Medicina Generale. Controllando per le differenze demografiche e cliniche tra gli assistiti dei diversi medici, la quota di variabilità attribuibile al livello medico risultava pari al 13%. La capacità empatica dei prescrittori nel comunicare ai propri pazienti l’importanza della terapia farmacologica riveste un ruolo importante nel determinare i livelli di compliance al trattamento. La crescente presenza, nella formazione dei medici, di corsi di carattere psicologico finalizzati a migliorare il rapporto medico-paziente potrebbe, inoltre, spiegare la relazione inversa, particolarmente evidente nella sottoanalisi effettuata sui nuovi trattati, tra età del medico e persistenza in trattamento. La proporzione non trascurabile di variabilità spiegata dalla struttura in gruppi degli assistiti evidenzia l’opportunità e la necessità di investire nella formazione dei Medici di Medicina Generale con l’obiettivo di sensibilizzare ed “educare” i medici alla motivazione ma anche al monitoraggio dei soggetti trattati, alla sistematica valutazione in pratica clinica dei predittori-paziente di discontinuità e a un appropriato utilizzo della classe di farmaco di prima scelta. Limiti dello studio Uno dei possibili limiti di questo studio risiede nella ridotta rappresentatività del campione di medici (la partecipazione al progetto era su base volontaria) e di pazienti (la presenza di almeno una misurazione di pressione arteriosa, dettata dai criteri di arruolamento, potrebbe aver distorto il campione analizzato, selezionando i pazienti che si recano dal proprio medico con maggior frequenza). Questo potrebbe spiegare la minore incidenza di interruzioni terapeutiche rispetto a studi condotti, nella stessa area geografica, mediante database amministrativi di popolazione. Conclusioni L’analisi dei dati contenuti nei database della medicina generale ha consentito di valutare l’impiego dei farmaci antiipertensivi nella pratica clinica e di stabilire la necessità di porre una maggiore attenzione nella pianificazione e nell’ottenimento dell’obiettivo che il trattamento si prefigge. Alla luce dei risultati emersi da questa valutazione, sarebbe di grande utilità la conduzione di ulteriori studi osservazionali volti a sostenere il progressivo miglioramento della gestione e del trattamento dei pazienti a rischio cardiovascolare nell’ambito della medicina generale.

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Attualmente le tematiche legate alla produzione e all’uso dell’energia rivestono grande importanza, anche in relazione agli obiettivi in termini di riduzione delle emissioni di gas partecipanti all’effetto serra prefissati dal Protocollo di Kyoto, che impongono il contenimento dei consumi energetici. Andando a ricercare i fattori che alterano i consumi energetici dei sistemi acquedottistici, accanto a quelli legati all’efficienza degli impianti e alle condizioni delle condotte, si deve tener conto anche della presenza delle perdite idriche in rete. Infatti nel valutare il problema delle perdite idriche esclusivamente come quantitativo di acqua di elevata qualità dispersa nell’ambiente, si trascura di considerare il contenuto energetico che ad essa viene conferito mediante attività di pompaggio durante le fasi di prelievo, potabilizzazione, adduzione e distribuzione all’utenza. L’efficienza invece varia in funzione di fattori oggettivi strettamente legati alle caratteristiche del territorio da servire, ma anche in funzione delle scelte effettuate in fase di progettazione e di esercizio. Da questa premessa discendono due importanti considerazioni. Il primo aspetto consiste nel poter valutare separatamente l’influenza sul consumo energetico dell’efficienza dei pompaggi e della rete, in modo da identificare l’impatto di singoli interventi, in particolare la riduzione delle perdite idriche (Colombo & Karney, 2002, 2004; Walski, 2004; Artina et al. 2007, 2008) ed il miglioramento dello stato dell’infrastruttura acquedottistica. Alla luce degli studi già svolti, sarà approfondita l’analisi del legame tra perdite idriche e aumento del consumo energetico, valutandola su modello numerico con riferimento a un caso di studio reale, costituito da un distretto monitorato della rete acquedottistica di Mirabello (Ferrara) alimentato mediante un sistema bypass-pompaggio a giri variabili. Il secondo aspetto riguarda la necessità di individuare dei termini di paragone che consentano di formulare un giudizio nei confronti del quantitativo di energia attualmente impiegato in un sistema acquedottistico. Su tale linea saranno analizzati alcuni indicatori per esprimere i consumi energetici dei sistemi acquedottistici.

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Lo studio del processo produttivo del riciclo di materiali provenienti da attività di C&D in un impianto di nuova realizzazione, presentato in questa tesi di laurea,è così articolato: nel primo capitolo si analizza la complicata evoluzione della normativa in materia di rifiuti (non solo da C&D) su scala europea e nazionale accennando i provvedimenti legislativi su scala regionale, con particolare riferimento alla Regione Veneto. Si esamineranno, pertanto, le direttive e le decisioni della Comunità Europea che hanno ispirato, a partire dal 1975, i provvedimenti legislativi nazionali, tra cui vale la pena di ricordare il “Decreto Ronchi”, emanato nel febbraio del 1997, l’attuale D.Lgs. 3/4/2006 n.152, e i Decreti Ministeriali di riferimento per la materia di studio, ovvero il D.M. 5/2/1998, riguardante l’individuazione dei rifiuti per cui è possibile procedere al loro trattamento in regime semplificato e l’ancora poco attuato D.M.8/5/2003 n.203, riferito all’utilizzo di materiale riciclato nelle Pubbliche Amministrazioni. Il secondo capitolo definisce, invece, le caratteristiche principali dei rifiuti da C&D, appartenenti alla categoria dei rifiuti inerti, e delinea le odierne problematiche inerenti a tali materiali. A conferma di queste, nella seconda parte del capitolo, sono presentati alcuni dati che fotografano oggettivamente gli scenari attuali in Europa e in Italia in riferimento alla produzione, al recupero e allo smaltimento di questa categoria di rifiuti. In seguito, il terzo capitolo inizia a definire gli aspetti relativi alla realizzazione di un impianto di studio per il riciclo di rifiuti da C&D. In esso si evidenziano le procedure amministrative, gli adempimenti burocratici e in generale tutti gli aspetti inerenti alla gestione dei rifiuti da C&D per l’esecuzione delle attività di recupero e smaltimento previste dal D.Lgs. n.152/2006, così come modificato dal recentissimo D.Lgs. n.4/2008. Il quarto capitolo definisce i termini per poter considerare i rifiuti da C&D trattati in impianto come MPS. L’attenzione è riposta sulla Direttiva 89/106/CEE, che impone obbligatoriamente, dal 01/06/2004, la marcatura CE per tutti i prodotti da costruzione e, quindi, anche per gli aggregati riciclati. Pertanto, in questo capitolo, vengono definite le prove richieste obbligatoriamente dal D.M 11/4/2007 in accordo con la norma europea UNI EN 13242 recante “Aggregati per materiali non legati e legati con leganti idraulici per l'impiego in opere di ingegneria civile e nella costruzione di strade" ed, in conclusione, viene studiata la Circolare n.5205/2005 che dovrebbe dare attuazione nel settore edile, stradale e ambientale al D.M. n.203/2003. Successivamente, il quinto capitolo delinea le caratteristiche principali degli impianti di trattamento per il recupero dei rifiuti da C&D, delineando le principali differenze tra gli impianti fissi e i mobili ed esaminando le diverse fasi del ciclo produttivo, anche in relazione ad un impianto di studio situato nella provincia di Verona. Infine, il sesto capitolo riassume i risultati delle prove di marcatura CE per gli aggregati riciclati prodotti nell’impianto descritto. Tali prove sono state eseguite presso il Laboratorio di Strade della Facoltà di Ingegneria dell’Università degli Studi di Bologna.

