918 resultados para Sindrome das apneias do sono


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Several studies showed that sleep loss/fragmentation may have a negative impact on cognitive performance, mood and autonomic activity. Specific neurocognitive domains, such as executive function (i.e.,prefrontal cortex), seems to be particularly vulnerable to sleep loss. Pearson et al.(2006) evaluated 16 RLS patients compared to controls by cognitive tests, including those particularly sensitive to prefrontal cortical (PFC) functioning and sleep loss. RLS patients showed significant deficits on two of the three PFC tests. It has been recently reported that RLS is associated with psychiatric manifestations. A high prevalence of depressive symptoms has been found in patients with RLS(Rothdach AJ et al., 2000). RLS could cause depression through its adverse influences on sleep and energy. On the other hand, symptoms of depression such as sleep deprivation, poor nutrition or lack of exercise may predispose an individual to the development of RLS. Moreover, depressed patients may amplify mild RLS, making occasional RLS symptoms appear to meet threshold criteria. The specific treatment of depression could be also implicated, since antidepressant compounds may worsen RLS and PLMD(Picchietti D et al., 2005; Damsa C et al., 2004). Interestingly, treatments used to relieve RLS symptoms (dopamine agonists) seem to have an antidepressant effects in RLS depressed patients(Saletu M et al., 2002&2003). During normal sleep there is a well-regulated pattern of the autonomic function, modulated by changes in sleep stages. It has been reported that chronic sleep deprivation is associated with cardiovascular events. In patients with sleep fragmentation increased number of arousals and increased cyclic alternating pattern rate is associated with an increase in sympathetic activity. It has been demonstrated that PLMS occurrence is associated with a shift to increased sympathetic activity without significant changes in cardiac parasympathetic activity (Sforza E et al., 2005). An increased association of RLS with hypertension and heart disease has been documented in several studies(Ulfberg J et al., 2001; Ohayon MM et al., 2002).

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Le encefalopatie spongiformi trasmissibili (EST), o malattie da prioni, sono malattie neurodegenerative che colpiscono l'uomo e gli animali. Le più note tra le EST animali sono la scrapie della pecora e della capra, l’encefalopatia spongiforme bovina (BSE), la Sindrome del dimagrimento cronico (CWD) dei cervidi. Negli uomini ricordiamo la malattia di Creutzfeldt-Jakob (CJD) nelle sue diverse forme (sporadica, genetica, iatrogenica e variante). La dimostrazione che la variante della CJD (vCJD) sia causata dallo stesso agente eziologico della BSE, ha evidenziato il potenziale zoonotico di queste malattie. Le EST sono caratterizzate da tempi di incubazione estremamente lunghi ed esito invariabilmente fatale. Il momento patogenetico centrale comune a tutte queste malattie è rappresentato dalla modificazione conformazionale di una proteina cellulare denominata PrPC (proteina prionica cellulare) in una isoforma patologica denominata PrPSc, insolubile e caratterizzata da una parziale resistenza alle proteasi, che tende a depositarsi sotto forma di fibrille amiloidee nel SNC dei soggetti colpiti. La suscettibilità degli ovini alla scrapie è largamente influenzata dal genotipo del gene dell’ospite che codifica per la PrP (PRNP), e più precisamente da tre polimorfismi presenti ai codoni 136, 154 e 171. Questi si combinano in cinque principali alleli, ARQ, VRQ, AHQ, ARH e ARR, correlati a differenti gradi di suscettibilità alla malattia. Risultati ottenuti da un precedente studio d’infezione sperimentale di ovini di razza Sarda con scrapie classica (Vaccari G et al 2007), hanno suggeriscono l’ordine di suscettibilità ARQ>AHQ>ARH. L’allele ARR, è risultato invece associato ai più alti livelli di protezione dalla malattia. Dallo stesso studio di trasmissione sperimentale e da uno studio epidemiologico di tipo caso-controllo, è inoltre emerso che nella razza Sarda, ovini con l’allele ARQ, con