130 resultados para biogas, FORSU, trattamenti enzimatici
Resumo:
Architettura Alla domanda “cosa fa un architetto?” Non sono mai riuscito a dare una risposta soddisfacente ma leggendo gli scritti dei grandi architetti una cosa mi ha affascinato particolarmente: tutti raccontano di come nel progettare ci sia un equilibrio (scontro?) tra le conoscenze, le regole e la personale visione ed esperienza, in cui tutto si libera. Libeskind afferma di aver disegnato, in preda ad illuminazioni, più su tovagliolini da bar che su carta da disegno; Zumthor parla addirittura di momenti in cui si è come in preda ad un effetto di una droga: intuizioni! L’architetto progetta. Architetto come genio, particolarmente sensibile, quasi illuminato. “L’architettura non è per tutti”; mi chiedo allora non solo se esistono leggi, soluzioni o binari capaci di guidare anche chi è privo di tale estro ma se esiste un’Architettura comprensibile a tutti (anche alle generazioni future). Ancora una volta se penso ad un denominatore comune di benessere, una possibile guida, penso alla natura e ai suoi ritmi, un’Architettura che mantenga i legami con essa può forse ricordarci che siamo tutti ricchi. L’Architettura intesa come scoperta e non come invenzione, dunque onesta. Carcere Lo studio di una realtà come il carcere mi ha permesso di pormi numerose domande sul ruolo dell’Archittura, a partire dalla riflessione su ciò che significa e rappresenta il progetto architettonico. Studiando l’evoluzione delle carceri, legate indissolubilmente all’evoluzione del concetto di pena, è possibile dare molte risposte ai quesiti dovuti alle scelte progettuali. (costantemente stimolato dalle frequenti similitudini tra carcere e metropoli). Una contrapposizione dovuta al significato dell’abitare insieme al concetto di “qualità” rapportati al concetto di pena senza dimenticare le indicazioni delle norme di sicurezza. L’ Architettura intesa come ricerca del maggior benessere abitativo credo che debba comunque essere ricercata, anche nello spazio carcerario. Non vi è nessun paradosso se si pensa che lo scopo ultimo dello Stato è di voler reintegrare il detenuto in modo tale che non rappresenti più un pericolo e di conseguenza non gravi mai più sullo Stato stesso (troppo spesso chi è stato in carcere ci rientra dopo poco e per gli stessi motivi). “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”(art.27 Cost.) è da questa consapevolezza che dipende l’organizzazione della forma dello spazio e di tali strutture. Naturalmente il grande limite è imposto nel non creare situazioni di benessere tale da portare lo sprovveduto più disperato a commettere il crimine per poter godere dei servizi del carcere. Per questo motivo penso che una soluzione possa essere la ricerca di un equilibrio tra libertà degli spazi condivisi e i limiti dello spazio privato. A mio avviso tutte le esperienze positive devono avvenire in spazi collettivi insieme non solo agli altri carcerati ma anche con la società stessa (penso al Giardino degli incontri di Michelucci in cui c’è una attività teatrale gestita dagli enti comunali); mentre i limiti della reclusione penso debbano essere rappresentati dalla cella, da sempre momento di riflessione e di scoperta di sé stessi. Il detenuto impara a conoscere la società, impara a rispettarla ed una volta libero è più logico che sia disposto a ricambiare le attenzioni ricevute. La cella invece, deve rappresentare il momento in cui è forte il distacco con la società, in cui la si può guardare senza poterne fare parte: la cella come momento dell’attesa e non come comodo rifugio(seppur rispettando un livello di comfort ideale). Il disagio percepito non è da considerare una pena psicologica (anch’essa da evitare) o come un momento di purificazione (immaginario cristiano della colpa e dell’espiazione) ma più semplicemente come una fase del processo in grado (si spera) di recuperare il detenuto: è il desiderio e la consapevolezza di poter vivere insieme agli altri che porta al reinserimento. Di conseguenza è possibile dare una ulteriore risposta interessante; il carcere dovrà essere connesso alla città in modo tale che sia possibile l’interazione tra i due, inoltre permetterebbe alle persone in semi-libertà o in attesa di giudizio un più consono trattamento. Mettere in relazione città e carcere significa integrarli e completare le reciproche identità.
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This study fits into the context of activities aim at waste bioremediation and valorization through the production of energy according to principles of environmental sustainability. The experimental work was carried out at the laboratories of the Department of Civil Engineering, Environmental and Materials (DICAM) of the Faculty of Engineering. The main objective was to enhance the treatment of high organic loading waste, such as manure and cheese whey, through advanced anaerobic digestion systems in order to obtain biogas rich in methane. On the basis of the premise that the environmental conditions pertaining in most anaerobic wastewater digesters are not optimal for both fermentative and methanogenic microorganisms, the research was particularly focused on the implementation of two-phase anaerobic digesters. In fact a two-phase process permits selection and enrichment of different bacteria in each digester by independently controlling the digester operating conditions. Thus, the first phase (acidogenesis) can be operated to optimize acidogenic growth and the second phase (methanogenesis) to optimize methanogenic growth. (Ince O. , 1998). Before reactors’ set up, , some lab scale experiments were carried out to identify the best manure and whey ratio and the best conditions of temperature, pH, hydraulic retention time of acidogenesis an methanogenic phases.
