221 resultados para Entrée virale
Resumo:
L’infezione da virus dell’ epatite E (HEV) nei suini e nell’uomo è stata segnalata in diversi Paesi. Nei suini, il virus causa infezioni asintomatiche, mentre nell’uomo è responsabile di epidemie di epatite ad andamento acuto nei Paesi a clima tropicale o subtropicale con condizioni igieniche scadenti, di casi sporadici in quelli sviluppati. HEV è stato isolato anche in diversi animali e l’analisi nucleotidica degli isolati virali di origine animale ha mostrato un elevato grado di omologia con i ceppi di HEV umani isolati nelle stesse aree geografiche, avvalorando l’ipotesi che l'infezione da HEV sia una zoonosi. In America del Sud HEV suino è stato isolato per la prima volta in suini argentini nel 2006, mentre solo dal 1998 esistono dati sull’ infezione da HEV nell’uomo in Bolivia. In questa indagine è stato eseguito uno studio di sieroprevalenza in due comunità rurali boliviane e i risultati sono stati confrontati con quelli dello studio di sieroprevalenza sopra menzionato condotto in altre zone rurali della Bolivia. Inoltre, mediante Nested RT-PCR, è stata verificata la presenza di HEV nella popolazione umana e suina. La sieroprevalenza per anticorpi IgG anti-HEV è risultata pari al 6,2%, molto simile a quella evidenziata nello studio precedente. La prevalenza maggiore (24%) si è osservata nei soggetti di età compresa tra 41 e 50 anni, confermando che l’ infezione da HEV è maggiore fra i giovani-adulti. La ricerca di anticorpi anti HEV di classe IgM eseguita su 52 sieri ha fornito 4 risultati positivi. Il genoma virale è stato identificato in uno dei 22 pool di feci umane e l'esame virologico di 30 campioni individuali fecali e 7 individuali di siero ha fornito rispettivamente risultati positivi in 4/30 e 1/7. La Nested RT-PCR eseguita sui 22 pool di feci suine ha dato esito positivo in 7 pool. L’analisi delle sequenze genomiche di tutti gli amplificati ha consentito di stabilire che gli isolati umani appartenevano allo stesso genotipo III di quelli suini e presentavano con questi una elevata omologia aminoacidica (92%).
Resumo:
Introduzione: Il cervico-carcinoma è la seconda neoplasia maligna per incidenza e mortalità nelle donne in tutto il mondo dopo il cancro al seno. L’infezione persistente da Papillomavirus Umani (HPV) è causa necessaria dell’insorgenza del cervico-carcinoma e delle sue lesioni pre-cancerose. L’infezione da HPV si associa anche ad altri carcinomi del distretto ano-genitale (a livello anale, vulvare, vaginale e del pene) e a circa il 25% dei carcinomi squamosi dell’orofaringe. I circa 40 genotipi di HPV che infettano la mucosa genitale vengono suddivisi in alto rischio (HR-HPV) e basso rischio (LR-HPV) oncogeno a seconda della alta e bassa associazione con la neoplasia cervicale. I 13 genotipi a più alto rischio oncogeno sono 16, 18, 31, 33, 35, 39, 45, 51, 52, 56, 58, 59 e 68. Di questi, otto (16, 18, 31, 33, 35, 45, 52 e 58) sono associati alla maggior parte dei carcinomi cervicali (circa 89%) e i genotipi 16 e 18 da soli sono riscontrati nel 70% circa delle neoplasie. L’insorgenza e progressione delle lesioni preneoplastiche cervicali è, però, associata non solo alla presenza di HPV ad alto rischio, ma, soprattutto, alla persistenza virale (> 18 mesi), alla capacità di integrazione degli HPV ad alto rischio e alla conseguente sovraespressione delle oncoproteine E6/E7. Inoltre, l’integrazione è spesso favorita da un’alta carica virale soprattutto per quanto riguarda alcuni genotipi (HPV16 e 18). L’infezione da HPV non interessa solo la cervice uterina ma tutto il distretto ano-genitale e quello testa-collo. L’HPV, in particolare il genotipo 16, è implicato, infatti, nell’insorgenza delle lesioni preneoplastiche della vulva (VIN) classificate come VIN classiche e nei carcinomi ad esse associati. L’incidenza del carcinoma vulvare in Europa è di 1.5/100.000 di cui circa il 45% è dovuto a HR-HPV (80% ad HPV16). Nonostante l’associazione tra HPV16 e carcinoma vulvare sia alta, ancora poco si conosce sul ruolo della carica virale e dell’integrazione in tali lesioni. Le lesioni che possono presentarsi nella regione testa-collo possono essere sia di natura benigna che maligna. I genotipi più frequentemente riscontrati in associazione a lesioni benigne (papillomi) sono HPV 6 e 11, quelli associati a forme tumorali (HNSCC) sono il genotipo 18 ma soprattutto il 16. Molti aspetti del coinvolgimento di HPV in queste patologie non sono ancora perfettamente conosciuti e spesso studi su tale argomento hanno mostrato risultati contraddittori, soprattutto perché vengono utilizzate metodiche con gradi diversi di sensibilità e specificità. Recenti dati di letteratura hanno tuttavia messo in evidenza che i pazienti affetti da HNSCC positivi ad HPV hanno una elevata risposta al trattamento chemioradioterapico rispetto ai pazienti HPV-negativi con un notevole impatto sul controllo locale e sulla sopravvivenza ma soprattutto sulla qualità di vita di tali pazienti, evitando di sottoporli a chirurgia sicuramente demolitiva. Scopo del lavoro: Sulla base di queste premesse, scopo di questo lavoro è stato quello di valutare l’importanza di marker quali la presenza/persistenza di HPV, la carica virale, la valutazione dello stato fisico del genoma virale e l’espressione degli mRNA oncogeni nella gestione di pazienti con lesioni preneoplastiche e neoplastiche di diverso grado, associate a papillomavirus mucosi. Per la valutazione dei markers virologici di progressione neoplastica abbiamo sviluppato dei saggi di real time PCR qualitativi e quantitativi studiati in modo da poter fornire, contemporaneamente e a seconda delle esigenze, risposte specifiche non solo sulla presenza e persistenza dei diversi genotipi di HPV, ma anche sul rischio di insorgenza, progressione e recidiva delle lesioni mediante lo studio di markers virologici quali carica virale, integrazione ed espressione degli mRNA. Abbiamo pertanto indirizzato la nostra attenzione verso tre popolazioni specifiche di pazienti: - donne con lesioni vulvari preneoplastiche (VIN) e neoplastiche, allo scopo di comprendere i complessi meccanismi patogenetici di tali patologie non sempre associate ad infezione da HPV; - pazienti con lesioni maligne a livello della regione testa-collo allo scopo di fornire informazioni utili all’elaborazione di un percorso terapeutico mirato (radiochemioterapico o chirurgico) a seconda o meno della presenza di infezione virale; - donne con lesioni cervicali di alto grado, trattate chirurgicamente per la rimozione delle lesioni e seguite nel follow-up, per stabilire l’importanza di tali marker nella valutazione della persistenza virale al fine di prevenire recidive di malattia.
