101 resultados para Darsena , centro storico, Ravenna


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Il mio percorso universitario presso la Facoltà di Architettura di Cesena ha inizio nell’anno accademico 2006-2007. Il titolo della tesi “Conoscere per conservare3, conservare per conoscere” sintetizza l’importanza di offrire una spiegazione della tematica della conoscenza e della sua necessità, la quale risulta essere indispensabile per ottenere un buon progetto di restauro. Progettare un edificio senza conoscerlo appare una scelta ingiustificabile, è tuttavia necessario che la raccolta di dati analitici non sia fine a se stessa e solo finalizzata a donare una facciata di rispettabilità all’architetto e alle sue operazioni progettuali. A partire da questa riflessione si arriva inevitabilmente a parlare di “ricerca della metodologia del restauro” e delle tecniche con il quale questo deve venire affrontato in termini di “piccolo restauro” (ossia restauro delle superfici). Nonostante infatti ogni cantiere di restauro abbia una sua particolare storia è comunque necessario un metodo chiaro e ordinato, di procedure collaudate e di tecniche ben sperimentate. Alla luce di tali osservazioni i temi di seguito proposti sono occasione di una riflessione nel contempo teorica e pratica, con particolare riferimento al restauro e alla conservazione delle superfici; gli edifici scelti appartengono a temi molto differenti l’uno dell’altro e per entrambi verrà proposta una ipotesi di conservazione e restauro delle superfici. Il primo, Palazzo Guidi, è un palazzo settecentesco sito all’interno del centro storico della città di Cesena; il secondo, la Rocca Malatestiana, costruita a partire dal 1100 dalla famiglia dei Malatesta trova la sua ubicazione in cima a una roccia nella alta Valmarecchia. Il progetto per la conservazione ed il restauro di Palazzo Guidi risulta essere la sintesi degli apprendimenti ricevuti nei precedenti anni accademici in due diverse discipline quali: “Rilievo architettonico” e “Laboratorio di restauro architettonico”. Per quanto concerne la Rocca Malatestiana il tema proposto nasce invece a partire dal progetto del “LSF. Archeologia e progetto di architettura” il quale è stato maggiormente approfondito riguardo le tematiche del restauro con la collaborazione del Prof. Arch. Andrea Ugolini e con l’ausilio del corso di “Conservazione e trattamento dei materiali” seguito presso la Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali di Ravenna.

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Si tratta di un nuovo centro interpretativo della cultura villanoviana situato all'interno del tessuto urbano di nuova edificazione della città di Verucchio. Questo si va ad integrare con l'attuale museo archeologico già presente nel centro storico di Verucchio.

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Il disagio e le conflittualità sociali presenti nelle nostre città in molteplici casi hanno come teatro le aree verdi e gli spazi non costruiti presenti sul territorio urbano, percepiti spesso da un lato come luoghi non controllati e quindi conquistabili, dall’altro lato, come luoghi trascurati e quindi non sicuri, infrequentabili. Uno sguardo complessivo a queste aree che ne ribalti la prospettiva valorizzandone le potenzialità, può portare ad un progetto coordinato in cui si cerchi di incrementare e sostenere alcune funzioni ritenute capaci di superare le criticità presenti. In quest’ottica un progetto complessivo di paesaggio che non consideri il non costruito come una spazio residuale, ma come un elemento capace di una relazione attiva con il contesto urbano, può contribuire alla coesione sociale, alla sensibilizzazione ai temi ambientali, al miglioramento dell’offerta di luoghi di ritrovo, all’aumento della sicurezza urbana. Negli ultimi anni, la sensibilizzazione nei confronti dei problemi connessi con la salvaguardia dell’ambiente ha portato a un considerevole incremento delle aree protette e delle zone destinate a verde all’interno delle aree urbanizzate. Spesso però si considerano queste zone, in particolare i parchi e le riserve, come luoghi non totalmente fruibili dalla popolazione, anche al di là delle specifiche e corrette esigenze di conservazione. Questa impostazione rischia di mettere in crisi anche attività economiche orientate alla gestione sostenibile del territorio come nel caso dell’agricoltura. In realtà, uno degli errori che si commette più di frequente è quello di considerare le aree verdi e quelle antropizzate come entità fini a sé stesse mentre una positiva coesistenza può essere realizzata solo se si consente una loro positiva interazione dinamica, coniugando esigenze di conservazione e salvaguardia delle attività sociali ed economiche e fornendo stimoli alla riconversione delle attività non compatibili con l’ambiente. Un mezzo per perseguire tale scopo è, sicuramente, quello di proporre ai comuni forme alternative di difesa e gestione dell’ambiente, valorizzando la naturale vocazione del territorio. Vista la notevole incidenza percentuale sulla superficie complessiva, risulta di particolare importanza la tutela e la rivalutazione delle realtà rurali che, ormai da lungo tempo, subiscono l’inarrestabile fenomeno dell’espansione edilizia e sono costrette ad una difficile convivenza con la periferia urbana.