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Oggigiorno si osserva a livello mondiale un continuo aumento dei consumi di acqua per uso domestico, agricolo ed industriale che dopo l’impiego viene scaricata nei corpi idrici (laghi, fiumi, torrenti, bacini, ecc) con caratteristiche chimico fisiche ed organolettiche completamente alterate, necessitando così di specifici trattamenti di depurazione. Ricerche relative a metodi di controllo della qualità dell’acqua e, soprattutto, a sistemi di purificazione rappresentano pertanto un problema di enorme importanza. I trattamenti tradizionali si sono dimostrati efficienti, ma sono metodi che operano normalmente trasferendo l’inquinante dalla fase acquosa contaminata ad un’altra fase, richiedendo perciò ulteriori processi di depurazione. Recentemente è stata dimostrata l’efficacia di sistemi nano strutturati come TiO2-Fe3O4 ottenuto via sol-gel, nella foto-catalisi di alcuni sistemi organici. Questo lavoro di tesi è rivolto alla sintesi e caratterizzazione di un catalizzatore nanostrutturato composito costituito da un core di Fe3O4 rivestito da un guscio di TiO2 separate da un interstrato inerte di SiO2, da utilizzare nella foto-catalisi di sistemi organici per la depurazione delle acque utilizzando un metodo di sintesi alternativo che prevede un “approccio” di tipo colloidale. Partendo da sospensioni colloidali dei diversi ossidi, presenti in commercio, si è condotta la fase di deposizione layer by layer via spray drying, sfruttando le diverse cariche superficiali dei reagenti. Questo nuovo procedimento permette di abbattere i costi, diminuire i tempi di lavoro ed evitare possibili alterazioni delle proprietà catalitiche della titania, risultando pertanto adatto ad una possibile applicazione su scala industriale. Tale sistema composito consente di coniugare le proprietà foto-catalitiche dell’ossido di titanio con le proprietà magnetiche degli ossidi di ferro permettendo il recupero del catalizzatore a fine processo. Il foto-catalizzatore è stato caratterizzato durante tutte la fasi di preparazione tramite microscopia SEM e TEM, XRF, Acusizer, spettroscopia Raman e misure magnetiche. L’attività foto-calitica è stata valutata con test preliminari utilizzando una molecola target tipo il rosso di metile in fase acquosa. I risultati ottenuti hanno dimostrato che il sistema core-shell presenta inalterate sia le proprietà magnetiche che quelle foto-catalitiche tipiche dei reagenti.
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Nonostante l’oggettiva constatazione dei risultati positivi riscontrati a seguito dei trattamenti radioterapici a cui sono sottoposti i pazienti a cui è stato diagnosticato un tumore, al giorno d’oggi i processi biologici responsabili di tali effetti non sono ancora perfettamente compresi. Inseguendo l’obbiettivo di riuscire a definire tali processi è nata la branca delle scienze biomediche denominata radiobiologia, la quale appunto ha lo scopo di studiare gli effetti provocati dalle radiazioni quando esse interagiscono con un sistema biologico. Di particolare interesse risulta essere lo studio degli effetti dei trattamenti radioterapici nei pazienti con tumore del polmone che rappresentano la principale causa di morte dei paesi industrializzati. Purtroppo per via della scarsa reperibilità di materiale, non è stato finora possibile studiare nel dettaglio gli effetti delle cure radioterapiche nel caso di questo specifico tumore. Grazie alle ricerche di alcuni biologi dell’IRST sono stati creati in-vitro sferoidi composti da cellule staminali e tumorali di polmone, chiamate broncosfere, permettendo così di avere ottimi modelli tridimensionali di tessuto umano allo stato solido su cui eseguire esperimenti al fine di regolare i parametri dei trattamenti radioterapici, al fine di massimizzarne l’effetto di cura. In questo lavoro di Tesi sono state acquisite sequenze di immagini relative a broncosfere sottoposte a differenti tipologie di trattamenti radioterapici. Le immagini acquisite forniscono importanti indicazioni densitomorfometriche che correlate a dati clinoco-biologico potrebbero fornire importanti indicazioni per regolare parametri fondamentali dei trattamenti di