163 resultados para Mare Adriatico, circolazione, batimetria

em AMS Tesi di Laurea - Alm@DL - Università di Bologna


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La presente dissertazione si apre con l’analisi della costa dell’Emilia Romagna, in particolare quella antistante la città di Cesenatico. Nel primo capitolo si è voluto fare un breve inquadramento delle problematiche che affliggono le acque costiere a debole ricambio. Il Mare Adriatico e in particolare le acque costiere, ormai da più di trent’anni, sono afflitti da una serie di problemi ambientali correlati all’inquinamento. Sulla costa romagnola, già verso la metà degli anni settanta, le prime estese morie di organismi viventi acquatici avevano posto sotto gli occhi dell’opinione pubblica l’insorgenza di situazioni drammatiche per l’ambiente, per la salute pubblica e per due importanti settori dell’economia regionale e nazionale quali il turismo e la pesca. Fino ad allora aveva dominato la diffusa convinzione che la diluizione nell’enorme quantità di acqua disponibile avrebbe consentito di immettere nel mare quantità crescenti di sostanze inquinanti senza intaccare in misura apprezzabile la qualità delle acque. Questa teoria si rivelò però clamorosamente errata per i mari interni con scarso ricambio di acqua (quali per esempio il Mare Adriatico), perché in essi le sostanze che entrano in mare dalla terraferma si mescolano per lungo tempo solo con un volume limitato di acqua antistante la costa. Solo se l’immissione di sostanze organiche è limitata, queste possono essere demolite agevolmente attraverso processi di autodepurazione per opera di microrganismi naturalmente presenti in mare. Una zona molto critica per questo processo è quella costiera, perché in essa si ha la transizione tra acque dolci e acque salate, che provoca la morte sia del plancton d’acqua dolce che di quello marino. Le sostanze estranee scaricate in mare giungono ad esso attraverso tre vie principali: • dalla terraferma: scarichi diretti in mare e scarichi indiretti attraverso corsi d’acqua che sfociano in mare; • da attività svolte sul mare: navigazione marittima e aerea, estrazione di materie prime dai fondali e scarico di rifiuti al largo; • dall’atmosfera: tramite venti e piogge che trasportano inquinanti provenienti da impianti e attività situati sulla terraferma. E’ evidente che gli scarichi provenienti dalla terraferma sono quelli più pericolosi per la salvaguardia delle acque costiere, in particolare vanno considerati: gli scarichi civili (enormemente accresciuti nel periodo estivo a causa del turismo), gli scarichi agricoli e gli scarichi industriali. Le sostanze estranee scaricate in mare contengono una grande abbondanza di sali nutrienti per i vegetali (in particolare nitrati e fosfati) che provengono dai concimi chimici, dai residui del trattamento biologico negli impianti di depurazione e dall’autodepurazione dei fiumi. Queste sostanze una volta giunte in mare subiscono un nuovo processo di autodepurazione che genera ulteriori quantità di nutrienti; i sali di fosforo e azoto così formati si concentrano soprattutto nelle acque basse e ferme della costa e vengono assimilati dalle alghe che possono svilupparsi in modo massivo: tale fenomeno prende il nome di eutrofizzazione. La produzione eccessiva di biomasse vegetali pone seri problemi per la balneazione in quanto può portare a colorazioni rossastre, brune, gialle o verdi delle acque; inoltre la decomposizione delle alghe impoverisce di ossigeno l’acqua, soprattutto sul fondo, provocando morie della fauna ittica. Nello specifico, in questo lavoro di tesi, si prende in considerazione il Porto Canale di Cesenatico, e come le acque da esso convogliate vadano ad influenzare il recettore finale, ovvero il Mar Adriatico. Attraverso l’uso di un particolare software, messo a mia disposizione dal D.I.C.A.M. è stata portata avanti un’analisi dettagliata, comprendente svariati parametri, quali la velocità dell’acqua, la salinità, la concentrazione dell’inquinante e la temperatura, considerando due possibili situazioni. A monte di ciò vi è stata una lunga fase preparatoria, in cui dapprima sono state recepite, attraverso una campagna di misure progettata ad hoc, ed elaborate le informazione necessarie per la compilazione del file di input; in seguito è stato necessario calibrare e tarare il programma, in quanto sono state apportate numerose variazioni di recepimento tutt’altro che immediato; dopodiché è stata introdotta la geometria rappresentante l’area presa in esame, geometria molto complessa in quanto trattasi di una zona molto ampia e non uniforme, infatti vi è la presenza di più barriere frangiflutti, sommerse ed emerse, che alterano in svariati punti la profondità del fondale. Non è stato semplice, a tal proposito, ricostruire l’area e ci si è avvalsi di una carta nautica riportante la batimetria del litorale antistante Cesenatico. Come è stato già detto, questa fase iniziale ha occupato molto tempo e si è dimostrata molto impegnativa. Non sono state comunque da meno le fasi successive. Inoltre, tale simulazione è stata effettuata su due scenari differenti, per poter valutare le differenti conclusioni alle quali essi hanno indotto. Dopo molti “tentativi”, l’eseguibile ha girato ed è arrivato al termine ricoprendo un lasso di tempo pari a ventiquattro ore. I risultati ottenuti in output, sono stati tradotti e vagliati in modo da essere graficati e resi più interpretabili. Segue infine la fase di analisi che ha portato alle deduzioni conclusive. Nei prossimi capitoli, si riporta nel dettaglio quello che in questo paragrafo è stato sinteticamente citato.

