139 resultados para Robbia, Andrea della, 1435?-1525?


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L’anguilla europea (Anguilla anguilla) è una specie eurialina catadroma, la cui area di riproduzione si trova a grande distanza dall’areale di distribuzione. Presenta un ciclo biologico piuttosto complesso caratterizzato da due metamorfosi: la prima, tipicamente larvale permette al “leptocefalo”, forma larvale marina tipica degli anguilliformi, di trasformarsi in anguilla “ceca”; la seconda, invece, trasforma l’anguilla “gialla” in “argentina” attraverso un processo definito di “argentinizzazione” nel quale si delineano preadattamenti alla maturazione sessuale che sarà completa durante la migrazione riproduttiva verso il Mar dei Sargassi. L’”argentinizzazione” innesca modificazioni fisiologiche (regressione del tratto digestivo), e morfologiche (aumento della massa corporea, ispessimento della pelle, modificazione dell’occhio e nuova pigmentazione). Il colore bruno verdastro con ventre giallo è prerogativa delle anguille in fase trofica, cioè quelle gialle, sessualmente immature. Quelle argentine presentano, invece, una colorazione più scura sul dorso e argenteo sul ventre. Inoltre le anguille argentine vanno incontro a cambiamenti ormonali per adattarsi all’ambiente marino, compiere la lunga migrazione e riprodursi. Per avere a disposizione risorse energetiche anche senza nutrirsi per molti mesi, devono accumulare grandi riserve di cui il 60% è destinato per lo sviluppo delle gonadi. Tuttavia i processi metabolici che consentono alle anguille argentine di effettuare lunghe migrazioni mantenendo un’alta efficienza del nuoto e nel contempo utilizzando limitate risorse, non sono sufficientemente conosciuti. Per fornire nuove informazioni, questo lavoro di tesi ha indagato se vi sia una modificazione del quadro proteico del siero delle anguille argentine rispetto alle gialle, e quali proteine eventualmente risultino sovra- o sotto- espresse in ciascuna delle due fasi del ciclo biologico. A tale fine si è applicata una tecnica innovativa, quale l’analisi proteomica, che permette di identificare in modo sistematico le proteine all’interno di un substrato biologico come iin questo caso il siero. Le anguille gialle ed argentine prese in esame sono state prelevate nelle Valli di Comacchio (FE). La valutazione quantitativa delle proteine, separate tramite elettroforesi bidimensionale su gel di poliacrilamide, si è fondata sull’analisi delle immagini attraverso specifici programmi (Proteomweaver). A tale proposito, si sono confrontati i gel di anguilla gialla ed argentina individuando gli spot corrispondenti alle proteine e quantificandoli. Gli spot differenzialmente espressi sono stati prelevati per essere poi identificati tramite spettrometria di massa (MS/MS), arrivando al riconoscimento di diverse proteine. Tra queste, sono state identificate due diverse isoforme di apolipoproteina, l’una più espressa nell’anguilla gialla, l’altra nell’argentina; tali proteine svolgono un ruolo importante nella facilitazione del trasporto lipidico e nell’assorbimento dei lipidi associato anche con la crescita degli ovociti. Il treno di spot relativo alla transferrina è decisamente più evidente nelle anguille argentine, il che potrebbe essere correlato al ruolo del ferro nell’emoglobina, mirato ad un maggiore apporto di ossigeno ai tessuti durante la lunga migrazione riproduttiva di questi animali. Lo studio è del tutto nuovo e al momento non sono disponibili sufficienti informazioni al contorno per trarre più ampie conclusioni; tuttavia esso merita di essere proseguito per contribuire alla comprensione degli eventi di metamorfosi in questa specie dal ciclo vitale complesso e in gran parte sconosciuto.

