997 resultados para clausula rebus sic stantibus


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La situación que emergió a partir del año 2008, hizo resurgir la necesidad de indagar sobre la posibilidad jurídica y la necesidad social de revisar los pactos contractuales vigentes. Por tanto se pretendía deducir si la situación de crisis económica permitía excepciones al principio de la autonomía de la voluntad, y llegados a este punto determinar si era posible la aplicación de la clausula rebus sic stantibus, es decir, si era posible modificar el contenido contractual inicialmente querido y pactado por las partes. Esta tarea se vio incentivada por varios pronunciamientos del Tribunal Supremo, que en términos generales consideraron la clausula como aplicación normalizada, dejando atrás la concepción de regla peligrosa para el sistema contractual.

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"Mémoire présenté à la faculté des études supérieures en vue de l'obtention du grade de maîtrise, option droit des affaires (LL.M.)". Ce mémoire a été accepté à l'unanimité et classé parmi les 10% des mémoires de la discipline.

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Depuis la création de l'Union soviétique jusqu'à sa dissolution, la mer Caspienne appartenait à l'Iran et à l'URSS, qui constituaient ses deux seuls États riverains. Ces derniers avaient convenu de gérer la Caspienne «en commun », selon un régime de condominium, dans deux accords bilatéraux signés en 1921 et 1940. Cependant, après le démembrement de l'Union soviétique en 1991, trois nouveaux États indépendants et riverains de la Caspienne (1'Azerbaïdjan, le Kazakhstan et le Turkménistan) se sont ajoutés à l'équation, et ont exigé une révision du régime juridique conventionnel en vigueur. Ainsi, des négociations multilatérales ont été entamées, lesquelles ont mis en relief plusieurs questions juridiques faisant l'objet d'interprétation divergente: Le régime juridique conventionnel de 1921 et de 1940 (établissant une gestion en commun) est-il toujours valable dans la nouvelle conjoncture? Les nouveaux États riverains successeurs de l'Union soviétique sont-ils tenus de respecter les engagements de l'ex-URSS envers l'Iran quant à la Caspienne? Quel est l'ordre juridique applicable à la mer Caspienne? Serait-ce le droit de la mer (UNCLOS) ou le droit des traités? La notion de rebus sic stantibus - soit le « changement fondamental de circonstances» - aurait-elle pour effet l'annulation des traités de 1921 et de 1940? Les divisions administratives internes effectuées en 1970 par l'URSS pour délimiter la mer sont-elles valides aujourd'hui, en tant que frontières maritimes? Dans la présente recherche, nous prendrons position en faveur de la validité du régime juridique établi par les traités de 1921 et de 1940 et nous soutiendrons la position des États qui revendiquent la transmission des engagements de l'ex-URSS envers l'Iran aux nouveaux États riverains. Pour cela nous effectuerons une étude complète de la situation juridique de la mer Caspienne en droit international et traiterons chacune des questions mentionnées ci-dessus. Le droit des traités, le droit de la succession d'États, la Convention des Nations Unies du droit de la mer de 1982, la doctrine, la jurisprudence de la C.I.J et les positions des États riverains de la Caspienne à l'ONU constituent nos sources pour l'analyse détaillée de cette situation.

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El artículo analiza detalladamente la institución del hardship o excesiva onerosidad, y su aplicación en la contratación comercial moderna. Se refiere al tránsito histórico desde una rigurosa aplicación del pacta sunt servanda, a una reformulación de este principio que se resume en la máxima pacta sunt servanda si rebus sic stantibus. Efectúa una aproximación al hardship como un mecanismo que permite la renegociación de los contratos comerciales internacionales, tradicionalmente expuestos a los más variados cambios de circunstancias, cuando se afecte su equilibrio económico o financiero. Menciona las diferentes formas en que esta institución ha sido configurada en instrumentos internacionales y el derecho comparado. Finalmente se refiere a la aplicación que se ha hecho del hardship en la jurisprudencia extranjera y en el arbitraje internacional.