sostituzione amminoacidica al codone 137 Metionina (M)/Treonina (T) (AT137RQ) o al 176 Asparagina (N)/Lisina (K) (ARQK176) in eterozigosi sono protetti dalla scrapie. Inoltre studi di trasmissione sperimentale della BSE in ovini della stessa razza con tre differenti genotipi (ARQ/ARQ, ARQ/ARR e ARR/ARR), hanno dimostrato come la BSE abbia un targeting genetico molto simile a quello della scrapie, evidenziando il genotipo ARQ/ARQ come il più suscettibile. L’obbiettivo della seguente tesi è stato quello di verificare se fosse possibile riprodurre in vitro la differente suscettibilità genetica degli ovini alle EST evidenziata in vivo, utilizzando il PMCA (Protein Misfolding Cyclic Amplification), la metodica ad oggi più promettente e di cui è stata dimostrata la capacità di riprodurre in vitro diverse proprietà biologiche dei prioni. La tecnica, attraverso cicli ripetuti di sonicazione/incubazione, permette la conversione in vitro della PrPC presente in un omogenato cerebrale (substrato), da parte di una quantità minima di PrPSc (inoculo) che funge da “innesco” della reazione. Si è voluto inoltre utilizzare il PMCA per indagare il livello di protezione in omozigosi di alleli rari per i quali, in vivo, si avevano evidenze di protezione dalla scrapie solo in eterozigosi, e per studiare la suscettibilità degli ovini alla BSE adattata in questa specie. È stata quindi testata in PMCA la capacità diversi substrati ovini recanti differenti genotipi, di amplificare la PrPSc dello stesso isolato di scrapie classica impiegato nel precedente studio in vivo o di un inoculo di BSE bovina. Inoltre sono stati saggiati in vitro due inoculi di BSE costituiti da omogenato cerebrale di due ovini sperimentalmente infettati con BSE (BSE ovina) e recanti due differenti genotipi (ARQ/ARQ e ARR/ARR). Per poter descrivere quantitativamente il grado di correlazione osservato i risultati ottenuti in vitro e i quelli riscontrati dallo studio di sperimentazione con scrapie, espressi rispettivamente come fattori di amplificazione e tempi d’incubazione registrati in vivo, sono stati analizzati con un modello di regressione lineare. Per quanto riguarda la scrapie, i risultati ottenuti hanno evidenziato come i genotipi associati in vivo a suscettibilità (ARQ/ARQ, ARQ/AHQ and AHQ/ARH) siano anche quelli in grado di sostenere in PMCA l’amplificazione della PrPSc, e come quelli associati a resistenza (ARQ/ARR and ARR/ARR) non mostrino invece nessuna capacità di conversione. Dall’analisi di regressione lineare è inoltre emerso come l’efficienza di amplificazione in vitro dei differenti genotipi testati sia inversamente proporzionale ai tempi d’incubazione registrati in vivo. Inoltre nessuna amplificazione è stata riscontrata utilizzando il substrato con genotipo raro ARQK176/ARQK176 suggerendo come anche questo possa essere associato a resistenza, almeno nei confronti dell’isolato di scrapie classica utilizzato. Utilizzando come inoculo in PMCA l’isolato di BSE bovina, è stato possibile riscontrare, nei tre genotipi analizzati (ARQ/ARQ, ARQ/ARR e ARR/ARR) un evidente amplificazione per il solo genotipo ARQ/ARQ, sottolineando anche in questo caso l’esistenza di una correlazione tra suscettibilità riscontrata in vivo e capacità di conversione in PMCA. I tre i substrati analizzati mostrano inoltre una buona efficienza di amplificazione, per altro simile, se si utilizza la PrPSc dell’inoculo di BSE sperimentalemente trasmessa agli ovini. Questi genotipi sembrerebbero dunque ugualmente suscettibili se esposti a BSE adattata alla specie ovina. I risultati di questa tesi indicano dunque una correlazione diretta tra la capacità di conversione della PrPC con il PMCA e la suscettibilità osservata in vivo per i differenti genotipi analizzati. Mostrano inoltre come il PMCA possa essere una valida alternativa agli studi di trasmissione in vivo e un rapido strumento utile non soltanto per testare, ma anche per predire la suscettibilità genetica degli ovini a diversi ceppi di EST, rappresentando un valido aiuto per l’individuazione di ulteriori genotipi resistenti, così da incrementare la variabilità genetica dei piani di selezione attuati per gli ovini per il controllo di queste malattie.