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I farmaci sono una nuova classe di inquinanti ambientali ubiquitari che raggiungono, insieme alle acque fognarie, i depuratori urbani che non sono in grado di rimuoverli o degradarli. Così le acque depurate, ancora ricche di farmaci, si riversano nei canali riceventi portando questo carico di inquinanti fino ai fiumi e ai laghi. L’obiettivo del presente studio è stato fornire un contributo alla valutazione del rischio ecologico associato al rilascio di miscele di farmaci nell’ambiente acquatico, verificando con esperimenti di laboratorio gli effetti dell’esposizione congiunta a propranololo e fluoxetina sulla riproduzione di Daphnia magna, crostaceo planctonico d’acqua dolce. Il propranololo è un farmaco beta-bloccante, ossia blocca l'azione dell'adrenalina sui recettori adrenergici di tipo beta del cuore e viene utilizzato contro l’ipertensione. La fluoxetina è un antidepressivo, inibitore selettivo della ricaptazione della serotonina. Sono stati eseguiti test cronici (21 giorni) con solo propranololo (0,25 - 2,00 mg/L) e con solo fluoxetina (0,03 - 0,80 mg/L) che hanno stimato un EC50 per la riproduzione di 0,739 mg/L e di 0,238 mg/L, rispettivamente. L’ultima fase sperimentale consisteva in un test cronico con 25 miscele contenti percentuali diverse dei due farmaci (0%; 25%; 50%; 75%; 100%) e con diverse concentrazioni totali (0,50; 0,71; 1,00; 1,41; 2,00 unità tossiche). Le unità tossiche sono state calcolate sulla base degli EC50 dei precedenti test cronici con i singoli farmaci. I dati sperimentali del test sono stati analizzati utilizzando MixTox, un metodo statistico per la previsione degli effetti congiunti di miscele di sostanze tossiche, che ha permesso di stabilire quale fosse il modello in grado di rappresentare al meglio i risultati sperimentali. Il modello di riferimento utilizzato è stato la concentration addition (CA) a partire dal quale si è identificato il modello che meglio rappresenta l’interazione tra i due farmaci: antagonism (S/A) dose ratio dependent (DR). Infatti si evidenzia antagonismo per tutte le miscele dei due farmaci, ma più accentuato in presenza di una maggiore percentuale di propranololo. Contrariamente a quanto verificato in studi su altre specie e su effetti biologici diversi, è comunque stato possibile evidenziare un affetto avverso sulla riproduzione di D. magna solo a concentrazioni di propranololo e fluoxetina molto più elevate di quelle osservate nelle acque superficiali.

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La carbamazepina fu commercializzata a partire dagli anni Sessanta; è un analgesico anticonvulsivante e specifico per la nevralgia del trigemino ed è uno dei principali farmaci usati nel trattamento dell’epilessia. La sua azione più nota a livello del sistema nervoso è quella di rallentare il recupero dei canali al sodio, sebbene abbia anche effetti metabolici importanti interferendo con il ciclo degli inositoli e con la GSK-3 (glicogeno sintasi-chinasi 3). Tale sostanza è sotto la lente d’ingrandimento sia per le sue caratteristiche chimico-fisiche (vedi la sua alta persistenza in ambiente) sia per la sua alta tossicità per la salute umana. Le sue proprietà terapeutiche spesso sono accompagnate da effetti collaterali sia nei pazienti che assumono direttamente il medicinale, sia negli organismi non-bersaglio che vengono a contatto con i residui ed i metaboliti del farmaco in ambiente. Le principali fonti di contaminazione dell’ambiente sono rappresentate dagli scarichi domestici, urbani, ospedalieri ed industriali e dagli effluenti di impianti di depurazione. Inoltre, l’uso irriguo di acque contenenti residui del farmaco oppure fenomeni di esondazione di corpi idrici contaminati contribuiscono ampiamente alla distribuzione di questo composto nei suoli. La matrice suolo ha avuto relativamente poca attenzione per quanto riguarda gli effetti dell’inquinamento sugli organismi in generale, ed in particolare non vi sono studi sui farmaci. Il presupposto di questo studio dunque è stato quello di mettere a punto una metodologia volta a valutare gli effetti all’esposizione del farmaco carbamazepina su organismi bioindicatori, i lombrichi della specie Eisenia andrei. Il seguente progetto è durato da Maggio 2012 a Febbraio 2013, periodo in cui sono stati effettuati saggi sub cronici per valutare l’effetto di suoli sperimentalmente contaminati con il farmaco sui parametri del ciclo vitale del lombrico (accrescimento, mortalità e riproduzione) e su una serie di biomarker cellulari (neutral red retention assay, accumulo lisosomiale di lipofuscine, accumulo lisosomiale di lipidi neutri insaturi, attività dell’enzima acetilcolinsterasi, attività dell’enzima catalasi, attività dell’ enzima glutatione-S-transferasi e concentrazione di malondialdeide). I risultati ottenuti mostrano che la carbamazepina non ha effetti sui parametri del ciclo vitale. Per quanto riguarda i parametri fisiologici si notano tuttavia dei risultati diversi. L’accumulo lisosomiale di lipofuscine e lipidi neutri indica che il metabolismo dei vermi risulta in qualche modo alterato dall’esposizione alla carbamazepina alle concentrazioni saggiate. Queste alterazioni potrebbero essere spiegate da un effetto di tipo ossidante; infatti i due biomarker oltre a rappresentare un segnale di alterazione metabolica rappresentano anche un indicazione di perossidazione lipidica. Queste osservazioni meritano di essere approfondite studiando il bioaccumulo e la degradazione della carbamazepina nei suoli, che potrebbero essere alla base della diversità di risultati rispetto alla tossicità evidenziata negli organismi acquatici. A fronte della consapevolezza dei rischi potenziali dovuti alla presenza di farmaci nelle acque e nel suolo, molto resta da fare per ampliare le conoscenze su questa tipologia di contaminazione, in particolare nei campi del monitoraggio e del comportamento ambientale, degli studi ecotossicologici e delle procedure e tecnologie idonee a limitare la loro immissione nell’ambiente.

