139 resultados para IMPOC, Dual Phase, sensore rilevamento proprietà meccaniche, sensore magnetizzazione residua


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Nel seguente elaborato di tesi è stato approfondito il tema dell’interoperabilità da software BIM a FEM nell’ambito degli edifici a parete in legno. L’utilizzo di programmi di Building Information Modeling si è affermato in maniera crescente nel mondo delle costruzioni. Infatti, la possibilità di costruire modelli tridimensionali della struttura, che associano ad ogni elemento presente nell’opera tutte le informazioni utili ai fini della sua, realizzazione (quali geometrie, costi, proprietà meccaniche, fasi d’impiego, ecc..) permette di accorciare notevolmente il tempo di progettazione e costruzione, diminuendo gli errori dovuti alla trasmissione dei dati tra le varie figure professionali. Nel campo delle costruzioni, l’elemento “parete in legno” non è ancora presente all’interno dei principali software BIM. Per questo motivo, è stato necessario, per lo svolgimento del presente progetto di tesi, uno studio dei principali parametri meccanici descrittivi del reale comportamento in opera delle pareti in legno. Tali parametri sono stati calcolati secondo i due principali metodi esistenti nell’ambito delle costruzioni in legno: il metodo fenomenologico e il metodo per componenti. Nel primo caso, l’influenza sul comportamento delle pareti da parte delle connessioni metalliche viene calcolata sotto forma di parametri meccanici equivalenti. Nel secondo metodo, invece, il comportamento in opera della parete risulta essere la conseguenza dell’interazione tra la rigidezza della parete stessa e quella delle connessioni, che vengono modellate come dei vincoli equivalenti. Al fine di validare i risultati ottenuti, si è proceduto ad applicare i parametri equivalenti a due casi studio. Il primo caso è rappresentato da una parete semplice (3.2m x 3.75m) sottoposta ad una forza concentrata in sommità. Successivamente è stato studiato il caso di un edificio a parete di legno di tre piani, sottoposto ai carichi di un edificio adibito a civile abitazione.

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I CFRP laminati sono materiali dalle eccellenti proprietà meccaniche specifiche che hanno, però, il grande svantaggio di essere soggetti a delaminazione. Essa è una problematica che può seriamente comprometterne l’affidabilità in vita d’uso e va, perciò, contrastata cercando di prevenirla o cercando di ridurne gli effetti negativi. Lo scopo del presente elaborato di tesi è stato quello di produrre, mediante elettrofilatura, membrane polimeriche che, integrate in laminati compositi, abbiano funzione di rendere il composito delaminato in grado di “autoripararsi” tramite meccanismo di self-healing. È stato condotto uno studio di ottimizzazione di tutti i parametri riguardanti la soluzione ed il processo di elettrofilatura che conducesse all’ottenimento di membrane con una morfologia fibrosa esente da difetti e, contemporaneamente, ad una buona maneggiabilità delle stesse. Le membrane sono state caratterizzate morfologicamente tramite analisi SEM e analisi DSC.

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Nel presente progetto di tesi sono state preparate e studiate delle miscele polimeriche di poli(ottilene 2,5-furanoato) (POF) e il poli(trietilene 2,5-furanoato) (PTEF) a diversa composizione allo scopo di ottenere materiali adatti al packaging alimentare flessibile e sostenibile. I due omopolimeri sono stati sintetizzati mediante policondensazione in massa, ed in seguito sono state preparate le miscele fisiche per solvent casting, processate in forma di film per pressofusione. Dopo una completa caratterizzazione molecolare, i materiali realizzati sono stati caratterizzati morfologicamente (SEM), termicamente (TGA e DSC), strutturalmente (WAXS), meccanicamente (prove a trazione), e ne sono studiate le proprietà barriera. Le miscele sono risultate immiscibili ma comunque caratterizzate da buona compatibilità e stabilità termica. Considerando che il POF è un materiale gommoso e semicristallino mentre il PTEF è gommoso ma amorfo, le miscele presentano caratteristiche meccaniche coerenti con la loro composizione: in particolare, al diminuire della porzione cristallizabile POF e all’aumentare della porzione gommosa PTEF, si registra un progressivo aumento degli allungamenti a rottura e una diminuzione del modulo elastico. Inoltre, nelle blend contenenti il 50 e il 60% di PTEF, le performance barriera risultano migliori di quasi due ordini di grandezza rispetto a quelle dell’omopolimero POF. Per quanto riguarda le prove di compostaggio, le miscele con una quantità di POF superiore al 50% non subiscono degradazione, mentre si registra una totale compostabilità per le due miscele più ricche in PTEF.