cura. Risulta però difficile riuscire a confrontare immagini cellulari di pre e post-trattamento, e poter quindi effettuare delle correlazioni fra modalità di irraggiamento delle cellule e relative caratteristiche morfometriche, in particolare se le immagini non vengono acquisite con medesimi parametri e condizioni di cattura. Inoltre, le dimensioni degli sferoidi cellulari da acquisire risultano essere tipicamente maggiori del parametro depth of focus del sistema e questo implica che non è possibile acquisire una singola immagine completamente a fuoco di essi. Per ovviare a queste problematiche sono state acquisite sequenze di immagini relative allo stesso oggetto ma a diversi piani focali e sono state ricostruite le immagini completamente a fuoco utilizzando algoritmi per l’estensione della profondità di campo. Sono stati quindi formulati due protocolli operativi per fissare i procedimenti legati all’acquisizione di immagini di sferoidi cellulari e renderli ripetibili da più operatori. Il primo prende in esame le metodiche seguite per l’acquisizione di immagini microscopiche di broncosfere per permettere di comparare le immagini ottenute in diverse acquisizioni, con particolare attenzione agli aspetti critici di tale operazione. Il secondo è relativo alla metodica seguita nella archiviazione di tali immagini, seguendo una logica di classificazione basata sul numero di trattamenti subiti dal singolo sferoide. In questo lavoro di Tesi sono stati acquisiti e opportunamente archiviati complessivamente circa 6500 immagini di broncosfere riguardanti un totale di 85 sferoidi. I protocolli elaborati permetteranno di espandere il database contenente le immagini di broncosfere con futuri esperimenti, in modo da disporre di informazioni relative anche ai cambiamenti morfologici subiti dagli sferoidi in seguito a varie tipologie di radiotrattamenti e poter quindi studiare come parametri di frazionamento di dose influenzano la cura. Infine, grazie alle tecniche di elaborazioni delle immagini che stiamo sviluppando sarà inoltre possibile disporre di una ricostruzione della superficie degli sferoidi in tempo reale durante l’acquisizione.
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La Tomografia Computerizzata (TC) perfusionale rappresenta attualmente una importante tecnica di imaging radiologico in grado di fornire indicatori funzionali di natura emodinamica relativi alla vascolarizzazione dei tessuti investigati. Le moderne macchine TC consentono di effettuare analisi funzionali ad una elevata risoluzione spaziale e temporale, provvedendo ad una caratterizzazione più accurata di zone di interesse clinico attraverso l’analisi dinamica della concentrazione di un mezzo di contrasto, con dosi contenute per il paziente. Tale tecnica permette potenzialmente di effettuare una valutazione precoce dell’efficacia di trattamenti antitumorali, prima ancora che vengano osservate variazioni morfologiche delle masse tumorali, con evidenti benefici prognostici. I principali problemi aperti in questo campo riguardano la standardizzazione dei protocolli di acquisizione e di elaborazione delle sequenze perfusionali, al fine di una validazione accurata e consistente degli indicatori funzionali nella pratica clinica. Differenti modelli matematici sono proposti in letteratura al fine di determinare parametri di interesse funzionale a partire dall’analisi del profilo dinamico del mezzo di contrasto in differenti tessuti. Questa tesi si propone di studiare, attraverso l’analisi e l’elaborazione di sequenze di immagini derivanti da TC assiale perfusionale, due importanti modelli matematici di stima della perfusione. In particolare, vengono presentati ed analizzati il modello del massimo gradiente ed il modello deconvoluzionale, evidenziandone tramite opportune simulazioni le particolarità e le criticità con riferimento agli artefatti più importanti che influenzano il protocollo perfusionale. Inoltre, i risultati ottenuti dall’analisi di casi reali riguardanti esami perfusionali epatici e polmonari sono discussi al fine di valutare la consistenza delle misure quantitative ottenute tramite i due metodi con le considerazioni di natura clinica proposte dal radiologo.