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Nel corso degli ultimi due decenni in particolare si è andata evidenziando a livello epatologico una entità definita oggi Non-alcoholic Fatty Liver Disease (NAFLD) che si è andata ad affiancare alle cause in precedenza conosciute, fino a risultare, attraverso il succedersi di riscontri scientifici, la causa prevalente di epatopatia, in particolare nei paesi occidentali e industrializzati. Negli stessi anni un'altra problematica clinica complessa che va sotto il nome di Sindrome Metabolica si è andata via via delineando attraverso le sue molteplici correlazioni con quelle che sono le cause di morbidità e mortalità prevalenti nella nostra realtà, dal diabete alla patologia cardiovascolare e non ultima alla NAFLD stessa. Scopo dello Studio in oggetto a questa tesi era proprio di rivalutare nel territorio italiano la prevalenza di epatopatia in particolare correlabile alla NAFLD e la sua associazione con la Sindrome Metabolica.

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Il CMV è l’agente patogeno più frequente dopo trapianto (Tx) di cuore determinando sia sindromi cliniche organo specifiche sia un danno immunomediato che può determinare rigetto acuto o malattia coronarica cronica (CAV). I farmaci antivirali in profilassi appaiono superiori all’approccio pre-sintomatico nel ridurre gli eventi da CMV, ma l’effetto anti-CMV dell’everolimus (EVE) in aggiunta alla profilassi antivirale non è stato ancora analizzato. SCOPO DELLO STUDIO: analizzare l’interazione tra le strategie di profilassi antivirale e l’uso di EVE o MMF nell’incidenza di eventi CMV correlati (infezione, necessità di trattamento, malattia/sindrome) nel Tx cardiaco. MATERIALI E METODI: sono stati inclusi pazienti sottoposti a Tx cardiaco e trattati con EVE o MMF e trattamento antivirale di profilassi o pre-sintomatico. L’infezione da CMV è stata monitorata con antigenemia pp65 e PCR DNA. La malattia/sindrome da CMV è stato considerato l’endpoint principale. RISULTATI: 193 pazienti (di cui 10% D+/R-) sono stati inclusi nello studio (42 in EVE e 149 in MMF). Nel complesso, l’infezione da CMV (45% vs. 79%), la necessità di trattamento antivirale (20% vs. 53%), e la malattia/sindrome da CMV (2% vs. 15%) sono risultati significativamente più bassi nel gruppo EVE che nel gruppo MMF (tutte le P<0.01). La profilassi è più efficace nel prevenire tutti gli outcomes rispetto alla strategia pre-sintomatica nei pazienti in MMF (P 0.03), ma non nei pazienti in EVE. In particolare, i pazienti in EVE e strategia pre-sintomatica hanno meno infezioni da CMV (48 vs 70%; P=0.05), e meno malattia/sindrome da CMV (0 vs. 8%; P=0.05) rispetto ai pazienti in MMF e profilassi. CONCLUSIONI: EVE riduce significamene gli eventi correlati al CMV rispetto al MMF. Il beneficio della profilassi risulta conservato solo nei pazienti trattati con MMF mentre l’EVE sembra fornire un ulteriore protezione nel ridurre gli eventi da CMV senza necessità di un estensivo trattamento antivirale.