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Il progetto per il nuovo centro sportivo di Mirandola nasce prima di tutto dalla volontà di dare alla città un nuovo fronte e un nuovo ingresso. Lo studio generale del masterplan della città, prevede la creazione di tre grandi assi. Il primo a creare un mercato a cielo aperto lungo l’esistente parco, attraverso piccoli padiglioni dislocati lungo il percorso pedonale; il secondo che si sviluppa lungo il grande asse storico con l’accesso diretto al centro storico; il terzo, perpendicolare rispetto agli altri, che attraversa Mirandola da est a ovest e infine l’ultimo asse che dalle mura storiche arriva fino all’accesso principale del nuovo campo sportivo passando per l’ospedale. Partendo da questa idea quindi, si può subito notare come questo nuovo spazio vuole essere un collante tra il centro storico e la campagna, cosi importante in questa zona. Il nuovo centro sportivo vuole rivalorizzare un’area di Mirandola ora priva di servizi. Gli edifici si sviluppano li dove era già presente un campo da calcio. La prima scelta è stata quella di creare una struttura che non si imponesse troppo sul nuovo fronte e quindi sulla nuova arteria, per questo è stato scelto di interrare di quattro metri i campi da gioco. Il centro sportivo cosi facendo non si eleva troppo e l’unico elemento che supera i cinque metri è la copertura delle tribune. La struttura del campo sportivo è circondata dal verde, in modo da creare, come è stato fatto in grande scala per il masterplan generale, un filtro che potesse separare ma anche aprirsi al resto della città e della campagna. Oltre al grande spazio interrato dedicato allo sport è presente anche un’altra zona verde, in parte interrata, che rappresenta una arena a cielo aperto. L’arena è fornita di un’ampia tributa e di una rampa verde che svetta di due metri dal livello del terreno. L’arena è stata progettata per permettere a questo spazio di non essere solo un luogo adibito allo sport ma anche un luogo di incontri dove si possano fare concerti altre attività culturali o semplicemente come un’area verde di incontro. Proprio questo spazio movimenta ancora di più il fronte stradale, grazie anche all’aiuto dell’alberatura. Un altro asse fondamentale è il grande percorso pedonale perpendicolare agli altri tre percorsi verdi che si sviluppa accanto alla nuova infrastruttura. Esso parte proprio dall’accesso principale al campo sportivo fino a collegarsi con il grande parco/mercato. Al di la della strada il percorso viene arricchito con alcuni setti formati dai resti del terremoto e inglobati nel verde cosi da schermare gli edifici che a breve si affacceranno sulla grande arteria stradale.

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Il progetto si sviluppa in primo luogo a scala urbana nel centro storico di Mirandola, insistendo sul tema del limite andato perduto con la demolizione della cinta muraria. Il disegno del centro nasce dalla suggestione che identifica in Giovanni Pico della Mirandola l’autore dell’”Hypnerotomachia Poliphili”. Il nucleo storico della città diventa il luogo del percorso onirico di Polifilo alla ricerca dell’amata, che collega aree verdi trasformate in giardini all’area del castello. L’approfondimento a scala progettuale coinvolge l’area dell’antica cittadella del castello. Il tema principale è quindi il costruire nel costruito, il confronto con le preesistenze e le tante trasformazioni che il luogo ha subito. Il progetto si basa sul disegno degli spazi pubblici e sul tema culturale che l’area stessa offre, data la presenza del museo civico e del teatro. Il nuovo edificio è un centro culturale nel quale si accolgono ulteriori esposizioni museali e spazi dedicate a sedi di associazioni culturali cittadine.

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Questa tesi affronta i temi della riqualificazione urbana e dell'abitare nel Centro Storico della città di Mirandola. L'area in oggetto è stata gravemente danneggiata dal sisma del 2012; il progetto propone un intervento di microchirurgia urbana volta alla riqualificazione di questa parte della città.

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Il titolo della mia tesi é “La città nella Cuadra”. Con questo titolo intendo anticipare quello che, a seguito di un lungo periodo di studi, analisi e ricerche, andrà a costituire, a conclusione di un percorso durato sei anni, la sintesi del lavoro svolto per redigere un progetto architettonico cosciente, in una porzione di città le cui caratteristiche e peculiarità saranno illustrate nel dettaglio in questo breve volume. Ho svolto una ricerca sugli elementi costanti nelle città coloniali del Sud America e, una volta appresi e consolidati quelli che sono stati le tipologie e i tipi che hanno caratterizzato l’evoluzione architettonica del Paese, li ho analizzati in relazione al contesto specifico della città metropolitana di Bogotà per poi, in un secondo momento, rileggerli in chiave moderna ed inserirli all’interno del programma del mio progetto di tesi: un centro polifunzionale che si propone come obiettivo quello di riqualificare un isolato molto degradato in una porzione di città dalla forte valenza storica e architettonica come il Centro Storico.