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Negli ultimi anni, un crescente numero di studiosi ha focalizzato la propria attenzione sullo sviluppo di strategie che permettessero di caratterizzare le proprietà ADMET dei farmaci in via di sviluppo, il più rapidamente possibile. Questa tendenza origina dalla consapevolezza che circa la metà dei farmaci in via di sviluppo non viene commercializzato perché ha carenze nelle caratteristiche ADME, e che almeno la metà delle molecole che riescono ad essere commercializzate, hanno comunque qualche problema tossicologico o ADME [1]. Infatti, poco importa quanto una molecola possa essere attiva o specifica: perché possa diventare farmaco è necessario che venga ben assorbita, distribuita nell’organismo, metabolizzata non troppo rapidamente, ne troppo lentamente e completamente eliminata. Inoltre la molecola e i suoi metaboliti non dovrebbero essere tossici per l’organismo. Quindi è chiaro come una rapida determinazione dei parametri ADMET in fasi precoci dello sviluppo del farmaco, consenta di risparmiare tempo e denaro, permettendo di selezionare da subito i composti più promettenti e di lasciar perdere quelli con caratteristiche negative. Questa tesi si colloca in questo contesto, e mostra l’applicazione di una tecnica semplice, la biocromatografia, per caratterizzare rapidamente il legame di librerie di composti alla sieroalbumina umana (HSA). Inoltre mostra l’utilizzo di un’altra tecnica indipendente, il dicroismo circolare, che permette di studiare gli stessi sistemi farmaco-proteina, in soluzione, dando informazioni supplementari riguardo alla stereochimica del processo di legame. La HSA è la proteina più abbondante presente nel sangue. Questa proteina funziona da carrier per un gran numero di molecole, sia endogene, come ad esempio bilirubina, tiroxina, ormoni steroidei, acidi grassi, che xenobiotici. Inoltre aumenta la solubilità di molecole lipofile poco solubili in ambiente acquoso, come ad esempio i tassani. Il legame alla HSA è generalmente stereoselettivo e ad avviene a livello di siti di legame ad alta affinità. Inoltre è ben noto che la competizione tra farmaci o tra un farmaco e metaboliti endogeni, possa variare in maniera significativa la loro frazione libera, modificandone l’attività e la tossicità. Per queste sue proprietà la HSA può influenzare sia le proprietà farmacocinetiche che farmacodinamiche dei farmaci. Non è inusuale che un intero progetto di sviluppo di un farmaco possa venire abbandonato a causa di un’affinità troppo elevata alla HSA, o a un tempo di emivita troppo corto, o a una scarsa distribuzione dovuta ad un debole legame alla HSA. Dal punto di vista farmacocinetico, quindi, la HSA è la proteina di trasporto del plasma più importante. Un gran numero di pubblicazioni dimostra l’affidabilità della tecnica biocromatografica nello studio dei fenomeni di bioriconoscimento tra proteine e piccole molecole [2-6]. Il mio lavoro si è focalizzato principalmente sull’uso della biocromatografia come metodo per valutare le caratteristiche di legame di alcune serie di composti di interesse farmaceutico alla HSA, e sul miglioramento di tale tecnica. Per ottenere una miglior comprensione dei meccanismi di legame delle molecole studiate, gli stessi sistemi farmaco-HSA sono stati studiati anche con il dicroismo circolare (CD). Inizialmente, la HSA è stata immobilizzata su una colonna di silice epossidica impaccata 50 x 4.6 mm di diametro interno, utilizzando una procedura precedentemente riportata in letteratura [7], con alcune piccole modifiche. In breve, l’immobilizzazione è stata effettuata ponendo a ricircolo, attraverso una colonna precedentemente impaccata, una soluzione di HSA in determinate condizioni di pH e forza ionica. La colonna è stata quindi caratterizzata per quanto riguarda la quantità di proteina correttamente immobilizzata, attraverso l’analisi frontale di L-triptofano [8]. Di seguito, sono stati iniettati in colonna alcune soluzioni raceme di molecole note legare la HSA in maniera enantioselettiva, per controllare che la procedura di immobilizzazione non avesse modificato le proprietà di legame della proteina. Dopo essere stata caratterizzata, la colonna è stata utilizzata per determinare la percentuale di legame di una piccola serie di inibitori della proteasi HIV (IPs), e per individuarne il sito(i) di legame. La percentuale di legame è stata calcolata attraverso il fattore di capacità (k) dei campioni. Questo parametro in fase acquosa è stato estrapolato linearmente dal grafico log k contro la percentuale (v/v) di 1-propanolo presente nella fase mobile. Solamente per due dei cinque composti analizzati è stato possibile misurare direttamente il valore di k in assenza di solvente organico. Tutti gli IPs analizzati hanno mostrato un’elevata percentuale di legame alla HSA: in particolare, il valore per ritonavir, lopinavir e saquinavir è risultato maggiore del 95%. Questi risultati sono in accordo con dati presenti in letteratura, ottenuti attraverso il biosensore ottico [9]. Inoltre, questi risultati sono coerenti con la significativa riduzione di attività inibitoria di questi composti osservata in presenza di HSA. Questa riduzione sembra essere maggiore per i composti che legano maggiormente la proteina [10]. Successivamente sono stati eseguiti degli studi di competizione tramite cromatografia zonale. Questo metodo prevede di utilizzare una soluzione a concentrazione nota di un competitore come fase mobile, mentre piccole quantità di analita vengono iniettate nella colonna funzionalizzata con HSA. I competitori sono stati selezionati in base al loro legame selettivo ad uno dei principali siti di legame sulla proteina. In particolare, sono stati utilizzati salicilato di sodio, ibuprofene e valproato di sodio come marker dei siti I, II e sito della bilirubina, rispettivamente. Questi studi hanno mostrato un legame indipendente dei PIs ai siti I e II, mentre è stata osservata una debole anticooperatività per il sito della bilirubina. Lo stesso sistema farmaco-proteina è stato infine investigato in soluzione attraverso l’uso del dicroismo circolare. In particolare, è stato monitorata la variazione del segnale CD indotto di un complesso equimolare [HSA]/[bilirubina], a seguito dell’aggiunta di aliquote di ritonavir, scelto come rappresentante della serie. I risultati confermano la lieve anticooperatività per il sito della bilirubina osservato precedentemente negli studi biocromatografici. Successivamente, lo stesso protocollo descritto precedentemente è stato applicato a una colonna di silice epossidica monolitica 50 x 4.6 mm, per valutare l’affidabilità del supporto monolitico per applicazioni biocromatografiche. Il supporto monolitico monolitico ha mostrato buone caratteristiche cromatografiche in termini di contropressione, efficienza e stabilità, oltre che affidabilità nella determinazione dei parametri di legame alla HSA. Questa colonna è stata utilizzata per la determinazione della percentuale di legame alla HSA di una serie di poliamminochinoni sviluppati nell’ambito di una ricerca sulla malattia di Alzheimer. Tutti i composti hanno mostrato una percentuale di legame superiore al 95%. Inoltre, è stata osservata una correlazione tra percentuale di legame è caratteristiche della catena laterale (lunghezza e numero di gruppi amminici). Successivamente sono stati effettuati studi di competizione dei composti in esame tramite il dicroismo circolare in cui è stato evidenziato un effetto anticooperativo dei poliamminochinoni ai siti I e II, mentre rispetto al sito della bilirubina il legame si è dimostrato indipendente. Le conoscenze acquisite con il supporto monolitico precedentemente descritto, sono state applicate a una colonna di silice epossidica più corta (10 x 4.6 mm). Il metodo di determinazione della percentuale di legame utilizzato negli studi precedenti si basa su dati ottenuti con più esperimenti, quindi è necessario molto tempo prima di ottenere il dato finale. L’uso di una colonna più corta permette di ridurre i tempi di ritenzione degli analiti, per cui la determinazione della percentuale di legame alla HSA diventa molto più rapida. Si passa quindi da una analisi a medio rendimento a una analisi di screening ad alto rendimento (highthroughput- screening, HTS). Inoltre, la riduzione dei tempi di analisi, permette di evitare l’uso di soventi organici nella fase mobile. Dopo aver caratterizzato la colonna da 10 mm con lo stesso metodo precedentemente descritto per le altre colonne, sono stati iniettati una serie di standard variando il flusso della fase mobile, per valutare la possibilità di utilizzare flussi elevati. La colonna è stata quindi impiegata per stimare la percentuale di legame di una serie di molecole con differenti caratteristiche chimiche. Successivamente è stata valutata la possibilità di utilizzare una colonna così corta, anche per studi di competizione, ed è stata indagato il legame di una serie di composti al sito I. Infine è stata effettuata una valutazione della stabilità della colonna in seguito ad un uso estensivo. L’uso di supporti cromatografici funzionalizzati con albumine di diversa origine (ratto, cane, guinea pig, hamster, topo, coniglio), può essere proposto come applicazione futura di queste colonne HTS. Infatti, la possibilità di ottenere informazioni del legame dei farmaci in via di sviluppo alle diverse albumine, permetterebbe un migliore paragone tra i dati ottenuti tramite esperimenti in vitro e i dati ottenuti con esperimenti sull’animale, facilitando la successiva estrapolazione all’uomo, con la velocità di un metodo HTS. Inoltre, verrebbe ridotto anche il numero di animali utilizzati nelle sperimentazioni. Alcuni lavori presenti in letteratura dimostrano l’affidabilita di colonne funzionalizzate con albumine di diversa origine [11-13]: l’utilizzo di colonne più corte potrebbe aumentarne le applicazioni.