Resumo:
ZusammenfassungDas Humane Cytomegalovirus (HCMV) ist ein Erreger von erheblicher klinischer Bedeutung. Eine HCMV-Vakzine ist bislang nicht verfügbar. Immunität ist nur durch eine Kombination effizienter humoraler und zellulärer Effektormechanismen zu vermitteln. Inhalt der Arbeit war es zu untersuchen, ob defekte virale Partikel, sog. Dense Bodies (DB) eine derartige Immunantwort gegen HCMV induzieren können. Die Immunisierung mit DB induzierte im Mausmodell die Bildung HCMV-neutralisierender Antikörper, die über ein Jahr hinweg im Serum der Tiere nachweisbar blieben. Die Spiegel an neutralisierenden Antikörpern waren mit Titern vergleichbar, die nach einer durchlaufenen, natürlichen HCMV-Infektion in menschlichen Seren gemessen wurden. Obwohl DB ein Totantigen darstellen und keine de novo-Synthese von viralen Proteinen vermitteln, stimulierten sie zudem eine deutliche HCMV-spezifische, zytotoxische T-Zell-Antwort (CTL-Antwort). Die Analyse der T-Helferzell-Antwort ergab, dass die Applikation von DB eine Th1-artige Immunantwort auslöste, die die Kontrolle einer Virusinfektion unterstützt. DB des HCMV sind folglich geeignet, sowohl humorale als auch zelluläre Immuneffektormechanismen effizient zu induzieren. Sie erwiesen sich als ein wirksames Antigentransportsystem, das als vielversprechende Grundlage für die Entwicklung einer rekombinanten HCMV-Vakzine dienen kann. Um die Immunogenität der DB für die Anwendung am Menschen weiter zu optimieren, müssen sie um zusätzliche Epitope ergänzt werden. Derartige rekombinante DB können nur durch Konstruktion mutanter HCMV-Genome generiert werden. Daher wurden im Rahmen dieser Arbeit zwei Genombereiche des HCMV dahingehend charakterisiert, ob sie zur Insertion von Fremdsequenzen geeignet sind. Der Leserahmen UL32, der für das Phosphoprotein pp150 kodiert, erwies sich als essentiell. Mit der IE4-Region hingegen konnte ein 5 kB langes Genomfragment identifiziert werden, das aus dem Genom deletiert und gegen zusätzliche antigene Determinanten ausgetauscht werden kann. Zusammenfassend eröffnen die vorgestellten Ergebnisse neue Möglichkeiten zur Entwicklung eines wirksamen Impfstoffes gegen HCMV.
Resumo:
Die Schwämme (Porifera) sind eine reiche Quelle bioaktiver Naturstoffe. Viele dieser Naturstoffe besitzen das Potential, als Pharmazeutika, molekulare Sonden usw. eingesetzt oder weiterentwickelt zu werden. Die Beschaffung dieser Naturstoffe in ausreichenden Mengen stellt jedoch eines der größten Probleme bei der Testung und Produktion vielversprechender Substanzen dar. Der Transfer von DNA in Schwammzellen bzw. in komplette Organismen wäre ein vielversprechender Ansatz, dieses Problem zu lösen. Das Ziel dieser Arbeit war es deshalb, die Funktion und Struktur homologer Promotoren zu untersuchen und eine Methode des Gentransfers in Schwammzellen auszuarbeiten. Zu diesem Zweck wurde zusätzlich zu der bereits vorhandenen 5'-flankierenden Region des conventional PKC-Gens aus Geodia cydonium eine genomische Bibliothek von Suberites domuncula konstruiert, um diese mit Hilfe des DNA-Homologiescreenings nach den 5'-flankierenden Regionen des cPKC- und des SNZ (SnooZe)-Gens (SD_SNZG) zu durchsuchen. Die Klonierung und Sequenzierung sowohl des 5'-Bereichs als auch die Charakterisierung der Exon-Intron Struktur beider Gene wurde erfolgreich durchgeführt. In der 5'-Region des SNZ-Gens konnte dabei ein weiteres Gen (SD_SNO; SNZ proximal Open Reading Frame) identifiziert werden, das in einer 'Kopf-an-Kopf' Anordnung zu SD_SNZG orientiert ist. Sowohl SD_SNZG als auch SD_SNO wurden hochkonservierten Genfamilien zugeordnet, deren Vorkommen in Metazoen hier erstmals beschrieben wird.Funktionelle Studien mit Hilfe der Reportergene Luciferase und Enhanced Green Fluorescent Protein (EGFP) im heterologen System der NIH 3T3 Zellen wiesen sowohl dem cPKC-Promotor aus G. cydonium als auch dem SNZ-Promotor aus S. domuncula eine starke Promotoraktivität im Verhältnis zum SV40-Promotor nach. Die Aktivität des cPKC-Promotors aus S. domuncula dagegen war relativ schwach. Darüber hinaus konnte geklärt werden, daß die 5'-flankierende Region des SNZ-Gens bidirektionale Promotoraktivität aufweist und daß der G. cydonium cPKC-Promotor keine TATA-Box besitzt, sondern eine GC-Box für die basale Funktion benötigt.Als geeignete Methode zur Transfektion von Zellen des Schwamms S. domuncula erwies sich der ballistische Gentransfer mit Hilfe der Gene Gun. Homologe Promotoren konnten die sichtbare Expression des Reportergens EGFP jedoch nicht bewirken. Nur der virale CMV-Promotor erwies sich als hierfür geeignet.