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Il progetto di tesi si pone come obiettivo la riqualificazione urbana del fronte mare della città di Rimini e la progettazione di un nuovo centro culturale polifunzionale. La costruzione di nuovi margini urbani, viene qui proposta secondo una reinterpretazione di un carattere tipicamente funzionale delle città di costa del litorale adriatico: la proiezione della funzione urbana oltre la linea di costa, con la costruzione di moli oltre l’edificato. “La città allunga la mano nell’acqua.” La tesi riprende questo aspetto di tipicità e propone una serie di “nuovi moli”, strutture polifunzionali destinate a incentivare quale risorsa fruitiva per il pubblico, stanziale o turistico, il rapporto col mare Adriatico. Anche in relazione a queste “proiezioni” oltre il litorale marino la tesi ha analizzato le forme dell’architettura di ultima generazione, cercando di recepirne i significati espressi attraverso la definizione formale; da qui parte il percorso della formulazione compositiva espressa nelle tavole grafiche, nelle quali si sottolinea il rapporto funzionale in relazione alla nova forma urbis e alla ricaduta sul nuovo assetto ambientale. E’, in sintesi, l’accettabilità di questo e dell’integrazione paesaggistica che la tesi vuole sostenere, attraverso il lungo percorso analitico e progettuale affrontato.

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A seguito di grandi eruzioni esplosive, le ceneri emesse possono coprire un areale molto ampio depositandosi nei mari, sui continenti e nei ghiacciai generando livelli chiamati tefra la cui caratteristica peculiare è quella di possedere un’età isocrona. L’isocronia di questi depositi rende la tefrostratigrafia un potente strumento grazie al quale è possibile datare/correlare eventi geologico-stratigrafici e paleoclimatici con una buona precisione. Questo lavoro ha come obiettivo l’analisi di livelli di tefra presenti in una carota lunga circa 430 cm prelavata nella fossa del Mare Adriatico Meridionale. In totale sono stati trovati 15 livelli di tefra, 9 appartenenti a Campi Flegrei e 6 al Somma-Vesuvio. Correlando le composizioni chimiche delle glass shard (ottenute tramite microanalisi SEM/EDS) con i dati presenti in letteratura e, sfruttando marker stratigrafici come il sapropel S1, sono state individuate le eruzioni corrispondenti. Il livello più antico ritrovato è Pomici di Base del Somma-Vesuvio con un età di circa 18 ka.

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In questa tesi è stato studiato l’effetto dell’esposizione della diatomea Skeletonema marinoi, una specie molto comune nel Nord Adriatico e importante per il suo annuale contributo alla produzione primaria, agli erbicidi maggiormente utilizzati nella pianura Padana e riscontrati in acque dolci e salmastre di zone limitrofe al mare Adriatico. Gli erbicidi scelti consistono in terbutilazina e metolachlor, i più frequentemente riscontrati sia nelle acque superficiali che in quelle sotterranee dell’area Padana, noti per avere un effetto di inibizione su vie metaboliche dei vegetali; inoltre è stato valutato anche l’effetto di un prodotto di degradazione della terbutilazina, la desetilterbutilazina, presente anch’esso in concentrazioni pari al prodotto di origine e su cui non si avevano informazioni circa la tossicità sul fitoplancton. L’esposizione delle microalghe a questi erbicidi può avere effetti che si ripercuotono su tutto l’ecosistema: le specie fitoplanctoniche, in particolare le diatomee, sono i produttori primari più importanti dell’ecosistema: questi organismi rivestono un ruolo fondamentale nella fissazione del carbonio, rappresentando il primo anello della catena alimentari degli ambienti acquatici e contribuendo al rifornimento di ossigeno nell’atmosfera. L’effetto di diverse concentrazioni di ciascun composto è stato valutato seguendo l’andamento della crescita