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Nel seguente lavoro di tesi sperimentale è stato svolto uno studio su film di poli(esametilen furanoato) additivato con filler antiossidanti estratti da una materia prima lignocellulosica, la corteccia di betulla. Tale studio ha lo scopo di incrementare le proprietà meccaniche e soprattutto conservative dei film di PHF per applicazioni nel campo del packaging alimentare. Il poli(esametilen furanoato) è un poliestere i cui monomeri di sintesi possono essere ottenuti da fonti rinnovabili, tale caratteristica lo rende completamente bio-based e di elevato interesse per l’ottenimento di materiali sostenibili. Nella fase iniziale dello studio è stato sintetizzato il polimero in esame tramite una sintesi di tipo solvent-free, in accordo con le attuali strategie sintetiche che mirano a ridurre l’impatto del solvente. Tale polimero è stato quindi caratterizzato tramite NMR e GPC. Sono state poi preparate quattro miscele di polimero additivato, due differenti composizioni per ciascuno dei due filler disponibili. Le miscele sono state preparate tramite solvent casting e in seguito stampate tramite pressofusione per ottenere dei film. È stata svolta una caratterizzazione dei film ottenuti, di tipo morfologica (SEM), termica (TGA e DSC), meccanica, comportamento barriera e con analisi antiossidanti. I filler hanno mostrato una buona miscibilità con l’omopolimero e non hanno causato interferenze nel comportamento termico. È stato osservato un miglioramento nella flessibilità dei film in tutte le miscele studiate e un aumento dell’allungamento a rottura nelle composizioni con quantità di filler pari al 5%. Le proprietà barriera si sono mantenute in linea con quelle dell’omopolimero e ancora migliori dei poliesteri attualmente in commercio. Infine, l’aggiunta del filler ha reso il film attivo per lo scavenging di radicali, valutato attraverso il test con DPPH, confermando il trasferimento delle proprietà antiossidanti dei filler alle miscele polimeriche.

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I compositi rinforzati con fibre di carbonio (CFRC) stanno sempre più sostituendo i materiali convenzionali in applicazioni che necessitano di alte prestazioni meccaniche, grazie alla loro leggerezza e alle eccellenti proprietà meccaniche. Dato l'enorme incremento della loro produzione e delle loro applicazioni, uno dei principali problemi risiede nel loro smaltimento, sia a fine vita che degli scarti e sfridi di lavorazione. Inoltre, la produzione di fibre di carbonio (CF) necessita di un elevato fabbisogno energetico (183-286 MJ/kg), pertanto la possibilità di recupero dei compositi in ottica di riutilizzo delle CF sembra essere un'opzione promettente in termini di sostenibilità ed economia circolare. Nell’ottica di identificare una metodologia per recuperare e riciclare questi materiali, il lavoro della presente tesi di laurea sperimentale, svolto in collaborazione con Leonardo SpA, è stato quello di studiare e ottimizzare il processo di pirogassificazione su CRFP aeronautici.

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I compositi a matrice polimerica rinforzati con fibre di carbonio (Carbon fiber reinforced polymers, CFRP) posseggono proprietà meccaniche uniche rispetto ai materiali convenzionali, ed un peso decisamente inferiore. Queste caratteristiche, negli ultimi decenni, hanno determinato un crescente interesse nei confronti dei CFRP che ha portato a numerose applicazioni in settori come l’industria aerospaziale e l’automotive. Le sollecitazioni cui i CFRP laminati sono soggetti durante la vita d’uso possono causare fenomeni di delaminazione che, portando ad una drastica riduzione delle proprietà meccaniche del materiale, ne compromettono l’integrità strutturale. Nel presente lavoro di tesi, sono state integrate in laminati CFRP membrane elettrofilate da blend polimeriche con capacità di self-healing. Le migliori condizioni da applicare in fase di cura del composito sono state approfonditamente investigate mediante analisi termica (DSC). Per verificare la capacità di autoriparazione dei laminati modificati, è stata valutata la tenacità a frattura interlaminare in Modo I e Modo II prima e dopo il trattamento di attivazione del self-healing.