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Il lavoro svolto nella presente tesi di laurea si sviluppa all’interno del progetto di ricerca europeo SmooHs (Smart Monitoring of Historic Structures-Monitoraggio intelligente di edifici e strutture storiche) nell’ambito del 7 Programma Quadro della Commissione Europea. Gli edifici storici sono caratterizzati da elementi architettonici, materiali e soluzioni progettuali uniche e pertanto da valorizzare. Al fine si salvaguardare tali beni storici si richiede una conoscenza approfondita dei processi di deterioramento, legati spesso a fattori ambientali, e una loro rilevazione immediata. Il monitoraggio continuo dei possibili parametri che influenzano i suddetti processi può contribuire significativamente, ma un’applicazione estesa di questa tecnica è finora fallita a causa dei costi elevati di sistemi completi di monitoraggio; per questo sono stati osservati solitamente pochi parametri. L’obiettivo del progetto prevede lo sviluppo di strumenti di monitoraggio e diagnostica competitivi per gli specialisti nel settore che vada al di là del mero accumulo di dati. La normativa, in particolare le Linee Guida per l’applicazione al patrimonio culturale della normativa tecnica di cui all’Ordinanza PCM-3274 del 2005, evidenziano l’importanza di raggiungere un elevato livello di informazione dell’oggetto e del suo comportamento strutturale attraverso un percorso conoscitivo pluriramificato. “Si ha pertanto la necessità di affinare tecniche di analisi ed interpretazione dei manufatti storici mediante fasi conoscitive dal diverso grado di attendibilità, anche in relazione al loro impatto. La conoscenza può infatti essere conseguita con diversi livelli di approfondimento, in funzione dell’accuratezza delle operazioni di rilievo, delle ricerche storiche e delle indagini sperimentali” (Linee guida per l’applicazione all patrimonio culturale della normativa tecnica di cui all’ordinanza PCM-3274, 2005). Per quanto riguarda la caratterizzazione meccanica dei materiali, la normativa cita “Tecniche diagnostiche non distruttive di tipo indiretto, quali prove soniche ed ultrasoniche, consentono di valutare l’omogeneità dei parametri meccanici nelle diverse parti della costruzione, ma non forniscono stime quantitative attendibili dei loro valori, in quanto essi vengono desunti dalla misura di altre grandezze”. Non viene identificata una procedura univoca di prove non distruttive per ciascuna tipologia edilizia, pertanto ci domandiamo quale sia la procedura più idonea da utilizzare, considerando il tipo di risultato che si vuole ottenere. Si richiedono quindi degli studi di fattibilità di diverse tecniche non distruttive, soprattutto tecniche per immagini che diano un risultato più immediato da comprendere. Per questo scopo è stato impostato un programma di ricerca per valutare l’efficacia di una tecnica non distruttiva, la tomografia sonica, su provini in muratura costruiti nei laboratori del LaRM (Laboratorio di Resistenza dei Materiali del DISTART dell’Università di Bologna), reputando questa la strada da percorrere verso una diagnostica strutturale sempre più dettagliata. I provini in muratura di laterizio PNDE e PNDF, presentano al loro interno dei difetti (in polistirolo espanso) di geometria e posizione nota e diverse tessiture murarie (muratura di laterizio tradizionale e muratura a sacco). Nel capitolo 2 vengono descritte le caratteristiche e le basi teoriche delle prove soniche e di altre tecniche non distruttive, al fine di poterne fare un confronto. La tomografia sonica è definita e sono illustrate le sue peculiarità; vengono inoltre riportati alcuni esempi di applicazioni della stessa su strutture storiche lignee e murarie. Nel capitolo 3 sono presentati i provini oggetto di studio ed introdotto qualche accenno sulla natura delle murature di laterizio. Sono specificati i corsi e le sezioni verticali sui quali viene sperimentata la tomografia; essi hanno precise caratteristiche che permettono di eseguire una sperimentazione mirata all’individuazione di anomalie in una sezione e al riconoscimento di diverse tessiture murarie. Nel capitolo 4 è illustrata la procedura di acquisizione dei dati in laboratorio e di rielaborazione degli stessi nella fase di post-processing. Dopo aver scelto, in base alla risoluzione, la distanza che intercorre tra le stazioni di misura, sono stati progettati i vari percorsi uscenti da ogni stazione trasmittente, andando a definire i ray-paths delle sezioni sia orizzontali che verticali. I software per il calcolo dei tempi di volo (in ambiente LabView) e per l’inversione degli stessi (Geotom) sono presentati e vengono definite le istruzioni per l’utilizzo. Il capitolo 5 assieme al capitolo 6, mostra i risultati ottenuti dall’inversione dei tempi di volo. Per i diversi corsi orizzontali e sezioni verticali sono riportate le mappe di velocità ottenute al variare di diversi parametri di settaggio impostati nel software tomografico. Le immagini tomografiche evidenziano le caratteristiche interne delle sezioni studiate, in base alla risoluzione geometrica della tecnica. Nel capitolo 7 e 8 sono mostrati i risultati delle prove soniche dirette applicate sia sui corsi verticali sia sulle sezioni verticali. Le stazioni di misura considerate sono le stesse utilizzate per la tomografia. Il capitolo 9 riporta il confronto tra le mappe di velocità prodotte dalla tomografia sonica e gli istogrammi delle velocità registrate nelle prove soniche dirette. Si evidenziano le differenze nell’individuazione di difetti tra due metodologie differenti. Infine sono riportate le conclusioni sul lavoro svolto. I limiti e i vantaggi della tecnica tomografica vengono desunti dai risultati ottenuti per varie tipologie di sezioni, a confronto anche con risultati di prove soniche dirette. Ciò ci porta a definire la fattibilità di utilizzo della tomografia sonica nella diagnosi delle strutture in muratura.

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Descrizione, tema e obiettivi della ricerca La ricerca si propone lo studio delle possibili influenze che la teoria di Aldo Rossi ha avuto sulla pratica progettuale nella Penisola Iberica, intende quindi affrontare i caratteri fondamentali della teoria che sta alla base di un metodo progettuale ed in particolar modo porre l'attenzione alle nuove costruzioni quando queste si confrontano con le città storiche. Ha come oggetto principale lo studio dei documenti, saggi e scritti riguardanti il tema della costruzione all'interno delle città storiche. Dallo studio di testi selezionati di Aldo Rossi sulla città si vuole concentrare l'attenzione sull'influenza che tale teoria ha avuto nei progetti della Penisola Iberica, studiare come è stata recepita e trasmessa successivamente, attraverso gli scritti di autori spagnoli e come ha visto un suo concretizzarsi poi nei progetti di nuove costruzioni all'interno delle città storiche. Si intende restringere il campo su un periodo ed un luogo precisi, Spagna e Portogallo a partire dagli anni Settanta, tramite la lettura di un importante evento che ha ufficializzato il contatto dell'architetto italiano con la Penisola Iberica, quale il Seminario di Santiago de Compostela tenutosi nel 1976. Al Seminario parteciparono numerosi architetti che si confrontarono su di un progetto per la città di Santiago e furono invitati personaggi di fama internazionale a tenere lezioni introduttive sul tema di dibattito in merito al progetto e alla città storica. Il Seminario di Santiago si colloca in un periodo storico cruciale per la Penisola Iberica, nel 1974 cade il regime salazarista in Portogallo e nel 1975 cade il regime franchista in Spagna ed è quindi di rilevante importanza capire il legame tra l'architettura e la nuova situazione politica. Dallo studio degli interventi, dei progetti che furono prodotti durante il Seminario, della relazione tra questo evento ed il periodo storico in cui esso va contestualizzato, si intende giungere alla individuazione delle tracce della reale presenza di tale eredità. Presupposti metodologici. Percorso e strumenti di ricerca La ricerca può quindi essere articolata in distinte fasi corrispondenti per lo più ai capitoli in cui si articola la tesi: una prima fase con carattere prevalentemente storica, di ricerca del materiale per poter definire il contesto in cui si sviluppano poi le vicende oggetto della tesi; una seconda fase di impronta teorica, ossia di ricerca bibliografica del materiale e delle testimonianze che provvedono alla definizione della reale presenza di effetti scaturiti dai contatti tra Rossi e la Penisola Iberica, per andare a costruire una eredità ; una terza fase che entra nel merito della composizione attraverso lo studio e la verifica delle prime due parti, tramite l'analisi grafica applicata ad uno specifico esempio architettonico selezionato; una quarta fase dove il punto di vista viene ribaltato e si indaga l'influenza dei luoghi visitati e dei contatti intrattenuti con alcuni personaggi della Penisola Iberica sull'architettura di Rossi, ricercandone i riferimenti. La ricerca è stata condotta attraverso lo studio di alcuni eventi selezionati nel corso degli anni che si sono mostrati significativi per l'indagine, per la risonanza che hanno avuto sulla storia dell'architettura della Penisola. A questo scopo si sono utilizzati principalmente tre strumenti: lo studio dei documenti, le pubblicazioni e le riviste prodotte in Spagna, gli scritti di Aldo Rossi in merito, e la testimonianza diretta attraverso interviste di personaggi chiave. La ricerca ha prodotto un testo suddiviso per capitoli che rispetta l'organizzazione in fasi di lavoro. A seguito di determinate condizioni storiche e politiche, studiate nella ricerca a supporto della tesi espressa, nella Penisola Iberica si è verificato il diffondersi della necessità e del desiderio