962 resultados para Gwyn, Nell, 1650-1687.
Resumo:
Il lavoro di tesi è incentrato sulla valutazione del degrado del suolo dovuto a fenomeni di inquinamento da metalli pesanti aerodispersi, ovvero apportati al suolo mediante deposizioni atmosferiche secche ed umide, in ambiente urbano. Lo scopo della ricerca è legato principalmente alla valutazione dell’efficienza del metodo di monitoraggio ideato che affianca al campionamento e all’analisi pedologica l’utilizzo di bioindicatori indigeni, quali il muschio, il cotico erboso, le foglie di piante arboree e il materiale pulverulento depositatosi su di esse. Una semplice analisi pedologica infatti non permette di discriminare la natura dei contaminanti in esso ritrovati. I metalli pesanti possono raggiungere il suolo attraverso diverse vie. In primo luogo questi elementi in traccia si trovano naturalmente nei suoi; ma numerose sono le fonti antropiche: attività industriali, traffico veicolare, incenerimento dei rifiuti, impianti di riscaldamento domestico, pratiche agricole, utilizzo di acque con bassi requisiti di qualità, ecc. Questo fa capire come una semplice analisi del contenuto totale o pseudo - totale di metalli pesanti nel suolo non riesca a rispondere alla domanda su quale si la fonte di provenienza di queste sostanze. Il metodo di monitoraggio integrato suolo- pianta è stato applicato a due diversi casi di studio. Il primo denominato “Progetto per il monitoraggio e valutazione delle concentrazioni in metalli pesanti e micro elementi sul sistema suolo - pianta in aree urbane adibite a verde pubblico dell’Emilia – Romagna” ha permesso di valutare l’insorgenza di una diminuzione della qualità dell’ecosistema parco urbano causata dalla ricaduta di metalli pesanti aerotrasportati, in tre differenti realtà urbane dell’Emilia Romagna: le città di Bologna, Ferrara e Cesena. Le città presentano caratteristiche pedologiche, ambientali ed economico-sociali molto diverse tra loro. Questo ha permesso di studiare l’efficienza del metodo su campioni di suolo e di vegetali molto diversi per quanto riguarda le aliquote di metalli pesanti riscontrate. Il secondo caso di studio il “Monitoraggio relativo al contenuto in metalli pesanti e microelementi nel sistema acqua-suolo-pianta delle aree circostanti l’impianto di termovalorizzazione e di incenerimento del Frullo (Granarolo dell’Emilia - BO)” è stato invece incentrato sulla valutazione della qualità ambientale delle aree circostanti l’inceneritore. Qui lo scenario si presentava più omogeneo dal punto di vista pedologico rispetto al caso di studio precedente, ma molto più complesso l’ecosistema di riferimento (urbano, extra-urbano ed agricolo). Seppure il metodo suolo-pianta abbia permesso di valutare gli apporti di metalli pesanti introdotti per via atmosferica, non è stato possibile imputarne l’origine alle sole emissioni prodotte dall’inceneritore.
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Inizialmente teorizzato a partire dall’osservazione degli animali negli studi di etologia di fine Ottocento, il mimetismo si è sviluppato come tekné in una interessante sinergia fra pratica artistica e necessità militare in occasione dei due conflitti mondiali. Attraverso una lettura critica dei testi di Roger Caillois e di Georges Bataille, questa ricerca posiziona il mimetismo nell’ambito della teoria della antivisione e lo inserisce all’interno del discorso anti-oculocentrico che scorre nei canali sotterranei dell’arte del Novecento. Il mimetismo destabilizza il dogma modernista della visualità pura operando un oltrepassamento dei confini identitari e il collasso della logica binaria dell’estetica occidentale fondata sulla opposizione fra soggetto e oggetto, interiorità ed esteriorità, corpo e ambiente. Articolato in tre diverse declinazioni del fare artistico - il paradigma spaziale, il paradigma aptico e il paradigma performativo – il mimetismo veicola un tipo di “presenza” che mette in gioco il corpo ed il contesto extracorporeo in un recupero estetico del valore fenomenologico dell’essere al mondo.