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Il Cor-Ten è un acciaio micro-legato, detto anche acciaio patinabile, che garantisce una buona resistenza alla corrosione da agenti atmosferici. Proprio grazie a questa sua peculiare caratteristica sta conoscendo un vasto impiego in particolare nel campo dell’edilizia e delle infrastrutture. La corrosione infatti interessa tutti i settori produttivi e non, provocando ingenti danni economici. Stime effettuate negli ultimi 40anni da diversi enti internazionali indicano che l’entità di questi danni, pur variando da settore a settore, risulta compresa per i paesi industrializzati tra il 3 e il 4% del PIL. Da questi dati si evince la necessità di proteggere i materiali dalla corrosione; in genere per questo scopo si ricorre a trattamenti superficiali o a rivestimenti protettivi. Queste tecniche non rappresentano però l’unica strada, è possibile infatti agire sulla composizione della lega, come nel caso del Cor-Ten, in modo che l’interazione metallo-ambiente porti alla formazione di una patina protettiva di prodotti di corrosione relativamente stabili. La formazione di questo strato, cosiddetto passivante, protegge il metallo da un’ulteriore attacco corrosivo. Scopo di questo lavoro di tesi è studiare il comportamento di questo materiale in ambiente urbano-costiero in tre differenti stati di finitura in cui è commercialmente disponibile: grezzo, pre-patinato e pre-patinato cerato, focalizzando l’attenzione sugli aspetti ambientali legati al suo utilizzo e cercando di valutare in particolare il rilascio dei metalli di lega nell’ambiente, aspetto fino ad ora non considerato in letteratura. I risultati ottenuti indicano che sembrerebbe preferibile l’utilizzo del materiale grezzo rispetto ai pre-patinati, almeno per quanto riguarda il rilascio di metalli in ambiente. Sulla base dei risultati ottenuti è possibile fornire una stima, per i tre stati di finitura di Cor-Ten A considerati, del quantitativo totale (solubile + estraibile) dei metalli rilasciati in ambiente nei sette mesi di esposizione durante la stagione primaverile-estiva della sperimentazione condotta in questo studio. La quantità rilasciata stimata per il Fe oscilla tra i 0,5 g/m2 per i provini light e i 0,7 g/m2 per i provini dark e grezzi, per il Ni il range è compreso tra i 3,6 mg/m2 dei provini grezzi e i 5 mg/m2 per i light, nel caso del Mn il quantitativo varia dai 6,8 mg/m2 per i light ai 10 mg/m2 per i grezzi. Per il Cr la stima per i provini pre-patinati è simile e si attesta intorno a 1,7 mg/m2, risultando minore (anche se in maniera non rilevate) per i grezzi.
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Riconoscere un gesto, tracciarlo ed identificarlo è una operazione complessa ed articolata. Negli ultimi anni, con l’avvento massivo di interfacce interattive sempre più sofisticate, si sono ampliati gli approcci nell’interazione tra uomo e macchina. L’obiettivo comune, è quello di avere una comunicazione “trasparente” tra l’utente e il computer, il quale, deve interpretare gesti umani tramite algoritmi matematici. Il riconoscimento di gesti è un modo per iniziare a comprendere il linguaggio del corpo umano da parte della macchina. Questa disciplina, studia nuovi modi di interazione tra questi due elementi e si compone di due macro obiettivi : (a) tracciare i movimenti di un particolare arto; (b) riconoscere tale tracciato come un gesto identificativo. Ognuno di questi due punti, racchiude in sé moltissimi ambiti di ricerca perché moltissimi sono gli approcci proposti negli anni. Non si tratta di semplice cattura dell’immagine, è necessario creare un supporto, a volte molto articolato, nel quale i dati grezzi provenienti dalla fotocamera, necessitano di filtraggi avanzati e trattamenti algoritmici, in modo tale da trasformare informazioni grezze, in dati utilizzabili ed affidabili. La tecnologia riguardo la gesture recognition è rilevante come l’introduzione delle interfacce tattili sui telefoni intelligenti. L’industria oggi ha iniziato a produrre dispositivi in grado di offrire una nuova esperienza, la più naturale possibile, agli utenti. Dal videogioco, all’esperienza televisiva gestita con dei piccoli gesti, all’ambito biomedicale, si sta introducendo una nuova generazione di dispositivi i cui impieghi sono innumerevoli e, per ogni ambito applicativo, è necessario studiare al meglio le peculiarità, in modo tale da produrre un qualcosa di nuovo ed efficace. Questo lavoro di tesi ha l’obiettivo di apportare un contributo a questa disciplina. Ad oggi, moltissime applicazioni e dispositivi associati, si pongono l’obiettivo di catturare movimenti ampi: il gesto viene eseguito con la maggior parte del corpo e occupa una posizione spaziale rilevante. Questa tesi vuole proporre invece un approccio, nel quale i movimenti da seguire e riconoscere sono fatti “nel piccolo”. Si avrà a che fare con gesti classificati fini, dove i movimenti delle mani sono compiuti davanti al corpo, nella zona del torace, ad esempio. Gli ambiti applicativi sono molti, in questo lavoro si è scelto ed adottato l’ambito artigianale.
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Nel corso del tirocinio di tesi si sono studiate nuove metodologie per la produzione di enzimi idrolitici per matrici lignocellulosiche vegetali di scarto. In primis è stato valutato un nuovo metodo di produzione enzimatica utilizzando il fungo basidiomicete Pleurotus ostreatus all’interno di un fermentatore in stato solido (SSF) movimentando periodicamente il substrato mediante un'estrusione meccanica e confrontando i risultati con esperimenti analoghi ma privi di estrusione. In seguito si è valutata l’attività enzimatica prodotta dal fungo Agaricus bisporus (il comune Champignons) cresciuto tramite una fermentazione in stato solido priva di qualsiasi movimentazione. Infine gli estratti enzimatici ricavati dalle prove precedenti sono stati utilizzati allo scopo di idrolizzare matrici vegetali di scarto provenienti dall’industria cerealicola e viti-vinicola. I risultati del lavoro risultano promettenti e si osserva come sia gli estratti ricavati da fermentazioni su stato solido dinamiche (con Pleurotus) che quelle su stato solido statiche (con Agaricus) sono in grado di favorire l’idrolisi e la degradazione delle matrici vegetali favorendo la fuoriuscita di componenti di interesse come zuccheri riducenti e polifenoli.