di guardare e prendere a riferimento l'architettura europea e in particolar modo quella italiana. Il periodo sul quale viene focalizzata l'attenzione ha inizio negli anni Sessanta, gli ultimi prima della caduta delle dittature, scenario dei primi viaggi di Aldo Rossi nella Penisola Iberica. Questi primi contatti pongono le basi per intense e significative relazioni future. Attraverso l'approfondimento e la studio dei materiali relativi all'oggetto della tesi, si è cercato di mettere in luce il contesto culturale, l'attenzione e l'interesse per l'apertura di un dibattito intorno all'architettura, non solo a livello nazionale, ma europeo. Ciò ha evidenziato il desiderio di innescare un meccanismo di discussione e scambio di idee, facendo leva sull'importanza dello sviluppo e ricerca di una base teorica comune che rende coerente i lavori prodotti nel panorama architettonico iberico, seppur ottenendo risultati che si differenziano gli uni dagli altri. E' emerso un forte interesse per il discorso teorico sull'architettura, trasmissibile e comunicabile, che diventa punto di partenza per un metodo progettuale. Ciò ha reso palese una condivisione di intenti e l'assunzione della teoria di Aldo Rossi, acquisita, diffusa e discussa, attraverso la pubblicazione dei suoi saggi, la conoscenza diretta con l'architetto e la sua architettura, conferenze, seminari, come base teorica su cui fondare il proprio sapere architettonico ed il processo metodologico progettuale da applicare di volta in volta negli interventi concreti. Si è giunti così alla definizione di determinati eventi che hanno permesso di entrare nel profondo della questione e di sondare la relazione tra Rossi e la Penisola Iberica, il materiale fornito dallo studio di tali episodi, quali il I SIAC, la diffusione della rivista "2C. Construccion de la Ciudad", la Coleccion Arquitectura y Critica di Gustavo Gili, hanno poi dato impulso per il reperimento di una rete di ulteriori riferimenti. E' stato possibile quindi individuare un gruppo di architetti spagnoli, che si identificano come allievi del maestro Rossi, impegnato per altro in quegli anni nella formazione di una Scuola e di un insegnamento, che non viene recepito tanto nelle forme, piuttosto nei contenuti. I punti su cui si fondano le connessioni tra l'analisi urbana e il progetto architettonico si centrano attorno due temi di base che riprendono la teoria esposta da Rossi nel saggio L'architettura della città : - relazione tra l'area-studio e la città nella sua globalità, - relazione tra la tipologia edificatoria e gli aspetti morfologici. La ricerca presentata ha visto nelle sue successive fasi di approfondimento, come si è detto, lo sviluppo parallelo di più tematiche. Nell'affrontare ciascuna fase è stato necessario, di volta in volta, operare una verifica delle tappe percorse precedentemente, per mantenere costante il filo del discorso col lavoro svolto e ritrovare, durante lo svolgimento stesso della ricerca, gli elementi di connessione tra i diversi episodi analizzati. Tale operazione ha messo in luce talvolta nodi della ricerca rimasti in sospeso che richiedevano un ulteriore approfondimento o talvolta solo una rivisitazione per renderne possibile un più proficuo collegamento con la rete di informazioni accumulate. La ricerca ha percorso strade diverse che corrono parallele, per quanto riguarda il periodo preso in analisi: - i testi sulla storia dell'architettura spagnola e la situazione contestuale agli anni Settanta - il materiale riguardante il I SIAC - le interviste ai partecipanti al I SIAC - le traduzioni di Gustavo Gili nella Coleccion Arquitectura y Critica - la rivista "2C. Construccion de la Ciudad" Esse hanno portato alla luce una notevole quantità di tematiche, attraverso le quali, queste strade vengono ad intrecciarsi e a coincidere, verificando l'una la veridicità dell'altra e rafforzandone il valore delle affermazioni. Esposizione sintetica dei principali contenuti esposti dalla ricerca Andiamo ora a vedere brevemente i contenuti dei singoli capitoli. Nel primo capitolo Anni Settanta. Periodo di transizione per la Penisola Iberica si è cercato di dare un contesto storico agli eventi studiati successivamente, andando ad evidenziare gli elementi chiave che permettono di rintracciare la presenza della predisposizione ad un cambiamento culturale. La fase di passaggio da una condizione di chiusura rispetto alle contaminazioni provenienti dall'esterno, che caratterizza Spagna e Portogallo negli anni Sessanta, lascia il posto ad un graduale abbandono della situazione di isolamento venutasi a creare intorno al Paese a causa del regime dittatoriale, fino a giungere all'apertura e all'interesse nei confronti degli apporti culturali esterni. E' in questo contesto che si gettano le basi per la realizzazione del I Seminario Internazionale di Architettura Contemporanea a Santiago de Compostela, del 1976, diretto da Aldo Rossi e organizzato da César Portela e Salvador Tarragó, di cui tratta il capitolo secondo. Questo è uno degli eventi rintracciati nella storia delle relazioni tra Rossi e la Penisola Iberica, attraverso il quale è stato possibile constatare la presenza di uno scambio culturale e l'importazione in Spagna delle teorie di Aldo Rossi. Organizzato all'indomani della caduta del franchismo, ne conserva una reminescenza formale. Il capitolo è organizzato in tre parti, la prima si occupa della ricostruzione dei momenti salienti del Seminario Proyecto y ciudad historica, dagli interventi di architetti di fama internazionale, quali lo stesso Aldo Rossi, Carlo Aymonino, James Stirling, Oswald Mathias Ungers e molti altri, che si confrontano sul tema delle città storiche, alle giornate seminariali dedicate all’elaborazione di un progetto per cinque aree individuate all’interno di Santiago de Compostela e quindi dell’applicazione alla pratica progettuale dell’inscindibile base teorica esposta. Segue la seconda parte dello stesso capitolo riguardante La selezione di interviste ai partecipanti al Seminario. Esso contiene la raccolta dei colloqui avuti con alcuni dei personaggi che presero parte al Seminario e attraverso le loro parole si è cercato di approfondire la materia, in particolar modo andando ad evidenziare l’ambiente culturale in cui nacque l’idea del Seminario, il ruolo avuto nella diffusione della teoria di Aldo Rossi in Spagna e la ripercussione che ebbe nella pratica costruttiva. Le diverse interviste, seppur rivolte a persone che oggi vivono in contesti distanti e che in seguito a questa esperienza collettiva hanno intrapreso strade diverse, hanno fatto emergere aspetti comuni, tale unanimità ha dato ancor più importanza al valore di testimonianza offerta. L’elemento che risulta più evidente è il lascito teorico, di molto prevalente rispetto a quello progettuale che si è andato mescolando di volta in volta con la tradizione e l’esperienza dei cosiddetti allievi di Aldo Rossi. Negli stessi anni comincia a farsi strada l’importanza del confronto e del dibattito circa i temi architettonici e nel capitolo La fortuna critica della teoria di Aldo Rossi nella Penisola Iberica è stato affrontato proprio questo rinnovato interesse per la teoria che in quegli anni si stava diffondendo. Si è portato avanti lo studio delle pubblicazioni di Gustavo Gili nella Coleccion Arquitectura y Critica che, a partire dalla fine degli anni Sessanta, pubblica e traduce in lingua spagnola i più importanti saggi di architettura, tra i quali La arquitectura de la ciudad di Aldo Rossi, nel 1971, e Comlejidad y contradiccion en arquitectura di Robert Venturi nel 1972. Entrambi fondamentali per il modo di affrontare determinate tematiche di cui sempre più in quegli anni si stava interessando la cultura architettonica iberica, diventando così ¬ testi di riferimento anche nelle scuole. Le tracce dell’influenza di Rossi sulla Penisola Iberica si sono poi ricercate nella rivista “2C. Construccion de la Ciudad” individuata come strumento di espressione di una teoria condivisa. Con la nascita nel 1972 a Barcellona di questa rivista viene portato avanti l’impegno di promuovere la Tendenza, facendo riferimento all’opera e alle idee di Rossi ed altri architetti europei, mirando inoltre al recupero di un ruolo privilegiato dell’architettura catalana. A questo proposito sono emersi due fondamentali aspetti che hanno legittimato l’indagine e lo studio di questa fonte: - la diffusione della cultura architettonica, il controllo ideologico e di informazione operato dal lavoro compiuto dalla rivista; - la documentazione circa i criteri di scelta della redazione a proposito del materiale pubblicato. E’ infatti attraverso le pubblicazioni di “2C. Construccion de la Ciudad” che è stato possibile il ritrovamento delle notizie sulla mostra Arquitectura y razionalismo. Aldo Rossi + 21 arquitectos españoles, che accomuna in un’unica esposizione le opere del maestro e di ventuno giovani allievi che hanno recepito e condiviso la teoria espressa ne “L’architettura della città”. Tale mostra viene poi riproposta nella Sezione Internazionale di Architettura della XV Triennale di Milano, la quale dedica un Padiglione col titolo Barcelona, tres epocas tres propuestas. Dalla disamina dei progetti presentati è emerso un interessante caso di confronto tra le Viviendas para gitanos di César Portela e la Casa Bay di Borgo Ticino di Aldo Rossi, di cui si è occupato l’ultimo paragrafo di questo capitolo. Nel corso degli studi è poi emerso un interessante risvolto della ricerca che, capovolgendone l’oggetto stesso, ne ha approfondito gli aspetti cercando di scavare più in profondità nell’analisi della reciproca influenza tra la cultura iberica e Aldo Rossi, questa parte, sviscerata nell’ultimo capitolo, La Penisola Iberica nel “magazzino della memoria” di Aldo Rossi, ha preso il posto di quello che inizialmente doveva presentarsi come il