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Con il presente lavoro, che ha ad oggetto l’istituto dello scioglimento anticipato delle Camere nell’ordinamento costituzionale italiano, il candidato si propone tre obiettivi. Il primo è quello della ricostruzione dogmatica dell’istituto che sconta inevitabilmente un grosso debito nei confronti della vasta letteratura giuridica che si è sviluppata nel corso dei decenni. Il secondo obiettivo è quello, ben più originale, dell’indagine sulla prassi che ha contraddistinto il ricorso allo scioglimento nella peculiare realtà italiana. In questo modo si viene colmando uno spazio di ricerca diretto a leggere gli avvenimenti e a ricondurli in un quadro costituzionale sistematico, anche al fine di ricavare utili riflessioni circa la conformità della prassi stessa al dato normativo, nonché sulle modalità di funzionamento concreto dell'istituto. Il terzo obiettivo, quello più ambizioso, è utilizzare le considerazioni così sviluppate per ricercare soluzioni interpretative adeguate all’evoluzione subita dall’assetto politico-istituzionale italiano negli ultimi due decenni. Quanto al metodo, la scelta del candidato è stata quella di ricorrere ad uno strumentario che pone in necessaria sequenza logica: a) i presupposti storici/comparatistici e il dibattito in Assemblea costituente, utili per l’acquisizione del patrimonio del parlamentarismo europeo del tempo e per la comprensione del substrato su cui si costruisce l’edificio costituzionale; b) il testo costituzionale, avvalendosi anche delle importanti considerazioni svolte dalla dottrina più autorevole; c) la prassi costituzionale, consistente nella fase di implementazione concreta del disposto normativo. La finalità che il candidato si pone è dimostrare la possibilità di configurare lo scioglimento secondo un modello di tipo “primoministeriale”. Per quanto riguarda la prima parte della ricerca, dalla pur sintetica descrizione dei precedenti storici (sia rispetto alle realtà europee, inglese e francese in primis, che al periodo prerepubblicano) si trae conferma che l’operatività dell’istituto è intrinsecamente influenzata dalla forma di governo. Una prima indicazione che emerge con forza è come la strutturazione del sistema partitico e il grado di legame tra Assemblea rappresentativa e Gabinetto condizionino la ratio del potere di scioglimento, la sua titolarità ed il suo effettivo rendimento. Infatti, in presenza di regimi bipartitici e di impianti istituzionali che accentuano il raccordo fiduciario, il Capo dello Stato tende all’emarginazione, e lo scioglimento acquisisce carattere di automaticità tutte le volte in cui si verificano crisi ministeriali (eventualità però piuttosto rara); più consueto è invece lo scioglimento primoministeriale libero, come arma politica vera e propria attraverso cui il Governo in carica tende a sfruttare il momento migliore per ricercare il giudizio del popolo. Al contrario, dove il sistema politico è più dinamico, e il pluralismo sociale radicalizzato, il Capo dello Stato interferisce fortemente nella vita istituzionale e, in particolare, nella formazione dell’indirizzo politico: in quest’ottica lo scioglimento viene da questi inglobato, ed il suo ricorso subordinato ad esigenze di recupero della funzionalità perduta; soprattutto, quando si verificano crisi ministeriali (invero frequenti) il ricorso alle urne non è conseguenza automatica, ma semmai gli viene preferita la via della formazione di un Gabinetto poggiante su una maggioranza alternativa. L’indagine svolta dal candidato sui lavori preparatori mostra come il Costituente abbia voluto perseguire l'obiettivo di allargare le maglie della disciplina costituzionale il più possibile, in modo da poter successivamente ammettere più soluzioni interpretative. Questa conclusione è il frutto del modo in cui si sono svolte le discussioni. Le maggiori opzioni prospettate si collocavano lungo una linea che aveva ad un estremo una tassativa preordinazione delle condizioni legittimanti, ed all’altro estremo l’esclusiva e pressoché arbitraria facoltà decisionale dello scioglimento nelle mani del Capo dello Stato; in mezzo, la via mediana (e maggiormente gradita) del potere sì presidenziale, benché circondato da tutta una serie di limiti e garanzie, nel quadro della costruzione di una figura moderatrice dei conflitti tra Esecutivo e Legislativo. Ma non bisogna tralasciare che, seppure rare, diverse voci propendevano per la delineazione di un potere governativo di scioglimento la quale impedisse che la subordinazione del Governo al Parlamento si potesse trasformare in degenerazione assemblearista. Quindi, il candidato intende sottolineare come l’adamantina prescrizione dell’art. 88 non postuli, nell’ambito dell’interpretazione teleologica che è stata data, alcuno specifico indirizzo interpretativo dominante: il che, in altri termini, è l’ammissione di una pluralità di concezioni teoricamente valide. L'analisi del dettato costituzionale non ha potuto prescindere dalla consolidata tripartizione delle teorie interpretative. Dall'analisi della letteratura emerge la preferenza per la prospettiva dualistica, anche in virtù del richiamo che la Costituzione svolge nei confronti delle competenze sia del Presidente della Repubblica (art. 88) che del Governo (art. 89), il che lo convince dell’inopportunità di imporre una visione esclusivista, come invece sovente hanno fatto i sostenitori della tesi presidenziale. Sull’altro versante ciò gli permette di riconferire una certa dignità alla tesi governativa, che a partire dal primo decennio repubblicano era stata accantonata in sede di dibattito dottrinario: in questo modo, entrambe le teoriche fondate su una titolarità esclusiva assumono una pari dignità, benchè parimenti nessuna delle due risulti persuasiva. Invece, accedere alla tesi della partecipazione complessa significa intrinsecamente riconoscere una grande flessibilità nell’esercizio del potere in questione, permettendo così una sua più adeguata idoneità a mutare le proprie sembianze in fase applicativa e a calarsi di volta in volta nelle situazioni contingenti. Questa costruzione si inserisce nella scelta costituente di rafforzare le garanzie, ed il reciproco controllo che si instaura tra Presidente e Governo rappresenta la principale forma di tutela contro potenziali abusi di potere. Ad ognuno dei due organi spettano però compiti differenti, poiché le finalità perseguite sono differenti: come l’Esecutivo agisce normalmente secondo canoni politici, in quanto principale responsabile dell’indirizzo politico, al Capo dello Stato si addice soprattutto il compito di sorvegliare il regolare svolgimento dei meccanismi istituzionali, in posizione di imparzialità. Lo schema costituzionale, secondo il candidato, sembra perciò puntare sulla leale collaborazione tra i poteri in questione, senza però predefinire uno ruolo fisso ed immutabile, ma esaltando le potenzialità di una configurazione così eclettica. Assumendo questa concezione, si ha buon gioco a conferire piena cittadinanza costituzionale all’ipotesi di scioglimento disposto su proposta del Presidente del Consiglio, che si può ricavare in via interpretativa dalla valorizzazione dell’art. 89 Cost. anche secondo il suo significato letterale. Al discorso della titolarità del potere di scioglimento, il candidato lega quello circa i presupposti legittimanti, altro nodo irrisolto. La problematica relativa alla loro definizione troverebbe un decisivo ridimensionamento