316 resultados para Galleria del vento strato limite autovetture aerodinamica sperimentale


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La tesi ha lo scopo di determinare una correlazione tra lo spostamento laterale e la riduzione di resistenza a trazione per le connessioni di tipo holdown per pareti in legno massiccio XLam. Per raggiungere questo obiettivo è stata condotta un’indagine sperimentale, nella quale sono state eseguite prove cicliche a trazione in controllo di spostamento assiale, con imposizione di uno spostamento a taglio iniziale. Sono state eseguite inoltre prove monotone combinate, caratterizzate da contemporaneo spostamento a taglio e assiale legati da rapporto diverso per ogni tipologia di prova. Si è ricavata una legge di danno che correla lo spostamento laterale alla riduzione di resistenza assiale: per scorrimenti entro 15 mm il danno è contenuto (10%), ma arrivando a 30-45mm la riduzione di resistenza è del 20%. Mettendo insieme invece le monotone ottenute variando il suddetto rapporto di velocità si è definito un dominio di resistenza. La seconda parte verte sulla modellazione numerica in OpenSEES delle connessioni come molle di un materiale isteretico, tarate sulla base delle curve sperimentali cicliche ottenute. Queste sono state poi utilizzate per la modellazione di una parete a molle disaccoppiate, che considera solo la resistenza a trazione per hold-down e a taglio per angolari (sottostima resistenza reale). Una seconda modellazione a molle accoppiate considera la resistenza in entrambe le direzioni: questo sovrastima la resistenza globale reale, poiché non tiene conto della contemporanea applicazione del carico nelle due direzioni. E’ stata quindi applicata la suddetta legge di danno attraverso un procedimento iterativo che in base agli spostamenti laterali riduce la resistenza assiale e riesegue l’analisi con i parametri corretti, per rivalutare spostamenti e resistenze: la progettazione attuale sovradimensiona gli angolari, il collasso della struttura avviene per rottura non bilanciata, con hold-down plasticizzati e angolari in campo elastico (meccanismo di rocking).

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L’elaborato è strutturato in sei capitoli ed ha come obiettivo principale quello di descrivere un impianto pilota per il trasporto pneumatico dell’atomizzato di barbottina e di riportare i risultati delle analisi sperimentali, condotte per la caratterizzazione del trasporto dello stesso, necessarie per la futura progettazione di un impianto in scala industriale. Nel primo capitolo verrà presentata l’industria ceramica italiana e le fasi per la produzione delle piastrelle, con particolare attenzione al tema del trasporto di materiale tra i vari reparti produttivi. Nel capitolo due, poi, si analizzeranno le problematiche collegate ai tradizionali sistemi di movimentazione di materiale sfuso, facendo un confronto tra quelli più usati e quello pneumatico. Quest’ultimo rappresenta un’alternativa ai sistemi di trasporto classici, i quali pur assicurando elevati volumi di movimentazione, non salvaguardano l’integrità del materiale trasportato. Lo sgretolamento del materiale, oltre a rendere quest’ultimo inutilizzabile per la produzione delle piastrelle, è responsabile dell’emissione nell'ambiente di lavoro di silice cristallina libera. Al contrario, il trasporto pneumatico, del quale si riporta una descrizione nel capitolo tre e quattro, garantisce il minimo rischio di formazione di polveri fini, grazie al totale confinamento del materiale all'interno di una conduttura. Nel capitolo cinque verranno esposti i risultati delle analisi sperimentali effettuate sull'impianto: verranno illustrate le prove di trasporto condotte e, a valle di ognuna di queste, l’attenzione si focalizzerà sulla granulometria del materiale processato, paragonando la stessa a quella del materiale vergine di riferimento. Infine, nel sesto capitolo, si riporteranno i risultati delle simulazioni effettuate sul software TPSimWin, basato su calcolo agli elementi finiti. Tali simulazioni sono necessarie per determinare le principali caratteristiche del materiale da trasportare.