e dell’efficienza fotosintetica di S. marinoi. Per meglio determinare la sensibilità di questa specie agli erbicidi, l’effetto della terbutilazina è stato valutato anche al variare della temperatura (15, 20 e 25°C). Infine, dal momento che gli organismi acquatici sono solitamente esposti a una miscela di composti, è stato valutato l’effetto sinergico di due erbicidi, entrambi somministrati a bassa concentrazione. Le colture di laboratorio esposte a concentrazioni crescenti di diversi erbicidi e, in un caso, anche a diverse temperature, indicano che l’erbicida al quale la microalga mostra maggiore sensibilità è la Terbutilazina. Infatti a parità di concentrazioni, la sensibilità della microalga alla Terbutilazina è risultata molto più alta rispetto al suo prodotto di degradazione, la Desetilterbutilazina e all’erbicida Metolachlor. Attraverso l’analisi di densità algale, di efficienza fotosintetica, di biovolume e di contenuto intracellulare di Carbonio e Clorofilla, è stato dimostrato l’effetto tossico dell’erbicida Terbutilazina che, agendo come inibitore del trasporto degli elettroni a livello del PS-II, manifesta la sua tossicità nell’inibizione della fotosintesi e di conseguenza sulla crescita e sulle proprietà biometriche delle microalghe. E’ stato visto come la temperatura sia un parametro ambientale fondamentale sulla crescita algale e anche sugli effetti tossici di Terbutilazina; la temperatura ideale per la crescita di S. marinoi è risultata essere 20°C. Crescendo a 15°C la microalga presenta un rallentamento nella crescita, una minore efficienza fotosintetica, variazione nei valori biometrici, mostrando al microscopio forme irregolari e di dimensioni inferiori rispetto alle microalghe cresciute alle temperature maggiori, ed infine incapacità di formare le tipiche congregazioni a catena. A 25° invece si sono rivelate difficoltà nell’acclimatazione: sembra che la microalga si debba abituare a questa alta temperatura ritardando così la divisione cellulare di qualche giorno rispetto agli esperimenti condotti a 15° e a 20°C. Gli effetti della terbutilazina sono stati maggiori per le alghe cresciute a 25°C che hanno mostrato un calo più evidente di efficienza fotosintetica effettiva e una diminuzione di carbonio e clorofilla all’aumentare delle concentrazioni di erbicida. Sono presenti in letteratura studi che attestano gli effetti tossici paragonabili dell’atrazina e del suo principale prodotto di degradazione, la deetilatrazina; nei nostri studi invece non sono stati evidenziati effetti tossici significativi del principale prodotto di degradazione della terbutilazina, la desetilterbutilazina. Si può ipotizzare quindi che la desetilterbutilazina perda la propria capacità di legarsi al sito di legame per il pastochinone (PQ) sulla proteina D1 all’interno del complesso del PSII, permettendo quindi il normale trasporto degli elettroni del PSII e la conseguente sintesi di NADPH e ATP e il ciclo di riduzione del carbonio. Il Metolachlor non evidenzia una tossicità severa come Terbutilazina nei confronti di S. marinoi, probabilmente a causa del suo diverso meccanismo d’azione. Infatti, a differenza degli enzimi triazinici, metolachlor agisce attraverso l’inibizione delle elongasi e del geranilgeranil pirofosfato ciclasi (GGPP). In letteratura sono riportati casi studio degli effetti inibitori di Metolachlor sulla sintesi degli acidi grassi e di conseguenza della divisione cellulare su specie fitoplanctoniche d’acqua dolce. Negli esperimenti da noi condotti sono stati evidenziati lievi effetti inibitori su S. marinoi che non sembrano aumentare all’aumentare della concentrazione dell’erbicida. E’ interessante notare come attraverso la valutazione della sola crescita non sia stato messo in evidenza alcun effetto mentre, tramite l’analisi dell’efficienza fotosintetica, si possa osservare che il metolachlor determina una inibizione della fotosintesi.