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La mia tesi analizza il modo in cui è costruito il rapporto tra università e politica, con particolare sguardo sulle Università di Bucarest e di Bologna. E una ricerca empirica che si propone da una parte di fare una radiografia esatta della formulazione delle politiche dello stato in materia d’istruzione superiore, e dall’altro lato, di vedere la maniera in cui si sviluppa l’organizzazione interna delle università romene, prendendo come caso concreto l’Università di Bucarest. L’interesse per questo argomento è stato determinato dal fatto che la politica dell’educazione rappresenta una politica chiave nella ricostruzione dello stato democratico romeno dopo dicembre 1989. In secondo luogo l’intento di approfondire questo tema parte dal fatto che in Romania mancano degli studi consistenti sul percorso dell’università durante la transizione post communista, studi fatti nella prospettiva della scienza politica. In terzo luogo l’educazione è da sempre un argomento con portata politica. La tesi è articolata in tre parti, fondamentali per la comprehensione del rapporto tra politica è università: Università, Elites politiche e università, Stato e università. L’ipotesi è che l’educazione rappresenta un mezzo di legitimazzione per la politica, oppure, la carriera universitaria è un mezzo di legitimazzione per la carriera politica. Da qui deriva il fatto che l’università si constituisce in una fonte di reclutamento per i partiti politici e che in Romania le università private sono create per facilitare uno scambio di capitale, con lo scopo di facilitare il passaggio dal mondo politico verso il mondo accademico. Dal punto di vista metodologico, sono state utilizzate le fonti seguenti: archivio dell’università di Bucarest, fondo senato, periodo 1989-2004; archivio della Camera dei Deputati della Romania; l’archivio della Commisione per l’Insegnamento, la scienza e la gioventù della Camera dei Deputati e interviste semi-direttive con ex ministri dell’istruzione, consiglieri della Commisione per l’Insegnamento della Camera dei Deputati e altri politici. Inoltre, per il caso romeno è stata realizzata una banca dati con i membri del Parlamento romeno 1989-2008, per un totale di 2737 parlamentari, con lo scopo di realizzare il profilo educazionale dell’elite parlamentare nel post communismo. Nel periodo che abbiamo investigato, l’università si definisce attraverso il suo posizionamento verso il passato, da una parte perchè non esiste una politica dell’università romena che abbiamo incluso nello studio di caso, ma ci sono dei tentativi di conquistare i dirittti degli universitari, e dall’altra perchè il cambiamento dell’università è blocatto da routines di tipo burocratico. La relazione tra il mondo accademico e il mondo politico si costruisce a livello di cariera in un senso doppio: dal mondo accademico verso il mondo politico nello spirito della tradizione interbellica romena e dal mondo politico verso il mondo accademico, la cui comprensione è facilitata dal paragone con il caso italiano. Per la terza parte dello studio, possiamo osservare che lo stato è molto presente nello spazio educativo, fatto che rende difficile la negociazzione di una pertinente definizione dell’autonomia universitaria.