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Nella tesi si cerca di dare una nuova chiave di lettura del monumento unico nel suo genere, quanto noto Parliamo del Mausoleo di Teodorico che si erige nelle immediate vicinanze del centro di Ravenna.Il Mausoleo costruito nel v secolo, quando Ravenna è capitale dell’impero d’Occidente e vi si stabilisce Teodorico il Grande. La struttura è stata molto esaminata nel corso del tempo da molti studiosi ma non si ha notizia di una analisi d'insieme. Si è cercato quindi di mettere a fuoco uno degli aspetti più emblematici ed ancor ben lungi da scientifiche certezze: La sua copertura.Si tratta di un monolite con un peso stimato tra le 240 e le 270 Tonnellate proveniente dalle cave di Aurisina in Istria. Numerosi studiosi si sono cimentati nello stipulare le proprie ipotesi sul trasporto e soprattutto sulla sua messa in opera senza giungere ad un univoca conclusione. Si è proceduto poi alla loro schematizzazione in filoni principali senza tralasciare una propria opinione valutandone i pro e i contro anche in base alle conoscenze attuali. Si sono confrontati metodi di trasporto dei monoliti, senza tralasciare l’analisi delle macchine da cantiere dell’epoca a supporto delle ipotesi proposte. Da ultimo mi sono soffermato sul significato semantico delle dentellature di sommità della copertura, o modiglioni: anche per questi elementi vi sono stati e mi auguro ci saranno numerosi dibattiti sul loro aspetto simbolico o quantomeno funzionale. Durante la stesura della è scaturito anche un interessante confronto di idee che testimonia quanto la questione sia ancora articolata ed interessante. Si apre quindi a suggerimenti per spunti futuri specialmente per quanto riguarda indagini diagnostiche strumentali sulla cupola e sulla sua crepa. Mi auguro che raccogliendo e analizzando le principali ipotesi si possa proseguire questo filone investigativo.

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La città di Ferrara può essere considerata un unicum che emerge rispetto ad altre realtà urbane, pur dotate di loro peculiarità storiche e morfologiche. La base per la formazione di questa unicità, fu gettata dagli Este, e da Biagio Rossetti, che, con l'addizione erculea, raddoppiarono la superficie della città medioevale. L'addizione, fu realizzata per una previsione di aumento della popolazione,che mai si concretizzò, se non, in parte, nel corso dell'ultimo secolo. Ciò, si tradusse in una notevole stabilità del rapporto pieni/vuoti, all'interno della città: vuoti che divennero spazi verdi urbani, e pieni che, nonostante le ristrutturazioni divenute necessarie nel corso dei secoli, mantennero prevalentemente le volumetrie e i sedimi storici. Infatti, il verde degli orti e dei giardini del tessuto storico, costituisce un sistema inscindibile con il costruito, e ne caratterizza la forma urbana dall'interno. Nel corso del Novecento, il centro storico, subì notevoli cambiamenti, anche se gli interventi riguardarono prevalentemente i vuoti urbani, mantenendo quasi intatto l'esistente. L'immobilismo dei secoli passati, ha mantenuto Ferrara una città a misura d'uomo, non tormentata dal caotico traffico automobilistico delle città attuali;per le sue peculiarità, storiche e morfologiche, Ferrara fu dichiarata "Patrimonio dell'Umanità" dall'Unesco, ponendo fine ad eventuali modifiche del centro storico, che avrebbero potuto intaccarne i caratteri. L'area della quale ci occupiamo, nonostante si trovi all'interno del tessuto medioevale consolidato, ha subito delle importanti trasformazioni nel secolo scorso; il duecentesco Convento agostiniano di San Vito, che occupava gran parte dell'isolato, assieme ai giardini di Palazzo Schifanoia, fu demolito per far posto ad una nuova caserma; probabilmente perché il convento stesso, dopo le conquiste napoleoniche e con vicende alterne, era già adibito a tale funzione. La nuova caserma mal si inserisce nel tessuto urbano, poiché rappresenta un "fuori scala", un evidente distacco dal rapporto verde/costruito della città medioevale circostante. Fin dalle analisi dei primi piani regolatori del secondo dopoguerra, la caserma fu considerata un elemento incongruo con il tessuto esistente, prevedendone quindi la possibilità di demolizione; dagli anni '90, inoltre, l'area militare è inutilizzata, e oggigiorno, versa in una condizione di avanzato degrado superficiale. L'area di progetto, ha una grande importanza storica, poiché rappresentava il terzo polo estense di amministrazione del potere, dopo il Castello Estense, e l'area del Palazzo dei Diamanti. I palazzi estensi che caratterizzavano l'area in epoca rinascimentale, Palazzo Schifanoia, Palazzo Bonacossi e Palazzina Marfisa d'Este, sono sopravissuti, anche se profondamente cambiati in particolar modo negli spazi verdi. Il progetto che ci proponiamo di realizzare, vuole stabilire, un nuovo rapporto tra pieni e vuoti, basandoci sulla lettura della città storica, delle sue tipologie e peculiarità. Impostando il progetto sulla realizzazione concreta del Polo dei Musei Civici di Arte Antica di Ferrara, oggi esistente solo a livello burocratico e amministrativo, ridefiniamo una parte di città, attribuendole quella centralità nel tessuto storico, che già la caratterizzava in passato.