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Questa tesi tratta nello specifico lo studio di un impianto micro-ORC, capace di sfruttare acqua alla temperatura di circa 70-90°C come sorgente termica. Questo sistema presenta una potenza dichiarata dal costruttore pari a 3kW e un rendimento del 9%. In primo luogo, si descrivono le caratteristiche principali dei fluidi organici, in particolare quelle del freon R134a, impiegato nel banco prova. Vengono illustrati dettagliatamente l’impianto e la sensoristica utilizzata per le misurazioni delle varie grandezze fisiche. Tramite esse, con l’utilizzo di un programma di acquisizione dati appositamente relizzato in ambiente LabVIEW, è stato possibile calcolare in tempo reale tutti i parametri di funzionamento, necessari per la caratterizzazione del sistema. Per una veloce ed efficiente elaborazione dei dati registrati durante le prove in laboratorio, è stato realizzato un programma in linguaggio VBA. L’utilizzo di questo codice ha permesso, in primo luogo, di individuare e correggere eventuali errori di calcolo e acquisizione presenti in ambiente LabVIEW e, in secondo luogo, si è reso indispensabile per comprendere il funzionamento dell’impianto nelle varie fasi, come accensione, spegnimento e produzione di potenza. Sono state inoltre identificate le modalità di risposta del sistema al variare dei comandi impostabili dall’utente, quali il numero di giri della pompa e la variazione della temperatura della sorgente calda. Si sono poi osservate le risposte del sistema al variare delle condizioni esterne, come ad esempio la temperatura dell’acqua di condensazione. Una specifica prova è stata analizzata in questo elaborato. Durante tale prova il sistema ha lavorato in forte off-design, erogando una potenza elettrica pari a 255 W, raggiungendo un basso valore del rendimento (pari a 1.8%). L’analisi dei dati ha portato ad identificare nuovi limiti di funzionamento, legati ad esempio alla quantità di fluido interna al sistema.

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Questa tesi svolta nell’ambito della geotecnica ha L’obiettivo di porre l’attenzione sul comportamento dei cedimenti secondari, quindi sul coefficiente di consolidazione secondaria Cα mediante l’esecuzione di una prova edometrica su di una sezione di campione estratto in sito, dove si evidenzia una percentuale di contenuto organico molto alta (torba).Si introduce il concetto di terreno organico a partire dalla genesi fino ad una classificazione atta a distinguere terreni con percentuali di componente organica differenti. Si spiega la teoria della consolidazione monodimensionale, quindi la prova edometrica, riportando in maniera grafica e analitica tutti i coefficienti che da essa si possono ricavare a partire dai parametri di compressione volumetrica fino alla consolidazione primaria e secondaria (o creep)si descrivono dettagliatamente la strumentazione e la procedura di prova. Descrivendo l’edometro utilizzato in laboratorio e tutti gli accessori ad esso collegati, il campione da analizzare, la procedura di preparazione del campione alla prova edometrica, trovando alcune proprietà fisiche del campione, come il contenuto d’acqua e il contenuto organico, ed in fine riportando i passaggi della prova edometrica in modo tale da poter essere riprodotta.Si analizzano tutti i risultati ottenuti durante la prova in maniera analitica e grafica, osservando e commentando la forma dei grafici ottenuti in relazione al materiale che compone il campione ed i tempi impiegati per eseguire la prova.

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Si analizza il comportamento e la risposta di elementi sottoposti a diversi tipi di sollecitazione. Lo scopo ultimo è quello di valutare l’applicabilità di un modello che permetta di ricavare il comportamento di creep a trazione nei calcestruzzi fibrorinforzati, partendo dai risultati delle prove di creep a compressione e creep a flessione.