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L’arteria principale dell’antica Regio VIII si è dimostrata l’elemento cardine per la fondazione delle città in epoca romana. Le città che nascono sulla via Emilia entrano in un rapporto di simbiosi e di dipendenza con la strada antica, tanto che quest’ultima diventa l’asse generatore di tutta la forma urbis. Questo tracciato generatore è rimasto immutato se non per alcune sporadiche eccezioni e si è consolidato, nella sua forma e funzione, andando a creare così un’integrazione perfetta con l’imago urbis. Anche la città di Claterna deve la sua fondazione alla presenza di questo importante segno, tracciato nel 187 a.C.; un segno che nasce da un’astrazione e dal possesso dell’idea di linea retta da parte dei romani, il cui compito è dare ordine allo spazio che consideravano un caos, e come tale doveva essere organizzato in maniera geometrica e razionale. La via Emilia diventa l’asse generatore della città, la quale segue appunto l’orientamento fornito dall’asse stesso che assume il ruolo di decumanus maximus per l’insediamento, e sulla quale si baserà la costruzione della centuriazione claternate. Il tracciato così forte e importante dal punto di vista funzionale assume però in contemporanea un ruolo di divisione della civitas, in quanto va a separare in maniera netta la zona sud da quella nord. Questa situazione è maggiormente percepibile oggi rispetto al passato, vista la situazione di incolto che prevale sull’area. L’area di progetto risulta infatti tagliata dalla strada statale ed è di conseguenza interessata da problematiche di traffico veicolare anche pesante; tale situazione di attraversamento veloce non permette al viaggiatore di cogliere una lettura completa e unitaria di quello che era l’antico insediamento romano. Inoltre la quota di campagna, che racchiude il layer archeologico, è più bassa rispetto alla quota di percorrenza della strada e non essendoci alcun elemento visivo che possa richiamare l’attenzione di chi percorre questo tratto di via Emilia, l’area d’interesse rimane completamente nascosta e inserita nel contesto paesaggistico. Il paesaggio diventa l’unico immediato protagonista in questo frangente di via Emilia; qui è diverso da molte altre situazioni in cui l’abitato si accosta alla strada, o ancora da quando la strada antica, e ciò si verifica nei maggiori centri urbani, viene ad essere inglobata nel reticolo cittadino fatto di strade ed edifici e con esso si va a confondere ed integrare. Infatti nella porzione compresa tra il comune di Osteria Grande e la frazione di Maggio, ci si trova di fronte ad un vero e proprio spaccato della conformazione geomorfologica del territorio che interessa tutta la regione Emilia Romagna: rivolgendosi verso sud, lo sguardo è catturato dalla presenza della catena appenninica, dove si intravede il grande Parco dei Gessi, che si abbassa dolcemente fino a formare le colline. I lievi pendii si vanno a congiungere con la bassa pianura che si scontra con il segno della via Emilia, ma al di là della quale, verso nord, continua come una distesa senza limite fino all’orizzonte, per andare poi a sfumare nel mare Adriatico. Questi due aspetti, la non percepibilità della città romana nascosta nella terra e la forte presenza del paesaggio che si staglia sul cielo, entrano in contrasto proprio sulla base della loro capacità di manifestarsi all’occhio di chi sta percorrendo la via Emilia: la città romana è composta da un disegno di tracce al livello della terra; il paesaggio circostante invece diventa una vera e propria quinta scenica che non ha però oggetti da poter esporre in quanto sono sepolti e non sono ancora stati adeguatamente valorizzati. Tutte le città, da Rimini a Piacenza, che hanno continuato ad esistere, si sono trasformate fortemente prima in epoca medievale e poi rinascimentale tanto che il layer archeologico romano si è quasi completamente cancellato. La situazione di Claterna è completamente diversa. La città romana è stata mano a mano abbandonata alla fine del IV secolo fino a diventare una delle “semirutarum urbium cadavera” che, insieme a Bononia, Mutina, Regium e Brixillum fino a Placentia, Sant’Ambrogio ha descritto nella sua Epistola all’amico Faustino. Ciò mostra molto chiaramente quale fosse la situazione di tali città in età tardo-antica e in che situazione di degrado e abbandono fossero investite. Mentre alcune di queste importanti urbes riuscirono a risollevare le loro sorti, Claterna non fu più interessata dalla presenza di centri abitati, e ciò è dovuto probabilmente al trasferimento degli occupanti in centri e zone più sicure. Di conseguenza non si è verificato qui quello che è successo nei più importanti centri emiliano-romagnoli. Le successive fasi di sviluppo e di ampliamento di città come Bologna e Piacenza sono andate ad attaccare in maniera irrecuperabile il layer archeologico di epoca romana tanto da rendere lacunosa la conoscenza della forma urbis e delle sue più importanti caratteristiche. A Claterna invece lo strato archeologico romano è rimasto congelato nel tempo e non ha subito danni contingenti come nelle città sopra citate, in quanto il suolo appunto non è stato più interessato da fenomeni di inurbamento, di edificazione e di grandi trasformazioni urbane. Ciò ha garantito che i resti archeologici non venissero distrutti e quindi si sono mantenuti e conservati all’interno della terra che li ha protetti nel corso dei secoli dalla mano dell’uomo. Solo in alcune porzioni sono stati rovinati a causa degli strumenti agricoli che hanno lavorato la terra nell’ultimo secolo andando ad asportare del materiale che è stato quindi riportato alla luce. E’ stata proprio questa serie di ritrovamenti superficiali e fortunati a far intuire la presenza di resti archeologici, e che di conseguenza ha portato ad effettuare delle verifiche archeologiche con sondaggi che si sono concluse con esiti positivi e hanno permesso la collocazione di un vincolo archeologico come tutela dell’area in oggetto. L’area di progetto non è quindi stata contaminata dall’opera dell’uomo e ciò ha garantito probabilmente, secondo le indagini degli archeologi che lavorano presso il sito di Claterna, un buono stato di conservazione per gran parte dell’insediamento urbano e non solo di alcune porzioni minori di città o di abitazioni di epoca romana. Tutto questo attribuisce al sito una grande potenzialità visto che i casi di ritrovamenti archeologici così ampi e ben conservati sono molto limitati, quasi unici. Si tratterebbe quindi di riportare alla luce, in una prospettiva futura, un intero impianto urbano di epoca romana in buono stato di conservazione, di restituire un sapere che è rimasto nascosto e intaccato per secoli e di cui non si hanno che altre limitatissime testimonianze.