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La città di Ferrara può essere considerata un unicum che emerge rispetto ad altre realtà urbane, pur dotate di loro peculiarità storiche e morfologiche. La base per la formazione di questa unicità, fu gettata dagli Este, e da Biagio Rossetti, che, con l'addizione erculea, raddoppiarono la superficie della città medioevale. L'addizione, fu realizzata per una previsione di aumento della popolazione,che mai si concretizzò, se non, in parte, nel corso dell'ultimo secolo. Ciò, si tradusse in una notevole stabilità del rapporto pieni/vuoti, all'interno della città: vuoti che divennero spazi verdi urbani, e pieni che, nonostante le ristrutturazioni divenute necessarie nel corso dei secoli, mantennero prevalentemente le volumetrie e i sedimi storici. Infatti, il verde degli orti e dei giardini del tessuto storico, costituisce un sistema inscindibile con il costruito, e ne caratterizza la forma urbana dall'interno. Nel corso del Novecento, il centro storico, subì notevoli cambiamenti, anche se gli interventi riguardarono prevalentemente i vuoti urbani, mantenendo quasi intatto l'esistente. L'immobilismo dei secoli passati, ha mantenuto Ferrara una città a misura d'uomo, non tormentata dal caotico traffico automobilistico delle città attuali; per le sue peculiarità, storiche e morfologiche, Ferrara fu dichiarata "Patrimonio dell'Umanità" dall'Unesco, ponendo fine ad eventuali modifiche del centro storico, che avrebbero potuto intaccarne i caratteri. L'area della quale ci occupiamo, nonostante si trovi all'interno del tessuto medioevale consolidato, ha subito delle importanti trasformazioni nel secolo scorso; il duecentesco Convento agostiniano di San Vito, che occupava gran parte dell'isolato, assieme ai giardini di Palazzo Schifanoia, fu demolito per far posto ad una nuova caserma; probabilmente perché il convento stesso, dopo le conquiste napoleoniche e con vicende alterne, era già adibito a tale funzione. La nuova caserma mal si inserisce nel tessuto urbano, poiché rappresenta un "fuori scala", un evidente distacco dal rapporto verde/costruito della città medioevale circostante. Fin dalle analisi dei primi piani regolatori del secondo dopoguerra, la caserma fu considerata un elemento incongruo con il tessuto esistente, prevedendone quindi la possibilità di demolizione; dagli anni '90, inoltre, l'area militare è inutilizzata, e oggigiorno, versa in una condizione di avanzato degrado superficiale. L'area di progetto, ha una grande importanza storica, poiché rappresentava il terzo polo estense di amministrazione del potere, dopo il Castello Estense, e l'area del Palazzo dei Diamanti. I palazzi estensi che caratterizzavano l'area in epoca rinascimentale, Palazzo Schifanoia, Palazzo Bonacossi e Palazzina Marfisa d'Este, sono sopravissuti, anche se profondamente cambiati in particolar modo negli spazi verdi. Il progetto che ci proponiamo di realizzare, vuole stabilire, un nuovo rapporto tra pieni e vuoti, basandoci sulla lettura della città storica, delle sue tipologie e peculiarità. Impostando il progetto sulla realizzazione concreta del Polo dei Musei Civici di Arte Antica di Ferrara, oggi esistente solo a livello burocratico e amministrativo, ridefiniamo una parte di città, attribuendole quella centralità nel tessuto storico, che già la caratterizzava in passato.