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La mostra è diventata un nuovo paradigma della cultura contemporanea. Sostenuta da proprie regole e da una grammatica complessa produce storie e narrazioni. La presente ricerca di dottorato si struttura come un ragionamento critico sulle strategie del display contemporaneo, tentando di dimostrare, con strumenti investigativi eterogenei, assumendo fonti eclettiche e molteplici approcci disciplinari - dall'arte contemporanea, alla critica d'arte, la museologia, la sociologia, l'architettura e gli studi curatoriali - come il display sia un modello discorsivo di produzione culturale con cui il curatore si esprime. La storia delle esposizioni del XX secolo è piena di tentativi di cambiamento del rapporto tra lo sviluppo di pratiche artistiche e la sperimentazione di un nuovo concetto di mostra. Nei tardi anni Sessanta l’ingresso, nella scena dell’arte, dell’area del concettuale, demolisce, con un azzeramento radicale, tutte le convenzioni della rappresentazione artistica del dopoguerra, ‘teatralizzando’ il medium della mostra come strumento di potere e introducendo un nuovo “stile di presentazione” dei lavori, un display ‘dematerializzato” che rovescia le classiche relazioni tra opera, artista, spazio e istituzione, tra un curatore che sparisce (Siegelaub) e un curatore super-artista (Szeemann), nel superamento del concetto tradizionale di mostra stessa, in cui il lavoro del curatore, in quanto autore creativo, assumeva una propria autonomia strutturale all’interno del sistema dell’arte. Lo studio delle radici di questo cambiamento, ossia l’emergere di due tipi di autorialità: il curatore indipendente e l’artista che produce installazioni, tra il 1968 e il 1972 (le mostre di Siegelaub e Szeemann, la mimesi delle pratiche artistiche e curatoriali di Broodthaers e la tensione tra i due ruoli generata dalla Critica Istituzionale) permette di inquadrare teoricamente il fenomeno. Uno degli obbiettivi della ricerca è stato anche affrontare la letteratura critica attraverso una revisione/costruzione storiografica sul display e la storia delle teorie e pratiche curatoriali - formalizzata in modo non sistematico all'inizio degli anni Novanta, a partire da una rilettura retrospettiva della esperienze delle neoavanguardie – assumendo materiali e metodologie provenienti, come già dichiarato, da ambiti differenti, come richiedeva la composizione sfaccettata e non fissata dell’oggetto di studio, con un atteggiamento che si può definire comparato e post-disciplinare. Il primo capitolo affronta gli anni Sessanta, con la successione sistematica dei primi episodi sperimentali attraverso tre direzioni: l’emergere e l’affermarsi del curatore come autore, la proliferazione di mostre alternative che sovvertivano il formato tradizionale e le innovazioni prodotte dagli artisti organizzatori di mostre della Critica Istituzionale. Esponendo la smaterializzazione concettuale, Seth Siegelaub, gallerista, critico e impresario del concettuale, ha realizzato una serie di mostre innovative; Harald Szeemann crea la posizione indipendente di exhibition maker a partire When attitudes become forms fino al display anarchico di Documenta V; gli artisti organizzatori di mostre della Critica Istituzionale, soprattutto Marcel Broodhthears col suo Musée d’Art Moderne, Départment des Aigles, analizzano la struttura della logica espositiva come opera d’arte. Nel secondo capitolo l’indagine si sposta verso la scena attivista e alternativa americana degli anni Ottanta: Martha Rosler, le pratiche community-based di Group Material, Border Art Workshop/Taller de Arte Fronterizo, Guerrilla Girls, ACT UP, Art Workers' Coalition che, con proposte diverse elaborano un nuovo modello educativo e/o partecipativo di mostra, che diventa anche terreno del confronto sociale. La mostra era uno svincolo cruciale tra l’arte e le opere rese accessibili al pubblico, in particolare le narrazioni, le idee, le storie attivate, attraverso un originale ragionamento sulle implicazioni sociali del ruolo del curatore che suggeriva punti di vista alternativi usando un forum istituzionale. Ogni modalità di display stabiliva relazioni nuove tra artisti, istituzioni e audience generando abitudini e rituali diversi per guardare la mostra. Il potere assegnato all’esposizione, creava contesti e situazioni da agire, che rovesciavano i metodi e i formati culturali tradizionali. Per Group Material, così come nelle reading-room di Martha Rosler, la mostra temporanea era un medium con cui si ‘postulavano’ le strutture di rappresentazione e i modelli sociali attraverso cui, regole, situazioni e luoghi erano spesso sovvertiti. Si propongono come artisti che stanno ridefinendo il ruolo della curatela (significativamente