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Il progetto nasce dall’esigenza di connettere due parti di città separate dal fascio ferroviario: ad Ovest, il centro storico consolidato e ricco di storia, ad Est la Darsena di città, quartiere dal grande potenziale che si articola attorno al tratto terminale del Canale Candiano, vera e propria arteria di collegamento tra il nucleo di Ravenna e il Mare Adriatico. Il progetto, attraverso rispettivamente un edificio ponte, che scavalca il fascio dei binari sul nodo stazione esistente, e uno spazio pubblico, in forma di giardino lineare, si prefigge di creare una connessione tra il centro storico e la Darsena, mettendo contemporaneamente a sistema diverse possibilità di scambio intermodale (stazione FS, terminal autobus, stazione marittima).

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Il territorio del comune di Jesolo si estende a nord della costa veneziana,affacciato sul Mare Adriatico e delimitato dalla Laguna e dai fiumi Sile e Piave. Come molte città costiere del Nord Italia, Jesolo si è sviluppata principalmente tra gli anni ’70 e ’80 del ‘900. La rapida espansione del Lido ha provocato la saturazione disordinata della costa, dettata dalla necessità di rispondere in maniera rapida ad un aumento improvviso del turismo balneare. L’organizzazione in fasce parallele dell’edificato rispetto alla linea di costa e la sua compattezza non consente la relazione diretta tra il Mare Adriatico e il sistema formato dalla laguna e dal fiume Sile. Obiettivo della proposta progettuale è ristabilire il legame tra mare e fiume mediante un sistema di percorsi in grado di attraversare una parte consistente del territorio del Lido offrendo luoghi di aggregazione e opportunità di svago alternative alla stagionalità della spiaggia.

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Tramite il presente lavoro di tesi si intende effettuare un’analisi specifica su sedimenti provenienti dalla Pialassa Piomboni, una Zona Umida di Interesse Comunitario dal delicato equilibrio ed in continua evoluzione, che fin dalla sua nascita ha sempre assunto un ruolo di importanza sia ecologico-naturale che socio-economica, vista la posizione che la pone a metà tra il Canale Candiano, il Porto di Ravenna, la zona industriale e il mare Adriatico. Oltre ad arricchire il database di dati, l’obiettivo principale dello studio è ottenere una nuova informazione per la valutazione dello stato di qualità dei sedimenti con un’indagine ancora più specifica: si analizza la distribuzione che i metalli pesanti assumono in relazione alle diverse frazioni e caratteristiche del materiale presente tramite estrazioni sequenziali, effettuate secondo la procedura ufficiale per l’analisi di questi tipi di suoli, recentemente approvata e standardizzata a livello europeo dalla BCR (European Community Bureau of Reference) e migliorata da esperimenti interlaboratorio (Rauret et al., 1999). Attraverso attacchi con reagenti sempre più forti, si valuta a quale frazione del sedimento (scambiabile, riducibile o ossidabile) i metalli risultino maggiormente associati, valutandone mobilità e disponibilità in relazione a cambiamenti di condizioni fisiche e chimiche in cui si trova il materiale, come il variare di pH e degli equilibri ossido-riduttivi. E’ stato inoltre elaborato un inquadramento dal punto di vista geochimico, considerando i livelli di concentrazione di fondo degli elementi già naturalmente presenti in zona. Le concentrazioni totali sono infine stati confrontati con il Manuale ICRAM (2007), che fornisce linee guida per la valutazione della qualità dei sedimenti e la loro movimentazione, per poterne ipotizzare l’eventuale destino, scelta spesso problematica nella gestione di sedimenti in ambito portuale. In sintesi, questo lavoro si inserisce all’interno di un ampio progetto di gestione, approfondendo la letteratura scientifica presente sui criteri di analisi di qualità dei sedimenti e sulle problematiche di diffusione, trasporto e destino finale dei contaminanti nell’ambiente, verificando l’applicazione della procedura analitica di estrazione sequenziale, metodologicamente complessa e soggetta a migliorie e modifiche, riconsiderata in tempi recenti per la sua efficacia e per i vantaggi che comporta grazie all’acquisizione di dati ad alto contenuto di informazione.