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Il 6 aprile 2009 una scossa sismica del sesto grado della scala Richter ha colpito la città dell'Aquila e i centri urbani limitrofi, provocando ingenti danni e la quasi totale distruzione del centro storico aquilano. Il sisma ha provocato più di 300 vittime e 65000 sfollati sistemati in tendopoli, alberghi e moduli abitativi provvisori. Risolta l'emergenza dei primi mesi ci si trova ad affrontare il problema della ricostruzione vera e propria della città, la quale non può prescindere dalle decisioni sul futuro del centro storico. La parte "intra moenia" dell'Aquila è il centro nevralgico della città, qui si trovano i caratteri identitari di essa, i quali si perdono appena oltrepassata la cinta muraria. Il tessuto che parte dalle porte urbiche e prosegue verso la periferia è infatti frammentario e disorganizzato. Scopo principale del progetto è quello di fornire un'idea concreta per la ricostruzione del quartiere di Santa croce, una parte di centro storico ad oggi priva di identità e quasi interamente distrutta dal sisma. Accanto alle necessità di ricostruire alloggi e servizi, si pone l'obiettivo di fondare un nuovo quartiere che riprenda i tracciati storici e completi questa parte della città con una nuova identità legata al passato della stessa.

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Nel tentativo di rispondere alle esigenze valutate in seguito all’analisi del centro storico in base a differenti profili investigativi, si è formulato un programma di intervento con obiettivi e strategie codificate. In modo particolare viene privilegiata l’indagine effettuata a livello sociale sulla popolazione del centro storico, ambito di ricerca necessario per una buona premessa per un progetto che ha come oggetto l’abitare. Da queste considerazioni nasce l’idea del progetto dove il tema della residenza si inserisce in un contesto urbano in stretta relazione con il tessuto storico della città di Forlì. L’individuazione dell’area di progetto, situata in una posizione di confine tra due realtà differenti, il centro storico e la circonvallazione che lo racchiude, suggerisce la necessità di stabilire attraverso collegamenti perdonali e ciclabili fra l’area in esame e la periferia esterna una configurazione dinamica, dove il vuoto urbano che si presenta è lo scenario ideale per ristabilire una porta moderna alla città, ricomponendo la leggibilità tra la sfera naturale e quella insediativa. Alla scala urbana l’obiettivo è quello di stabilire il ruolo di centralità dell’area, nel suo insieme, restituendo ai fatti urbani della città le funzioni di interesse pubblico generale. La zona oggetto di discussione è un nodo urbano in cui coesistono manufatti di pregio architettonico e storico come quello della Filanda in oggetto e dell’Ex Complesso conventuale della Ripa, in grado di essere potenziali contenitori di funzioni pubbliche di alto livello, e aree verdi da riqualificare, con forte propensione all’uso pubblico, come gli Orti di via Curte. Sotto questo profilo deve essere valutata anche la tematica del rapporto con l’architettura antica, tenendo in considerazione l’effetto di impatto che i nuovi interventi avranno sull’esistente. È dunque il sito di progetto che detta le metodologie di approccio legate alla necessità di un intervento sostenibile e non invasivo. Partendo da queste considerazioni si sviluppano le tematiche legate alla flessibilità e alle sue coniugazioni. La società contemporanea che ci impone ogni giorno modelli di vita sempre nuovi e la necessità di movimento e trasformazione, ci mette di fronte più che mai al bisogno di progettare spazi non rigidi, ma aperti alle molteplici possibilità d’uso e ai cambiamenti nel tempo. La flessibilità viene dunque concepita in relazione ai concetti di complessità e sostenibilità. Se da una parte è necessario riconoscere la molteplicità dei modi d’uso con i quali l’oggetto dovrà confrontarsi ed assumere il carattere aleatorio di qualsiasi previsione relativa ai modelli di comportamento dell’utenza, dall’altra occorre cogliere all’interno del progetto della residenza flessibile la possibilità di pervenire a un costruire capace di riconfigurarsi di volta in volta, adattandosi alle differenti condizioni d’uso, senza dover procedere a drastiche modifiche che impongono la dismissione di materiali e componenti. Il sistema della stratificazione a secco può essere quello che attualmente meglio risponde, per qualità ed economicità, ai concetti della biologia dell’abitare e della casa intelligente, nozioni che acquisiscono sempre più importanza all’interno di una nuova concezione della progettazione. Si sceglie dunque di riportare la Filanda, quanto possibile, alla riconfigurazione originaria, prima che la corte interna fosse completamente saturata di depositi e magazzini come ci si presenta oggi e di concepire una nuova configurazione di quello che diventa un isolato urbano integrato nel tessuto storico, e nodo strutturante per un’area più vasta. Lavorando sulla residenza occorre mettere in primo piano il protagonista dell’architettura che si va a progettare: l’uomo. Per questo la scala urbana e la dimensione umana devono essere concepite parallelamente e la progettazione della cellula di base che si struttura secondo le modalità premesse di flessibilità e sostenibilità si sovrappone all’obiettivo di individuare all’interno del vuoto urbano, una nuova densità, dove il dialogo tra pubblico e privato sia il presupposto per lo sviluppo di un piano integrato e dinamico.