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Lo sviluppo di fibrosi epatica si associa caratteristicamente a un eccesso di produzione e reticolazione della matrice extracellulare del tessuto, che causa un progressivo aumento del modulo elastico e della viscosità dell’organo – che a loro volta determinano ipertensione portale e insufficienza funzionale. Modelli avanzati che riproducano in vitro il microambiente epatico sono cruciali per lo studio della patogenesi del fenomeno e per la valutazione di adeguate terapie future. Un esempio chiaro di questa strategia viene presentato in un recente lavoro di ricerca, nel quale Cacopardo et al. propongono una strategia basata sull’utilizzo di tipi differenti di idrogel, con proprietà elastiche e viscosità variabili, per studiare la meccano-dinamica in un ambiente di coltura tridimensionale. Idrogel di carichi di cellule sono dunque stati differenzialmente reticolati mediante transglutaminasi microbica, utilizzando un metodo citocompatibile originale che consenta l’esposizione delle cellule a un ambiente con proprietà meccaniche che variano nel tempo. Per la coltura dei costrutti 3D è stato inoltre utilizzato un bioreattore che si è dimostrato utile anche per monitorare nel tempo le proprietà meccaniche dei costrutti cellulari. I risultati hanno mostrato che una maggiore “solidità” della matrice è coerente con l’aumento dello stress cellulare. Il metodo proposto si è dimostrato quindi in grado di imitare efficacemente il microambiente meccanico associato alla fibrosi epatica e in evoluzione nel tempo e, di conseguenza, potrebbe fornire nuove informazioni sui processi fisiopatologici correlati e suggerire più efficaci strategie terapeutiche.

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La colonna vertebrale è uno dei principali siti per lo sviluppo delle metastasi ossee. Esse modificano le proprietà meccaniche della vertebra indebolendo la struttura e inducendo l’instabilità spinale. La medicina in silico e i modelli agli elementi finiti (FE) hanno trovato spazio nello studio del comportamento meccanico delle vertebre, permettendo una valutazione delle loro proprietà meccaniche anche in presenza di metastasi. In questo studio ho validato i campi di spostamento predetti da modelli microFE di vertebre umane, con e senza metastasi, rispetto agli spostamenti misurati mediante Digital Volume Correlation (DVC). Sono stati utilizzati 4 provini da donatore umano, ognuno composto da una vertebra sana e da una vertebra con metastasi litica. Per ogni vertebra è stato sviluppato un modello microFE omogeneo, lineare e isotropo basato su sequenze di immagini ad alta risoluzione ottenute con microCT (voxel size = 39 μm). Sono state imposte come condizioni al contorno gli spostamenti ottenuti con la DVC nelle fette prossimali e distali di ogni vertebra. I modelli microFE hanno mostrato buone capacità predittive degli spostamenti interni sia per le vertebre di controllo che per quelle metastatiche. Per range di spostamento superiori a 100 μm, il valore di R2 è risultato compreso tra 0.70 e 0.99 e il valore di RMSE% tra 1.01% e 21.88%. Dalle analisi dei campi di deformazione predetti dai modelli microFE sono state evidenziate regioni a maggior deformazione nelle vertebre metastatiche, in particolare in prossimità delle lesioni. Questi risultati sono in accordo con le misure sperimentali effettuate con la DVC. Si può assumere quindi che il modello microFE lineare omogeneo isotropo in campo elastico produca risultati attendibili sia per le vertebre sane sia per le vertebre metastatiche. La procedura di validazione implementata potrebbe essere utilizzata per approfondire lo studio delle proprietà meccaniche delle lesioni blastiche.

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I materiali piezoelettrici sono una classe di materiali che hanno la capacità di convertire energia elettrica in meccanica, e viceversa. I piezoelettrici si suddividono in tre classi: naturarli, ceramici e polimerici. Quest'ultimi, seppur mostrando coefficienti piezoelettrici non elevati rispetto ai primi due, presentano grandi vantaggi in termini di proprietà meccaniche, essendo per esempio molto flessibili, grazie anche all'ausilio delle nanotecnologie. In questo elaborato si è utilizzato il PVDF-TrFE, un materiale polimerico, prodotto sotto forma di nanofibre tramite il processo di elettrofilatura. La struttura nanofibrosa incrementa le proprietà piezoelettriche, che dipendono dalla superficie totale del materiale, poiché massimizza il rapporto superficie/volume. Lo scopo dell'elaborato è quello di ottimizzare il processo di polarizzazione, e quindi incrementare la risposta elettromeccanica dei provini a seguito di una sollecitazione, applicando una tecnica innovativa. Questa prevede l'applicazione di un campo elettrico AC sinusoidale, partendo da un valor nullo fino a un valore massimo di regime, continuando successivamente con un campo in DC avente la stessa apiezza massima. Questa tecnica è stata applicata a differenti provini di PVDF-TrFE, variando alcuni parametri come frequenza, numero di cicli e temperatura. I valori misurati sono stati suddivisi in diversi grafici al variare della temperatura, mostrando notevoli miglioramenti rispetto alle tecniche già note di polarizzazione. È stata inoltre mostrata la struttura in scala nanometrica delle fibre, valutando così l'effetto della temperatura di esercizio sui provini durante il processo di polarizzazione.