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Lo scopo del progetto triennale del dottorato di ricerca è lo studio delle alterazioni genetiche in un gruppo di pazienti affetti da micosi fungoide ed un gruppo di pazienti affetti da sindrome di Sezary. Dalle biopsie cutanee è stato estratto il DNA e analizzato, comparandolo con DNA sano di riferimento, utilizzando la tecnica array-CGH, allo scopo di identificare la presenza di geni potenzialmente implicati nel processo di oncogenesi. Questa analisi è stata eseguita, per ogni paziente, su biopsie effettuate ad una fase iniziale di malattia e ad una fase di progressione della stessa. Sugli stessi pazienti è stata inoltre eseguita un’analisi miRNA. Si ipotizza che il profilo d’espressione dei miRNA possa infatti dare informazioni utili per predire lo stato di malattia, il decorso clinico, la progressione tumorale e la riposta terapeutica. Questo lavoro è stato poi eseguito su biopsie effettuate in pazienti affetti da sindrome di Sezary che, quando non insorge primitivamente come tale, si può considerare una fase evolutiva della micosi fungoide. La valutazione delle alterazioni genetiche, ed in particolare la correlazione esistente tra duplicazione e delezione genetica e sovra/sottoespressione genetica, è stata possibile attraverso l’interpretazione e la comparazione dei dati ottenuti attraverso le tecniche array-CGH e miRNA. Sono stati comparati i risultati ottenuti per valutare quali fossero le alterazioni cromosomiche riscontrate nei diversi stadi di malattia. L’applicazione dell’array-CGH e della metodica di analisi mi-RNA si sono rivelate molto utili per l’identificazione delle diverse aberrazioni cromosomiche presenti nel genoma dei pazienti affetti da micosi fungoide e sindrome di Sezary, per valutare la prognosi del paziente e per cercare di migliorare o trovare nuove linee terapeutiche per il trattamento delle due patologie. Lo studio di questi profili può rappresentare quindi uno strumento di grande importanza nella classificazione e nella diagnosi dei tumori.

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The cardiomyocyte is a complex biological system where many mechanisms interact non-linearly to regulate the coupling between electrical excitation and mechanical contraction. For this reason, the development of mathematical models is fundamental in the field of cardiac electrophysiology, where the use of computational tools has become complementary to the classical experimentation. My doctoral research has been focusing on the development of such models for investigating the regulation of ventricular excitation-contraction coupling at the single cell level. In particular, the following researches are presented in this thesis: 1) Study of the unexpected deleterious effect of a Na channel blocker on a long QT syndrome type 3 patient. Experimental results were used to tune a Na current model that recapitulates the effect of the mutation and the treatment, in order to investigate how these influence the human action potential. Our research suggested that the analysis of the clinical phenotype is not sufficient for recommending drugs to patients carrying mutations with undefined electrophysiological properties. 2) Development of a model of L-type Ca channel inactivation in rabbit myocytes to faithfully reproduce the relative roles of voltage- and Ca-dependent inactivation. The model was applied to the analysis of Ca current inactivation kinetics during normal and abnormal repolarization, and predicts arrhythmogenic activity when inhibiting Ca-dependent inactivation, which is the predominant mechanism in physiological conditions. 3) Analysis of the arrhythmogenic consequences of the crosstalk between β-adrenergic and Ca-calmodulin dependent protein kinase signaling pathways. The descriptions of the two regulatory mechanisms, both enhanced in heart failure, were integrated into a novel murine action potential model to investigate how they concur to the development of cardiac arrhythmias. These studies show how mathematical modeling is suitable to provide new insights into the mechanisms underlying cardiac excitation-contraction coupling and arrhythmogenesis.