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Il progetto di riqualificazione della Caserma Sani si ispira allʼinteresse nei confronti delle tematiche del recupero edilizio e urbano. Esso nasce dallʼintenzione di reintegrare unʼarea urbana in via di dismissione nel suo contesto attraverso lʼinserimento di nuove funzioni che rispondano alle esigenze di questa parte di città e nel contempo riqualificare i fabbricati esistenti attraverso un progetto di recupero e completamento che favorisca il dialogo del complesso esistente con il sistema urbano circostante. La volontà di riuso della maggioranza degli edifici facenti parte del vecchio impianto si basa su considerazioni legate alla natura stessa del sito: lʼintenzione è quella di conservarne la memoria, non tanto per il suo valore storico-architettonico, ma perché nel caso specifico della Caserma più che di memoria è opportuno parlare di scoperta, essendo, per propria natura militare, un luogo da sempre estraneo alla comunità e al suo contesto, chiuso e oscurato dal limite fisico del muro di cinta. La caserma inoltre si compone di edifici essenzialmente funzionali, di matrice industriale, la cui versatilità si legge nella semplicità e serialità morfologica, rendendoli “organismi dinamici” in grado di accogliere trasformazioni e cambi di funzione. Il riuso si muove in parallelo ai concetti di risignificazione e riciclaggio, dividendosi in modo egualmente efficace fra presupposti teorici e pratici. Esso costituisce una valida alternativa alla pratica della demolizione, nel caso in cui questa non sia specificatamente necessaria, e alle implicazione economiche e ambientali (smaltimento dei rifiuti, impiego dei trasporti e fondi economici, ecc.) che la accompagnano. Alla pratica del riuso si affianca nel progetto quella di completamento e ampliamento, arricchendo il vecchio sistema di edifici con nuove costruzioni che dialoghino discretamente con la preesistenza stabilendo un rapporto di reciproca complementarietà. Il progetto di riqualificazione si basa su più ampie considerazioni a livello urbano, che prevedono lʼintegrazione dellʼarea ad un sistema di attraversamento pedonale e ciclabile che colleghi da nord a sud le principali risorse verdi del quartiere passando per alcuni dei principali poli attrattori dellʼarea, quali la Stazione Centrale, il Dopolavoro Ferroviario adibito a verde attrezzato, il nuovo Tecno Polo che sorgerà grazie al progetto di riqualificazione previsto per lʼex Manifattura Tabacchi di Pier Luigi Nervi e il nuovo polo terziario che sorgerà dalla dismissione delle ex Officine Cevolani. In particolare sono previsti due sistemi di collegamento, uno ciclo-pedonale permesso dalla nuova pista ciclabile, prevista dal nuovo Piano Strutturale lungo il sedime della vecchia ferrovia che correrà da nord a sud collegando il Parco della Montagnola e in generale il centro storico al Parco Nord, situato oltre il limite viario della tangenziale. Parallelamente alla pista ciclabile, si svilupperà allʼinterno del tessuto un ampio viale pedonale che, dal Dopolavoro Ferroviario (parco attrezzato con impianti sportivi) collegherà la grande area verde che sorgerà dove ora giacciono i resti delle ex Industrie Casaralta, adiacenti alla Caserma Sani, già oggetto di bonifica e in via di dismissione, incontrando lungo il suo percorso differenti realtà e funzioni: complessi residenziali, terziari, il polo culturale e le aree verdi. Allʼinterno dellʼarea della Caserma sarà integrato agli edifici, nuovi e preesistenti, un sistema di piazze pavimentate e percorsi di attraversamento che lo riuniscono al tessuto circostante e favoriscono il collegamento da nord a sud e da est a ovest di zone della città finora poco coinvolte dal traffico pedonale, in particolare è il caso del Fiera District separato dal traffico veloce di Via Stalingrado rispetto alla zona residenziale della Bolognina. Il progetto lascia ampio spazio alle aree verdi, le quali costituiscono più del 50 % della superficie di comparto, garantendo una preziosa risorsa ambientale per il quartiere. Lʼintervento assicura lʼinserimento di una molteplicità di funzioni e servizi: residenze unifamiliari e uno studentato, uffici e commercio, una biblioteca, un auditorium e un polo museale.