risvolto progettuale della tesi. Era previsto infatti, al termine dello studio dell’influenza di Aldo Rossi sulla Penisola Iberica, un capitolo che concentrava l’attenzione sulla produzione progettuale. A seguito dell’emergere di un’influenza di carattere prettamente teorica, che ha sicuramente modificato la pratica dal punto di vista delle scelte architettoniche, senza però rendersi esplicita dal punto di vista formale, si è preferito, anche per la difficoltà di individuare un solo esempio rappresentativo di quanto espresso, sostituire quest’ultima parte con lo studio dell’altra faccia della medaglia, ossia l’importanza che a sua volta ha avuto la cultura iberica nella formazione della collezione dei riferimenti di Aldo Rossi. L’articolarsi della tesi in fasi distinte, strettamente connesse tra loro da un filo conduttore, ha reso necessari successivi aggiustamenti nel percorso intrapreso, dettati dall’emergere durante la ricerca di nuovi elementi di indagine. Si è pertanto resa esplicita la ricercata eredità di Aldo Rossi, configurandosi però prevalentemente come un’influenza teorica che ha preso le sfumature del contesto e dell’esperienza personale di chi se ne è fatto ricevente, diventandone così un continuatore attraverso il proprio percorso autonomo o collettivo intrapreso in seguito. Come suggerisce José Charters Monteiro, l’eredità di Rossi può essere letta attraverso tre aspetti su cui si basa la sua lezione: la biografia, la teoria dell’architettura, l’opera. In particolar modo per quanto riguarda la Penisola Iberica si può parlare dell’individuazione di un insegnamento riferito alla seconda categoria, i suoi libri di testo, le sue partecipazioni, le traduzioni. Questo è un lascito che rende possibile la continuazione di un dibattito in merito ai temi della teoria dell’architettura, della sue finalità e delle concrete applicazioni nelle opere, che ha permesso il verificarsi di una apertura mentale che mette in relazione l’architettura con altre discipline umanistiche e scientifiche, dalla politica, alla sociologia, comprendendo l’arte, le città la morfologia, la topografia, mediate e messe in relazione proprio attraverso l’architettura.

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Il presente lavoro di tesi si colloca nell’ambito della valutazione del rischio di incidente rilevante. Ai sensi della normativa europea (direttive Seveso) e del loro recepimento nella legislazione nazionale (D.Lgs. 334/99 e s.m.i.) un incidente rilevante è costituito da un evento incidentale connesso al rilascio di sostanze pericolose in grado di causare rilevanti danni all’uomo e/o all’ambiente. Ora, se da un lato esistono indici di rischio quantitativi per il bersaglio ”uomo” da tempo definiti e universalmente adottati nonché metodologie standardizzate e condivise per il loro calcolo, dall’altro non vi sono analoghi indici di rischio per il bersaglio “ambiente” comunemente accettati né, conseguentemente, procedure per il loro calcolo. Mancano pertanto anche definizioni e metodologie di calcolo di indici di rischio complessivo, che tengano conto di entrambi i bersagli citati dalla normativa. Al fine di colmare questa lacuna metodologica, che di fatto non consente di dare pieno adempimento alle stesse disposizioni legislative, è stata sviluppata all’interno del Dipartimento di Ingegneria Chimica, Mineraria e delle Tecnologie Ambientali dell’Università degli Studi di Bologna una ricerca che ha portato alla definizione di indici di rischio per il bersaglio “ambiente” e alla messa a punto di una procedura per la loro stima. L’attenzione è stata rivolta in modo specifico al comparto ambientale del suolo e delle acque sotterranee (falda freatica) ed ai rilasci accidentali da condotte di sostanze idrocarburiche immiscibili e più leggere dell’acqua, ovvero alle sostanze cosiddette NAPL – Non Acqueous Phase Liquid, con proprietà di infiammabilità e tossicità. Nello specifico si sono definiti per il bersaglio “ambiente” un indice di rischio ambientale locale rappresentato, punto per punto lungo il percorso della condotta, dai volumi di suolo e di acqua contaminata, nonché indici di rischio ambientale sociale rappresentati da curve F/Vsuolo e F/Sacque, essendo F la frequenza con cui si hanno incidenti in grado di provocare contaminazioni di volumi di suolo e di superfici di falda uguali o superiori a Vsuolo e Sacque. Tramite i costi unitari di decontaminazione del suolo e delle acque gli indici di rischio ambientale sociale possono essere trasformati in indici di rischio ambientale sociale monetizzato, ovvero in curve F/Msuolo e F/Macque, essendo F la frequenza con cui si hanno incidenti in grado di provocare inquinamento di suolo e di acque la cui decontaminazione ha costi uguali o superiori a Msuolo ed Macque. Dalla combinazione delle curve F/Msuolo e F/Macque è possibile ottenere la curva F/Mambiente, che esprime la frequenza degli eventi incidentali in grado di causare un danno ambientale di costo uguale o superiore a Mambiente. Dalla curva di rischio sociale per l’uomo ovvero dalla curva F/Nmorti, essendo F la frequenza con cui si verificano incidenti in grado di determinare un numero di morti maggiore o uguale ad Nmorti, tramite il costo unitario della vita umana VSL (Value of a Statistical Life), è possibile ottenete la curva F/Mmorti, essendo F la frequenza con cui si verificano incidenti in grado di determinare un danno monetizzato all’uomo uguale o superiore ad Mmorti. Dalla combinazione delle curve F/Mambiente ed F/Mmorti è possibile ottenere un indice di rischio sociale complessivo F/Mtotale, essendo F la frequenza con cui si verifica un danno economico complessivo uguale o superiore ad Mtotale. La procedura ora descritta è stata implementata in un apposito software ad interfaccia GIS denominato TRAT-GIS 4.1, al fine di facilitare gli onerosi calcoli richiesti nella fase di ricomposizione degli indici di rischio. La metodologia è stata fino ad ora applicata ad alcuni semplici casi di studio fittizi di modeste dimensioni e, limitatamente al calcolo del rischio per il bersaglio “ambiente”, ad un solo caso reale comunque descritto in modo semplificato. Il presente lavoro di tesi rappresenta la sua prima applicazione ad un caso di studio reale, per il quale sono stati calcolati gli indici di rischio per l’uomo, per l’ambiente e complessivi. Tale caso di studio è costituito dalla condotta che si estende, su un tracciato di 124 km, da Porto Marghera (VE) a Mantova e che trasporta greggi petroliferi. La prima parte del lavoro di tesi è consistita nella raccolta e sistematizzazione dei dati necessari alla stima delle frequenze di accadimento e delle conseguenze per l’uomo e per l’ambiente degli eventi dannosi che dalla condotta possono avere origine. In una seconda fase si è proceduto al calcolo di tali frequenze e conseguenze. I dati reperiti hanno riguardato innanzitutto il sistema “condotta”, del quale sono stati reperiti da un lato dati costruttivi (quali il diametro, la profondità di interramento, la posizione delle valvole sezionamento) e operativi (quali la portata, il profilo di pressione, le caratteristiche del greggio), dall’altro informazioni relative alle misure di emergenza automatiche e procedurali in caso di rilascio, al fine di stimare le frequenze di accadimento ed i termini “sorgente” (ovvero le portate di rilascio) in caso di rotture accidentali per ogni punto della condotta. In considerazione delle particolarità della condotta in esame è stata sviluppata una procedura specifica per il calcolo dei termini sorgente, fortemente dipendenti dai tempi degli interventi di emergenza in caso di rilascio. Una ulteriore fase di raccolta e sistematizzazione dei dati ha riguardato le informazioni relative all’ambiente nel quale è posta la condotta. Ai fini del calcolo del rischio per il bersaglio “uomo” si sono elaborati i dati di densità abitativa nei 41 comuni attraversati dall’oleodotto. Il calcolo dell’estensione degli scenari incidentali dannosi per l’uomo è stato poi effettuato tramite il software commerciale PHAST. Allo scopo della stima del rischio per il bersaglio “ambiente” è stata invece effettuata la caratterizzazione tessiturale dei suoli sui quali corre l’oleodotto (tramite l’individuazione di 5 categorie di terreno caratterizzate da diversi parametri podologici) e la determinazione della profondità della falda freatica, al fine di poter calcolare l’estensione della contaminazione punto per punto lungo la condotta, effettuando in tal modo l’analisi delle conseguenze per gli scenari incidentali dannosi per l’ambiente. Tale calcolo è stato effettuato con il software HSSM - Hydrocarbon Spill Screening Model gratuitamente distribuito da US-EPA. La ricomposizione del rischio, basata sui risultati ottenuti con i software PHAST e HSSM, ha occupato la terza ed ultima fase del lavoro di tesi; essa è stata effettuata tramite il software TRAT-GIS 4.1, ottenendo in forma sia grafica che alfanumerica gli indici di rischio precedentemente definiti. L’applicazione della procedura di valutazione del rischio al caso dell’oleodotto ha dimostrato come sia possibile un’analisi quantificata del rischio per l’uomo, per l’ambiente e complessivo anche per complessi casi reali di grandi dimensioni. Gli indici rischio ottenuti consentono infatti di individuare i punti più critici della condotta e la procedura messa a punto per il loro calcolo permette di testare l’efficacia di misure preventive e protettive adottabili per la riduzione del rischio stesso, fornendo al tempo gli elementi per un’analisi costi/benefici connessa all’implementazione di tali misure. Lo studio effettuato per la condotta esaminata ha inoltre fornito suggerimenti per introdurre in alcuni punti della metodologia delle modifiche migliorative, nonché per facilitare l’analisi tramite il software TRAT-GIS 4.1 di casi di studio di grandi dimensioni.