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La nascita pretermine determina un’alterazione dei normali processi di maturazione dei vari organi ed apparati che durante la gravidanza fisiologica si completano durante le 38-40 settimane di vita intrauterina. Queste alterazioni sono alla base della mortalità e morbilità perinatale che condiziona la prognosi a breve termine di questa popolazione, ma possono determinare anche sequele a medio e lungo termine. E’ stato ampiamente documentato che la nefrogenesi si completa a 36 settimane di vita intrauterina e pertanto la nascita pretermine altera il decorso fisiologico di tale processo; a questa condizione di immaturità si sovrappongono i fattori patogeni che possono determinare danno renale acuto in epoca neonatale, a cui i pretermine sono in larga misura esposti. Queste condizioni conducono ad un rischio di alterazioni della funzione renale di entità variabile in età infantile ed adulta. Nel presente studio è stata studiata la funzione renale in 29 bambini di 2-4 anni di età, precedentemente sottoposti a valutazione della funzione renale alla nascita durante il ricovero in Terapia Intensiva Neonatale. I dati raccolti hanno mostrato la presenza di alterazioni maggiori (sindrome nefrosica, riduzione di eGFR) in un ridotto numero di soggetti e alterazioni minori ed isolate (proteinuria di lieve entità, riduzione del riassorbimento tubulare del fosforo, pressione arteriosa tra il 90° e il 99° percentile per sesso ed altezza). L’età di 2-4 anni, alla luce dei risultati ottenuti, può rappresentare un momento utile per effettuare una valutazione di screening di funzione renale in una popolazione a rischio come i pretermine, con lo scopo di individuare i soggetti che richiedano una presa in carico specialistica ed un follow-up a lungo termine.

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Sulla base delle evidenze della letteratura (Fenaux, 2009; Lyons, JCO 2009), a partire da Settembre 2004 nel Nostro Istituto sono stati trattati 57 pazienti affetti da Sindrome Mielodisplastica (MDS) mediante terapia demetilante con 5-Azacitidina. Sono stati utilizzati differenti regimi terapeutici a seconda della classe di rischio IPSS: i pazienti a rischio basso/intermedio-1 hanno ricevuto Azacitidina 75 mg/mq/die sottocute per 5 giorni/mese (schema 5) per 8 cicli; i pazienti a rischio alto/intermedio-2 hanno ricevuto Azacitidina 50 mg/mq/die sottocute per 10 giorni/mese (schema 5+2+5) o Azacitidina 75 mg/mq/die per 7 giorni/mese (schema 7) fino a perdita della risposta. Su una casistica totale di 57 pazienti (15 a rischio basso/int-1; 41 rischio alto/int-2), l’87.7% (50 pazienti) sono risultati valutabili. Tra questi le risposte osservate sono state del 68% (34 pazienti), di cui il 14% (7 pazienti) ha ottenuto una Remissione Completa (CR) ed il 54% (27 pazienti) ha ottenuto un Hematologic Improvement (HI). La valutazione della risposta è stata eseguita secondo i criteri dell’International Working Group 2006 (IWG, Cheeson 2006). Le principali tossicità osservate sono state rappresentate da reazioni cutanee locali nel sito d’iniezione, tossicità gastrointestinale (stipsi e/o diarrea), mielotossicità, neutropenia febbrile, sepsi (3 pazienti). Tra i pazienti trattati abbiamo osservato la presenza di risposta ematologica prolungata (≥ 20 mesi) in 10 pazienti (20% dei pazienti valutabili). Inoltre, grazie alla collaborazione con il Dipartimento di Anatomia Umana dell’Università di Bologna (Prof. L. Cocco, Dott.ssa M.Y. Follo), tutti i pazienti trattati sono stati valutati per i livelli di espressione genica e metilazione del gene della fosfolipasi PI-PLC-beta1. I dati biologici così ottenuti sono stati correlati con quelli clinici, evidenziando la presenza di una correlazione tra i livelli di espressione genica e mutilazione della PI-PLC-beta1 e la risposta alla terapia demetilante con 5-Azacitidina.

