411 resultados para Villa, parco, restauro, valorizzazione, progetto, Marche, Cesarini


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Il termine Ecomuseo deriva dal greco οἶκος da intendersi come l’insieme delle relazioni all’interno di una comunità e delle interazioni tra la comunità e il territorio. Si tratta di un particolare processo di conoscenza, tutela e valorizzazione del patrimonio locale, materiale e immateriale. In mancanza di una legge quadro nazionale, in Italia finora sono state dodici le regioni e le province a sancire autonomamente l’istituzione e il riconoscimento degli Ecomusei, promuovendone la creazione. La Provincia Autonoma di Bolzano non è ancora dotata di uno strumento normativo per il riconoscimento degli Ecomusei. Si è pertanto valutata la possibilità di applicare lo strumento alle particolari condizioni socio-culturali del territorio sudtirolese. L’indagine è stata svolta a partire dall’analisi dei presupposti necessari alla realizzazione di un Ecomuseo generalmente condivisi dalle normative quali l’omogeneità culturale e la presenza di beni di comunità. Entrambi i criteri hanno richiesto di essere interpretati, sulla base di indagini storiche, sociali e culturali, svolte sotto il profilo architettonico, analizzando non solo la produzione edilizia nel tempo, ma anche i contenuti politici e culturali, la variazione della percezione del costruito da parte della popolazione e la conseguente evoluzione nell’approccio nei confronti della preesistenza. Verificate le condizioni di applicabilità dei criteri si è proceduto alla progettazione di un Ecomuseo Interculturale per la città di Merano (EIM), valutandone oggetto, finalità e struttura. Il progetto ha compreso anche la proposta di una sede per l’Ecomuseo, realizzando uno studio per il restauro di un’officina ferroviaria dei primi del Novecento riconoscendo in essa un importante documento di cultura materiale. In conclusione è stata quindi elaborata una proposta per un progetto di legge provinciale in materia di Ecomusei, quale fattore fondamentale per la loro organizzazione, promozione e diffusione.

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il lavoro si suddivide in una fase preliminare conoscitiva costituita da una ricerca storico-documentale sui principali eventi che hanno interessato San Giovanni in Persiceto e il complesso conventuale. per comprendere a pieno l'oggetto di studio sono stati studiati a fondo la vita e le opere dell'autore e le tendenze architettoniche del periodo storico in cui esercita. è stato eseguito un rilievo dettagliato impiegando tecniche ad alta definizione, come fotogrammetria e scansioni laser. per realizzare un progetto di restauro consapevole e rispettoso del monumento sono state condotte approfondite analisi tematiche e di degrado, in modo da acquisire una conoscenza diretta dell'edificio. per reintegrare l'unità d'immagine andata perduta, visto l'uso improprio che è stato fatto del bene, indispensabile per la comprensione dell'opera, è stata svolta un'attenta analisi della consistenza materica e una analogica con le opere dell'autore simili. gli interventi cercheranno di facilitare la lettura delle tracce presenti sul manufatto, e in maniera tutt'altro che invasiva verrà proposta la videoproiezione di quella che poteva essere l'immagine e la suggestione concepita dall'architetto. sono stati studiati restauri di casi analoghi e gli interventi della scuola di restauro nata a seguito delle devastazioni prodotte dalla guerra. per gli elementi ben conservati si attuerà un restauro conservativo. si restaura la pavimentazione, attraverso due diverse ipotesi che risolvono le possibili casistiche generate dalla rimozione delle superfetazioni. per valorizzare gli elementi architettonici si è proposto uno schema di sorgenti luminose diversificato in illuminazione generale d'ambiente ed un sistema di luci funzionale agli usi specifici.

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La tesi di laurea ha come oggetto il complesso della pieve di San Giorgio di Samoggia che è situata nel comune di Valsamoggia (BO). Il complesso, composto da chiesa, canonica, campanile, casa dell’enfiteuta e cella campanaria, sorge isolato dal paese, in una zona collinare caratterizzata dalla presenza di importanti formazioni calanchive e si trova attualmente in un cattivo stato di conservazione dovuto soprattutto all’assenza di interventi di manutenzione negli ultimi ottant’anni. Il lavoro si è sviluppato nelle seguenti fasi: - Ricostruzione delle vicende costruttive tramite ricerca sulle fonti indirette (bibliografiche e archivistiche) - Rilievo diretto del complesso realizzato tramite la tecnica delle trilaterazioni e conseguente restituzione grafica di planimetrie, sezioni e prospetti del complesso - Analisi dello stato di fatto e di degrado del manufatto, ponendo una particolare attenzione alle tecniche costruttive utilizzate - Progetto di una serie di interventi di consolidamento aventi ad oggetto i tetti e i solai di piano della chiesa e della canonica - Proposta di attualizzazione funzionale della porzione di complesso che in passato era l’abitazione dell’enfiteuta che coltivava il fondo annesso alla pieve.