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In questo lavoro si analizza il rendimento isoentropico di diversi espansori adottati all’interno di sistemi micro-ORC (Organic Rankine Cycle). Si parte da una descrizione generale dei sistemi ORC, mettendone in evidenza le principali caratteristiche, il layout tipico, le differenze rispetto ad un ciclo Rankine tradizionale, e gli ambiti di utilizzo. Si procede ad una trattazione teorica del rendimento isoentropico del compressore e dell’espansore, specificando le ipotesi adottate nei calcoli e mettendo in luce la relazione tra rendimento isoentropico e politropico nell’uno e nell’altro apparato. Si passa poi alla descrizione delle quattro principali tipologie di espansori presenti in letteratura: scroll, screw, vane e piston, e si prosegue con l'analisi nel dettaglio della letteratura relativa alla valutazione dell’efficienza di questi quando utilizzati all’interno di un sistema micro-ORC. Infine, dopo aver descritto il sistema ORC del laboratorio di via Terracini del DIN, illustrandone layout, componenti principali, potenza scambiata all’interno dei componenti e modalità di calcolo adottata per la valutazione del rendimento isoentropico dell’espansore e del sistema complessivo, si confrontano i dati di efficienza di questo con quelli reperiti in letteratura. Il confronto del rendimento, dell'espansore e complessivo, del sistema del DIN, 33.8% e 1,818% rispettivamente, con quelli degli altri sistemi, è risultato di difficilmente valutazione a causa delle condizioni di forte off-design del sistema stesso. Dalla ricerca è inoltre emerso che i fluidi più utilizzati nella sperimentazione, e dunque capaci di migliori prestazioni, sono R245fa, R134a e R123. Per quel che riguarda infine gli espansori, nel range di potenza di 1-10 kW, lo scroll risulta essere il migliore.

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La proliferazione di batteri in liquido è una problematica che riguarda anche le acque di fiumi e mari. In questo progetto di tesi sperimentale si indagherà un trattamento plasma assistito diretto di acqua sintetica riprodotta in laboratorio con l’obiettivo di ottenere un effetto battericida sul liquido contaminato. L’acqua trattata verrà analizzata chimicamente, in particolare si andranno a misurare i TRO (Total Residual Oxidant, composti dell’ossigeno derivanti dalla parziale ozonizzazione dell’acqua) che dovranno essere presenti in quantità minori di 0,1 mg/l. Il dispositivo utilizzato per i test biologici è una sorgente di tipologia DBD (Dielectric Barrier Discharge) indiretto. Gli elettrodi della sorgente sono separati dal solo strato di materiale dielettrico e uno di questi è composto da una rete metallica in acciaio inossidabile. Il plasma si forma tra le maglie della rete e induce la formazione di specie reattive, radiazioni UV, particelle cariche, campi elettromagnetici e calore. Ciò che raggiunge la soluzione contaminata è l’afterglow del plasma, ovvero tutte le specie reattive a lunga vita prodotte dalla ionizzazione dell’aria e dalle radiazioni UV. La sorgente è stata dapprima caratterizzata elettricamente studiando le forme d’onda di tensione e corrente a determinate condizioni operative. Il liquido da trattare è contaminato con il batterio Escherichia coli. è emerso che in tutti i casi testati i livelli degli ossidanti sono entro il limite prestabilito di 0,1 mg/l. Il trattamento plasma in soli 10 secondi è responsabile di una decontaminazione parziale del batterio E. coli. Da ulteriori studi si potranno trovare delle condizioni tali da inattivare totalmente la carica batterica presente date le grandi potenzialità di questo trattamento.

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Lo scopo di questo lavoro di tesi si focalizza sullo studio, sia dal punto di vista analitico che da quello numerico, della conduzione del calore non stazionaria di un mezzo poroso rettangolare saturo di fluido. Per descrivere tale fenomeno sono state adoperate le equazioni di bilancio dell’energia modellate tramite la teoria del non-equilibrio termico locale, cioè una coppia di equazioni di bilancio dell’energia sia per la fase solida sia per la fase fluida, dipendenti l’una dall’altra in quanto legate dal termine generativo di interfase. La necessità di avere due equazioni di bilancio dell’energia è dovuta a una caratteristica importante dei processi di trasferimento del calore in una schiuma metallica. In questo elaborato verranno risolte numericamente le equazioni di biliancio dell’energia del non-equilibrio termico locale, tramite l’ausilio del programma di calcolo MATLAB e il suo solutore “pdepe”, indagando e proponendo una soluzione al “paradosso” introdotto da Vadazs* nel suo articolo. Tale paradosso si presenta quando si risolvono analiticamente le equazioni di bilancio dell’energia del non-equilibrio termico locale applicando due metodi differenti: il metodo di sostituzione delle variabili e il metodo di separazione delle variabili dipendenti. Dai risultati ottenuti da Vadasz emerge una discrepanza tra i due metodi in quanto uno dei due porta a predire un comportamento di equilibrio termico tra le due fasi a ogni istante di tempo, mentre l’altro predirebbe un comportamento di non-equilibrio termico locale tra le due fasi, particolarmente evidente nei primi istanti di tempo. Successivamente si è analizzato il problema di conduzione studiandone la variazione dei transitori termici del campo di temperatura della fase solida e dalla fase fluida al mutare dei parametri adimensionali che caratterizzano le equazioni di bilancio dell’energia nella sue forme adimensionalizzate.