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Diversi studi presenti in letteratura hanno messo in evidenza come il sistema di filtrazione di un olio extravergine di oliva rivesta un ruolo importante per una corretta conservazione del prodotto nel tempo; contestualmente, l’applicazione di metodi tradizionali di trattamento comporta la diminuzione di alcuni componenti minori: oltre all’allontanamento dei composti in sospensione, che concorrono a fornire l’aspetto torbido all’olio non trattato, viene allontanata acqua micro dispersa, che ha l’importante compito di solubilizzare molecole dotate di una certa polarità, principalmente fenoliche che, come noto, risultano indispensabili per la stabilità ossidativa e giocano un ruolo chiave nell’impartire all’olio extravergine di oliva alcune note sensoriali peculiari, quali l’amaro ed il piccante, percepibili in fase gustativa. Lo scopo di questo progetto sperimentale è stato di valutare la qualità chimica e sensoriale di tre oli extra vergini di oliva sottoposti ad un sistema brevettato di illimpidimento, basato sul passaggio di un flusso di gas inerte, quale l’argon, nella massa di olio d'oliva. Questo metodo può rappresentare una valida alternativa ai trattamenti tradizionali e per questo è indispensabile valutarne i punti di forza e di debolezza in relazione all’effettiva possibilità di impiego nella produzione industriale. Per questa finalità, il sistema brevettato dall'Università di Bologna e dalla Sapio (una società privata che fornisce il gas per i settori industriali e della ricerca) è stato applicato a un lotto di 50 L di ciascun olio dopo la sua produzione mediante mini-frantoio. I campioni, sia trattati che controllo, sono stati imbottigliati e conservati a temperatura ambiente e mantenuti al buio prima dell'analisi. Dopo quattro mesi di conservazione, sono stati valutati gli indici di qualità di base, tra cui acidità libera, numero di perossidi, assorbimento specifico nella zona dei dieni e trieni coniugati e il profilo sensoriale. Inoltre è stata valutata la stabilità ossidativa in condizioni forzate, il profilo dei composti maggioritari (acidi grassi) e dei composti minori (tocoferoli, fenoli, volatili, acqua). I risultati sono stati utilizzati per la comparazione della qualità complessiva degli oli extravergini di oliva sottoposti a chiarifica con sistema brevettato rispetto a quelli non trattati, permettendo una valutazione dell’effetto del nuovo sistema sulle caratteristiche chimiche e sensoriali del prodotto.
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Negli ultimi 50 anni il mercato alimentare è stato caratterizzato da profondi cambiamenti influenzati soprattutto da evoluzioni sociali e da notevoli mutamenti delle abitudini alimentari (Riquelme et al., 1994). La costante diffusione dei grandi supermarket ed il recente interesse verso la salute e l’ambiente, nonché la modifica dello stile di vita da parte del consumatore, hanno portato le industrie alimentari a sviluppare nuovi metodi di conservazione e di distribuzione e tipologie di prodotti innovative, come i prodotti ortofrutticoli minimamente trasformati. La perdita di qualità dei prodotti ortofrutticoli minimamente trasformati è il risultato di complessi meccanismi chimici e biochimici che si traducono macroscopicamente in modificazioni a carico del colore, delle texture e delle caratteristiche organolettiche (Mencarelli & Massantini, 1994). A fronte dei suddetti fenomeni degradativi, in un contesto di incrementale aumento della domanda dei prodotti freschi, sani, ad elevata convenience e senza additivi chimici (Day, 2002) l’introduzione delle atmosfere protettive per la conservazione degli alimenti è risultata strategica per prolungare la shelf-life ed il mantenimento qualitativo dei prodotti freschi (Jeyas & Jeyamkondan, 2002). Le attuali tecnologie disponibili per le industrie alimentari permettono l’applicazione di condizioni di atmosfera modificata sia in fase di stoccaggio di prodotti ortofrutticoli sia in fase di condizionamento. Il primo obiettivo è generalmente la parziale rimozione dell’O2 e l’aumento dei livelli di CO2 nell’ambiente circostante il prodotto. Oltre ai gas usati tradizionalmente per la realizzazione delle atmosfere modificate, quali N2 e CO2, recentemente è aumentato l’interesse verso i potenziali effetti benefici di nuovi gas, quali argon (Ar) e protossido d’azoto (N2O). Questi ultimi, ora permessi in Europa per uso alimentare, sono risultati efficaci nell’inibizione della crescita microbica e delle reazioni enzimatiche degradative, a carico soprattutto del colore e della consistenza dei vegetali minimamente processati (Spencer, 1995; Kader et al., 1989; Watada et al., 1996). Premesso questo, in tale lavoro di tesi è stata effettuata una ricerca sugli effetti di N2, N2O e Ar e di differenti trattamenti ad immersione, noti come dipping (con acido ascorbico, acido citrico e cloruro di calcio), sul metabolismo di prodotti ortofrutticoli. In particolare, per ciò che concerne la parte sperimentale, gli obiettivi principali sono stati quelli di approfondire le potenzialità di tali gas e dipping nel mantenimento qualitativo (colore, consistenza, metabolismo respiratorio) e di verificare l’efficacia di interventi combinati di dipping e MAP (atmosfera modificata) nel prolungamento della shelf-life del prodotto. Questa sperimentazione è stata effettuata su due varietà di lattuga: una da cespo (Iceberg) e una da taglio (Lattughino).
