586 resultados para sub-Laplaciano gruppi di tipo H unique continuation principio di indeterminazione


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In uno scenario in cui il tema dell’emergenza abitativa recita un ruolo da protagonista nelle politiche europee per la casa, il recupero del patrimonio edilizio esistente si pone come una delle strategie più efficaci per rispondere alla problematica dell’abitare sociale. Nel contesto di grave crisi economica ed emergenza energetica che caratterizza la società contemporanea, il valore del retrorfit sta rapidamente trasformando l’approccio progettuale tradizionale, definendo un concetto basilare per la sostenibilità del domani: “fare meglio con meno”. L’oggetto di questa tesi è la riqualificazione energetica e funzionale di un edificio popolare situato a Bologna, nel quartiere Navile, zona Bolognina. Il fabbricato si innesta in un isolato a corte che contraddistingue questa zona, caratterizzato da una pianta ad “L” e da sistemi costruttivi tipici della ricostruzione del primo periodo del secondo dopoguerra. L’ipotesi presentata è il risultato dell’interazione di strategie progettuali mirate alla risoluzione delle problematiche di tipo funzionale ed energetico che affliggono il complesso. L’intervento è caratterizzato dall’ampio impiego di tecnologie leggere a “secco”, utilizzate sia per l’integrazione dell’edificio con aggiunte volumetriche, che per la realizzazioni di elementi progettuali ex-novo.

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Nel volume vengono proposte delle strategie di riqualificazione dell’edificio in via W. Goethe con numero civico 2-10 a Corticella zona Navile. L’edificio fa parte del quartiere PEEP realizzato a partire dagli anni ‘70 circa. L’intera area ricopre una superficie pari a 220.000 m2 di cui edificata 38.000 m2. Della superficie edificata ben 30.400 m2 è stata destinata al residenziale. A seguito delle evoluzioni economiche e sociali e alle restrizioni sempre più severe della normativa, il quartiere ha mostrato delle carenze e delle criticità: – Scarse prestazioni energetiche degli edifici con elevati costi di esercizio; – Inadeguata risposta alle azioni sismiche; – Tagli di alloggi non in grado di soddisfare l’odierna domanda; – Mancanza di efficaci spazi pubblici e di relazione; – Inefficace connessione urbana ai maggiori poli attrattivi e di circolazione. Come primo obbiettivo è stato affrontato il problema della mancanza di connessioni ciclopedonali adeguate al territorio di Corticella. Vi sono infatti alcune aree di nodale importanza che sono sprovviste di questi collegamenti rendendo difficoltoso il link tra i punti attrattivi fondamentali di Corticella e il nostro quartiere. Il progetto intende migliorare questo tipo di servizio in linea con il progetto “bike sharing & ride” promosso dalla Regione Emilia Romagna al fine di incentivare e promuovere la mobilità. Seguono poi gli interventi volti a risolvere le problematiche riscontrate nell’edificio. Interventi atti a riportare l’edificio in una condizione tale da renderlo adeguato alle necessità attuali e in grado di svolgere la sua funzione per gli anni a venire. Si tratta di strategie tecniche e parallelamente di strategie energetiche, con l’obbiettivo di definire spazi confortevoli all’interno degli alloggi. A tale fine sono state realizzate anche valutazioni sull’illuminazione naturale degli ambienti interni per valutare l’efficacia o meno del sistema utilizzato.

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Il progetto di tesi elaborato tratta uno dei temi più attuali nell’ambito architettonico, l’efficienza energetica degli edifici. La tesi, sviluppata all’interno del Laboratorio di Laurea in Architettura Sostenibile, tratta un caso peculiare, in quanto riguarda il recupero di un’opera incompiuta, un comparto di 24 alloggi di Social Housing situato nella città di Rovigo. Il proprietario dell’impianto, l’ente pubblico per l’edilizia sociale ATER, ha posto delle direttive qualitative e quantitative per portare a compimento l’opera. Preso atto di queste disposizioni, e a seguito di accurate analisi di tipo tecnico, morfologico e demografico, sono state definite accurate strategie progettuali, riguardanti la definizione di alloggi idonei alla richiesta dell’ente e alla conformazione demografica della città, il recupero della preesistenza e lo sviluppo di una architettura energicamente efficiente.