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Il riconoscimento delle condizioni del manto stradale partendo esclusivamente dai dati raccolti dallo smartphone di un ciclista a bordo del suo mezzo è un ambito di ricerca finora poco esplorato. Per lo sviluppo di questa tesi è stata sviluppata un'apposita applicazione, che combinata a script Python permette di riconoscere differenti tipologie di asfalto. L’applicazione raccoglie i dati rilevati dai sensori di movimento integrati nello smartphone, che registra i movimenti mentre il ciclista è alla guida del suo mezzo. Lo smartphone è fissato in un apposito holder fissato sul manubrio della bicicletta e registra i dati provenienti da giroscopio, accelerometro e magnetometro. I dati sono memorizzati su file CSV, che sono elaborati fino ad ottenere un unico DataSet contenente tutti i dati raccolti con le features estratte mediante appositi script Python. A ogni record sarà assegnato un cluster deciso in base ai risultati prodotti da K-means, risultati utilizzati in seguito per allenare algoritmi Supervised. Lo scopo degli algoritmi è riconoscere la tipologia di manto stradale partendo da questi dati. Per l’allenamento, il DataSet è stato diviso in due parti: il training set dal quale gli algoritmi imparano a classificare i dati e il test set sul quale gli algoritmi applicano ciò che hanno imparato per dare in output la classificazione che ritengono idonea. Confrontando le previsioni degli algoritmi con quello che i dati effettivamente rappresentano si ottiene la misura dell’accuratezza dell’algoritmo.

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La presente tesi di laurea è finalizzata allo sviluppo di nuovi trattamenti protettivi autopulenti a base di biossido di titanio (TiO2) per la conservazione dei materiali cementizi storici tipici dell’architettura del XX secolo. Tale studio nasce dal crescente interesse verso i temi del restauro del Moderno così come testimoniato dalla recente pubblicazione del “Documento di Madrid – New Delhi” redatto dall’ICOMOS. Vengono analizzati i caratteri peculiari del restauro del Moderno, trovando punti di unione e di divergenza con il restauro tradizionale dell’architettura. In particolare, ci si concentra sulla descrizione delle attuali tecnologie in uso per il restauro dei materiali cementizi storici e sulle problematiche connesse alla scarsa considerazione di cui ancora godono tali materiali nell’ambito del restauro dell’architettura. In tale contesto, i trattamenti fotocatalitici sviluppati si propongono come soluzioni per la conservazione delle superfici architettoniche cementizie con pregio decorativo. Vista la scarsa presenza in letteratura di applicazioni a base di TiO2 su substrati cementizi, sono stati messi a punto alcuni trattamenti innovativi che vedono la dispersione di nanoparticelle di TiO2 in matrici inorganiche di silicato di etile e idrossiapatite. Tali consolidanti sono tra i più affermati nell’ambito del restauro dei materiali e la loro compatibilità con i substrati cementizi è stata attestata da precedenti studi. I trattamenti così elaborati vengono valutati in termini di efficacia autopulente e compatibilità coi substrati.