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Definizione del problema: Nonostante il progresso della biotecnologia medica abbia consentito la sopravvivenza del feto, fuori dall’utero materno, ad età gestazionali sempre più basse, la prognosi a breve e a lungo termine di ogni nuovo nato resta spesso incerta e la medicina non è sempre in grado di rimediare completamente e definitivamente ai danni alla salute che spesso contribuisce a causare. Sottoporre tempestivamente i neonati estremamente prematuri alle cure intensive non ne garantisce la sopravvivenza; allo stesso modo, astenervisi non ne garantisce la morte o almeno la morte immediata; in entrambi i casi i danni alla salute (difetti della vista e dell’udito, cecità, sordità, paralisi degli arti, deficit motori, ritardo mentale, disturbi dell’apprendimento e del comportamento) possono essere gravi e permanenti ma non sono prevedibili con certezza per ogni singolo neonato. Il futuro ignoto di ogni nuovo nato, insieme allo sgretolamento di terreni morali condivisi, costringono ad affrontare laceranti dilemmi morali sull’inizio e sul rifiuto, sulla continuazione e sulla sospensione delle cure. Oggetto: Questo lavoro si propone di svolgere un’analisi critica di alcune strategie teoriche e pratiche con le quali, nell’ambito delle cure intensive ai neonati prematuri, la comunità scientifica, i bioeticisti e il diritto tentano di aggirare o di risolvere l’incertezza scientifica e morale. Tali strategie sono accomunate dalla ricerca di criteri morali oggettivi, o almeno intersoggettivi, che consentano ai decisori sostituti di pervenire ad un accordo e di salvaguardare il vero bene del paziente. I criteri esaminati vanno dai dati scientifici riguardanti la prognosi dei prematuri, a “fatti” di natura più strettamente morale come la sofferenza del paziente, il rispetto della libertà di coscienza del medico, l’interesse del neonato a sopravvivere e a vivere bene. Obiettivo: Scopo di questa analisi consiste nel verificare se effettivamente tali strategie riescano a risolvere l’incertezza morale o se invece lascino aperto il dilemma morale delle cure intensive neonatali. In quest’ultimo caso si cercherà di trovare una risposta alla domanda “chi deve decidere per il neonato?” Metodologia e strumenti: Vengono esaminati i più importanti documenti scientifici internazionali riguardanti le raccomandazioni mediche di cura e i pareri della comunità scientifica; gli studi scientifici riguardanti lo stato dell’arte delle conoscenze e degli strumenti terapeutici disponibili ad oggi; i pareri di importanti bioeticisti e gli approcci decisionali più frequentemente proposti ed adoperati; alcuni documenti giuridici internazionali riguardanti la regolamentazione della sperimentazione clinica; alcune pronunce giudiziarie significative riguardanti casi di intervento o astensione dall’intervento medico senza o contro il consenso dei genitori; alcune indagini sulle opinioni dei medici e sulla prassi medica internazionale; le teorie etiche più rilevanti riguardanti i criteri di scelta del legittimo decisore sostituto del neonato e la definizione dei suoi “migliori interessi” da un punto di vista filosofico-morale. Struttura: Nel primo capitolo si ricostruiscono le tappe più importanti della storia delle cure intensive neonatali, con particolare attenzione agli sviluppi dell’assistenza respiratoria negli ultimi decenni. In tal modo vengono messi in luce sia i cambiamenti morali e sociali prodotti dalla meccanizzazione e dalla medicalizzazione dell’assistenza neonatale, sia la continuità della medicina neonatale con il tradizionale paternalismo medico, con i suoi limiti teorici e pratici e con lo sconfinare della pratica terapeutica nella sperimentazione incontrollata. Nel secondo capitolo si sottopongono ad esame critico le prime tre strategie di soluzione dell’incertezza scientifica e morale. La prima consiste nel decidere la “sorte” di un singolo paziente in base ai dati statistici riguardanti la prognosi di tutti i nati in condizioni cliniche analoghe (“approccio statistico”); la seconda, in base alla risposta del singolo paziente alle terapie (“approccio prognostico individualizzato”); la terza, in base all’evoluzione delle condizioni cliniche individuali osservate durante un periodo di trattamento “aggressivo” abbastanza lungo da consentire la raccolta dei dati clinici utili a formulare una prognosi sicura(“approccio del trattamento fino alla certezza”). Viene dedicata una più ampia trattazione alla prima strategia perché l’uso degli studi scientifici per predire la prognosi di ogni nuovo nato accomuna i tre approcci e costituisce la strategia più diffusa ed emblematica di aggiramento dell’incertezza. Essa consiste nella costruzione di un’ “etica basata sull’evidenza”, in analogia alla “medicina basata sull’evidenza”, in quanto ambisce a fondare i doveri morali dei medici e dei genitori solo su fatti verificabili (le prove scientifiche di efficacia delle cure)apparentemente indiscutibili, avalutativi o autocertificativi della moralità delle scelte. Poiché la forza retorica di questa strategia poggia proprio su una (parziale) negazione dell’incertezza dei dati scientifici e sulla presunzione di irrilevanza della pluralità e della complessità dei valori morali nelle decisioni mediche, per metterne in luce i limiti si è scelto di dedicare la maggior parte del secondo capitolo alla discussione dei limiti di validità scientifica degli studi prognostici di cui i medici si avvalgono per predire la prognosi di ogni nuovo nato. Allo stesso scopo, in questo capitolo vengono messe in luce la falsa neutralità morale dei giudizi scientifici di “efficacia”, “prognosi buona”, “prognosi infausta” e di “tollerabilità del rischio” o dei “costi”. Nel terzo capitolo viene affrontata la questione della natura sperimentale delle cure intensive per i neonati prematuri al fine di suggerire un’ulteriore ragione dell’incertezza morale, dell’insostenibilità di obblighi medici di trattamento e della svalutazione dell’istituto del consenso libero e informato dei genitori del neonato. Viene poi documentata l’esistenza di due atteggiamenti opposti manifestati dalla comunità scientifica, dai bioeticisti e dal diritto: da una parte il silenzio sulla natura sperimentale delle terapie e dall’altra l’autocertificazione morale della sperimentazione incontrollata. In seguito si cerca di mostrare come entrambi, sebbene opposti, siano orientati ad occultare l’incertezza e la complessità delle cure ai neonati prematuri, per riaffermare, in tal modo, la precedenza dell’autorità decisionale del medico rispetto a quella dei genitori. Il quarto capitolo, cerca di rispondere alla domanda “chi deve decidere in condizioni di incertezza?”. Viene delineata, perciò, un’altra strategia di risoluzione dell’incertezza: la definizione del miglior interesse (best interest) del neonato, come oggetto, limite e scopo ultimo delle decisioni mediche, qualsiasi esse siano. Viene verificata l’ipotesi che il legittimo decisore ultimo sia colui che conosce meglio di ogni altro i migliori interessi del neonato. Perciò, in questo capitolo vengono esposte e criticate alcune teorie filosofiche sul concetto di “miglior interesse” applicato allo speciale status del neonato. Poiché quest’analisi, rivelando l’inconoscibilità del best interest del neonato, non consente di stabilire con sicurezza chi sia intitolato a prendere la decisione ultima, nell’ultimo capitolo vengono esaminate altre ragioni per le quali i genitori dovrebbero avere l’ultima parola nelle decisioni di fine o di proseguimento della vita. Dopo averle scartate, viene proposta una ragione alternativa che, sebbene non risolutiva, si ritiene abbia il merito di riconoscere e di non mortificare l’irriducibilità dell’incertezza e l’estrema complessità delle scelte morali, senza rischiare, però, la paralisi decisionale, il nichilismo morale e la risoluzione non pacifica dei conflitti.