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Le ricerche di carattere eustatico, mareografico, climatico, archeologico e geocronologico, sviluppatesi soprattutto nell’ultimo ventennio, hanno messo in evidenza che gran parte delle piane costiere italiane risulta soggetta al rischio di allagamento per ingressione marina dovuta alla risalita relativa del livello medio del mare. Tale rischio è la conseguenza dell’interazione tra la presenza di elementi antropici e fenomeni di diversa natura, spesso difficilmente discriminabili e quantificabili, caratterizzati da magnitudo e velocità molto diverse tra loro. Tra le cause preponderanti che determinano l’ingressione marina possono essere individuati alcuni fenomeni naturali, climatici e geologici, i quali risultano fortemente influenzati dalle attività umane soprattutto a partire dal XX secolo. Tra questi si individuano: - la risalita del livello del mare, principalmente come conseguenza del superamento dell’ultimo acme glaciale e dello scioglimento delle grandi calotte continentali; - la subsidenza. Vaste porzioni delle piane costiere italiane risultano soggette a fenomeni di subsidenza. In certe zone questa assume proporzioni notevoli: per la fascia costiera emiliano-romagnola si registrano ratei compresi tra 1 e 3 cm/anno. Tale subsidenza è spesso il risultato della sovrapposizione tra fenomeni naturali (neotettonica, costipamento di sedimenti, ecc.) e fenomeni indotti dall’uomo (emungimenti delle falde idriche, sfruttamento di giacimenti metaniferi, escavazione di materiali per l’edilizia, ecc.); - terreni ad elevato contenuto organico: la presenza di depositi fortemente costipabili può causare la depressione del piano di campagna come conseguenza di abbassamenti del livello della falda superficiale (per drenaggi, opere di bonifica, emungimenti), dello sviluppo dei processi di ossidazione e decomposizione nei terreni stessi, del costipamento di questi sotto il proprio peso, della carenza di nuovi apporti solidi conseguente alla diminuita frequenza delle esondazioni dei corsi d’acqua; - morfologia: tra i fattori di rischio rientra l’assetto morfologico della piana e, in particolare il tipo di costa (lidi, spiagge, cordoni dunari in smantellamento, ecc. ), la presenza di aree depresse o comunque vicine al livello del mare (fino a 1-2 m s.l.m.), le caratteristiche dei fondali antistanti (batimetria, profilo trasversale, granulometria dei sedimenti, barre sommerse, assenza di barriere biologiche, ecc.); - stato della linea di costa in termini di processi erosivi dovuti ad attività umane (urbanizzazione del litorale, prelievo inerti, costruzione di barriere, ecc.) o alle dinamiche idro-sedimentarie naturali cui risulta soggetta (correnti litoranee, apporti di materiale, ecc. ). Scopo del presente studio è quello di valutare la probabilità di ingressione del mare nel tratto costiero emiliano-romagnolo del Lido delle Nazioni, la velocità di propagazione del fronte d’onda, facendo riferimento allo schema idraulico del crollo di una diga su letto asciutto (problema di Riemann) basato sul metodo delle caratteristiche, e di modellare la propagazione dell’inondazione nell’entroterra, conseguente all’innalzamento del medio mare . Per simulare tale processo è stato utilizzato il complesso codice di calcolo bidimensionale Mike 21. La fase iniziale di tale lavoro ha comportato la raccolta ed elaborazione mediante sistema Arcgis dei dati LIDAR ed idrografici multibeam , grazie ai quali si è provveduto a ricostruire la topo-batimetria di dettaglio della zona esaminata. Nel primo capitolo è stato sviluppato il problema del cambiamento climatico globale in atto e della conseguente variazione del livello marino che, secondo quanto riportato dall’IPCC nel rapporto del 2007, dovrebbe aumentare al 2100 mediamente tra i 28 ed i 43 cm. Nel secondo e terzo capitolo è stata effettuata un’analisi bibliografica delle metodologie per la modellazione della propagazione delle onde a fronte ripido con particolare attenzione ai fenomeni di breaching delle difese rigide ed ambientali. Sono state studiate le fenomenologie che possono inficiare la stabilità dei rilevati arginali, realizzati sia in corrispondenza dei corsi d’acqua, sia in corrispondenza del mare, a discapito della protezione idraulica del territorio ovvero dell’incolumità fisica dell’uomo e dei territori in cui esso vive e produce. In un rilevato arginale, quale che sia la causa innescante la formazione di breccia, la generazione di un’onda di piena conseguente la rottura è sempre determinata da un’azione erosiva (seepage o overtopping) esercitata dall’acqua sui materiali sciolti costituenti il corpo del rilevato. Perciò gran parte dello studio in materia di brecce arginali è incentrato sulla ricostruzione di siffatti eventi di rottura. Nel quarto capitolo è stata calcolata la probabilità, in 5 anni, di avere un allagamento nella zona di interesse e la velocità di propagazione del fronte d’onda. Inoltre è stata effettuata un’analisi delle condizioni meteo marine attuali (clima ondoso, livelli del mare e correnti) al largo della costa emiliano-romagnola, le cui problematiche e linee di intervento per la difesa sono descritte nel quinto capitolo, con particolare riferimento alla costa ferrarese, oggetto negli ultimi anni di continui interventi antropici. Introdotto il sistema Gis e le sue caratteristiche, si è passati a descrivere le varie fasi che hanno permesso di avere in output il file delle coordinate x, y, z dei punti significativi della costa, indispensabili al fine della simulazione Mike 21, le cui proprietà sono sviluppate nel sesto capitolo.