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Nell'aprile 2009 la città dell'Aquila e le zone limitrofe sono state interessate da uno sciame sismico che ha raggiunto l'apice della sua intensità durante la notte del 6 aprile, facendo registrare ai sismografi il sesto grado della scala Richter. Le conseguenze del sisma sono state devastanti, numerose le vittime e gli sfollati; ingenti i danni alla città. Molti edifici, in particolare nel centro storico, sono stati interessati da numerosi crolli o da danni spesso irreversibili, la situazione post-calamità ha quindi posto il grande problema della ricostruzione di una città consolidata. Partendo da questi presupposti il progetto si pone come obiettivo di fornire una proposta concreta per la ricostruzione dell'area di centro storico compresa fra la zona della ex chiesa di Santa Croce e il viale Duca Degli Abruzzi, tentando di ricostruire e riqualificare il tessuto che si affaccia su via Roma; Decumano della città storica. La necessità di ricostruire una parte così significativa della città ha condotto a delle riflessioni sulla natura stessa del luogo e della sua evoluzione. Si sono così potuti mettere a fuoco un certo numero di problemi urbanistici e architettonici che dal primo dopoguerra ad oggi hanno via via cambiato i caratteri fondamentali dell'area di progetto come dell'intera città; sviluppando quest'ultima in maniera piuttosto inorganica e contaminando la struttura originaria del centro storico. Il progetto vuole quindi cogliere l'occasione per riorganizzare parte del tessuto, rifacendosi ai principi generatori e ai caratteri della forma originaria dell'Aquila. Gli edifici progettati perseguono obiettivi molteplici e a volte discordanti ad esempio l' ottima qualità dell'abitare e l'economicità sono due importanti caratteristiche che si è cercato di unire tramite tecnologie votate all'efficienza energetica, alla semplificazione del cantiere e alla semiprefabbricazione. Tali strumenti tecnologici sono molto utili a razionalizzare e ottimizzare il processo costruttivo, in linea con quelle che sono le esigenze della produzione contemporanea; soprattutto in ambito residenziale.