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La Colonia Reggiana, situata a Riccione presso la foce del fiume Marano, è stata costruita nel 1934, dal progetto dell’arch. C. Costantini. Nata come colonia marina per i bambini di Reggio Emilia, ha mantenuto la sua funzione fino agli anni ‘80, quando, in seguito al passaggio di proprietà dalla regione Emilia Romagna al comune di Riccione, è caduta in disuso. Dal 1989 una parte dell’edificio ha ospitato associazioni di sport acquatici fino all’estate del 2012, quando è stato vietato l’accesso alla colonia a scopo cautelativo, a causa dell’attività sismica che ha colpito la regione Emilia Romagna. La Colonia si inserisce in una porzione periferica del comune di Riccione. La zona del Marano, caratterizzata da una concentrazione elevata di colonie marine, si trova in un’area di confine tra i comuni di Riccione e di Rimini, caratterizzata da un’interruzione del waterfront, da una minore densità di edifici e da una natura urbanistica irrisolta, nonostante la posizione strategica di ‘porta della città’ e il pregio di essere una delle ultime zone libere lungo la costa. In particolare, l’ambito di interesse è l’area delimitata a est dal mare, a ovest dalla linea ferroviaria, a sud dal fiume Marano e a nord dal confine comunale, che coincide con il Rio dell’Asse. La pianificazione comunale, in accordo con le indicazioni di livello sovraordinato, prevede la riqualificazione degli ampi spazi lasciati incolti e il potenziamento della zona attraverso uno sviluppo di carattere alberghiero, ma anche residenziale e di servizi di vicinato. L’area dovrebbe perdere il suo carattere isolato dal resto della città e il progetto presentato da questa tesi, riportando le indicazioni comunali per lo sfruttamento delle aree verdi secondo piani già approvati, propone per la Colonia Reggiana una funzione diversa da quella alberghiera prevista. Mantenendo il carattere ricettivo richiesto dalla pianificazione urbanistica, il progetto si prefigge di riqualificare l’edificio convertendolo in una residenza socio-assistenziale per anziani. La funzione risulta adatta alla tipologia della colonia, nata come residenza estiva per bambini a scopo curativo, oltre che ricreativo, rispondendo quindi alla natura dell’edificio. La posizione, inoltre, appare positiva e piacevole per la permanenza di persone anziane che, nel periodo più avanzato della propria vita, possono godere del paesaggio e dell’aria marina, invece di ritrovarsi in edifici isolati. Il progetto di recupero della colonia consiste nel restauro o sostituzione delle parti degradate, conservando l’immagine e la natura del progetto, e nel miglioramento delle prestazioni dell’involucro in modo tale che, inserendo un sistema impiantistico adeguato, si possa raggiungere una buona prestazione energetica. La tesi si propone di valutare la possibilità di recuperare la colonia sia dal punto funzionale che da quello energetico, nel rispetto delle normative vigenti.

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La tesi presenta una descrizione completa del comportamento asintotico della volatilità implicita vicino a scadenza, sotto le condizioni di non arbitraggio. I risultati ottenuti, che non dipendono dalla scelta del modello per il sottostante, saranno applicati nel caso di un modello a volatilità locale.