Resumo:
Das Hepatitis C Virus (HCV) ist der Haupterreger der parenteral übertragenen non-A non-B Hepatitis. Bisher wurde die Erforschung der Replikation und Pathogenese des HCV durch das Fehlen eines effizienten und verläßlichen Zellkultursystems behindert.Virale RNA aus infizierten humanen Leberzellen wurde isoliert und kloniert. Mit Hilfe eines Vergleichs mehrerer Klone wurde eine isolatspezifische Konsensussequenz bestimmt, auf deren Basis ein Konsensusgenom konstruiert wurde. Mit dem Konsensusgenom als Grundlage wurden subgenomische RNA-Moleküle, sogenannte âselektionierbare Replikonsâ hergestellt. Nach Transfektion der Replikons in humane HuH-7 Hepatoma-Zellen konnte gezeigt werden, daß die Replikons autonom und in hohem Maße in den Wirtszellen replizierten.Die Arbeit definiert die Struktur von HCV-Replikons, die in Zellkultur funktionell sind. Damit wird die Basis für ein lange gesuchtes HCV-Zellkultursystem geschaffen, welches das Studium der HCV-Replikation im Detail und die Entwicklung antiviral wirksamer Substanzen ermöglicht.
Resumo:
Eine Erkrankung durch das humane Cytomegalovirus (hCMV) und ein Rezidiv des Ausgangstumors sind zwei gravierende Komplikationen im Rahmen der Therapie von Malignomen des hämatopoetischen Systems durch Knochenmarktransplantation (KMT). Eine mögliche pathogenetische Interaktion zwischen hCMV-Infektion und einem von einer Minimalen Residualen Leukämie (MRL) ausgehenden Rezidiv wurde bislang in klinischen Verlaufsstudien nach KMT noch nicht systematisch untersucht.In der vorliegenden Arbeit wurde der Einfluss von CMV auf ein Lymphom in einem Modellsystem untersucht. Dazu erweiterten wir das etablierte Modell der murinen CMV (mCMV) Infektion nach experimenteller syngener KMT mit dem Mausstamm BALB/c als Spender und Empfänger durch ein B-Zell-Lymphom als weiteren Parameter. Als Modell-Lymphom diente uns eine mit dem Reportergen lacZ transfizierte, ex tumore klonierte, in der Leber hochgradig tumorigene Variante (Klon E12E) des von BALB/c abgeleiteten B-Zell-Lymphoms A20. Die Arbeiten führten zur Erstbeschreibung einer anti-metastatischen Wirkung der mCMV-Infektion (Erlach at al., 2002; J. Virol. 76: 2857-2870).Im neu etablierten Tiermodell konnte erstmals gezeigt werden, dass eine CMV-Infektion die Ansiedelung eines murinen B-Zell-Lymphoms in der Leber deutlich verringert. Damit wurde die Entstehung einer letalen Tumorerkrankung, abhängig von der Ausgangslast an Tumorzellen signifikant verzögert oder sogar ganz verhindert. Die Suche nach Mechanismen, die diesen antitumoralen Effekt von mCMV verursachen, führte zu folgenden Ergebnissen: Im Unterschied zu onkolytischen Viren basiert die antitumorale Wirkung von mCMV nicht auf einer zytozidalen Infektion der Lymphomzellen. Darüber hinaus zeigt mCMV keine zytostatische oder Apoptose-induzierende Wirkung. Außerdem sind die rekonstituierenden Knochenmarkzellen als Effektoren für den anti-Tumoreffekt auszuschließen. Direkte zytotoxische, sowie systemische Effekte von TNF-alpha konnten als antitumorale Mechanismen ausgeschlossen werden. Die intravenöse Applikation von UV-inaktiviertem Virus zeigte ebenfalls eine Inhibition des Lymphomwachstums, so dass der antitumorale Effekt offenbar durch virale Strukturproteine (Virion-Proteine) ausgelöst wird.Auf der Basis dieser Daten vermuten wir eine Inhibition der Extravasation (transendotheliale Migration/Diapedese) der Tumorzellen aufgrund einer gestörten Kommunikation zwischen Tumorzelle und sinusoidalem Endothel der Leber. Das virale Hüll-Glykoprotein B kann aufgrund seiner signalinduzierenden Wirkung als ein guter Kandidat angesehen werden.