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L’obiettivo del presente lavoro di tesi è quello di approfondire i processi di rigenerazione cosiddetti bottom-up o dal basso, poiché sono promossi da gruppi di cittadini, associazioni, cooperative o altre forme del terzo settore, che, esprimendo le proprie esigenze ed idee innovative, ottengono poi approvazione dall’amministrazione o dai proprietari dei beni. Si tratta di un fenomeno ancora poco presente in letteratura, poiché piuttosto recente e tuttora riscontrabile in maniera spontanea e disorganica. Per questo motivo una congrua parte della ricerca si è concentrata sull’analisi di casi studio italiani, per i quali sono state eseguite interviste ai protagonisti e sopralluoghi al fine di comprendere nel dettaglio il processo di riattivazione. A questi, si sono poi studiati alcuni esempi di realtà associative che mirano a mappare e a sistematizzare il fenomeno dell’abbandono architettonico. Sebbene le esperienze si siano dimostrate differenti tra loro e specifiche per il contesto e il territorio in cui sono collocate. si sono tuttavia individuate caratteristiche e dinamiche comuni che inducono a pensare a una tipologia di processo. Alla luce delle analisi dei casi studio, si è formulata una strategia possibile per un edificio che pur serbando valore storico e grandi potenzialità, si trova in stato di abbandono da più di quaranta anni: Villa Ghigi a Bologna. Si tratta di un’ex-villa padronale, all’interno di uno dei più importanti parchi pubblici bolognesi per la sua varietà vegetale e animale e per la sua posizione prossima al centro storico. Il progetto-processo che si propone si fonda su ipotesi realistiche e concrete di rigenerazione e si sviluppa secondo cinque fasi temporali differenti. Nell’iter si è infatti previsto l’alternarsi di momenti più astratti, incentrati sul networking e la definizione di prospettive, con tempi più fisici. dedicati all’intervento architettonico e alle trasformazioni concrete.

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Le acque di vegetazione (AV) costituiscono un serio problema di carattere ambientale, sia a causa della loro elevata produzione sia per l’ elevato contenuto di COD che oscilla fra 50 e 150 g/l. Le AV sono considerate un refluo a tasso inquinante fra i più elevati nell’ambito dell’industria agroalimentare e la loro tossicità è determinata in massima parte dalla componente fenolica. Il presente lavoro si propone di studiare e ottimizzare un processo non solo di smaltimento di tale refluo ma anche di una sua valorizzazione, utlizzandolo come materia prima per la produzione di acidi grassi e quindi di PHA, polimeri biodegradabili utilizzabili in varie applicazioni. A tale scopo sono stati utilizzati due bioreattori anaerobici a biomassa adesa, di identica configurazione, con cui si sono condotti due esperimenti in continuo a diverse temperature e carichi organici al fine di studiare l’influenza di tali parametri sul processo. Il primo esperimento è stato condotto a 35°C e carico organico pari a 12,39 g/Ld, il secondo a 25°C e carico organico pari a 8,40 g/Ld. Si è scelto di allestire e mettere in opera un processo a cellule immobilizzate in quanto questa tecnologia si è rivelata vantaggiosa nel trattamento continuo di reflui ad alto contenuto di COD e carichi variabili. Inoltre si è scelto di lavorare in continuo poiché tale condizione, per debiti tempi di ritenzione idraulica, consente di minimizzare la metanogenesi, mediata da microrganismi con basse velocità specifiche di crescita. Per costituire il letto fisso dei due reattori si sono utilizzati due diversi tipi di supporto, in modo da poter studiare anche l’influenza di tale parametro, in particolare si è fatto uso di carbone attivo granulare (GAC) e filtri ceramici Vukopor S10 (VS). Confrontando i risultati si è visto che la massima quantità di VFA prodotta nell’ambito del presente studio si ha nel VS mantenuto a 25°C: in tale condizione si arriva infatti ad un valore di VFA prodotti pari a 524,668 mgCOD/L. Inoltre l’effluente in uscita risulta più concentrato in termini di VFA rispetto a quello in entrata: nell’alimentazione la percentuale di materiale organico presente sottoforma di acidi grassi volatili era del 54 % e tale percentuale, in uscita dai reattori, ha raggiunto il 59 %. Il VS25 rappresenta anche la condizione in cui il COD degradato si è trasformato in percentuale minore a metano (2,35 %) e questo a prova del fatto che l’acidogenesi ha prevalso sulla metanogenesi. Anche nella condizione più favorevole alla produzione di VFA però, si è riusciti ad ottenere una loro concentrazione in uscita (3,43 g/L) inferiore rispetto a quella di tentativo (8,5 g/L di VFA) per il processo di produzione di PHA, sviluppato da un gruppo di ricerca dell’università “La Sapienza” di Roma, relativa ad un medium sintetico. Si può constatare che la modesta produzione di VFA non è dovuta all’eccessiva degradazione del COD, essendo questa nel VS25 appena pari al 6,23%, ma piuttosto è dovuta a una scarsa concentrazione di VFA in uscita. Questo è di buon auspicio nell’ottica di ottimizzare il processo migliorandone le prestazioni, poiché è possibile aumentare tale concentrazione aumentando la conversione di COD in VFA che nel VS25 è pari a solo 5,87%. Per aumentare tale valore si può agire su vari parametri, quali la temperatura e il carico organico. Si è visto che il processo di acidogenesi è favorito, per il VS, per basse temperature e alti carichi organici. Per quanto riguarda il reattore impaccato con carbone attivo la produzione di VFA è molto ridotta per tutti i valori di temperatura e carichi organici utilizzati. Si può quindi pensare a un’applicazione diversa di tale tipo di reattore, ad esempio per la produzione di metano e quindi di energia.