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La presenza di Escherichia coli produttori di verocitotossine (VTEC o STEC) rappresenta una tra le più importanti cause di malattia alimentare attualmente presenti in Europa. La sua presenza negli allevamenti di animali destinati alla produzione di alimenti rappresenta un importante rischio per la salute del consumatore. In conseguenza di comuni contaminazioni che si realizzano nel corso della macellazione, della mungitura i VTEC possono essere presenti nelle carni e nel latte e rappresentano un grave rischio se la preparazione per il consumo o i processi di lavorazione non comportano trattamenti in grado d’inattivarli (es. carni crude o poco cotte, latte non pastorizzato, formaggi freschi a latte crudo). La contaminazione dei campi coltivati conseguente alla dispersione di letame o attraverso acque contaminate può veicolare questi stipiti che sono normalmente albergati nell’intestino di ruminanti (domestici e selvatici) e anche prodotti vegetali consumati crudi, succhi e perfino sementi sono stati implicati in gravi episodi di malattia con gravi manifestazioni enteriche e complicazioni in grado di causare quadri patologici gravi e anche la morte. Stipiti di VTEC patogeni ingeriti con gli alimenti possono causare sintomi gastroenterici, con diarrea acquosa o emorragica (nel 50% dei casi), crampi addominali, febbre lieve e in una percentuale più bassa nausea e vomito. In alcuni casi (circa 5-10%) l’infezione gastroenterica si complica con manifestazioni tossiemiche caratterizzate da Sindrome Emolitico Uremica (SEU o HUS) con anemia emolitica, insufficienza renale grave e coinvolgimento neurologico o con una porpora trombotica trombocitopenica. Il tasso di mortalità dei pazienti che presentano l’infezione da E. coli è inferiore all’1%. I dati forniti dall’ECDC sulle infezioni alimentari nel periodo 2006-2010 hanno evidenziato un trend in leggero aumento del numero di infezioni a partire dal 2007. L’obiettivo degli studi condotti è quello di valutare la prevalenza ed il comportamento dei VTEC per una analisi del rischio più approfondita.

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OBIETTIVI: Per esplorare il contributo dei fattori di rischio biomeccanico, ripetitività (hand activity level – HAL) e forza manuale (peak force - PF), nell’insorgenza della sindrome del tunnel carpale (STC), abbiamo studiato un’ampia coorte di lavoratori dell’industria, utilizzando come riferimento il valore limite di soglia (TLV©) dell’American Conference of Governmental Industrial Hygienists (ACGIH). METODI: La coorte è stata osservata dal 2000 al 2011. Abbiamo classificato l’esposizione professionale rispetto al limite di azione (AL) e al TLV dell’ACGIH in: “accettabile” (sotto AL), “intermedia” (tra AL e TLV) e “inaccettabile” (sopra TLV). Abbiamo considerato due definizioni di caso: 1) sintomi di STC; 2) sintomi e positività allo studio di conduzione nervosa (SCN). Abbiamo applicato modelli di regressione di Poisson aggiustati per sesso, età, indice di massa corporea e presenza di patologie predisponenti la malattia. RISULTATI: Nell’intera coorte (1710 lavoratori) abbiamo trovato un tasso di incidenza (IR) di sintomi di STC di 4.1 per 100 anni-persona; un IR di STC confermata dallo SCN di 1.3 per 100 anni-persona. Gli esposti “sopra TLV” presentano un rischio di sviluppare sintomi di STC di 1.76 rispetto agli esposti “sotto AL”. Un andamento simile è emerso per la seconda definizione di caso [incidence rate ratios (IRR) “sopra TLV”, 1.37 (intervallo di confidenza al 95% (IC95%) 0.84–2.23)]. Gli esposti a “carico intermedio” risultano a maggior rischio per la STC [IRR per i sintomi, 3.31 (IC95% 2.39–4.59); IRR per sintomi e SCN positivo, 2.56 (IC95% 1.47–4.43)]. Abbiamo osservato una maggior forza di associazione tra HAL e la STC. CONCLUSIONI: Abbiamo trovato un aumento di rischio di sviluppare la STC all’aumentare del carico biomeccanico: l’aumento di rischio osservato già per gli esposti a “carico intermedio” suggerisce che gli attuali valori limite potrebbero non essere sufficientemente protettivi per alcuni lavoratori. Interventi di prevenzione vanno orientati verso attività manuali ripetitive.