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Negli ultimi decenni le nuove scoperte mediche e il miglioramento dello stile di vita nei paesi occidentali hanno determinato un aumento del consumo di sostanze terapeutiche, nonché della gamma di prodotti farmaceutici e parafarmaceutici comunemente utilizzati. Gli studi di cinetica dei farmaci dimostrano con certezza che essi, seppur metabolizzati, mantengono inalterato il loro potere d’azione, rimanendo biodisponibili anche una volta escreti dall’organismo. A causa della loro eccessiva polarità tali molecole sono inoltre difficilmente trattenute dai convenzionali impianti di depurazione dei reflui urbani, dai quali confluiscono inevitabilmente verso le acque fluviali e/o costiere le quali risultano. In ragione di ciò, la valutazione degli effetti che la loro presenza può provocare sulla qualità dei sistemi di approvigionamento idrico e sulla biologia delle specie tipiche degli ecosistemi acquatici, ha classificato tali composti come una nuova classe di inquinanti emergenti, il cui impatto ambientale non risulta ancora del tutto arginato attraverso adeguate contromisure legislative. I farmaci sono sostanze bioattive progettate per avere effetti specifici a bassissime concentrazioni negli organismi target attraverso specifici meccanismi d’azione. Nel caso in cui i bersagli cellulari su cui agiscono siano evolutivamente conservati negli organismi non target, essi possono esercitare le proprie funzioni attraverso i medesimi meccanismi di regolazione fisiologica attivati nelle specie target, dando origine a effetti specifici, o anche aspecifici, nel caso in cui tali bersagli siano deputati alla regolazioni di funzioni differenti. Pertanto lo scopo del presente lavoro di tesi è stato quello di analizzare le possibili alterazioni di carattere fisiologico in individui di mitilo mediterraneo (Mytilus galloprovincialis) esposti a concentrazioni ambientali di fluoxetina, farmaco antidepressivo appartenente alla classe degli inibitori selettivi del riassorbimento presinaptico della serotonina (SSRI). Più nel dettaglio, a seguito di un’esposizione per 7 giorni a dosaggi compresi tra 0.03 e 300 ng/L di FX, sono stati analizzati i livelli intracellulari di AMPc e l’attività dell’enzima PKA nei diversi trattamenti sperimentali effettuati. Inoltre sono stati valutati i livelli di espressione genica del recettore serotoninergico 5HTmyt1 e della la P-glicoproteina (Pgp, gene ABCB1), trasportatore di membrana responsabile del sistema di detossificazione noto come Multi-xenobiotic resistance (MXR). Nella ghiandola digestiva, la FX causa una diminuzione statisticamente significativa dei livelli di AMPc, dell’attività della PKA e dell’espressione del gene ABCB1 rispetto al controllo. Al contrario nel mantello il farmaco non produce alterazioni dei livelli intracellulari di AMPc e dell’attività della PKA mentre si apprezza una sottoespressione del gene ABCB1 nei trattamenti a dosaggi intermedi. In entrambi i tessuti si nota un aumento dell’espressione genica di 5HTmyt1 alle minori concentrazioni di FX, mentre ai dosaggi più alti non si registrano alterazioni significative rispetto al controllo. Nel loro insieme i risultati indicano che nei mitili, concentrazioni ambientali di FX producono significative alterazioni di diversi parametri fisiologici attraverso una modulazione specifica dei medesimi bersagli molecolari coinvolti nella terapia umana. La riduzione dei livelli di AMPc/PKA apprezzata nella ghiandola digestiva risulta in linea con la funzione inibitoria svolta dal recettore 5HTmyt1 su tale via di trasduzione, mentre l’assenza di variazioni significative registrata nel mantello supporta l’ipotesi di un’interazione tra il sistema serotoninergico e catecolaminergico nella regolazione dei processi legati al ciclo riproduttivo che si verificano in tale tessuto. In conclusione, i dati dimostrano che l’espressione del gene codificante la proteina Pgp è regolata dalla FX attraverso uno specifico meccanismo d'azione AMPc-dipendente modulato dalla serotonina; tuttavia, è ipotizzabile anche un effetto non specifico indotto dalla FX stessa, per esempio attraverso l’induzione di stress ossidativo. Inoltre essi evidenziano la presenza di un meccanismo di regolazione retroattivo sulla espressione dei recettori 5HTmyt1 in funzione delle concentrazioni extracellulari di serotonina modulate dall’azione della FX.