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La tesi di laurea elaborata ha come oggetto Villa Torlonia, chiamata anche “ la Torre” , un complesso edilizio risalente al Settecento. Il lavoro effettuato ha compreso prima di tutto uno studio della storia della Torre, l’evoluzione e il rapporto con il suo contesto. È seguita poi un’analisi del complesso, effettuata dal punto di vista sia della consistenza che dello stato di conservazione, per poi studiare l’insieme di interventi che l’hanno caratterizzata e che le hanno conferito l’attuale aspetto.Si tratta di opere di consolidamento, di recupero e di ripristino che hanno occupato un’epoca che va dagli ultimi vent’anni del Novecento fino ad ora. Solo dopo questa fase di studio e di ricerca si è passati ad elaborare un programma di riutilizzo della Villa, che occupa il quinto capitolo della Tesi. L’idea progettuale sviluppata parte dall'intento di valorizzare questo complesso edilizio che, essendo di proprietà comunale, è spesso oggetto di manifestazioni culturali. La grande corte esterna, il piano terra del corpo centrale ed i vecchi magazzini al piano interrato sono oggigiorno sede di incontri di moda e di momenti espositivi temporanei, molti dei quali legati alla produzione calzaturiera locale. San Mauro Pascoli ospita infatti le sede di alcune delle più note marche dell'alta moda calzaturiera e la sua economia così come la sua storia, è legata a questa attività che da più di un secolo rappresenta una vera e propria attrattiva locale. Il tipo di intervento che si viene a delineare parte quindi dal voler privilegiare questa tradizione del luogo, pertanto il progetto prevede l’inserimento di un Museo della scarpa e lo spostamento della scuola calzaturiera CERCAL, al fine di rendere Villa Torlonia un centro di attrazione turistica.

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Oggetto di questa tesi di Laurea è la riqualificazione della Scuola d’Infanzia Diana a Reggio nell’Emilia (RE), svolta con particolare attenzione al comfort ambientale interno e alla ricerca di una relazione con il contesto urbano e sociale circostante. I soggetti interessati al progetto sono due: l’Istituzione Scuole e Nidi d’Infanzia del comune di Reggio Emilia, che dal 2003 si occupa dei servizi educativi comunali, e la società “Reggio Children”, che opera al fine di “esportare” all’estero gli esempi delle scuole reggiane. L’interesse nei confronti di questo asilo nasce dalla notevole importanza che esso ricopre nel panorama nazionale e mondiale in riferimento al modello educativo applicato. L’edificio presenta inoltre alcuni interessanti caratteri: collocato in una posizione strategica rispetto alla città, si trova nel cuore dei Giardini Pubblici, circondato da alcuni dei principali monumenti. Tuttavia, un’analisi approfondita ha evidenziato alcune criticità, che questo lavoro ha cercato di risolvere. La problematica principale rilevata, che la tesi ha affrontato, riguarda il benessere degli utenti. Dal punto di vista della fruibilità degli spazi, poi, si riscontra il sottodimensionamento del grande-atelier in relazione alle esigenze del modello pedagogico, nonché la necessità di una riorganizzazione degli arredi, al fine di rendere gli ambienti più vivibili. A ciò si affiancano, infine, l’inefficienza energetica dell’involucro, la vulnerabilità sismica dell’edificio e la mancanza di adeguate connessioni tra asilo, verde di pertinenza e parco pubblico. Al centro delle strategie progettuali c’è il bambino, che diventa il “vero committente”, ossia il soggetto di cui soddisfare esigenze e desideri. Si è cercato quindi di realizzare un ambiente confortevole e sicuro, agendo sull’involucro, sul sistema impiantistico, e rinforzando la struttura dell’edificio. A scala architettonica la complessità del progetto è stata quella di dotare l’asilo degli spazi necessari. Si è quindi prevista la realizzazione di un ampliamento, puntando a conseguire prestazioni energetiche più elevate rispetto agli standard fissati dalla dalla normativa, cercando di non alterare i caratteri del luogo e di interagire con il contesto. Durante tutto l’iter progettuale si è dunque operato verificando contestualmente ogni scelta dal punto di vista architettonico, tecnologico ed energetico e puntando ad una soluzione attuabile per fasi.