Resumo:
Nicht-umhüllte humane Papillomviren binden an Heparansulfatproteoglykane (HSPG) der Zelloberfläche und werden durch Endocytose in Zielzellen aufgenommen. Um eine effiziente Infektion zu etablieren, muss die virale DNA in den Zellkern transportiert werden. Auf welche Art und Weise hierbei die Endosomenmembran überwunden wird, war bislang völlig unklar. Die Suche nach potentiellen membrandestabilisierenden Eigenschaften der Kapsidproteine L1 und L2 von HPV führte im Vorfeld der vorliegenden Dissertation zur Identifizierung eines carboxyterminalen Peptids des minoren L2-Proteins, welches als sehr mikrobizid und fungizid beschrieben werden konnte. Es ist gekennzeichnet durch einen Bereich basischer und einen Bereich hydrophober Aminosäuren. Da das minore L2-Protein für den Infektionsprozess von Papillomviren essentiell ist, wurde im Rahmen dieser Arbeit die Rolle des C-terminalen Peptids für den Transport des infektiösen Materials durch die zelluläre Membranbarriere genauer untersucht. Es konnte gezeigt werden, dass das carboxyterminale L2-Peptid von HPV33 nach externer Zugabe eine cytotoxische Wirkung auf höhere eukaryotische Zellen hat. Es lokalisiert an zellulären Membranen und induziert eine pH-abhängige Reduktion des ATP-Gehalts von Säugerzellen. Weiter wurde nachgewiesen, dass das Peptid die Cytoplasmamembran permeabilisieren und für kleine, hydrophile Substanzen wie Propidiumjodid durchlässig machen kann. Mutationen innerhalb des Peptids verdeutlichten die Notwendigkeit beider Bereiche, basischer und hydrophober Aminosäuren, für den membrandestabilisierenden Effekt. Im Folgenden wurde die intrazelluläre Aktivität des L2-Peptids mit Hilfe von GFP2-Peptid-Fusionen analysiert. Das Peptid ist in der Lage, eine Integration des globulären GFP-Dimers in Membranen zu vermitteln, was bei einem hohen Prozentsatz der exprimierenden Zellen zum Absterben führt. Auch wt 33L2 weist im Gegensatz zu C-terminalen Deletions- und Punktmutanten die Fähigkeit zur Membranassoziation auf. Abschließend wurde der Effekt von Mutationen innerhalb dieses L2-Peptids auf die Infektiösität von L1/L2-Pseudovirionen beschrieben. Die Mutationen haben keinen Einfluss auf den Einbau des L2-Proteins in die Pseudovirionen und auf die DNA-Verpackung. Die Virusmorphogenese ist somit nicht negativ beeinträchtigt. Die Infektiösität der HPV33- wie auch von HPV16-Pseudovirionen mit C-terminal mutiertem L2-Protein ist jedoch auf das Niveau von solchen reduziert, die nur aus dem majoren L1 bestehen und geht gegen Null. Zusammenfassend kann man festhalten, dass das minore Kapsidprotein L2 von HPV am Carboxyterminus eine membrandestabilisierende Aktivität besitzt, welche unter Papillomviren konserviert und für eine effektive Infektion essentiell ist.
Resumo:
Das Humane Cytomegalovirus (HCMV) stellt eine große Bedrohung für Patienten mit geschwächtem oder unausgereiftem Immunsystem dar. Bei immunkompetenten Personen hingegen werden schwere Erkrankungen insbesondere durch die Wirkung antiviraler zytotoxischer CD8+-T-Lymphozyten (CTL) weitgehend verhindert. Aus Zellkultur-Systemen war bekannt, dass virale Glykoproteine, welche in der US2-US11-Region des HCMV-Genoms kodiert werden, inhibitorisch in den MHC-Klasse-I-Präsentationsweg eingreifen und somit die entsprechende Präsentation durch infizierte Zellen behindern. Über die Bedeutung dieser US2-US11-vermittelten Immunevasion für die Präsentation viraler Antigene im Kontext der Virusinfektion war jedoch nichts bekannt. Im Rahmen der vorliegenden Arbeit sollte daher der Einfluss der Immunevasion auf die MHC-Klasse-I-Präsentation der beiden wichtigsten CTL-Zielstrukturen von HCMV, dem Tegumentprotein pp65 und dem regulatorischen immediate early Protein IE1, untersucht werden. In Ergänzung dazu sollte das immunevasive Potential eines durch HCMV kodierten Homologs des immunmodulatorischen Zytokins Interleukin-10 (cmvIL-10) analysiert werden. Hierzu wurden über Peptidimmunisierung HLA-A2-transgener Mäuse CTL-Klone hergestellt, welche ausgesuchte Peptide aus pp65 und IE1 in Assoziation mit HLA-A2 mit hoher Spezifität und Sensitivität erkannten. Auf diese Weise konnte eine direkte Beeinflussung der MHC-Klasse-I-Präsentation durch cmvIL-10 falsifiziert und somit der Hypothese, dass das von infizierten Zellen freigesetzte Zytokin die MHC-Klasse-I-Präsentation nicht infizierter Nachbarzellen beeinflussen könnte, widersprochen werden. Mit Hilfe einer US2-US11-Deletionsmutante des Virus konnte zum ersten Mal gezeigt werden, dass die Präsentation von sowohl pp65 als auch IE1 durch die Immunevasion beeinträchtigt wird. Dabei war die Präsentation des IE1-Peptids zu jedem untersuchten Zeitpunkt nach Infektion vollständig unterdrückt. Die Präsentation des pp65-Peptids hingegen war noch bis zu 72 Stunden nach Infektion detektierbar. Diese anhaltende Präsentation wurde dabei durch MHC-Klasse-I-Komplexe hervorgerufen, die trotz der Expression der US2-US11-Region an die Zelloberfläche transportiert wurden. Anhand des pp65 konnte somit erstmals gezeigt werden, dass die Immunevasion von HCMV Bildung und Transport bestimmter MHC-Klasse-I-Peptid-Komplexe zwar beeinträchtigen, jedoch nicht vollständig blockieren kann. Weitere Untersuchungen ergaben, dass die Präsentation von IE1-Peptiden durch das Vorhandensein des pp65-Proteins nicht beeinflusst wurde. Damit konnten aus der Literatur bekannte Daten anderer widerlegt werden. Mit Hilfe einer weiteren Virusmutante konnte schließlich gezeigt werden, das die Expression eines der Immunevasine, des gpUS11, hinreichend ist, die IE1-Präsentation vollständig zu unterdrücken, jedoch keinerlei messbaren Einfluss auf die Präsentation von pp65 ausübt. Die vorliegende Arbeit hat wichtige Erkenntnisse erbracht, die die Grundlage für weiterführende Untersuchungen zur Aufklärung der Bedeutung der einzelnen Immunevasionsgene für die Präsentation viraler Antigene im Rahmen der Virusinfektion darstellen.