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Oggetto di lavoro della tesi è un complesso programma di valorizzazione dell’area urbana in sponda nord del Canale Candiano nella città di Ravenna compresa tra le vie Eustacchio Manfredi, Montecatini, delle Industrie e Salona oggi area a destinazione industriale in forte trasformazione. Lo scopo generale del programma è favorire e migliorare la conoscenza e quindi la fruizione del patrimonio marino adriatico e arricchire il contesto urbano esistente all’interno del Programma di Riqualificazione Urbana promosso dal Comune. Per riuscire in questo obiettivo servirà una riprogettazione degli spazi caratteristici in relazione alle potenzialità degli accessi al complesso, uniti con la presenza dei flussi viari che lo attraversano. La forte presenza del Parco del Mausoleo di Teodorico, l’area in testata alla Darsena dove si trova l’area retrostante la Stazione ferroviaria e il potenziamento del dialogo tra il Candiano con la città antica sono gli esempi di maggior interesse che si trovano nell’immediata vicinanza con l’area di progetto. In contemporaneo a questi elementi il programma dovrà ripensare l’intera organizzazione degli accessi in relazione al programma di utilizzo del Canale Candiano come spazio pubblico della città. Ci si pone come obiettivo quello di progettare un’area di forte valenza culturale, che si rapporti e reinterpreti la storicità posseduta dalla città di Ravenna creando non un semplice intervento di Architettura museale, ma bensì un nuovo spazio urbano che non si limiti a se stesso e alle sue funzioni ma che dialoghi liberamente con tutta la città e i sui abitanti. La Darsena della città di Ravenna, come visto, è reduce da molteplici piani urbanistici che si sono sviluppati dagli anni cinquanta fino ad oggi. Questo percorso di pianificazione però ha portato ad un ordinato e consapevole intervento urbanistico, sia dal punto di vista qualitativo che tipologico. Il rispetto della cadenza decennale con cui si sono rinnovati i piani regolatori generali, le tematiche e le innovazioni che il Piano è sempre riuscito ad anticipare hanno prodotto il buon risultato che oggi troviamo nella Darsena.

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La Pialassa Baiona è una laguna sottoposta a diversi vincoli normativi, visto il suo inquadramento tra le aree SIC e ZPS, e soggetta a diverse sorgenti di disturbo antropico, più intense negli anni ‘50-‘70. Questa tesi si propone lo scopo di valutare il rischio associato ai metalli bivalenti presenti nei sedimenti della Pialassa Baiona attraverso tre approcci: il primo riguarda la determinazione della frazione biodisponibile dei metalli presenti nei sedimenti attraverso la determinazione dei solfuri acidi volatili (AVS) e dei metalli simultaneamente estraibili (SEM), nonché la valutazione della potenziale tossicità dei sedimenti attraverso la valutazione del rapporto molare SEM/AVS, il secondo approccio considera invece il contenuto pseudo totale dei metalli bivalenti (Cd, Cu, Ni, Pb e Zn) e il loro confronto sia con i valori tipici di fondo naturale del Mar Adriatico che con i valori guida di riferimento internazionale (Threshold Effect Level, TEL e Probable Effect Level, PEL) al fine di valutare lo stato di qualità dei sedimenti della zona d’indagine. Il terzo approccio considera l’influenza del gradiente naturale terra-mare tipico delle zone di transizione e del gradiente antropico legato alla vicinanza dell’area industriale alla Pialassa Baiona, sulla distribuzione spaziale dei metalli oggetto di questo studio. I risultati ottenuti evidenziano che l’area più prossima alla zona industriale e al contempo più lontana dall’effetto del ricambio delle acque e di dilavamento ad opera del mare, è risultata quella con livelli significativamente più elevati per la maggior parte dei metalli analizzati. Questo permette di ipotizzare un’influenza diretta delle sorgenti di inquinanti, ma anche un effetto dispersivo della circolazione. Gli AVS hanno invece evidenziato un gradiente terra-mare; ciò comporta che nelle zone più prossime all’influenza del mare si sono riscontrate concentrazioni minori di AVS. La valutazione della potenziale tossicità dei metalli in termini di rapporto SEM/AVS non ha evidenziato la presenza di siti a rischio per il biota acquatico, se non per un unico sito prossimo all’area industriale.