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La distribuzione delle Terre Rare (REE) nell’ambiente deriva da una serie di processi interagenti all’interno di un sistema dinamico che include il ciclo idrologico, attività geologiche, fisiche – chimiche (weathering), fenomeni atmosferici e attività umane. Queste contribuiscono alla dispersione superficiale di tutti gli elementi e in particolare di quelli in traccia tra cui i lantanidi (La, Ce, Pr, Nd, Pm, Sm, Eu, Gd, Tb, Dy, Tm, Ho, Er, Yb e Lu) che si ritrovano un po’ ovunque in tutte le matrici, frazionate in modo diverso. L’acqua destinata al consumo alimentare è una di queste. Prelevata di solito da acquiferi profondi, superficiali o da pozzi posti in differenti contesti litologici, può essere soggetta a modifiche importanti delle proprietà fisiche-chimiche e microbiologiche. Più acque minerali relative a marche differenti e conservate in bottiglie di vetro e PET messe a confronto, hanno dimostrato che il vetro è in grado di rilasciare numerosi elementi in funzione della tipologia di acqua contenuta, del tipo di vetro (chiaro o colorato) e delle condizioni predisponenti il rilascio (proprietà intrinseche dell’elemento, fattori esterni quali fonti di calore, ecc.). Terre rare come Ce, La, Pr, Nd, Sm, Eu, Er, Dy, Y e Sc possono essere ceduti in modo differenziale nell’acqua delle bottiglie. In più casi l’arricchimento è evidenziato da acque nelle quali è stata aggiunta anidride carbonica, mentre non si notano cambiamenti eccessivi nel corrispettive naturali. Per i contenitori in PET si registra un marcato rilascio di antimonio (Sb), ampiamente usato sotto forma di triossido di antimonio nel ciclo produttivo delle plastiche. Rispetto alle acque minerali, quelle di rubinetto soffrono gli effetti dei trattamenti di potabilizzazione e dell’interazione con il sistema di distribuzione idrico. La distribuzione dei lantanidi è influenzata dalle condizioni redox (particolarmente per Ce, ed Eu) e dalla relativa capacità di essere complessati e, quindi, mobilizzati in maniera differente. Nonostante il forte impatto delle attività umane, i valori anomali di alcuni (Gd, Nd) sono nell’ordine dei ng/L, come del resto per tutti gli altri e non costituiscono un pericolo per la salute umana. Al fattore geogenico si attribuiscono i tenori maggiori (ΣREE >1000ng/L) riscontrati in Sardegna.
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Il tumore al seno è il più comune tra le donne nel mondo. La radioterapia è comunemente usata dopo la chirurgia per distruggere eventuali cellule maligne rimaste nel volume del seno. Nei trattamenti di radioterapia bisogna cercare di irradiare il volume da curare limitando contemporaneamente la tossicità nei tessuti sani. In clinica i parametri che definiscono il piano di trattamento radioterapeutico sono selezionati manualmente utilizzando un software di simulazione per trattamenti. Questo processo, detto di trial and error, in cui i differenti parametri vengono modificati e il trattamento viene simulato nuovamente e valutato, può richiedere molte iterazioni rendendolo dispendioso in termini di tempo. Lo studio presentato in questa tesi si concentra sulla generazione automatica di piani di trattamento per irradiare l'intero volume del seno utilizzando due fasci approssimativamente opposti e tangenti al paziente. In particolare ci siamo concentrati sulla selezione delle direzioni dei fasci e la posizione dell'isocentro. A questo scopo, è stato investigata l'efficacia di un approccio combinatorio, nel quale sono stati generati un elevato numero di possibili piani di trattamento utilizzando differenti combinazioni delle direzioni dei due fasci. L'intensità del profilo dei fasci viene ottimizzata automaticamente da un algoritmo, chiamato iCycle, sviluppato nel ospedale Erasmus MC di Rotterdam. Inizialmente tra tutti i possibili piani di trattamento generati solo un sottogruppo viene selezionato, avente buone caratteristiche per quel che riguarda l'irraggiamento del volume del seno malato. Dopo di che i piani che mostrano caratteristiche ottimali per la salvaguardia degli organi a rischio (cuore, polmoni e seno controlaterale) vengono considerati. Questi piani di trattamento sono matematicamente equivalenti quindi per selezionare tra questi il piano migliore è stata utilizzata una somma pesata dove i pesi sono stati regolati per ottenere in media piani che abbiano caratteristiche simili ai piani di trattamento approvati in clinica. Questo metodo in confronto al processo manuale oltre a ridurre considerevol-mente il tempo di generazione di un piano di trattamento garantisce anche i piani selezionati abbiano caratteristiche ottimali nel preservare gli organi a rischio. Inizialmente è stato utilizzato l'isocentro scelto in clinica dal tecnico. Nella parte finale dello studio l'importanza dell'isocentro è stata valutata; ne è risultato che almeno per un sottogruppo di pazienti la posizione dell'isocentro può dare un importante contributo alla qualità del piano di trattamento e quindi potrebbe essere un ulteriore parametro da ottimizzare.