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In questo studio si esamina la ricostruzione di Porta Aurea a Ravenna, edificio di epoca romana ormai scomparsa ma di cui rimangono molti documenti sia a livello di tradizione storica locale che per quanto riguarda disegni di illustri architetti come Andrea Palladio. Il processo di ricostruzione si articola sull’uso di materiale distintamente catalogato a seconda di diversi gradi di incertezza. Per giungere alla costruzione sono state effettuate anche due campagne di rilievo con la tecnica di acquisizione del Laser Scanner Leica C10 all-in-one. La prima presso il Museo Nazionale di Ravenna, dove sono tutt’oggi conservati alcuni frammenti architettonici di pregio provenienti da Porta Aurea. Una seconda indagine di rilievo è stata invece effettuata presso le mura di Ravenna in Via di Porta Aurea ove rimangono i resti delle porzioni di mura o meglio torrioni verticali che incorniciavano il monumento ravennate. Sintesi finale di questo lavoro è il raggiungimento di un modello “possibile” ma comunque ideale desunto dall’intreccio di diverse fonti iconografiche al fine di una possibile fruizione museale presso lo stesso Museo Nazionale di Ravenna.

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Esposizione dell’attività di laboratorio basata sullo svolgimento di prove sperimentali di resistenza a fatica su accoppiamenti albero-mozzo realizzati mediante calettamento forzato con riscaldamento in forno del mozzo, con l’obiettivo di determinare l’influenza di tale tipo di accoppiamento sulla vita a fatica del componente. Gli accoppiamenti albero – mozzo, anche detti collegamenti forzati, sono collegamenti fissi o semi–permanenti utilizzati per unire due organi tra loro che permettono di trasmettere elevate forze tangenziali anche con interferenze non elevate, realizzando un’unione sicura, quanto quella ottenibile con linguetta o chiavetta. Inoltre l’assenza di masse esterne non genera squilibri dinamici. Il lavoro di sperimentazione in laboratorio è stato preceduto da uno studio mediante modellatore FEM. I risultati ottenuti dallo studio per mezzo di Ansys Workbench 12.0 sono stati il punto di partenza della sperimentazione, la quale è stata effettuata con l’obiettivo di verificare la validità dei risultati ottenuti mediante modellatore.

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Studio della sicurezza stradale nelle zone di transizione: gli interventi sulla sp 610 "selice-montanara"

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L'elaborato ha come scopo l'analisi delle tecniche di Text Mining e la loro applicazione all'interno di processi per l'auto-organizzazione della conoscenza. La prima parte della tesi si concentra sul concetto del Text Mining. Viene fornita la sua definizione, i possibili campi di utilizzo, il processo di sviluppo che lo riguarda e vengono esposte le diverse tecniche di Text Mining. Si analizzano poi alcuni tools per il Text Mining e infine vengono presentati alcuni esempi pratici di utilizzo. Il macro-argomento che viene esposto successivamente riguarda TuCSoN, una infrastruttura per la coordinazione di processi: autonomi, distribuiti e intelligenti, come ad esempio gli agenti. Si descrivono innanzi tutto le entità sulle quali il modello si basa, vengono introdotte le metodologie di interazione fra di essi e successivamente, gli strumenti di programmazione che l'infrastruttura mette a disposizione. La tesi, in un secondo momento, presenta MoK, un modello di coordinazione basato sulla biochimica studiato per l'auto-organizzazione della conoscenza. Anche per MoK, come per TuCSoN, vengono introdotte le entità alla base del modello. Avvalendosi MoK dell'infrastruttura TuCSoN, viene mostrato come le entità del primo vengano mappate su quelle del secondo. A conclusione dell'argomento viene mostrata un'applicazione per l'auto-organizzazione di news che si avvale del modello. Il capitolo successivo si occupa di analizzare i possibili utilizzi delle tecniche di Text Mining all'interno di infrastrutture per l'auto-organizzazione, come MoK. Nell'elaborato vengono poi presentati gli esperimenti effettuati sfruttando tecniche di Text Mining. Tutti gli esperimenti svolti hanno come scopo la clusterizzazione di articoli scientifici in base al loro contenuto, vengono quindi analizzati i risultati ottenuti. L'elaborato di tesi si conclude mettendo in evidenza alcune considerazioni finali su quanto svolto.