scartano la parola ‘curatori’ e si propongono come ‘organizzatori’). La situazione cambia nel 1989 con la caduta del muro di Berlino. Oltre agli sconvolgimenti geopolitici, la fine della guerra fredda e dell’ideologia, l’apertura ai flussi e gli scambi conseguenti al crollo delle frontiere, i profondi e drammatici cambiamenti politici che coinvolgono l’Europa, corrispondono al parallelo mutamento degli scenari culturali e delle pratiche espositive. Nel terzo capitolo si parte dall’analisi del rapporto tra esposizioni e Late Capitalist Museum - secondo la definizione di Rosalind Krauss - con due mostre cruciali: Le Magiciens de la Terre, alle origini del dibattito postcoloniale e attraverso il soggetto ineffabile di un’esposizione: Les Immatériaux, entrambe al Pompidou. Proseguendo nell’analisi dell’ampio corpus di saggi, articoli, approfondimenti dedicati alle grandi manifestazioni internazionali, e allo studio dell’espansione globale delle Biennali, avviene un cambiamento cruciale a partire da Documenta X del 1997: l’inclusione di lavori di natura interdisciplinare e la persistente integrazione di elementi discorsivi (100 days/100 guests). Nella maggior parte degli interventi in materia di esposizioni su scala globale oggi, quello che viene implicitamente o esplicitamente messo in discussione è il limite del concetto e della forma tradizionale di mostra. La sfida delle pratiche contemporanee è non essere più conformi alle tre unità classiche della modernità: unità di tempo, di spazio e di narrazione. L’episodio più emblematico viene quindi indagato nel terzo capitolo: la Documenta X di Catherine David, il cui merito maggiore è stato quello di dichiarare la mostra come format ormai insufficiente a rappresentare le nuove istanze contemporanee. Le quali avrebbero richiesto - altrimenti - una pluralità di modelli, di spazi e di tempi eterogenei per poter divenire un dispositivo culturale all’altezza dei tempi. La David decostruisce lo spazio museale come luogo esclusivo dell’estetico: dalla mostra laboratorio alla mostra come archivio, l’evento si svolge nel museo ma anche nella città, con sottili interventi di dissimulazione urbana, nel catalogo e nella piattaforma dei 100 giorni di dibattito. Il quarto capitolo affronta l’ultima declinazione di questa sperimentazione espositiva: il fenomeno della proliferazione delle Biennali nei processi di globalizzazione culturale. Dalla prima mostra postcoloniale, la Documenta 11 di Okwui Enwezor e il modello delle Platforms trans-disciplinari, al dissolvimento dei ruoli in uno scenario post-szeemanniano con gli esperimenti curatoriali su larga scala di Sogni e conflitti, alla 50° Biennale di Venezia. Sono analizzati diversi modelli espositivi (la mostra-arcipelago di Edouard Glissant; il display in crescita di Zone of Urgency come estetizzazione del disordine metropolitano; il format relazionale e performativo di Utopia Station; il modello del bric à brac; la “Scuola” di Manifesta 6). Alcune Biennali sono state sorprendentemente autoriflessive e hanno consentito un coinvolgimento più analitico con questa particolare forma espressiva. Qual è l'impatto sulla storia e il dibattito dei sistemi espositivi? Conclusioni: Cos’è la mostra oggi? Uno spazio sotto controllo, uno spazio del conflitto e del dissenso, un modello educativo e/o partecipativo? Una piattaforma, un dispositivo, un archivio? Uno spazio di negoziazione col mercato o uno spazio di riflessione e trasformazione? L’arte del display: ipotesi critiche, prospettive e sviluppi recenti.
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Questa tesi di laurea comincia dallo studio delle modalità attraverso cui, nel secondo dopoguerra, si è deciso di gestire la ricostruzione all’interno del tessuto storico del capoluogo emiliano. Il fine è capire se le ricostruzioni si rapportano e si inseriscono all’interno del tessuto edilizio storico, alle sue caratteristiche e peculiarità, ricucendolo là dove la guerra l’aveva interrotto. Definiti quadro e contesto di riferimento, si sono delineati i protagonisti della ricostruzione bolognese. Primo tra tutti emerge Alfredo Barbacci, Soprintendente ai Monumenti dell’Emilia, il cui ruolo inevitabilmente lo fa entrare nel vivo della vicenda. In carica all’epoca della guerra (e dunque dei bombardamenti), è coinvolto fin dai primi momenti di pace nella gestione della ricostruzione. La sua militanza, a partire dagli anni Sessanta, nei confronti della tutela dell’ambiente costruito, quanto di quello naturale, ha spinto la ricerca ad indagare se, e in che modo, questa sua “militanza” abbia legami con la Ricostruzione bolognese, ed approdare infine a considerazioni più ampie sull’origine della frattura legislativo disciplinare tra tutela e gestione del paesaggio.