nel momento in cui si ammette la compartecipazione di Governo e Presidente della Repubblica: il diverso titolo con il quale essi cooperano consentirebbe di prevenire valutazioni pretestuose circa la presenza delle condizioni legittimanti, poichè è nel reciproco controllo che entrambi gli organi individuano i confini entro cui svolgere le rispettive funzioni. Si giustificano così sia ragioni legate ad esigenze di funzionalità del sistema (le più ricorrenti in un sistema politico pluripartitico), sia quelle scaturenti dalla divaricazione tra orientamento dei rappresentati e orientamento dei rappresentanti: purchè, sottolinea il candidato, ciò non conduca il Presidente della Repubblica ad assumere un ruolo improprio di interferenza con le prerogative proprie della sfera di indirizzo politico. Il carattere aperto della disciplina costituzionale spinge inevitabilmente il candidato ad approfondire l'analisi della prassi, la cui conoscenza costituisce un fondamentale modo sia per comprendere il significato delle disposizioni positive che per apprezzare l’utilità reale ed il rendimento sistemico dell’istituto. Infatti, è proprio dall'indagine sulla pratica che affiorano in maniera prepotente le molteplici virtualità dello strumento dissolutorio, con modalità operative che, a seconda delle singole fasi individuate, trovano una strutturazione casistica variabile. In pratica: nel 1953 e nel 1958 è l'interesse del partito di maggioranza relativa ad influenzare il Governo circa la scelta di anticipare la scadenza del Senato; nel 1963 e nel 1968 invece si fa strada l'idea del consenso diffuso allo scioglimento, seppure nel primo caso l'anticipo valga ancora una volta per il solo Senato, e nel secondo ci si trovi di fronte all'unica ipotesi di fine naturale della legislatura; nel 1972, nel 1976, nel 1979, nel 1983 e nel 1987 (con una significativa variante) si manifesta con tutta la sua forza la pratica consociativa, figlia della degenerazione partitocratica che ha svuotato le istituzioni giuridiche (a partire dal Governo) e cristallizzato nei partiti politici il centro di gravità della vita pubblica; nel 1992, a chiusura della prima epoca repubblicana, caratterizzata dal dominio della proporzionale (con tutte le sue implicazioni), si presentano elementi atipici, i quali vanno a combinarsi con le consolidate tendenze, aprendo così la via all'incertezza sulle tendenze future. È con l'avvento della logica maggioritaria, prepotentemente affacciatasi per il tramite dei referendum elettorali, a sconvolgere il quadro delle relazioni fra gli organi costituzionali, anche per quanto concerne ratio e caratteristiche del potere di scioglimento delle Camere. Soprattutto, nella fase di stretta transizione che ha attraversato il quadriennio 1992-1996, il candidato mette in luce come i continui smottamenti del sistema politico abbiano condotto ad una fase di destabilizzazione anche per quanto riguarda la prassi, incrinando le vecchie regolarità e dando vita a potenzialità fino allora sconosciute, addirittura al limite della conformità a Costituzione. La Presidenza Scalfaro avvia un processo di netta appropriazione del potere di scioglimento, esercitandolo in maniera esclusiva, grazie anche alla controfirma offerta da un Governo compiacente (“tecnicco”, perciò debitore della piena fiducia quirinalizia). La piena paternità presidenziale, nel 1994, è accompagnata da un altro elemento di brusca rottura con il passato, ossia quello della ragione legittimante: infatti, per la prima volta viene addotta palesemente la motivazione del deficit di rappresentatività. Altro momento ad aver costituito da spartiacque nell’evoluzione della forma di governo è stato il mancato scioglimento a seguito della crisi del I Governo Berlusconi, in cui forti erano state le pressioni perché si adeguasse il parlamentarismo secondo i canoni del bipolarismo e del concetto di mandato di governo conferito direttamente dagli elettori ad una maggioranza (che si voleva predefinita, nonostante essa in verità non lo fosse affatto). Dopo questa parentesi, secondo il candidato la configurazione dello strumento dissolutorio si allinea su ben altri binari. Dal punto di vista della titolarità, sono i partiti politici a riprendere vigorosamente un certo protagonismo decisionale, ma con una netta differenza rispetto al passato consociativo: ora, il quadro politico pare saldamente attestato su una dinamica bipolare, per cui anche in relazione all’opzione da adottare a seguito di crisi ministeriale sono le forze della maggioranza che decidono se proseguire la legislatura (qualora trovino l’accordo tra di loro) o se sciogliere (allorchè invece si raggiunga una sorta di maggioranza per lo scioglimento). Dal punto di vista dei presupposti, sembra consolidarsi l’idea che lo scioglimento rappresenti solo l’extrema ratio, chiamando gli elettori ad esprimersi solo nel momento in cui si certifica l’assoluta impossibilità di ripristinare la funzionalità perduta. Conclusioni. Il rafforzamento della prospettiva bipolare dovrebbe postulare una riconfigurazione del potere di scioglimento tesa a valorizzare la potestà decisionale del Governo. Ciò discenderebbe dal principio secondo cui il rafforzamento del circuito che unisce corpo elettorale, maggioranza parlamentare e Governo, grazie al collante di un programma politico condiviso, una coalizione che si presenta alle elezioni ed un candidato alla Presidenza del Consiglio che incarna la perfetta sintesi di tutte queste istanze, comporta che alla sua rottura non si può che tornare al giudizio elettorale: e quindi sciogliere le Camere, evitando la composizione di maggioranze che non rappresentano la diretta volontà popolare. Il candidato però non ritiene auspicabile l’adozione di un automatismo analogo alla regola dell'aut simul stabunt aut simul cadent proprio dell’esperienza regionale post 1999, perché soluzione eccessivamente rigida, che ingesserebbe in maniera inappropriata una forma parlamentare che comunque richiede margini di flessiblità. La proposta è invece di rileggere il testo costituzionale, rebus sic stantibus, nel senso di far prevalere un potere libero di proposta da parte del Governo, cui il Capo dello Stato non potrebbe non consentire, salvo svolgere un generale controllo di costituzionalità volto ad accertare l’insussistenza di alcuna forma di abuso. Su queste conclusioni il lavoro esprime solo prime idee, che meritano di essere approfondite. Come è da approfondire un tema che rappresenta forse l’elemento di maggiore originalità: trattasi della qualificazione e descrizione di un mandato a governare, ossia della compatibilità costituzionale (si pensi, in primis, al rapporto con il divieto di mandato imperativo di cui all’art. 67 Cost.) di un compito di governo che, tramite le elezioni, gli elettori affidano ad una determinata maggioranza, e che va ad arricchire il significato del voto rispetto a quello classico della mera rappresentanza delle istanze dei cittadini (e propria del parlamentarismo ottocentesco): riflessi di tali considerazioni si avrebbero inevitabilmente anche rispetto alla concezione del potere di scioglimento, che in siffatta maniera verrebbe percepito come strumento per il ripristino del “circuito di consonanza politica” che in qualche modo si sarebbe venuto a rompere. Ad ogni buon conto, già emergono dei riflessi in questo senso, per cui la strada intrapresa dal candidato pare quella giusta affinchè l’opera risulti completa, ben argomentata ed innovativa.