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La scelta del materiale da costruzione (MOC) delle apparecchiature nell’industria farmaceutica rappresenta uno step cruciale per garantire il successo dell’impianto. Infatti, per evitare la contaminazione dei lotti e quindi assicurare la massima qualità del farmaco, è necessario evitare qualsiasi interazione chimica, nonostante il continuo contatto, tra il prodotto, la superficie dei macchinari e i fluidi di processo. Allo stato attuale, gli acciai inossidabili sono il riferimento per il settore. Il loro storico utilizzo è da imputare alla loro estrema versatilità: oltre ad essere particolarmente performanti dal punto di vista meccanico, mostrano alta resistenza alle temperature ed eccellente coefficiente igienico, grazie anche alla loro ottima resistenza alla corrosione. Tuttavia, ci sono stati diversi sviluppi e innovazioni nella produzione dei materiali plastici, che hanno portato alla generazione di nuovi polimeri ingegnerizzati in grado di competere per proprietà meccaniche, e non solo, con gli acciai. L’additive manufacturing (AM), inoltre, si è dimostrata essere un’importante innovazione per la produzione di componenti industriali in materiale plastico, in quanto può favorire la riduzione di peso del componente e l’abbassamento dei costi di produzione. Tra le varie tecnologie AM una delle più mature è la sinterizzazione laser selettiva (SLS), dove però i componenti prodotti, nonostante i numerosi vantaggi che garantiscono, sono tuttavia soggetti alla formazione di porosità. Nell’ottica dell’introduzione di polimeri come materiali da costruzione per macchinari dell’industria farmaceutica, questo elaborato si è concentrato sullo studio della durabilità di alcune tipologie di materiali plastici (elastomeri, poliolefine e poliammidi), andando a valutare nello specifico la compatibilità dei differenti polimeri studiati con diversi fluidi di lavaggio, e la loro pulibilità, essendo questa una prerogativa fondamentale dei componenti a contatto con il farmaco.

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I materiali compositi a matrice polimerica rinforzati con fibra di carbonio (CFRP) si stanno sviluppando in maniera esponenziale negli ultimi anni, con una crescita del 20 – 25% annua, tanto che si prevede una domanda di circa 194.000 tonnellate entro il 2022 per cui è evidente che negli anni a venire dovranno essere smaltiti diversi rifiuti realizzati con tale materiale. Lo stato attuale relativo al riciclo dei CFRP prevede, per la maggior parte di essi, di essere conferiti in discarica o inviati all’inceneritore per ottenere un recupero energetico grazie alla presenza della matrice a base polimerica ma questo non consente il recupero della fibra per cui non è una tecnica che sfrutta l’alto valore del rifiuto. È proprio per questo motivo che si stanno sviluppando diverse metodologie di riciclo dei materiali compositi fibro – rinforzati nell’ottica dell’economia circolare, in particolare, si distinguono in riciclo meccanico, termico e chimico in base ai principi che stanno alla base degli stessi. Si precisa che su scala commerciale è stato realizzato solamente il riciclo termico tramite pirolisi mentre per tutte le altre tecniche si è ancora in fase di sperimentazione e di ricerca in laboratorio. L’obiettivo dell’elaborato di tesi è quello di valutare e approfondire il riciclo dei materiali compositi in fibra di carbonio in modo tale da studiare e validare sperimentalmente due componenti realizzati in materiale composito rinforzato con fibra di carbonio riciclata per poterli confrontare con i medesimi componenti realizzati in fibra nuova così da trarre delle conclusioni in merito alle proprietà meccaniche di rigidezza e resistenza ottenibili. Il lavoro di tesi è stato svolto all’interno dell’azienda Bucci Composites S.p.A. con sede a Faenza, la quale si occupa di progettazione e realizzazione di diversi componenti in materiale composito avanzato per diverse aziende clienti provenienti dai settori automotive, aerospaziale, nautico e industriale più in generale.