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Questo lavoro si è posto l’obiettivo di valutare come differenti qualità di pellet di legno, in accordo con la norma EN 14961-2, e la diversa potenza termica di una moderna stufa domestica influenzino le relative emissioni prodotte. La norma EN 14961-2 prevede una serie di proprietà per il pellet di legno con valori caratteristici per ogni classe di qualità, A1, A2 e B. Per simulare le condizioni cui sono sottoposte le emissioni in aria ambiente, il campionamento del particolato è stato effettuato per mezzo di un tunnel di diluizione. Per valutare e confrontare le emissioni prodotte della stufa a pellet, i dati ottenuti sono stati espressi come fattori di emissione cioè il rapporto tra la quantità di inquinante emesso e i MJ sviluppati dalla combustione. Dallo studio emerge che il pellet di più scarsa qualità mostra emissioni maggiori di CO, NOx, PM, ioni solubili, e la formazione di IPA con alta tossicità: questo implica un maggior impatto sulla salute dell’uomo e sull’ambiente. Inoltre la combustione di pellet di bassa qualità di tipo B causa frequenti problemi di combustione dovuti all’alta percentuale di ceneri, portando a maggiori emissioni di prodotti da combustione incompleta (TC, IPA, PM). La maggior potenza di funzionamento della stufa limita l’emissione di prodotti di combustione incompleta, TC, CO, PM e IPA, ma aumenta la tossicità di quest’ultimi.

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Questo elaborato si concentra sullo studio della trasformata di Fourier e della trasformata Wavelet. Nella prima parte della tesi si analizzano gli aspetti fondamentali della trasformata di Fourier. Si definisce poi la trasformata di Fourier su gruppi abeliani finiti, richiamando opportunamente la struttura di tali gruppi. Si mostra che calcolare la trasformata di Fourier nel quoziente richiede un minor numero di operazioni rispetto a calcolarla direttamente nel gruppo di partenza. L'ultima parte dell'elaborato si occupa dello studio delle Wavelet, dette ondine. Viene presentato quindi il sistema di Haar che permette di definire una funzione come serie di funzioni di Haar in alternativa alla serie di Fourier. Si propone poi un vero e proprio metodo per la costruzione delle ondine e si osserva che tale costruzione è strettamente legata all'analisi multirisoluzione. Un ruolo cruciale viene svolto dall'identità di scala, un'identità algebrica che permette di definire certi coefficienti che determinano completamente le ondine. Interviene poi la trasformata di Fourier che riduce la ricerca dei coefficienti sopra citati, alla ricerca di certe funzioni opportune che determinano esplicitamente le Wavelet. Non tutte le scelte di queste funzioni sono accettabili. Ci sono vari approcci, qui viene presentato l'approccio di Ingrid Daubechies. Le Wavelet costituiscono basi per lo spazio di funzioni a quadrato sommabile e sono particolarmente interessanti per la decomposizione dei segnali. Sono quindi in relazione con l'analisi armonica e sono adottate in un gran numero di applicazioni. Spesso sostituiscono la trasformata di Fourier convenzionale.

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Il tema centrale di questa tesi è lo studio del problema di Dirichlet per il Laplaciano in R^2 usando le serie di Fourier. Il problema di Dirichlet per il Laplaciano consiste nel determinare una funzione f armonica e regolare in un dominio limitato D quando sono noti i valori che f assume sul suo bordo. Ammette una sola soluzione, ma non esistono criteri generali per ricavarla. In questa tesi si mostra come la formula integrale di Poisson, sotto determinate condizioni, risolva il problema di Dirichlet in R^2 e in R^n.

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In questo progetto di tesi si è cercato il modo di rendere più efficace la resistenza dei materiali plastici alla fotodegradazione indotta dai raggi ultravioletti, attraverso l’utilizzo di coatings ibridi organici-inorganici preparati utilizzando il processo sol-gel. Tali rivestimenti in grado di migliorare la resistenza superficiale potrebbero essere applicati a diversi materiali ed in particolare ai policarbonati che per le loro eccellenti proprietà di trasparenza vengono molto utilizzati in illuminotecnica ed altre applicazioni per l’esterno. In particolare il lavoro ha riguardato lo studio e l’utilizzo di due assorbitori UV di tipo fenolico, il 2,2’-diidrossi-4-metossibenzofenone e il 2,2’,4,4’-tetraidrossibenzofenone. Si è provato a non collocare semplicemente tali assorbitori all’interno del coating sol-gel ma a legarli covalentemente al network tridimensionale di silani auspicando una migliore resistenza alla fotodegradazione UV-indotta. Il nostro interesse si è concentrato soprattutto sul 2,2’,4,4’-tetraidrossibenzofenone, in quanto abbiamo visto che una sua funzionalizzazione rispetto all’altro assorbitore UV risulta più semplice ed efficace.