Resumo:
Diese Arbeit hatte zum Ziel, den Ausschleusungsmechanismus des Hepatitis-B Virus zu beleuchten. Es ist bisher unbekannt, wie das virale Nukleokapsid umhüllt und das reife Virion aus der Leberzelle freigesetzt wird. Bei einigen RNA-Viren, beispielsweise HIV-1, Ebola oder RSV, vermitteln so genannte Late-Domänen im viralen Kapsid- oder Matrix-Protein die Knospung der Viren an intrazellulären Membranen oder der Plasmamembran. Da das HBV-Core-Protein ähnliche Sequenzen trägt, wurde in der vorliegenden Arbeit überprüft, welche Rolle diese im viralen Replikationszyklus spielen. Meine Ergebnisse zeigen, dass die beiden Prolin-reichen Sequenzen PPAY (129-132) und PPNAP (134-138), die retroviralen Late-Domänen ähneln, für die HBV-Morphogenese essentiell sind. Mutationen einzelner Aminosäuren innerhalb dieser Motive führen zu Phänotypen mit verändertem Kapsid-, Nukleokapsid- und Virus-Bildungs-Vermögen. Insbesondere sind die Aminosäure Tyrosin 132 des Motivs PPAY und die Prolinreste 134 und 135 des Motivs PPNAP erforderlich, da diese schon für die Bildung der Kapside unentbehrlich sind. Charakteristisch für beide Motive sind auch die hier gezeigten Interaktionen mit speziellen Wirtszellfaktoren, deren physiologische Funktion es ist, zelluläre Proteine in den endosomalen Sortierungsprozess einzuschleusen. Im Vordergrund stehen hier die E3 Ub-Ligase Nedd4, welche Proteine mit Ub konjugiert und diese so signifikant für die Einschleusung in das endosomale System markiert, und Tsg101, das als zentrale Komponente des ESCRT-I-Komplexes für die Erkennung von ubiquitinierten Proteinen zuständig ist und diese dadurch in die ESCRT-Kaskade des multivesikulären Endosoms einführt. Für die genannten Interaktionen ist das Motiv PPAY und hier wieder speziell das Tyrosin 132 des HBV-Core-Proteins für die Wechselwirkung mit Nedd4 notwendig. Hingegen vermittelt die L-Domänen-ähnliche Sequenz PPNAP die Assoziation von Core mit Tsg101, wobei die beiden Prolinreste 134 und 135 und auch das Asparagin 136 für die Interaktion essentiell sind. Sowohl Nedd4 als auch Tsg101 wirken im Zusammenhang mit Ubiquitin, weshalb eine Ubiquitinierung von Core, trotz bislang negativer Nachweise, wahrscheinlich ist. Zugunsten dieser Annahme spricht auch mein Nachweis, dass der Lysinrest an Position 96 des Core-Proteins, als potentieller Ub-Akzeptor, gerade in späten Schritten eine essentielle Rolle spielt. Weiterhin klärungsbedürftig ist auch die Frage, ob Core direkt mit Tsg101 und Nedd4 interagiert, oder ob andere Faktoren dazwischen geschaltet sind. Auch könnte mit Hilfe von siRNA-vermittelten Depletionsversuchen die physiologische Relevanz der Tsg101/Core-und Nedd4/Core-Interaktion weiterführend untersucht werden. Zudem zeigen meine Arbeiten, dass Core mit intrazellulären Membranen assoziiert, weshalb es interessant wäre, zu untersuchen, ob es sich hierbei um Membranen des endosomalen Systems handelt, an denen die finalen Schritte der Virus-Morphogenese stattfinden könnten.
Resumo:
Oncolytic virotherapy exploits the ability of viruses to infect and kill cells. It is suitable as treatment for tumors that are not accessible by surgery and/or respond poorly to the current therapeutic approach. HSV is a promising oncolytic agent. It has a large genome size able to accommodate large transgenes and some attenuated oncolytic HSVs (oHSV) are already in clinical trials phase I and II. The aim of this thesis was the generation of HSV-1 retargeted to tumor-specific receptors and detargeted from HSV natural receptors, HVEM and Nectin-1. The retargeting was achieved by inserting a specific single chain antibody (scFv) for the tumor receptor selected inside the HSV glycoprotein gD. In this research three tumor receptors were considered: epidermal growth factor receptor 2 (HER2) overexpressed in 25-30% of breast and ovarian cancers and gliomas, prostate specific membrane antigen (PSMA) expressed in prostate carcinomas and in neovascolature of solid tumors; and epidermal growth factor receptor variant III (EGFRvIII). In vivo studies on HER2 retargeted viruses R-LM113 and R-LM249 have demonstrated their high safety profile. For R-LM249 the antitumor efficacy has been highlighted by target-specific inhibition of the growth of human tumors in models of HER2-positive breast and ovarian cancer in nude mice. In a murine model of HER2-positive glioma in nude mice, R-LM113 was able to significantly increase the survival time of treated mice compared to control. Up to now, PSMA and EGFRvIII viruses (R-LM593 and R-LM613) are only characterized in vitro, confirming the specific retargeting to selected targets. This strategy has proved to be generally applicable to a broad spectrum of receptors for which a single chain antibody is available.