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IMPARARE LA SOSTENIBILITA’ Oggetto di questa tesi di laurea è la progettazione di un asilo nido in prossimità della scuola dell’infanzia “Coccinella” di Bertinoro (FC) per rispondere alle esigenze espresse dalla’Amministrazione Comunale, orientate a realizzare un ampliamento della struttura esistente, completando così il polo scolastico comprendente anche la scuola elementare comunale adiacente. La strategia di intervento che il progetto ha adottato prevede due scenari: uno che assume integralmente gli obiettivi dell’Amministrazione e prevede la realizzazione di una struttura per la prima infanzia ad ampliamento di quella esistente, e un secondo che invece propone anche la realizzazione di una nuova scuola materna, in sostituzione di quella attualmente presente. Il progetto ha adottato un approccio integrato dal punto di vista formale e costruttivo, mostrando particolari attenzioni alle tematiche ambientali, assunte come determinanti per ottenere elevati livelli di benessere per i fruitori. La scuola diventa così promotrice di una progettazione orientata a principi di sostenibilità ambientale, efficienza e risparmio energetico, attraverso scelte in cui, sin dalle prime fasi, tecnologia, ambiente, comfort e salute cercano un reciproco equilibrio. A scala urbana si è scelto di recuperare e ampliare il sistema di percorsi pedonali che consente il collegamento tra le diverse parti della città, valorizzando il paesaggio quale risorsa primaria. A scala locale, per garantire l’integrazione del nuovo intervento con l’ambiente e il territorio, il progetto ha richiesto un’approfondita analisi preliminare del sito, comprendente lo studio di elementi del contesto sociale, culturale, ambientale e paesaggistico. A questi si sono affiancati gli aspetti climatologici, funzionali alla scelta dell’esposizione da attribuire all’edificio in modo da mitigare gli effetti delle variazioni climatiche e ottimizzare la qualità indoor. Dal punto di vista funzionale e distributivo il progetto ha risposto a criteri di massima flessibilità e fruibilità degli ambienti interni, assecondando le esigenze di educatori e bambini. Particolare attenzione è stata rivolta alla scelta della tipologia costruttiva, adottando elementi prefabbricati in legno assemblati a secco. Questo sistema consente la realizzazione di strutture affidabili, durevoli nel tempo e rispondenti a tre criteri fondamentali nell’ottica della sostenibilità: impiego di materiali rinnovabili, minimizzazione dei rifiuti e del consumo di acqua in cantiere e possibilità di recupero tramite smontaggio. Per garantire un corretto rapporto tra costruito e contesto urbano si è deciso di utilizzare materiali da rivestimento della tradizione locale, quali la pietra, e di attenuare l’impatto visivo dell’intervento attraverso l’impiego di coperture verdi. Queste, oltre a restituire in copertura il suolo occupato dai volumi edificati, contribuiscono alla mitigazione del microclima, sia all’interno dell’edificio che nel suo intorno. Rispetto agli obiettivi di benessere degli utenti, il progetto si è posto l’obiettivo di superare i confini determinati dalla normativa sui requisiti energetici, puntando al raggiungimento di condizioni ottimali in termini di salubrità del costruito e confort abitativo. Questo intervento si propone di sperimentare un approccio ecologico di sensibilizzazione ai criteri di sostenibilità, capace di coinvolgere tutti i protagonisti della vita scolastica: i bambini, gli insegnanti, i genitori e la città. “Imparare la sostenibilità” è l’obiettivo del progetto e la linea guida della tesi, i “percorsi di sostenibilità”, rappresenta il frutto degli studi, delle analisi, delle scelte che ci hanno spinto ad ottenere lo scopo prefissato e racchiude in un significato sia fisico che metaforico i risultati finali, sia a scala urbana, che a scala dell’edificio. Il termine “percorsi” ci permette di comprendere sia la nuova rete di collegamenti tra l’area di intervento e il resto della città quali strumento di rigenerazione e di contatto con il paesaggio, ma anche il processo di crescita e formativo che il bambino, destinatario e protagonista del progetto, intraprenderà in questi luoghi. La realizzazione di edifici tecnologicamente efficienti dal punto di vista delle prestazioni energetiche (raggiungimento classe B per la struttura esistente, classe A per le ipotesi di ampliamento) ma anche dal punto di vista del confort luminoso rappresenta la premessa per la formazione di una nuova generazione più responsabile e rispettosa nei confronti dell’ambiente che la circonda.

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La ricerca svolta ha individuato fra i suoi elementi promotori l’orientamento determinato da parte della comunità europea di dare vita e sostegno ad ambiti territoriali intermedi sub nazionali di tipo regionale all’interno dei quali i sistemi di città potessero raggiungere le massime prestazioni tecnologiche per cogliere gli effetti positivi delle innovazioni. L’orientamento europeo si è confrontato con una realtà storica e geografica molto variata in quanto accanto a stati membri, nei quali le gerarchie fra città sono storicamente radicate e funzionalmente differenziate secondo un ordine che vede la città capitale dominante su città subalterne nelle quali la cultura di dominio del territorio non è né continua né gerarchizzata sussistono invece territori nazionali compositi con una città capitale di riconosciuto potere ma con città di minor dimensione che da secoli esprimono una radicata incisività nella organizzazione del territorio di appartenenza. Alla prima tipologia di stati appartengono ad esempio i Paesi del Nord Europa e l’Inghilterra, esprimendo nella Francia una situazione emblematica, alla seconda tipologia appartengono invece i Paesi dell’aera mediterranea, Italia in primis, con la grande eccezione della Germania. Applicando gli intendimenti comunitari alla realtà locale nazionale, questa tesi ha avviato un approfondimento di tipo metodologico e procedurale sulla possibile organizzazione a sistema di una regione fortemente policentrica nel suo sviluppo e “artificiosamente” rinata ad unità, dopo le vicende del XIX secolo: l’Emilia-Romagna. Anche nelle regioni che si presentano come storicamente organizzate sulla pluralità di centri emergenti, il rapporto col territorio è mediato da centri urbani minori che governano il tessuto cellulare delle aggregazioni di servizi di chiara origine agraria. Questo stato di cose comporta a livello politico -istituzionale una dialettica vivace fra territori voluti dalle istituzioni e territori legittimati dal consolidamento delle tradizioni confermato dall’uso attuale. La crescente domanda di capacità di governo dello sviluppo formulata dagli operatori economici locali e sostenuta dalle istituzioni europee si confronta con la scarsa capacità degli enti territoriali attuali: Regioni, Comuni e Province di raggiungere un livello di efficienza sufficiente ad organizzare sistemi di servizi adeguati a sostegno della crescita economica. Nel primo capitolo, dopo un breve approfondimento sulle “figure retoriche comunitarie”, quali il policentrismo, la governance, la coesione territoriale, utilizzate per descrivere questi fenomeni in atto, si analizzano gli strumenti programmatici europei e lo S.S.S.E,. in primis, che recita “Per garantire uno sviluppo regionale equilibrato nella piena integrazione anche nell’economia mondiale, va perseguito un modello di sviluppo policentrico, al fine di impedire un’ulteriore eccessiva concentrazione della forza economica e della popolazione nei territori centrali dell’UE. Solo sviluppando ulteriormente la struttura, relativamente decentrata, degli insediamenti è possibile sfruttare il potenziale economico di tutte le regioni europee.” La tesi si inserisce nella fase storica in cui si tenta di definire quali siano i nuovi territori funzionali e su quali criteri si basa la loro riconoscibilità; nel tentativo di adeguare ad essi, riformandoli, i territori istituzionali. Ai territori funzionali occorre riportare la futura fiscalità, ed è la scala adeguata per l'impostazione della maggior parte delle politiche, tutti aspetti che richiederanno anche la necessità di avere una traduzione in termini di rappresentanza/sanzionabilità politica da parte dei cittadini. Il nuovo governo auspicato dalla Comunità Europea prevede una gestione attraverso Sistemi Locali Territoriali (S.Lo.t.) definiti dalla combinazione di milieu locale e reti di attori che si comportano come un attore collettivo. Infatti il secondo capitolo parte con l’indagare il concetto di “regione funzionale”, definito sulla base della presenza di un nucleo e di una corrispondente area di influenza; che interagisce con altre realtà territoriali in base a relazioni di tipo funzionale, per poi arrivare alla definizione di un Sistema Locale territoriale, modello evoluto di regione funzionale che può essere pensato come una rete locale di soggetti i quali, in funzione degli specifici rapporti che intrattengono fra loro e con le specificità territoriali del milieu locale in cui operano e agiscono, si comportano come un soggetto collettivo. Identificare un sistema