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Il presente lavoro di tesi si inserisce all’interno del progetto Europeo Theseus (Innovative technologies for European coasts in a changing climate), volto a fornire una metodologia integrata per la pianificazione sostenibile di strategie di difesa per la gestione dell’erosione costiera e delle inondazioni che tengano in conto non solo gli aspetti tecnici ma anche quelli sociali, economici e ambientali/ecologici. L'area oggetto di studio di questo elaborato di tesi è la zona costiera della Regione Emilia Romagna, costituita unicamente da spiagge sabbiose. In particolare si è focalizzata l’attenzione sulla zona intertidale, in quanto, essendo l’ambiente di transizione tra l’ambiente marino e quello terrestre può fornire indicazioni su fenomeni erosivi di una spiaggia e cambiamenti del livello del mare, unitamente alla risposta agli interventi antropici. Gli obiettivi della tesi sono sostanzialmente tre: un primo obiettivo è confrontare ecosistemi di spiagge dove sono presenti strutture di difesa costiera rispetto a spiagge che ne erano invece prive. Il secondo obiettivo è valutare l’impatto provocato sugli ecosistemi di spiaggia dall’attività stagionale del “bulldozing” e in ultimo proporre un sistema esperto di nuova concezione in grado di prevedere statisticamente la risposta delle comunità bentoniche a diversi tipi di interventi antropici. A tal fine è stato pianificato un disegno di campionamento dove sono stati indagati tre siti differenti per morfologia e impatto antropico: Cesenatico (barriere e pratica bulldozing), Cervia, dissipativa e non soggetta a erosione (assenza di barriere e ma con pratica del bulldozing) e Lido di Dante, tendenzialmente soggetta a erosione (senza barriere e senza pratica del bulldozing). Il campionamento è stato effettuato in 4 tempi (due prima del “bulldozing” e due dopo) nell’arco di 2 anni. In ciascun sito e tempo sono stati campionati 3 transetti perpendicolari alla linea di costa, e per ogni transetto sono stati individuati tre punti relativi ad alta, media e bassa marea. Per ogni variabile considerata sono stati prelevati totale di 216 campioni. Io personalmente ho analizzato i campioni dell’ultima campagna di campionamento, ma ho analizzato l’insieme dei dati. Sono state considerate variabili relative ai popolamenti macrobentonici quali dati di abbondanza, numero di taxa e indice di diversità di Shannon e alcune variabili abiotiche descrittive delle caratteristiche morfologiche dell’area intertidale quali granulometria (mediana, classazione e asimmetria), detrito conchigliare, contenuto di materia organica (TOM), pendenza e lunghezza della zona intertidale, esposizione delle spiagge e indici morfodinamici. L'elaborazione dei dati è stata effettuata mediante tecniche di analisi univariate e multivariate sia sui dati biotici che sulle variabili ambientali, “descrittori dell’habitat”, allo scopo di mettere in luce le interazioni tra le variabili ambientali e le dinamiche dei popolamenti macrobentonici. L’insieme dei risultati delle analisi univariate e multivariate sia dei descrittori ambientali che di quelli biotici, hanno evidenziato, come la risposta delle variabili considerate sia complessa e non lineare. Nonostante non sia stato possibile evidenziare chiari pattern di interazione fra “protezione” e “bulldozing”, sono comunque emerse delle chiare differenze fra i tre siti indagati sia per quanto riguarda le variabili “descrittori dell’habitat” che quelle relative alla struttura dei popolamenti. In risposta a quanto richiesto in contesto water framework directive e in maniera funzionale all’elevate complessità del sistema intertidale è stato proposto un sistema esperto basato su approccio congiunto fuzzy bayesiano (già utilizzato con altre modalità all’interno del progetto Theseus). Con il sistema esperto prodotto, si è deciso di simulare nel sito di Cesenatico due ripascimenti virtuali uno caratterizzato da una gralometria fine e da uno con una granulometria più grossolana rispetto a quella osservata a Cesenatico. Il sistema fuzzy naïve Bayes, nonostante al momento sia ancora in fase di messa a punto, si è dimostrato in grado di gestire l'elevato numero di interazioni ambientali che caratterizzano la risposta della componente biologica macrobentonica nell'habitat intertidale delle spiagge sabbiose.