Resumo:
Die Wirksamkeit einer Vakzine ist von vielen Parametern abhängig. Dazu gehören unter anderen: das ausgewählte Antigen, die Formulation in der das Antigen benutzt wird sowie die Applikationsroute. Antigen-kodierende Ribonukleinsäuren (RNA) gilt heutzutage als eine sichere und effiziente Alternative zu traditionellen Impfstoff-Formulierungen, wie Peptiden, rekombinanten Proteinen, viralen Systemen oder DNA basierten Impfstoffen. Bezüglich des Applikationsortes repräsentiert der Lymphknoten ein optimales Milieu für die Interaktion zwischen antigenpräsentierenden Zellen und T-Zellen. Vor diesem Hintergrund war die Zielsetzung dieser Arbeit, ein auf direktem in vivo Transfer von Antigen-kodierender in vitro transkribierter RNA (IVT-RNA) basierendes Impfverfahren zu entwickeln, zu charakterisieren und auf seine anti-tumorale Wirksamkeit zu testen. In der vorliegenden Arbeit konnte gezeigt werden, dass dendritische Zellen (DCs) in vitro hocheffizient mit IVT-RNA transfiziert werden können und eine hohe stimulatorische Kapazität besitzen. Durch Sequenzmodifikation der IVT-RNA konnten wir die Transkriptstabilität und Translationseffizienz erhöhen was zu einer Steigerung der stimulatorischen Kapazität in vivo führte. Darüber hinaus untersuchten wir die Auswirkung der Insertion eines Signalpeptides 5’ sowie einer C-terminalen transmembran- und zytosolischen-Domäne eines MHC-Klasse-I-Moleküls am 3’ der Antigen-kodierenden Sequenz auf die Effizienz der MHC-Klasse-I und -II Präsentation. Wir konnten in vitro und in vivo nachweisen, dass diese Modifikation zu einer gesteigerten, simultanen Stimulation von antigenspezifischen CD4+ und CD8+ T-Zellen führt. Auf der Basis der optimierten Vektorkassetten etablierten wir die intranodale (i.n.) Transfektion von antigenpräsentierenden Zellen in der Maus. Dazu nutzten wir verschiedene Reportersysteme (eGFP-RNA, fluoreszensmarkierte RNA) und konnten zeigen, dass die intranodale Applikation von IVT-RNA zu selektiven Transfektion und Maturation lymphknotenresidenter DCs führt. Zur Untersuchung der immunologischen Effekte wurden in erster Linie auf Influenza-Hemagglutinin-A und Ovalbumin basierende Modellantigensysteme verwendet. Beide Antigene wurden als Antigen-MHC-Fusionskonstrukte genutzt. Als Responderzellen wurden TCR-transgene Lymphozyten verwendet, die MHC-Klasse-I oder -Klasse-II restringierte Epitope des Influenza-Hemagglutinin-A bzw. des Ovalbumin-Proteins erkennen. Wir konnten in vivo zeigen, dass die intranodale Immunisierung mit IVT-RNA zu einer effizienten Stimulation und Expansion von antigenspezifischen CD4+ und CD8+ T-Zellen in einer dosisabhängigen Weise führt. Funktionell konnte gezeigt werden, dass diese T-Zellen Zytokine sezernieren und zur Zytolyse befähigt sind. Wir waren in der Lage durch repetitive i.n. RNA Immunisierung ein ‚Priming’ CD8+ T-Zellen in naiven Mäusen sowohl gegen virale als auch gegen Tumor assoziierte Antigene zu erreichen. Die geprimten T-Zellen waren befähigt eine zytolytische Aktivität gegen mit spezifischem Peptid beladene Targetzellen zu generieren. Darüber hinaus waren wir in der Lage Gedächtnisszellen expandieren zu können. Abschließend konnten wir in Tumormodellen sowohl in prophylaktischen als auch in therapeutischen Experimenten zeigen dass die i.n. RNA Vakzination die Potenz zur Induktion einer anti-tumoralen Immunität besitzt.
Resumo:
Mit etwa 350 Millionen chronisch-infizierten Menschen gehört die Hepatitis-B neben der Tuberkulose und AIDS zu den häufigsten Infektionskrankheiten der Welt. Der einzig sichere Schutz vor dem bis zur Leberzirrhose persistierenden Virus bietet eine vorbeugende Impfung. Eine angemessene Therapie chronisch-erkrankter Patienten ist durch die Unkenntnis über viele Bereiche des HBV-Lebenszyklus nur eingeschränkt möglich. Gegenstand dieser Arbeit war vor allem etwas Licht in das Wechselspiel zwischen HBV und der Wirtszelle zu bringen und zelluläre Komponenten und Mechanismen zu identifizieren, die am Sortierungs- und Transportmechanismus viraler Substrukturen zur sogenannten Assembly-Plattform beteiligt sind, um dort die Freisetzung des Virus zu initiieren. Mit der vorliegenden Arbeit habe ich Methoden der Zellbiologie, Mikrobiologie, Molekularbiologie und Virologie vereint, um neue Einblicke in den HBV-Lebenszyklus zu gewinnen. Für die Ausschleusung von HBV wird seither der konstitutive Weg der Sekretion angenommen. In Anlehnung an den Mechanismus umhüllter RNA-Viren kann die Hypothese aufgestellt werden, dass das MVB (Multivesicular Body) im Prozess der HBV-Freisetzung beteiligt sein könnte. Die Freisetzung des Hepatitis-B-Virus aus einer infizierten Zelle ist ein streng organisierter Prozess, der sowohl das HBV-Coreprotein als auch die HBV-Hüllproteine zu benötigen scheint. (max. 5.000 Zeichen)Inhaltszusammenfassung in einer weiteren Sprache deutschenglischfranzösischrussischmehrsprachigsonst.Ausgangspunkt