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A presente dissertação tem como tema central a onerosidade excessiva na revisão e extinção dos contratos no direito civil brasileiro. Ela aborda as hipóteses de rompimento do princípio do equilíbrio econômico contratual na fase de execução dos contratos em virtude da superveniência de fatos extraordinários e imprevisíveis que interrompem sua originária relação de equivalência. O presente estudo divide-se em seis grandes partes. Em primeiro lugar, fazem-se necessárias uma introdução e uma descrição da problemática relacionada ao tema. Em seguida, apresenta-se a origem histórica da revisão e da extinção contratual a partir do exame da cláusula rebus sic stantibus. Feito isso, são relatadas as teorias que as fundamentam pela doutrina e pela jurisprudência antes do advento do texto legal expresso que trata da matéria. Concluída essa fase histórica, analisa-se o direito positivo brasileiro vigente, primeiramente, por questões cronológicas, a revisão por onerosidade excessiva no Código de Defesa do Consumidor. Posteriormente, as disposições legais inseridas no Código Civil que possibilitam a revisão e resolução dos contratos por onerosidade excessiva, com uma análise dogmática dos pressupostos positivos e negativos necessários à aplicação dos arts. 317 e 478 do Código Civil. Em seguida, o estudo procura analisar algumas questões pontuais relacionadas à aplicação dos dois artigos, tais como: (i) quem tem legitimidade e interesse para requerer a revisão e resolução dos contratos, de acordo com os arts. 317 e 478 do Código Civil, respectivamente; (ii) qual é o papel do juiz na revisão e resolução dos contratos, de acordo com os arts. 317 e 478 do Código Civil, respectivamente; e (iii) se há concorrência na aplicação desses artigos ou deve ser observado um procedimento sequencial em atenção ao princípio da preservação dos contratos. Finalmente, o trabalho apresenta breve síntese e conclusões.