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L’elaborato affronta i temi dello sviluppo sostenibile, dell’affrancamento dalle risorse fossili e della produzione di energetica capillare. Nell’ambito di un progetto di ricerca mirato allo sviluppo di un gassificatore downdraft di tipo Imbert da 20kWe alimentato a legno cippato, viene qui presentato l’avviamento della campagna sperimentale su un impianto pilota. Particolare attenzione viene rivolta alla biomassa e ai prodotti di gassificazione (char, tar e syngas), le cui caratterizzazioni hanno contribuito all’evoluzione impiantistica e protocollare, interamente descritte nel testo.

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Oggi il mercato mondiale dell'anidride maleica (AM) è in continua espansione grazie ad un numero sempre crescente di applicazioni finali e sviluppo di nuove tecnologie industriali. La AM viene impiegata nella produzione di resine poliestere insature e resine alchidiche e nella produzione di chemicals a più alto valore aggiunto. Il processo di sintesi è tutt’ora basato sull'ossidazione selettiva del benzene e del n-butano. Con l’aumento delle emissione di gas serra, legate all’impiego di materie di origine fossile e la loro continua diminuzione, si stanno studiando nuovi processi basati su materie derivanti da fonti rinnovali. Tra i vari processi studiati vi è quello per la sintesi di AM, i quali utilizzano come molecola di furfurale, 5-idrossimetilfurfurale e 1-butanolo; tutte queste presentano però il problema di un costo superiore rispetto alle molecole tutt’ora usate. Ad oggi una delle molecole ottenibili da fonti rinnovabili avente un costo competitivo alle materie derivanti da fonti fossili è il bio-etanolo. Essendo nota la possibilità di trasformare dell’etanolo in composti a 4 atomi di carbonio (C4) come 1-butanolo (reazione di Guerbet) e in 1,3- butadiene (processo Lebedev) su ossidi misti Mg/Si e la loro trasformazioni in AM, è’ dunque possibile ipotizzare un processo operante in fase gas che accoppi entrambi i processi. Lo scopo di questo lavoro di tesi è stato quello di effettuare uno studio su sistemi catalitici mediante differenti approcci impiantistici. Il primo ha previsto l’impiego di un sistema detto “a cascata” nel quale è stato accoppiato il sistema misto a base di Mg/Si/O, per la trasformazione dell’etanolo a C4, e il pirofosfato di vanadile (VPP), per l’ossidazione selettiva di quest’ultimi in AM. Il secondo approccio ha previsto l’impiego di un unico sistema multifunzionale in grado di catalizzare tutti gli step necessari. In quest’ultimo caso, i sistemi studiati sono stati il Mg2P2O7 ed un sistema costituito da VPP DuPont sul quale è stato depositato MgO. I catalizzatori sono stati caratterizzati mediante diffrattometria a raggi X, spettroscopia Raman e analisi dell’area superficiale mediante metodo BET, mentre i test catalitici sono stati condotti su un impianto di laboratorio con un reattore assimilabile ad un modello di tipo PFR.

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Le fuel cells sono considerate una delle tecnologie più promettenti nel campo della conversione di energia elettrica. Le motivazioni principali alla base dello sviluppo delle fuel cells sono varie, quali la continua e drammatica diminuzione dei combustibili fossili e le conseguenze del consumo degli stessi sull’ambiente. Sistemi analoghi possono essere utilizzati per conservare l’energia attraverso la produzione di H2 per mezzo dell’elettrolisi dell’H2O in elettrolizzatori. I sistemi peroskitici LaMO3 sono utilizzati come elettrodi e come elettroliti. Particolare interesse rivestono in questo ambito i sistemi LaSrFe. in questo lavoro sono state studiate le condizioni sperimentali per la produzione di uno strato a base di LaSrFe attraverso la precipitazione di idrossidi assistita per via elettrochimica su un supporto conduttore al fine di produrre uno strato LaSrFeO3 tipo perosvkitico. Sono state analizzate le condizioni di reazione in condizione galvano statiche in funzione della corrente, dei tempi di sintesi e della soluzione delle specie generatrici di basi. Questi parametri determinano potenziale e pH della soluzione in prossimità dell’elettrodo e sono fondamentali per il controllo della precipitazione e della deposizione.