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In questo lavoro sono stati sintetizzati dei copolimeri anfifilici random per il trasporto di materiale genetico. Si è partiti dalla sintesi di poli (glicidil metacrilato) mediante tecnica RAFT (Reversible Addition-Fragmentation chain Transfer), con il fine di ottenere un polimero con una distribuzione del peso molecolare ben definita. Il trattamento del polimero con un opportuno nucleofilo fornisce un materiale con caratteristiche differenti da quelle di partenza, con l’ottenimento di un polimero solubile in acqua. Altri trattamenti di funzionalizzazione con gruppi lipofili hanno fornito un materiale (copolimero random) anfifilico in grado di autoassemblarsi in acqua con formazione di micelle. Si è dimostrato che le micelle hanno un’interazione con del materiale genetico. I polimeri sono stati infine funzionalizzati con degli agenti fluorescenti.
Resumo:
Tutte le attività che utilizzano acqua nel ciclo produttivo, inevitabilmente la sporcano, l'acqua che si prende pulita deve essere restituire "pulita". Basta pensare agli scarichi fognari: ognuno di noi prende a casa propria acqua pulita dall'acquedotto e la restituisce alla rete fognaria sporca. Pensiamo allo scarico della lavastoviglie, della lavatrice, della doccia e via di seguito. Gli impianti di depurazione sono quegli impianti che hanno il compito di depurare l'acqua, sia per il rispetto dei corpi ricettori allo scarico, sia per il possibile riutilizzo. Naturalmente le normative regolano la qualità dell'acqua e gli enti di controllo vigilano sul rispetto delle leggi. Ovviamente ogni carico inquinante insieme ai volumi giornalieri e agli spazi a disposizione, impone una scelta tecnica diversa per la depurazione. In un impianto di trattamento inerti, materiale di cava a basso valore di mercato, è importante riutilizzare ogni prodotto ricavato dal processo. Di seguito viene considerato il caso specifico dei limi di lavaggio inerti: “patata bollente” per tutte le aziende e soggetto di numerose discussioni in quanto è un argomento complesso da più punti di vista. Il materiale in esame, denominato “limo da lavaggio inerti”, rappresenta lo scarto della lavorazione degli inerti stessi provenienti dalle cave di ghiaia e sabbia in un impianto di produzione di inerti. Questi impianti eseguono sui materiali di cava le operazioni di macinazione, vagliatura, classificazione, slimatura e recupero dei fini. Dunque l’acqua, che proviene dai processi di macinazione, vagliatura e lavaggio del materiale, trascina con sé impurità di origine organica e argillosa, ma soprattutto finissimi in sospensione: i limi. Essi generano un inquinamento dell’acqua il cui aspetto visibile (la colorazione dell’acqua) è il meno pericoloso, infatti suddette sospensioni, dopo lo scarico delle torbide in fiumi, laghi o mare, generano depositi sulle rive che possono causare deviazioni del corso stesso nel caso dei corsi d’acqua; o ancor più grave la impermeabilizzazione dei terreni attraversati con le relative conseguenze in campo agricolo, e ancora il mancato approvvigionamento delle falde acquifere per l’impossibilità da parte dell’acqua superficiale di penetrare nel terreno. Essa dunque, necessita di trattamenti specifici per separare questi solidi in sospensione e consentirne il suo reimpiego nell’impianto stesso almeno in buona percentuale e di conseguenza la diminuzione di nuova acqua fresca necessaria. Per fortuna l’inquinamento è solo “fisico” e molto si può fare per ridurlo, esistono infatti macchinari specifici per eliminare dall’acqua gli elementi inquinanti e restituirla (quasi) limpida.