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La crisi energetica che sta investendo l’Italia e l’Europa e la contestuale necessità di raggiungere gli obiettivi che la comunità internazionale si è preposta per uno sviluppo sostenibile stanno spingendo sempre di più verso l’utilizzo di fonti energetiche alternative. In questo contesto il gas naturale liquefatto (LNG) può assumere un ruolo chiave per il trasporto a lunghe distanze.Il gas naturale liquefatto fa parte della classe dei liquidi criogenici. Uno dei problemi principali dei liquidi criogenici riguarda gli aspetti di sicurezza come, ad esempio, il comportamento del liquido criogenico in seguito ad un rilascio accidentale.Questo lavoro di tesi si è focalizzato sulla caratterizzazione sperimentale del flusso l’evaporazione di liquidi criogenici.Per condurre lo studio, per motivi di sicurezza, è stato utilizzato l’azoto liquido (LN2), liquido con caratteristiche criogeniche simili all’LNG, ma non reattivo. Analisi preliminari hanno evidenziato come il contributo legato allo scambio termico per conduzione sia quello preponderante per la determinazione del flusso evaporante. Per questo motivo, lo sversamento è stato eseguito su diverse tipologie di substrato, rappresentative dei materiali più comuni e che plausibilmente possano andare a contatto con liquidi criogenici. Nello specifico sono stati valutati i seguenti substrati: ghiaia, sabbia, terreno secco, terreno umido e cemento. In seguito, è stato valutato il profilo di massa, velocità di evaporazione e temperatura rispetto al tempo per comprendere la durata della fase evaporativa e i principali fenomeni coinvolti. La velocità media e massima di evaporazione è risultata fortemente influenzata dalle proprietà fisiche del substrato e dalla presenza di acqua al suo interno.I dati raccolti rappresentano un passo in avanti fondamentale per la caratterizzazione del comportamento dei liquidi criogenici in atmosfera, favorendo la progettazione di tecnologie e procedure opportune per il loro utilizzo in sicurezza.

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L’Additive Manufacturing è una tecnologia che ormai da qualche anno sta diventando sempre piu’ utilizzata in numerosi ambiti, tra cui l’automotive. In questo settore sono molte le aziende che stanno sperimentando e cercando di inglobare tale processo al loro interno. Tra queste l’Università di Bologna, dove un team studentesco motociclistico si occupa della creazione di un prototipo di moto elettrica da competizione. Nell'intento di utilizzare tale tecnologia, sono numerose le informazioni necessarie per la corretta progettazione. Infatti, le caratteristiche dei materiali che vengono usati principalmente non sono ancora del tutto chiare e presentano alcuni aspetti poco investigati. Per questo motivo, in tale progetto si è deciso di caratterizzare a fatica provini realizzati in AlSi10Mg che presentassero una particolare geometria, per indagare anche l’influenza dello spessore. Sono quindi stati realizzati i campioni, anche con alcuni trattamenti di post-processo e sono poi stati osservati i risultati a fatica e alcune caratteristiche, tra cui: porosità, densità e struttura dei bagni di fusione. Tali valori riscontrati sono poi stati confrontati con quelli ottenuti in altri studi, cercando di comprendere differenze e motivazioni dei fenomeni osservati.

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Nell’ambito di questa Tesi è stata svolta un’analisi sperimentale delle prestazioni di una pompa di calore dual-source (DSHP). Essa è una pompa di calore a doppia sorgente in grado di scambiare potenza termica con due diversi serbatoi termici esterni: aria e terreno. Il campo sonde è composto da quattro sonde geotermiche a doppio tubo ad U, due da 60m e due da 100m, disposte in linea ed accoppiate ad una camera climatica per test su pompe di calore elettriche. Sono stati eseguiti test sul prototipo DSHP in configurazione geotermica stabilendo dei criteri per lo svolgimento delle prove, che in corso d’opera sono stati perfezionati. è stata eseguita la calibrazione dei sensori di temperatura, le termocoppie e le termoresistenze, che sono state collocate lungo il circuito idronico e in camera climatica, dove è installata la DSHP. Invece, per monitorare la temperatura del terreno viene impiegato un filo in fibra ottica inserito rispettivamente nella mandata e nel ritorno di uno dei tubi ad U delle sonde da 60m e da 100m. Si è stabilito di affidarci esclusivamente ai valori di offset che la centralina DTS, alla quale sono collegati i quattro filamenti in fibra ottica, applica di volta in volta sulle misurazioni di temperatura. È stata curata nel dettaglio una prova condotta mantenendo attive tutte le sonde del campo geotermico. Al fine di definire le prestazioni della pompa di calore, è stato eseguito il calcolo del Coefficient of Performance (COP) della macchina lungo lo svolgimento della prova, in modo da poter confrontare questo risultato con quelli ottenuti nelle differenti configurazioni analizzate in questa Tesi. I risultati contenuti in questa tesi hanno permesso di stabilire i tempi di scarica e recupero del terreno, l’entità dell’interferenza che si genera tra sonde adiacenti sottoposte ad un carico termico e di studiare il comportamento del terreno nei suoi strati più superficiali in funzione delle condizioni metereologiche esterne.