der Arbeit war eine spezifische Interaktion des großen HBV-Hüllproteins (L) mit einem neuen Mitglied der Adaptor-Protein-Komplex-Familie (AP-Komplex), dem g2?Adaptin (Hartmann-Stühler und Prange, 2001), das mutmaßlich an endosomalen Sortierungs- und Transportprozessen beteiligt ist. In Analogie zur Funktionsweise von Adaptin-Molekülen wurde vom g2-Adaptin eine Rolle in der Initiation und Steuerung der Sprossung und Freisetzung von HBV vermutet. Die im Rahmen dieser Arbeit erweiterte Charakterisierung der g2/L-Interaktion zeigte zum einen, dass die Ohrdomäne des Adaptins für die Interaktion essentiell ist und zum anderen, dass die Rekrutierung des Adaptins durch das L-Protein zu cis-Golgi-Strukturen innerhalb kleiner Transportvesikel entlang des Nukleus (perinukleär) erfolgt. Erste Ergebnisse dieser Arbeit deuteten bereits an, dass das virale Coreprotein mit demselben Adaptorprotein zu interagieren vermag. Für die g2/Core-Interaktion erwies sich in Folgearbeiten die Kopfregion des g2-Adaptins als die entscheidende Bindungsdomäne (Rost et al., 2006). Sowohl eine funktionelle Inaktivierung des g2-Adaptins durch RNA-Interferenz als auch eine g2-Adaptin- Überexpression störten die Virusmontage in späten Phasen der Morphogenese. Während ein g2-Adaptin-Überschuss die HBV-Produktion indirekt durch die Induktion dysfunktioneller endosomaler Kompartimente blockierte, verhinderte der siRNA-induzierte g2-Adaptin-Verlust die späte Ausschleusung des Virus aus der Zelle. Das Silencing von g2-Adaptin zeigte dabei weder einen Einfluss auf endosomale Strukturen noch auf die Freisetzung subviraler Partikel (Viren ohne Genom). Demzufolge scheinen sich die Mechanismen der Produktion von subviralen und viralen HBV-Partikeln bezüglich ihrer Anforderungen an Zellfunktionen und Transportwegen deutlich voneinander zu unterscheiden. Es konnten erste Hinweise darauf gefunden werden, dass die Virusmontage an endosomalen Kompartimenten (zum Beispiel dem MVB) erfolgen könnte, was durch bereits weitergeführte Untersuchungen bestätigt werden konnte (Lambert et al., J Virol, epub ahead of print). Darüber hinaus ist inzwischen bekannt, dass das Hepatitis-B-Virus für den Zusammenbau und die Freisetzung nicht nur das Adaptor-verwandte g2-Adaptin, sondern auch die endosomale Ubiquitin Ligase Nedd4, wahrscheinlich in Zusammenhang mit Ubiquitin selbst (Rost et al., 2006), benötigt. Eine Untersuchung dieser weiterführenden Aspekte war jedoch nicht mehr Inhalt dieser Arbeit. Insgesamt weisen die Daten darauf hin, dass die Sortierung und der Transport der Substrukturen des Hepatitis-B-Virus durch den MVB-Komplex zu erfolgen scheint. Dabei könnte das g2-Adaptin mit Hilfe einer Reihe von Kofaktoren (wie zum Beispiel Nedd4, Ubiquitin, etc.) eine entscheidende Rolle an der Sortierung und Anbindung des viralen L- und Coreproteins an die Assembly-Plattform spielen. Doch der genaue Mechanismus, welcher große Ähnlichkeit mit dem umhüllter RNA-Viren (wie zum Beispiel HIV-1) aufweist, bleibt noch ungeklärt. Ob weitere zelluläre Kofaktoren an der HBV-Sprossung und Freisetzung beteiligt sind, bleibt ebenfalls unbekannt und bedarf weiterer Untersuchungen.
Resumo:
La Peste dei Piccoli Ruminanti (PPR) è una patologia virale ed acuta che colpisce i piccoli ruminanti, diffusa in Africa Sub-Sahariana, in Medio Oriente ed in Asia Meridionale. Questo lavoro si propone di effettuare il primo studio epidemiologico sulla PPR nella Repubblica Araba Saharawi Democratica (RASD), che comprende i Campi Profughi Saharawi, in territorio algerino, ed i “Territori Liberati” del Sahara Occidentale, valutando la potenziale presenza, prevalenza e distribuzione del virus della PPR in questi territori. Lo studio si è basato su una metodica di campionamento “a cluster” secondo la tecnica “a due stadi”. Sono stati individuati 23 siti di campionamento dai quali sono stati raccolti un totale di 976 campioni di siero prelevati da pecore, capre e cammelli. I campioni sono stati prelevati in Marzo ed Aprile 2008. I risultati dei test Competitive-Elisa hanno evidenziato una sieroprevalenza nel 28,26% degli animali testati, benché durante la raccolta dei campioni nessun animale abbia presentato sintomi clinici riferibili alla PPR. Tra Gennaio e Maggio 2010, in seguito ad episodi di aumentata mortalità nella popolazione ovi-caprina presente nei Campi Profughi, le autorità veterinarie locali sospettarono un outbreak di PPR. Tra Maggio ed Ottobre 2010 è stato sviluppato un outbreak investigation nei Campi Profughi Saharawi con lo scopo di confermare la circolazione del PPRV. I risultati di laboratorio hanno confermato la presenza del virus nel 33,33% dei campioni. Il sequenziamento del genoma virale ha rivelato che il virus apparteneva al Lignaggio 4 e le analisi filogenetiche hanno indicato una stretta relazione (99.3%) con il PPRV isolato durante l'epidemia di PPR in Marocco del 2008.