territoriale, è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per definire qualsiasi forma di pianificazione o governance territoriale, perchè si deve soprattutto tener conto dei processi di integrazione funzionale e di networking che si vengono a generare tra i diversi sistemi urbani e che sono specchio di come il territorio viene realmente fruito., perciò solo un approccio metodologico capace di sfumare e di sovrapporre le diverse perimetrazioni territoriali riesce a definire delle aree sulle quali definire un’azione di governo del territorio. Sin dall’inizio del 2000 il Servizio Sviluppo Territoriale dell’OCSE ha condotto un’indagine per capire come i diversi paesi identificavano empiricamente le regioni funzionali. La stragrande maggioranza dei paesi adotta una definizione di regione funzionale basata sul pendolarismo. I confini delle regioni funzionali sono stati definiti infatti sulla base di “contorni” determinati dai mercati locali del lavoro, a loro volta identificati sulla base di indicatori relativi alla mobilità del lavoro. In Italia, la definizione di area urbana funzionale viene a coincidere di fatto con quella di Sistema Locale del Lavoro (SLL). Il fatto di scegliere dati statistici legati a caratteristiche demografiche è un elemento fondamentale che determina l’ubicazione di alcuni servizi ed attrezzature e una mappa per gli investimenti nel settore sia pubblico che privato. Nell’ambito dei programmi europei aventi come obiettivo lo sviluppo sostenibile ed equilibrato del territorio fatto di aree funzionali in relazione fra loro, uno degli studi di maggior rilievo è stato condotto da ESPON (European Spatial Planning Observation Network) e riguarda l’adeguamento delle politiche alle caratteristiche dei territori d’Europa, creando un sistema permanente di monitoraggio del territorio europeo. Sulla base di tali indicatori vengono costruiti i ranking dei diversi FUA e quelli che presentano punteggi (medi) elevati vengono classificati come MEGA. In questo senso, i MEGA sono FUA/SLL particolarmente performanti. In Italia ve ne sono complessivamente sei, di cui uno nella regione Emilia-Romagna (Bologna). Le FUA sono spazialmente interconnesse ed è possibile sovrapporre le loro aree di influenza. Tuttavia, occorre considerare il fatto che la prossimità spaziale è solo uno degli aspetti di interazione tra le città, l’altro aspetto importante è quello delle reti. Per capire quanto siano policentrici o monocentrici i paesi europei, il Progetto Espon ha esaminato per ogni FUA tre differenti parametri: la grandezza, la posizione ed i collegamenti fra i centri. La fase di analisi della tesi ricostruisce l’evoluzione storica degli strumenti della pianificazione regionale analizzandone gli aspetti organizzativi del livello intermedio, evidenziando motivazioni e criteri adottati nella suddivisione del territorio emilianoromagnolo (i comprensori, i distretti industriali, i sistemi locali del lavoro…). La fase comprensoriale e quella dei distretti, anche se per certi versi effimere, hanno avuto comunque il merito di confermare l’esigenza di avere un forte organismo intermedio di programmazione e pianificazione. Nel 2007 la Regione Emilia Romagna, nell’interpretare le proprie articolazioni territoriali interne, ha adeguato le proprie tecniche analitiche interpretative alle direttive contenute nel Progetto E.S.P.O.N. del 2001, ciò ha permesso di individuare sei S.Lo.T ( Sistemi Territoriali ad alta polarizzazione urbana; Sistemi Urbani Metropolitani; Sistemi Città – Territorio; Sistemi a media polarizzazione urbana; Sistemi a bassa polarizzazione urbana; Reti di centri urbani di piccole dimensioni). Altra linea di lavoro della tesi di dottorato ha riguardato la controriprova empirica degli effettivi confini degli S.Lo.T del PTR 2007 . Dal punto di vista metodologico si è utilizzato lo strumento delle Cluster Analisys per impiegare il singolo comune come polo di partenza dei movimenti per la mia analisi, eliminare inevitabili approssimazioni introdotte dalle perimetrazioni legate agli SLL e soprattutto cogliere al meglio le sfumature dei confini amministrativi dei diversi comuni e province spesso sovrapposti fra loro. La novità è costituita dal fatto che fino al 2001 la regione aveva definito sullo stesso territorio una pluralità di ambiti intermedi non univocamente circoscritti per tutte le funzioni ma definiti secondo un criterio analitico matematico dipendente dall’attività settoriale dominante. In contemporanea col processo di rinnovamento della politica locale in atto nei principali Paesi dell’Europa Comunitaria si va delineando una significativa evoluzione per adeguare le istituzioni pubbliche che in Italia comporta l’attuazione del Titolo V della Costituzione. In tale titolo si disegna un nuovo assetto dei vari livelli Istituzionali, assumendo come criteri di riferimento la semplificazione dell’assetto amministrativo e la razionalizzazione della spesa pubblica complessiva. In questa prospettiva la dimensione provinciale parrebbe essere quella tecnicamente più idonea per il minimo livello di pianificazione territoriale decentrata ma nel contempo la provincia come ente amministrativo intermedio palesa forti carenze motivazionali in quanto l’ente storico di riferimento della pianificazione è il comune e l’ente di gestione delegato dallo stato è la regione: in generale troppo piccolo il comune per fare una programmazione di sviluppo, troppo grande la regione per cogliere gli impulsi alla crescita dei territori e delle realtà locali. Questa considerazione poi deve trovare elementi di compatibilità con la piccola dimensione territoriale delle regioni italiane se confrontate con le regioni europee ed i Laender tedeschi. L'individuazione di criteri oggettivi (funzionali e non formali) per l'individuazione/delimitazione di territori funzionali e lo scambio di prestazioni tra di essi sono la condizione necessaria per superare l'attuale natura opzionale dei processi di cooperazione interistituzionale (tra comuni, ad esempio appartenenti allo stesso territorio funzionale). A questo riguardo molto utile è l'esperienza delle associazioni, ma anche delle unioni di comuni. Le esigenze della pianificazione nel riordino delle istituzioni politico territoriali decentrate, costituiscono il punto finale della ricerca svolta, che vede confermato il livello intermedio come ottimale per la pianificazione. Tale livello è da intendere come dimensione geografica di riferimento e non come ambito di decisioni amministrative, di governance e potrebbe essere validamente gestito attraverso un’agenzia privato-pubblica dello sviluppo, alla quale affidare la formulazione del piano e la sua gestione. E perché ciò avvenga è necessario che il piano regionale formulato da organi politici autonomi, coordinati dall’attività dello stato abbia caratteri definiti e fattibilità economico concreta.

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Il mio percorso universitario presso la Facoltà di Architettura “Aldo Rossi” inizia nell’anno accademico 2005-2006. Da allora ad oggi ho avuto modo di sviluppare particolarmente alcuni temi, oggetto di lavori realizzati nel corso dei miei studi. L’attività di progettazione svolta ogni anno mi ha permesso di acquisire il modus operandi proprio di un progetto di architettura e allo stesso tempo di porre l’attenzione su alcuni argomenti, che a mio avviso, devono essere sempre affrontati da chi ha intenzione di svolgere il mestiere dell’architetto. Durante i corsi di Composizione Architettonica ed Urbanistica frequentati, ho avuto l’occasione di mettere in luce un aspetto che ritengo estremamente importante, anzi addirittura fondante, che potrebbe essere definito come “progetto di suolo”. Il suolo per un architetto rappresenta la condizione fisica essenziale affinché un oggetto architettonico possa essere costruito, ma in realtà esso non è un puro elemento di supporto per l’architettura, quanto piuttosto un “tema” che offre una molteplicità di risposte e soprattutto di possibilità per il progettista. Il costruito nel suo essere sintetico racchiude un duplice significato: da un lato implica la presenza tangibi-le di una manufatto architettonico, ma dall’altro rinvia anche alla dimensione del vuoto, da intendersi come complesso di spazi pubblici e collettivi, che assieme all’architettura generano la città o una sua parte. Nel corso degli studi ho avuto sempre l’occasione di riflettere sul peso che il “suolo” riveste all’interno di un progetto: la sua morfologia, la sua struttura e quindi il suo disegno, il suo trattamento e la sua gestione, sono aspetti che ogni volta fondano e precisano l’idea progettuale. Mi sono sempre chiesta come l’architettura potesse dialogare con il paesaggio circostante, con la superfi-cie sulla quale si innesta, con la città: essa non è un oggetto puramente introverso ma deve necessaria-mente instaurare una relazione con ciò che la circonda, in modo da poter giustificare la sua stessa pre-senza. Il filo conduttore che lega i progetti qui selezionati e presentati è dunque il progetto del suolo, inscindibile rispetto al progetto architettonico e avente pari valore: esso rappresenta un elemento fondativo che si pone in dialogo diretto, continuo e soprattutto reciproco con l’architettura.