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Una delle applicazioni maggiormente richieste in ambito industriale è quella della presa e movimentazioni di oggetti. Questa tipologia di operazione trova diverse soluzioni nel mondo della robotica e automazione. Nella loro forma più comune un dispositivo di presa si presenta come una pinza motorizzata attraverso la quale è possibile eseguire l’afferraggio di oggetti. Tra essi si possono distinguere i Soft Gripper, ovvero quella classe di pinze che ricorrono a componenti flessibili e parti in materiali soffici che nell’azione di presa si conformano all’oggetto per deformazione dei componenti. Un esempio di questa tipologia di strumenti di presa è il Fin Ray. Tuttavia, questa tipologia di soft-gripper possiede delle limitazioni, come il carico massimo movimentabile determinato sostanzialmente dalla rigidezza della struttura. In questo contesto, al fine di superare tale limite, viene proposto di implementare sulla superficie di contatto un dispositivo a film-sottile elettroadesivo, per generare forze di taglio superficiali per principio elettrostatico, che aumentino la capacità di sollevamento del soft-gripper senza intaccare la sua caratteristica principale di conformità. Lo scopo della tesi è proprio un’analisi numerica e sperimentale di un Fin Ray integrato con un dispositivo elettroadesivo, con lo scopo di analizzare la forza scambiata con un oggetto. Il gripper progettato in questo lavoro, è così prima simulato, e poi realizzato in laboratorio per eseguire la caratterizzazione sperimentale. Gli esperimenti sono stati condotti su un banco prova per la misurazione della forza di contatto scambiata durante l’afferraggio. Per ottenere una validazione del modello sviluppato, sono stati realizzati dei gripper con due differenti materiali altamente deformabili, e con una combinazione di parametri fondamentali diversi, come la posizione e la dimensione dell’oggetto in presa, ottenendo infine una caratterizzazione completa del gripper sviluppato.

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In questa tesi si è voluta porre l’attenzione sulla suscettibilità alle alte temperature delle resine che li compongono. Lo studio del comportamento alle alte temperature delle resine utilizzate per l’applicazione dei materiali compositi è risultato un campo di studio ancora non completamente sviluppato, nel quale c’è ancora necessità di ricerche per meglio chiarire alcuni aspetti del comportamento. L’analisi di questi materiali si sviluppa partendo dal contesto storico, e procedendo successivamente ad una accurata classificazione delle varie tipologie di materiali compositi soffermandosi sull’ utilizzo nel campo civile degli FRP (Fiber Reinforced Polymer) e mettendone in risalto le proprietà meccaniche. Considerata l’influenza che il comportamento delle resine riveste nel comportamento alle alte temperature dei materiali compositi si è, per questi elementi, eseguita una classificazione in base alle loro proprietà fisico-chimiche e ne sono state esaminate le principali proprietà meccaniche e termiche quali il modulo elastico, la tensione di rottura, la temperatura di transizione vetrosa e il fenomeno del creep. Sono state successivamente eseguite delle prove sperimentali, effettuate presso il Laboratorio Resistenza Materiali e presso il Laboratorio del Dipartimento di Chimica Applicata e Scienza dei Materiali, su dei provini confezionati con otto differenti resine epossidiche. Per valutarne il comportamento alle alte temperature, le indagini sperimentali hanno valutato dapprima le temperature di transizione vetrosa delle resine in questione e, in seguito, le loro caratteristiche meccaniche. Dalla correlazione dei dati rilevati si sono cercati possibili legami tra le caratteristiche meccaniche e le proprietà termiche delle resine. Si sono infine valutati gli aspetti dell’applicazione degli FRP che possano influire sul comportamento del materiale composito soggetto alle alte temperature valutando delle possibili precauzioni che possano essere considerate in fase progettuale.