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La Sindrome da Asfissia Perinatale (PAS) è una delle più comuni patologie che colpiscono il puledro neonato nelle prime 72 h di vita. È una patologia difficile da diagnosticare in quanto non esistono parametri o segni clinici specifici, la sintomatologia è molto variabile in base alla durata e all’intensità dell’insulto ipossico ischemico e al tipo di organo maggiormente colpito. Lo scopo di questo studio è la ricerca e la valutazione di alcuni parametri biochimico-clinici e di alcuni biomarkers per la diagnosi precoce e il corretto trattamento dei puledri affetti da PAS. Nei puledri neonati che presentano questa patologia è stata riscontrata un’ipermagnesiemia al momento del ricovero associata a prognosi infausta, probabilmente causata da un grave danno cellulare con rilascio in circolo del magnesio intracellulare. La PAS potrebbe essere un’ulteriore causa di Euthyroid Sick Syndrome, in quanto abbiamo riscontrato una diminuzione delle concentrazioni di T3 e T4 nei puledri malati rispetto ai sani della stessa età, come avviene in altre malattie sistemiche. Lo studio del profilo proteomico ha permesso di separare le più importanti frazioni proteiche del liquido amniotico di cavalla, mettendo in evidenza similitudini e differenze qualitative e quantitative nei ferogrammi dei puledri sani e di quelli affetti da PAS ed una maggiore variabilità è stata riscontrata nei profili dei liquidi amniotici dei puledri malati. Il glutatione è risultato poco espresso nel puledro neonato, i puledri sani presentano concentrazioni più basse sia rispetto ai malati della stessa età sia agli adulti ma con una tendenza all’aumento nelle prime 24 ore di vita per i sani ed un calo nei malati. La somministrazione della terapia antiradicalica non influisce sulle concentrazioni di glutatione totale ed i puledri deceduti presentano concentrazioni più alte.

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La Sindrome da Immunodeficienza Acquisita (AIDS o SIDA) causata da HIV-1 (Virus dell'Immunodeficienza umana) è caratterizzata dalla graduale compromissione del sistema immunitario del soggetto colpito. Le attuali terapie farmacologiche, purtroppo, non riescono a eliminare l'infezione a causa della comparsa di continui ceppi resistenti ai farmaci, e inoltre questi trattamenti non sono in grado di eliminare i reservoir virali latenti e permettere l'eradicazione definitiva del virus dall’organismo. E' in questo ambito che si colloca il progetto a cui ho lavorato principalmente in questi anni, cioè la creazione di una strategia per eradicare il provirus di HIV integrato nel genoma della cellula ospite. L'Integrasi di HIV-1 è un enzima che media l'integrazione del cDNA virale nel genoma della cellula ospite. La nostra idea è stata, quindi, quella di associare all'attività di legame dell'IN stessa, un'attività catalitica. A tal fine abbiamo creato una proteina chimerica costituita da un dominio DNA-binding, dato dall'Integrasi, e da un dominio con attività nucleasica fornito dall'enzima FokI. La chimera ottenuta è stata sottoposta a mutagenesi random mediante UV, ed è stata oggetto di selezione in vivo, al fine di ottenere una chimera capace di riconoscere, specificamente le LTR di HIV-1, e idrolizzare i siti di inserzione. Questo lavoro porterà a definire pertanto se l'IN di HIV può essere riprogrammata a catalizzare una nuova funzione mediante la sostituzione dell'attività del proprio dominio catalitico con quello di FokI.