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I tendini e i legamenti sono fondamentali per lo svolgimento dei movimenti e spesso sono soggetti a rotture o lesioni che rappresentano circa il 50% di tutto il sistema muscoloscheletrico. Il tessuto è poco cellularizzato per questo ad oggi non esistono dispositivi impiantabili, come protesi o innesti biologici in grado di riprodurre in maniera soddisfacente la struttura gerarchica e le proprietà meccaniche. Le tecniche attuali ossia quelle conservative e chirurgiche hanno significative limitazioni per questo i ricercatori stanno sviluppando strutture innovative, detti scaffold, per guidare le cellule nella rigenerazione del tessuto di interesse. Tra le varie tecnologie per produrre scaffold per i tendini e i legamenti, l’elettrofilatura è una delle più promettenti. Questa consente di produrre nanofibre dalle caratteristiche morfologiche e meccaniche simili alle fibrille di collagene di tendini e legamenti. Questo lavoro di tesi presenta la descrizione di procedure e metodi di produzione e caratterizzazione di strutture gerarchiche elettrofilate in acido poli-L-lattico e in acido poli-L-lattico e collagene. I bundles elettrofilati, in entrambi i materiali, sono in grado di replicare i fascicoli di collagene mentre gli scaffold gerarchici sono stati prodotti assemblando i bundles con una membrana elettrofilata, in grado di riprodurre fedelmente l’ epitenon/epiligament e l’endotenon/endoligament, riproducendo l’intera struttura gerarchica di tendini e legamenti. Gli scaffolds gerarchici sono stati prodotti assemblando i bundles con una membrana elettrofilata, in grado di riprodurre fedelmente l’epitenon/ epiligament e l’endotenon/endoligament. Tutte le strutture realizzate sono state analizzate e testate sia morfologicamente che meccanicamente per valutare la similitudine con i rispettivi tessuti biologici.

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Al giorno d'oggi le molle in commercio più utilizzate sono sicuramente quelle in acciaio, ciò è dovuto al fatto che la loro realizzazione è sicuramente la più semplice, in quanto si può automatizzare, ed economica. In applicazioni speciali però non ci si limita al solo utilizzo di molle in acciaio ma da tempo si sono trovate soluzioni alternative quali per esempio le molle in titanio che permettono di avere una riduzione di peso notevole a parità di caratteristiche meccaniche con il particolare svantaggio del costo molto elevato che richiedono per la loro realizzazione. Negli ultimi anni però, sopratutto nell'ambito dei veicoli leggeri, si è cercato di creare molle ancora più leggere utilizzando materiali composito: ciò si è reso necessario, ad esempio nel caso dell'automotive, in quanto la riduzione di peso dei componenti utilizzati genera un effetto benefico sui consumi delle vetture e quindi anche sulle loro emissioni, fattore che sta diventando sempre più importante in virtù delle politiche addottate atte alla riduzione di inquinanti emessi in atmosfera. Le molle in composito più utilizzate sono sicuramente quelle in fibra di vetro, più semplici da realizzare ma diversi studi dimostrano come la fibra di carbonio sia più efficiente dal punto di vista delle proprietà meccaniche. In questo elaborato quindi si va a studiare una soluzione alternativa alle molle in acciaio tradizionali e alle molle in titanio andando a studiare una molla in composito con fibra di carbonio, partendo dal dimensionamento della stessa fino a proporre un metodo di realizzazione della stessa.

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L'espressione del gene MYCN è un importante indicatore della severità del NBL. Poiché il numero di copie di MYCN è un indice grezzo della sua espressione quantificarle utilizzando tecniche come la “fluorescent in situ hybridization” (FISH) può servire a formulare una stima del livello di espressione MYCN [Shapiro 1993]. Tuttavia, l'espressione aberrante di MYCN nel NBL non è sempre associata all'amplificazione genica; pertanto la valutazione diretta del livello di espressione di questo gene sarebbe un miglior indicatore prognostico. Questa tesi è stata sviluppata nell'ambito di un progetto che si propone di realizzare un sensore biomolecolare sintetico per l'identificazione del livello di espressione di MYCN. Di seguito saranno presentati i dettagli relativi alla progettazione della topologia circuitale e all’analisi in silico che sono state condotte per caratterizzare il comportamento dinamico del sistema. Questo lavoro è stato svolto nel laboratorio di Ingegneria Cellulare e Molecolare "S. Cavalcanti", presso la Sede di Cesena del Dipartimento di Ingegneria dell'Energia elettrica e dell'Informazione "Guglielmo Marconi" (DEI) dell’Ateneo di Bologna.