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Lo scopo di questo elaborato di tesi è sintetizzare microcapsule di dimensioni non superiori ai 20 micron, contenenti un composto termocromico in modo da funzionare come indicatori di temperatura. Le capsule devono essere quindi in grado di variare la propria colorazione in funzione della temperatura del mezzo in cui sono disperse o dell’ambiente circostante, senza degradarsi. Il core è costituito da una miscela contenente un pigmento termocromico il cui colore varia da verde intenso se mantenuto a temperature ambiente, fino ad un verde pallido, quasi bianco, per temperature inferiori ai 10°C. Il core è stato quindi incapsulato in uno shell, costituito da una resina melammina-formaldeide (MF) mediante polimerizzazione in situ. Questo processo prevede la sintesi di un prepolimero MF che viene poi fatto reticolare in presenza di una emulsione del core in soluzione acquosa. Per prima cosa è stato ottimizzata la sintesi del prepolimero a partire da una soluzione acquosa di melammina e formaldeide. Vista la tossicità della formaldeide (H341-H350-H370) è stata studiata anche la possibilità di sostituire questo reagente con la sua forma polimerica (paraformaldeide) che a 45°C circa degrada rilasciando formaldeide in situ. In questo modo il processo risulta molto più sicuro anche in previsione di un suo possibile sviluppo industriale. In seguito è stato ottimizzato il processo di microincapsulazione in emulsione su vari tipi di core e studiando l’effetto di vari parametri (pH, temperatura, rapporto core/shell, tipo di emulsionante ecc.), sulle dimensioni e la stabilità delle microcapsule finali. Queste sono quindi state caratterizzate mediante spettrometria Infrarossa in trasformata di Fourier (FT-IR) e la loro stabilità termica è stata controllata tramite analisi TermoGravimetrica (TGA). Il processo di reticolazione (curing) della resina, invece, è stato studiato tramite Calorimetria Differenziale a Scansione (DSC). Le microcapsule sono inoltre state analizzate tramite Microscopio Elettronico (OM) e Microscopio Elettronico a Scansione (SEM).

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I movimenti lenti delle colate in terra sono una caratteristica geomorfologica comune nell’Appennino settentrionale e sono uno dei principali agenti di modellazione del paesaggio. Spesso case e piccoli centri abitati sorgono in zone affette da questo tipo di movimento franoso e di conseguenza subiscono danni causati da piccoli spostamenti. In questo lavoro di Tesi vengono presentati i risultati ottenuti dall’interferometria radar ad apertura sintetica (InSAR) mediante elaborazione tramite StaMPS (Stanford Method of Persistent Scatterers), utilizzando la tecnica avanzata Small Baseline Subset (Berardino et al., 2002). Questo metodo informatico è applicato alle acquisizioni rilevate dai satelliti Envisat e COSMO-SkyMed in orbita ascendente e discendente, ottenendo una copertura di dati che va dal 2004 al 2015, oltre ad un rilevamento geologico-geomorfologico in dettaglio eseguito nell’area di studio. Questa tecnica di telerilevamento è estremamente efficace per il monitoraggio dei fenomeni di deformazione millimetrica che persistono sulla superficie terrestre, basata sull'impiego di serie temporali d’immagini radar satellitari (Ferretti et al., 2000). Lo studio è stato realizzato nel paese di Gaggio Montano nell’Appennino bolognese. In questa zona sono stati identificati diversi corpi di frana che si muovono con deformazioni costanti durante il tempo di investigazione e grazie ai risultati ottenuti dai satelliti è possibile confrontare tale risultato. Gli spostamenti misurati con il metodo InSAR sono dello stesso ordine di grandezza dei movimenti registrati dai sondaggi inclinometrici. Le probabili cause dell’instabilità di versante a Gaggio Montano sono di natura antropica, in quanto alti tassi di deformazione sono presenti nelle zone dove sorgono case di recente costruzione e complessi industriali. Un’altra plausibile spiegazione potrebbe essere data dalla ricarica costante d’acqua, proveniente dagli strati dei Flysch verso l’interno del complesso caotico sottostante, tale dinamica causa un aumento della pressione dell’acqua nelle argille e di conseguenza genera condizioni d’instabilità sul versante. Inoltre, i depositi franosi rilevati nell’area di studio non mostrano nessun tipo di variazione dovuta ad influenze idrologiche. Per questo motivo le serie temporali analizzare tendo ad essere abbastanza lineari e costanti nel tempo, non essendo influenzate da cicli stagionali.