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Pt/graphene nanosheet/SiC based devices are fabricated and characterized and their performances toward hydrogen gas are investigated. The graphene nanosheets are synthesized via the reduction of spray-coated graphite oxide deposited onto SiC substrates. Raman and X-ray photoelectron spectroscopies indicate incomplete reduction of the graphite oxide, resulting in partially oxidized graphene nanosheet layers of less than 10 nm thickness. The effects of interfaces on the nonlinear behavior of the Pt/graphene and graphene/SiC junctions are investigated. Current-voltage measurements of the sensors toward 1% hydrogen in synthetic air gas mixture at various temperatures ranging up to 100. ° C are performed. From the dynamic response, a voltage shift of ∼100 mV is recorded for 1% hydrogen at a constant current bias of 1 mA at 100. °C. © 2010 American Chemical Society.

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Pt/nanostructured molybdenum oxide (MoO3) /SiC Schottky diode based gas sensors were fabricated for hydrogen (H2) gas sensing. Due to the enhanced performance, which is ascribed to the application of MoO3 nanostructures, these devices were used in reversed bias. MoO3 characterization by scanning electron microscopy showed morphology of randomly orientated nanoplatelets with thicknesses between 50 and 500 nm. An α-Β mixed phase crystallographic structure of MoO3 was characterized by x-ray diffraction. At 180 °C, 1.343 V voltage shift in the reverse I-V curve and a Pt/ MoO3 barrier height change of 20 meV were obtained after exposure to 1% H2 gas in synthetic air. © 2009 American Institute of Physics.

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Pt/nanostructured WO3/SiC Schottky diodes were fabricated and applied for hydrogen gas sensing applications. The nanostructured WO3 films were synthesized from tungsten coated SiC substrates via an acid-etching method using a 1.5 M HNO3 solution for 1 hr, 2 hrs and 3 hrs duration. Scanning electron microscopy of the developed films revealed platelet crystals with thicknesses in the order of 20-60 nm and lengths between 100-700 nm. X-ray diffraction analysis revealed that the rate of oxidation of tungsten increases as the duration of acid-etching increases. The devices were tested towards hydrogen gas balanced in air at different temperatures from 25°C to 200°C. At 200°C, voltage shifts of 0.45 V, 0.93 V and 2.37 V were recorded for devices acid-etched for 1 hr, 2 hrs and 3 hrs duration, respectively upon exposure to 1% hydrogen, under a constant forward bias current of 500 µA.