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La ricerca mira ad indagare l’origine della Scuola ingegneristica bolognese ed il ruolo che essa ha avuto durante i suoi primi 50 anni di attività nella diffusione del calcestruzzo armato in Italia, ed in particolare nella città di Bologna, sia dal punto di vista teorico che architettonico. Il processo di sviluppo del cemento armato è stato indagato secondo i percorsi tipici della scienza e della tecnica: teoria e pratica appaiono nel periodo di sperimentazione del materiale assai lontane; soltanto grazie alla comprensione delle sue potenzialità costruttive e del modo di sfruttarle al meglio, esse iniziano a convergere. L’interesse specifico per la Scuola bolognese va quindi a collocarsi all’interno di un panorama assai più ampio, con l’obiettivo di comprendere se, e fino a quando, le due discipline proseguono lungo strade parallele o se, al contrario, esse godono di reciproche influenze.
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La tesi riguarda lo sviluppo di un'applicazione che estende la possibilità di effettuare i caricamenti dei package di SAP BPC ai dispositivi mobile, fino ad ora questo era possibile solo attraverso l'interfaccia di Microsoft Excel.
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La ricerca riguarda il rapporto fra il diritto di cronaca e i diritti degli individui che vengono coinvolti dalla diffusione dell’informazione sui mezzi di comunicazione, con particolare riferimento al settore audiovisivo. La cronaca, rientrando fra le manifestazioni del pensiero (art. 21 Cost.), costituisce un diritto di libertà e, come tale, non può essere in alcun modo vincolata in funzione di uno scopo sociale. Tuttavia dall’esercizio di essa discende il risultato (non scopo!) vantaggioso per la collettività e per la vita dello Stato democratico. L’ordinamento cerca quindi un punto di equilibrio fra la cronaca e gli altri valori della persona confliggenti e di pari rango; ciò avviene attraverso il bilanciamento in concreto operato dalla giurisprudenza (secondo i principi della sentenza del decalogo) e attraverso la disciplina dei mezzi, al fine di garantire il “diritto ad essere informati” espresso dall’art.10 della CEDU. La disciplina dei mezzi si giustifica in ragione della capacità di influenzare il pubblico e della capacità pervasiva di essi, in particolare del mezzo televisivo che, nonostante l’espansione di internet, conserva ad oggi il primato. Per quanto riguarda gli strumenti di tutela previsti per le ipotesi di lesioni derivanti dalla informazione, ci si sofferma sulla rettifica.(art.32, dlgs 177/2005). Viene effettuato un raffronto con l’analoga figura prevista nella stampa (legge 47/1948), riscontrando che nell’audiovisivo lo strumento è applicabile solo in caso di notizie oggettivamente false che abbiano leso gli interessi morali del soggetto, escludendo la valutazione soggettiva del richiedente, prevista invece per la stampa. Viene ricercata la ratio della differenziazione normativa dei due settori, anche attraverso l’analisi dei provvedimenti dell’AGCOM. In ragione dell’obiettivo di garantire l’obiettività e il pluralismo informativo perseguito dal legislatore attraverso la disciplina dell’audiovisivo, la rettifica, dalla duplice valenza, vede qui prevalere l’aspetto di tutela dell’oggettività notiziale, rispetto alla tutela dell’individuo, realizzata di riflesso, col ripristino della verità.
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Si presenta IntML, un linguaggio funzionale di recente introduzione che rende possibile la comunicazione bidirezionale; si descrive il funzionamento del suo interprete, a cui abbiamo aggiunto nuove funzionalita' che semplificano le operazioni di debugging e testing degli algoritmi.