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I pazienti con glomerulopatie con sindrome nefrosica hanno poche opzioni di trattamento efficace. Riportiamo la nostra esperienza sull'utilizzo della fotochemioterapia extracorporea ( ECP) in 9 pazienti in cui non era stata osservata una risposta efficace/duratura alla convenzionale terapia farmacologica. L’ECP è una promettente terapia immunomodulante, che è stata utilizzata con successo nel trattamento di altre condizioni immunomediate come il rigetto nel trapianto e il GvHD. METODI: In questo studio abbiamo arruolato 9 pazienti, 5 maschi e 4 femmine, età media 32.7±8.9 anni, affetti da sindrome nefrosica e non responsivi/resistenti alle comuni terapie. Il follow-up medio è stato di 41.3±21.7 mesi. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a cicli di fotochemioterapia extracorporea secondo il seguente schema: 1ciclo (2 sedute in 2 giorni consecutivi) ogni 15 giorni per tre mesi, seguito da 1ciclo al mese per tre mesi. Il follow up è stato effetuatio ogni 3 mesi durante il primo anno e poi ogni 12 mesi. Durante il follow up sono stati monitorati pressione arteriosa, funzione renale, marcatori diretti ed indiretti di attività della malattia e indici di flogosi. RISULTATI: attraverso l'analisi dei parametri ematochimici indici di attività di malattia, e monitorando l'eventuale progressione della malattia renale, è stato possibile dimostrare che l' ECP può rappresentare per casi selezionati di pazienti una valida ulteriore opzione terapeutica. Secondo i risultati preliminari tale trattamento risulta inoltre caratterizzato da un eccellente profilo di sicurezza . CONCLUSIONI: I risultati osservati suggeriscono che l’ECP è un trattamento efficace per i pazienti con glomenulonefriti con sindrome nefrosica, soprattutto in coloro che presentano ancora una buona funzionalità renale. Valutazioni cliniche aggiuntive dovranno aiuteranno a definire meglio la popolazione di pazienti in cui ECP sia più efficace e raccomandabile.

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Nella maggior parte dei casi, i soggetti affetti da Disturbo dello Spettro Autistico hanno un deficit di comunicazione, sia esso verbale o non verbale. Nonostante, ad oggi, non esista una cura per questo disturbo, una diagnosi precoce entro il terzo anno di vita del soggetto e un programma educativo coerente con le necessità del paziente, permettono al bambino con autismo di raggiungere quantomeno le abilità comunicative di base. Recenti studi hanno dimostrato che l’utilizzo di Information and Communication Technology (ICT) nel trattamento di soggetti affetti da Disturbo dello Spettro Autistico può portare molti benefici, dato che, da un lato, computer, tablet e smartphone sono strumenti strutturati e prevedibili e, dall’altro, i sintetizzatori vocali, se presenti, sono privi di inflessioni verbali. A questo proposito, durante il mio tirocinio di tesi magistrale presso l’azienda “CSP – Innovazioni nelle ICT” di Torino, ho sviluppato un’applicazione per tablet Android che permette a psicologi, educatori, logopedisti, insegnanti e genitori di creare tabelle comunicative circostanziate alle esigenze del soggetto e che consente a quest’ultimo di utilizzare questo strumento come efficace mediatore sociale. Questo software si va a inserire in un progetto più ampio, denominato “tools4Autism”, nato dalla collaborazione tra il centro di ricerca di cui sopra, la “Fondazione ASPHI Onlus – ICT per migliorare la qualità di vita delle persone con disabilità” e il “Centro Autismo e Sindrome di Asperger” di Mondovì (CN). L’applicazione prevede principalmente due metodi di utilizzo: il primo, definito “modalità operatore”, è un editor che permette di creare tabelle composte da un numero variabile di immagini che possono essere pittogrammi, fotografie personali, disegni del bambino e possono essere accompagnate o meno da un testo. Una volta create le tabelle, l’operatore ha la possibilità di modificarle, eliminarle, variarne l’ordine, esportarle su altri dispositivi o importare tabelle precedentemente create. Il secondo metodo di utilizzo, definito “modalità utente”, permette al soggetto affetto da Disturbo Autistico di comunicare con altre persone sfruttando le tabelle create dall’operatore coerentemente con le sue necessità. Al tocco dell’immagine da parte del bambino, essa viene evidenziata tramite un contorno rosso e, se abilitato, il sintetizzatore vocale riproduce il testo associato a tale immagine. I principali fattori di innovazione dell’applicazione sono la gratuità, la semplicità di utilizzo, la rapidità nella creazione e nell’aggiornamento delle tabelle comunicative, la portabilità dello strumento e l’utilizzo della sintesi vocale. Il software sarà sperimentato presso il “Centro Autismo e Sindrome di Asperger”, centro di neuropsichiatria infantile specializzato nello studio del Disturbo Autistico. Tale sperimentazione si pone come obiettivo quello di verificare gli effettivi miglioramenti nella velocità e nella qualità di apprendimento delle fondamentali abilità comunicative.