Resumo:
Die Untersuchungen der murinen Cytomegalovirus (mCMV) Infektion im BALB/c Mausmodell konzentrierten sich bislang auf die Lunge, da diese einen Hauptort der mCMV Latenz darstellt. Da latentes CMV auch häufig durch Lebertransplantationen übertragen wird, wurde in dieser Arbeit die Leber als ein weiteres medizinisch relevantes Organ der CMV Latenz und Reaktivierung untersucht. Um zunächst die zellulären Orte der mCMV Latenz in der Leber zu ermitteln, wurden verschiedengeschlechtliche Knochenmarktransplantationen (KMT) mit männlichen tdy-positiven Spendern und weiblichen, tdy-negativen Empfängern, mit anschließender mCMV Infektion durchgeführt, um latent infizierte Mäuse mit geschlechtschromosomalem Chimärismus zu generieren. Diese Chimären erlaubten eine Unterscheidung zwischen tdy-positiven Zellen hämatopoetischen Ursprungs und tdy-negativen stromalen und parenchymalen Gewebszellen. Die Separation von Leberzellen der Chimären mittels zentrifugaler Elutriation und anschließender DNA Quantifizierung viraler und zellulärer Genome durch eine quantitative real-time PCR ergab einen ersten Hinweis, dass Endothelzellen ein zellulärer Ort der mCMV Latenz sind. Die darauf folgende immunomagnetische Zelltrennung lokalisierte latente virale DNA in der CD31-positiven Zellfraktion. Die Koexpression von CD31 mit dem endothelzellspezifischen Oberflächenmarker ME-9F1 identifizierte die sinusoidalen Endothelzellen der Leber (LSEC) als die Zellen, die latente virale DNA beherbergen. In den zytofluorometrisch aufgereinigten CD31+/ME-9F1+ LSEC waren bei gleichzeitigem Rückgang der männlichen tdy Markergene virale Genome angereichert, was darauf hinwies, dass Zellen, die virale DNA enthalten, vom Knochenmark-Empfänger stammen. Durch zytofluorometrische Analysen isolierter LSEC konnte eine vom Spender abstammende Subpopulation MHCII+/CD11b+ LSEC identifiziert werden. Anschließende Quantifizierungen viraler DNA aus latent infizierten Mäusen detektierten eine Abnahme viraler Genome mit zunehmender Menge an tdy-positiven Zellen, was beweist, dass MHCII+/CD11b+ LSEC keinen Ort der mCMV Latenz darstellen. Die limiting dilution Untersuchungen der isolierten latent infizierten LSEC ergaben eine Frequenz von einer latent infizierten Zelle unter ~1,9x104 LSEC und eine Anzahl von 7 bis 19 viralen Genomen pro latent infizierter Zelle. Nach 24 Stunden Kultivierung der LSEC konnte mittels quantitativer real-time RT-PCR mit Gesamt-RNA aus LSEC ein Anstieg der Genexpression der immediate early Gene ie1 und ie3 sowie eine Induktion des early Gens e1 gezeigt werden. Eine Erhöhung der transkriptionellen Reaktivierung durch die Inkubation der LSEC mit unterschiedlichen HDAC Inhibitoren konnte allerdings nicht erzielt werden, da sowohl die Menge der isolierten RNA aus behandelten Kulturen, als auch die Anzahl viraler Transkripte im Vergleich zu den unbehandelten Kulturen erniedrigt war. Aufgrund der kurzen Lebensdauer isolierter LSEC in vitro konnte durch Kokultivierungen latent infizierter LSEC zusammen mit murinen embryonalen Fibroblasten keine Virusreaktivierung induziert werden. Im Gegensatz dazu wurden durch den Transfer gereinigter ME-9F1+/CD31+ LSEC aus latent infizierten Spendern in immunsupprimierte Empfänger virale Rekurrenzen in Lungenexplantatkulturen des Rezipienten detektiert. Damit konnten LSEC eindeutig als zellulärer Ort von mCMV Latenz und Reaktivierung in der Leber identifiziert werden.
Resumo:
Das humane Cytomegalovirus (HCMV) ist ein fakultativ-pathogener Erreger, der bei Patienten mit geschwächter oder unausgereifter Immunabwehr schwerwiegende Erkrankungen hervorrufen kann. Wie alle Herpesviren zeigt das HCMV eine streng koordinierte Expression viraler Gene, die in eine „sehr frühe-“ (IE), „frühe “ (E) und „späte-“ (L) Phase unterteilt werden kann. Die Produkte der IE-Gene IE1 und IE2 sind für die Expression der frühen Gene und somit für die Initiation der viralen DNA-Replikation entscheidend. Sie greifen gleichzeitig in den zellulären Stoffwechsel ein und schaffen damit optimale Vorraussetzungen für die virale Vermehrung. Zu Beginn dieser Arbeit war bekannt, dass HCMV in lytisch infizierten Zellen ein abundantes IE-Transkript von 5 kb (IE4-RNA) exprimierte, dessen Funktion bislang unklar war. Ältere Publikationen deuteten darauf hin, dass die IE4-Genregion an der Transformation eukaryonter Zellen beteiligt sein könnte. Neuere Arbeiten zeigten, dass es sich bei diesem IE4-Transkript um ein metabolisch stabiles Intron handelt. Im Rahmen dieser Arbeit sollte zunächst geklärt werden, ob die IE4-Genregion ein Protein kodiert. In der Folge sollten mit viralen Deletionsmutanten Hinweise auf die biologische Funktion des IE4-Bereichs erarbeitet werden. Durch Northern Blot Analysen und cDNA-Klonierungsexperimente konnte eine Reihe neuer Spleiß-Varianten der IE4-RNA identifiziert werden. Durch Sequenzanalysen wurde gezeigt, dass diese Transkripte keine längeren offenen Leserahmen enthalten. Zusammen mit bereits publizierten Erkenntnissen, kann aus diesen Ergebnissen mit hoher Wahrscheinlichkeit geschlossen werden, dass die IE4 Region nicht für ein Protein kodiert. Zur Analyse der biologischen Funktion der IE4-Region wurde das DNA-Genom des HCMV gezielt mutagenisiert. Eine phänotypische Analyse der entsprechenden Viren mittels Reportergen-Tests und quantitativer RealTime RT-PCR zeigte, dass einige der Mutanten eine verringerte Expression früher Gene aufwiesen, die mit einer Beeinträchtigung ihrer Replikationsfähigkeit in Fibroblastenkulturen korrelierte. Dabei war die Ausbildung eines Phänotyps jedoch von dem genetischen Hintergrund des verwendeten viralen Ausgangsstammes abhängig. Auffällig war, dass phänotypische Veränderungen nur bei solchen Mutanten sichtbar wurden, die auf der Grundlage des Laborstammes Ad169 des HCMV generiert worden waren. Die nachfolgende Analyse der Ausgangsstämme ergab deutliche Unterschiede in der IE-Genexpression. Die Ergebnisse dieser Arbeit zeigen somit, dass die IE4-RNA mit hoher Wahrscheinlichkeit nicht für ein Protein kodiert, aber bei limitierender Expression der essentiellen Regulatoren IE1 und IE2 die frühe lytische Genexpression stimuliert. Die Ergebnisse dieser Arbeit stellen die Grundlage für nachfolgende Untersuchungen zur Aufklärung der molekularen Funktion der IE4-RNA im Rahmen der lytischen Infektion des HCMV dar.