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Questa tesi di laurea è uno studio magmatologico, sedimentologico e morfostrutturale dei depositi dell’eruzione del Vesuvio del 1944, con particolare riferimento ai depositi di valanghe ardenti associati ad essa. Lo studio è stato affrontato utilizzando metodologie petrografiche, di chimica dei minerali e geotermo-barometriche al fine di ricavare informazioni sul sistema magmatico e sulla dinamica eruttiva nel corso dell’eruzione. I dati petrochimici e l’utilizzo di modelli geotermo-barometrici, unitamente alle informazioni dalla letteratura, indicano che il fattore di trigger che ha determinato il passaggio dalla iniziale effusione di colate laviche alle successive intense fasi di attività esplosiva ultrastromboliana è rappresentato dalla risalita di magma meno evoluto e più ricco in volatili dalla camera magmatica profonda (11-22 km) verso quella più superficiale (circa 3 km) dove ha interagito con il magma lì presente. Durante queste fasi a maggiore esplosività si è avuto sulla parte sommitale del cono un rapido accumulo di materiale ad elevata temperatura e l’instaurarsi di condizioni di overloading dei fianchi con aumento dell’angolo di pendio e conseguente instabilità. Ciò ha verosimilmente determinato la generazione di flussi di valanghe ardenti per rimobilizzazione sin-deposizionale del materiale piroclastico da caduta, probabilmente in seguito ad eventi sismici come elementi di innesco. I flussi di valanghe ardenti del 1944 sono stati interpretati come flussi granulari secchi, in base ai dati sedimentologici e vulcanologici raccolti nel corso dell’attività di terreno, rendendo possibile l’applicazione dei modelli elaborati da Castioni (2015) per la stima della velocità massima del flusso e degli assi maggiore e minore del deposito corrispondente. Sono state ricavate velocità che variano da un minimo di circa 4 m/s ad un massimo di circa 16 m/s in un range che è tipico di flussi granulari in ambiente vulcanico. Le variazioni della velocità sono state messe in relazione con la morfologia del pendio, il tipo di materiale coinvolto nel processo di rimobilizzazione e l’organizzazione interna del flusso, evidenziando in particolare come le maggiori lunghezze siano raggiunte dai flussi che hanno la possibilità di scorrere su pendii più omogenei e con più ridotte variazioni dell'angolo di pendio. La definizione di valori di velocità per i flussi di valanghe ardenti dell'eruzione del 1994 fornisce un ulteriore elemento utile per la valutazione della pericolosità vulcanica del Vesuvio.

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A partire dal concept ideato dall’ing. Emanuele Gruppioni, ricercatore presso il Centro Protesi stesso, l’obiettivo del lavoro è rappresentato dallo studio di fattibilità, dalla realizzazione e dalla messa in opera della suddetta mano, che presenta come caratteristica peculiare e innovativa un azionamento bilaterale che le consente di essere ambidestra. Questo azionamento è attuato da due cavi posti in ogni dito, che grazie all’azione dei motori inseriti nel palmo vengono riavvolti su delle pulegge consentendo la flessione delle dita in una direzione o nell’altra, in una struttura di mano nella quale non sono quindi individuabili a priori le tipiche ragioni palmare e dorsale. Questo tipo di azionamento in futuro potrebbe essere rielaborato nell’ottica di avere un’unica protesi di mano che possa essere utilizzata sia da pazienti destrimani sia mancini, o, in alternativa, di avere un dispositivo protesico che ampli le funzionalità di presa rispetto alla mano umana.

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Analisi fatte su colate attive, mostrano che per loro natura i lenti movimenti della frana, possono essere accelerati e fluidificati durante estesi o intesi periodi di pioggia. Il meccanismo ampiamente proposto che produce questo tipo di comportamento fluido, è rappresentato dall’aumento della pressione dall’acqua nei pori all’interno del corpo di frana, generando così una parziale o completa liquefazione. Questa transizione solido-liquido è il risultato di una drastica riduzione, in termini di rigidezza meccanica nella zona di terreno liquefatto, il quale può essere potenzialmente rilevata dal monitoraggio della variazione nelle velocità delle onde di taglio (Vs), come dimostrato dalla studio effettuato da Mainsant et al. del 2012. Con questo presupposto in mente, è stata condotta una campagna di monitoraggio durata da maggio a settembre 2015, che attraverso la tecnica d’indagine sismica MASW con metodo attivo-passivo, si è misurato, con cadenza bimestrale, la velocità delle onde di taglio superficiali in vari punti del corpo di frana della colata di Montevecchio (Cesena). Al fine di possedere una conoscenza migliore di suddetta frana, è stato condotto uno studio morfoevolutivo preliminare al periodo di monitoraggio, identificando e definendo così i principali aspetti che caratterizzano la frana. Dai risultati ottenuti dal monitoraggio, si evince che il cambiamento reologico nei terreni fini di frana, possono essere osservato attraverso la variazione delle (Vs), identificando una correlazione diretta tra eventi di precipitazione, con conseguente riattivazione della frana e decrescita delle velocità (Vs), tanto più marcato, quanto maggiore è stato lo spostamento registrato. Il lavoro di tesi condotto conferma quanto detto nello studio di Mainsant et al. del 2012, ponendolo come un valido metodo per predire gli eventi franosi tipo colata.