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Con questo studio si è volto effettuare un confronto tra la generazione di energia termica a partire da cippato e da pellet, con particolare riferimento agli aspetti di carattere ambientale ed economico conseguenti la produzione delle due differenti tipologie di combustibile. In particolare, si sono ipotizzate due filire, una di produzione del cippato, una del pellet, e per ciascuna di esse si è condotta un'Analisi del Ciclo di Vita, allo scopo di mettere in luce, da un lato le fasi del processo maggiormente critiche, dall'altro gli impatti sulla salute umana, sugli ecosistemi, sul consumo di energia e risorse. Quest'analisi si è tradotta in un confronto degli impatti generati dalle due filiere al fine di valutare a quale delle due corrisponda il minore. E' stato infine effettuato un breve accenno di valutazione economica per stimare quale tipologia di impianto, a cippato o a pellet, a parità di energia prodotta, risulti più conveniente.

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La tesi tratta di strumenti finalizzati alla valutazione dello stato conservativo e di supporto all'attività di manutenzione dei ponti, dai più generali Bridge Management Systems ai Sistemi di Valutazione Numerica della Condizione strutturale. Viene proposto uno strumento originale con cui classificare i ponti attraverso un Indice di Valutazione Complessiva e grazie ad esso stabilire le priorità d'intervento. Si tara lo strumento sul caso pratico di alcuni ponti della Provincia di Bologna. Su un ponte in particolare viene realizzato un approfondimento specifico sulla determinazione approssimata dei periodi propri delle strutture da ponte. Si effettua un confronto dei risultati di alcune modellazioni semplificate in riferimento a modellazioni dettagliate e risultati sperimentali.

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Nella protezione idraulica del territorio la previsione e il controllo delle piene sono di fondamentale importanza. I territori sono sempre più antropizzati, pertanto la riduzione dei rischi connessi a eventi idrometeorologici estremi è di notevole interesse. La previsione delle piene è resa difficile dall’innumerevole quantità di variabili che intervengono nel processo della loro formazione. Nelle attività di progettazione e nella verifica di opere idrauliche la identificazione dell’idrogramma di progetto spesso riveste un’importanza fondamentale. Un idrogramma di progetto è definito come un’onda di piena, realmente osservata o sintetica, associata ad un determinato livello di rischio, quantificato usualmente in termini di tempo di ritorno. Con il presente lavoro si cerca di verificare la possibilità di applicazione una metodologia per la stima degli idrogrammi di progetto associati ad un determinato tempo di ritorno, recentemente proposta dalla letteratura scientifica (Maione et al., 2001, Una metodologia per la stima indiretta degli idrogrammi sintetici per il progetto di opere di difesa idraulica del territorio). Il lavoro è riferito al Fiume Secchia, un affluente importante del Po che scorre tra le provincie di Modena e Reggio Emilia.

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Il seguente elaborato nasce per venire incontro ad una richiesta di aiuto partita dalla comunità di St. Albert, un centro missionario nel nord dello Zimbabwe. In questo stato ogni giorno milioni di persone lottano per sopravvivere contro fame ed epidemie, la comunità di St. Albert nata attorno all’omonimo ospedale combatte contro queste calamità cercando di fornire medicinali, cibo e un istruzione. Purtroppo alcuni anni fa, a causa del perdurare di condizioni siccitose, i pozzi da cui la missione prelevava acqua si sono quasi completamente prosciugati facendo sì che l’intera missione rischiasse di non poter proseguire la sua attività. Nel 2008 si sono verificate precipitazioni più intense che hanno determinato una ricarica di falda e la ripresa dell’utilizzo di parte dei pozzi, ma questi accadimenti anno messo a nudo la non completa affidabilità di questa fonte di approvvigionamento, così si è evidenziata la necessità di creare un bacino imbrifero artificiale. In situazioni di insicurezza sulla disponibilità idrica la diversificazione delle fonti di approvvigionamento diventa indispensabile. Così nel 2004 si iniziò a costruire una diga per creare un bacino di riserva idrica nelle vicinanze, oggi i lavori sono quasi ultimati ma manca un impianto di potabilizzazione che renda adatta l’acqua prelevata dall’invaso per il consumo umano. Con questa tesi si vuole dare un supporto progettuale alla creazione del potabilizzatore, cercando di ridisegnare il funzionamento della rete per permettere un uso più razionale possibile delle risorse idriche. Facendo ciò però ci si dovrà calare in una serie di problematiche di contesto economiche e sociali di un paese in profonda crisi, dove può risultare un problema reperire i materiali e le risorse più basilari, anche quelle più strettamente organizzative e logistiche, che richiedono la valutazione dello stato di know-how locale in relazione alle capacità di gestire apparecchiature di un certo livello tecnologico.

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