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Prima di procedere con il progetto sono state fatte sezioni storiche dell’area, in epoche indicative, per comprendere quelle che sono le invarianti e le caratteristiche di tale tessuto. Da qui si è dedotto lo schema generatore dell’insediamento che parte dall’identificazione degli assi viari (pedonali e carrabili) già presenti nell’area, che fanno diretto riferimento allo schema cardo-decumanico generatore dell’impianto angioino della città. Con il tracciamento si individuano gli isolati base, che con variazioni formali e tipologiche hanno originato gli edifici di progetto. I corpi di fabbrica generatori della planimetria, dialogano e rimangono a stretto contatto con i pochi edifici agibili, per i quali sono previsti consolidamenti e ristrutturazioni, qualora necessari. Inevitabile è stato il confronto con l’orografia, prestando particolare attenzione a non annullare con l’inserimento degli edifici il dislivello presente, ma lasciarlo percepire chiaramente: l’attacco a terra di ogni edificio avviene gradualmente, passando dai due piani fuori terra a monte ai tre, quattro a valle. Ovviamente non tutti gli assi sono stati trattati allo stesso modo, ma conseguentemente alla loro funzione e carattere di utilizzo. Analizzando la struttura viaria dell’intera area, si presentano schematicamente due anelli di circonvallazione del centro urbano: uno più esterno, di più recente costruzione, rappresentato da via XX Settembre, e uno più vecchio, che rimane rasente al centro storico, costituito dal viale Duca Degli Abruzzi, che prosegue in viale Giovanni XXIII e termina nel viadotto Belvedere. Quest’ultimo asse rappresenta sicuramente un importante collegamento cittadino, sia per la vicinanza al centro, sia per le porzioni di città messe in comunicazione; nonostante ciò il viadotto ha subito, all’altezza di viale Nicolò Persichetti, uno smottamento dopo il 6 aprile, ed essendo un elemento di scarso valore architettonico e spaziale, la sua presenza è stata ripensata. Compiendo una deviazione su via XX Settembre al termine di viale Duca Degli Abruzzi, che va a sfruttare la già presente via Fonte Preturo, non si va a rivoluzionante l’odierno assetto, che confluisce comunque, qualche centinaio di metri dopo, in via XX Settembre è si eliminano le connotazioni negative che il viadotto avrebbe sul rinnovato ingresso al centro storico. La vivibilità tende a favorire così collegamento e all’eterogeneità degli spazi più che la separazione fisica e psicologica: il concetto di città fa riferimento alla vita in comune; per favorirla è importante incentivare i luoghi di aggregazione, gli spazi aperti. Dalle testimonianze degli aquilani la vita cittadina vedeva il centro storico come principale luogo d’incontro sociale. Esso era animato dal numeroso “popolo” di studenti, che lo manteneva attivo e vitale. Per questo nelle intenzioni progettuali si pone l’accento su una visione attiva di città con un carattere unitario come sostiene Ungers3. La funzione di collegamento, che crea una struttura di luoghi complementari, può essere costituita dal sistema viario e da quello di piazze (luoghi sociali per eccellenza). Via Fontesecco ha la sua terminazione nell’omonima piazza: questo spazio urbano è sfruttato, nella conformazione attuale, come luogo di passaggio, piuttosto che di sosta, per questo motivo deve essere ricalibrato e messo in relazione ad un sistema più ampio di quello della sola via. In questo sistema di piazze rientra anche la volontà di mettere in relazione le emergenze architettoniche esistenti nell’area e nelle immediate vicinanze, quali la chiesa e convento dell’Addolorata, Palazzo Antonelli e la chiesa di San Domenico (che si attestano tutte su spazi aperti), e la chiesa di San Quinziano su via Buccio di Ranallo. In quest’ottica l’area d’intervento è intesa come appartenente al centro storico, parte del sistema grazie alla struttura di piazze, e allo stesso tempo come zona filtro tra centro e periferia. La struttura di piazze rende l’area complementare alla trama di pieni e vuoti già presente nel tessuto urbano cittadino; la densità pensata nel progetto, vi si accosta con continuità, creando un collegamento con l’esistente; allontanandosi dal centro e avvicinandosi quindi alle più recenti espansioni, il tessuto muta, concedendo più spazio ai vuoti urbani e al verde. Via Fontesecco, il percorso che delimita il lato sud dell’area, oltre ad essere individuata tra due fronti costruiti, è inclusa tra due quinte naturali: il colle dell’Addolorata (con le emergenze già citate) e il colle Belvedere sul quale s’innesta ora il viadotto. Questi due fronti naturali hanno caratteri molto diversi tra loro: il colle dell’Addolorata originariamente occupato da orti, ha un carattere urbano, mentre il secondo si presenta come una porzione di verde incolto e inutilizzato che può essere sfruttato come cerniera di collegamento verticale. Lo stesso declivio naturale del colle d’Addolorata che degrada verso viale Duca Degli Abruzzi, viene trattato nel progetto come una fascia verde di collegamento con il nuovo insediamento universitario. L’idea alla base del progetto dell’edilizia residenziale consiste nel ricostruire insediamenti che appartengano parte della città esistente; si tratta quindi, di una riscoperta del centro urbano e una proposta di maggior densità. Il tessuto esistente è integrato per ottenere isolati ben definiti, in modo da formare un sistema ben inserito nel contesto. Le case popolari su via Fontesecco hanno subito con il sisma notevoli danni, e dovendo essere demolite, hanno fornito l’occasione per ripensare all’assetto del fronte, in modo da integrarlo maggiormente con il tessuto urbano retrostante e antistante. Attualmente la conformazione degli edifici non permette un’integrazione ideale tra i percorsi di risalita pedonale al colle dell’Addolorata e la viabilità. Le scale terminano spesso nella parte retrostante gli edifici, senza sfociare direttamente su via Fontesecco. Si è quindi preferito frammentare il fronte, che rispecchiasse anche l’assetto originario, prima cioè dell’intervento fascista, e che consentisse comunque una percezione prospettica e tipologica unitaria, e un accesso alla grande corte retrostante. Il nuovo carattere di via Fontesecco, risultante dalle sezioni stradali e dalle destinazioni d’uso dei piani terra degli edifici progettuali, è quello di un asse commerciale e di servizio per il quartiere. L’intenzione, cercando di rafforzare l’area di progetto come nuovo possibile ingresso al centro storico, è quella di estendere l’asse commerciale fino a piazza Fontesecco, in modo da rendere tale spazio di aggregazione vitale: “I luoghi sono come monadi, come piccoli microcosmi, mondi autonomi, con tutte le loro caratteristiche, pregi e difetti, inseriti in un macrocosmo urbano più grande, che partendo da questi piccoli mondi compone una metropoli e un paesaggio”.4[...] Arretrando verso l’altura dell’Addolorata è inserita la grande corte del nuovo isolato residenziale, anch’essa con servizi (lavanderie, spazi gioco, palestra) ma con un carattere diverso, legato più agli edifici che si attestano sulla corte, anche per l’assenza di un accesso carrabile diretto; si crea così una gerarchia degli spazi urbani: pubblico sulla via e semi-pubblico nella corte pedonale. La piazza che domina l’intervento (piazza dell’Addolorata) è chiusa da un edificio lineare che funge da “quinta”, il centro civico. Molto flessibile, presenta al suo interno spazi espositivi e un auditorium a diretta disposizione del quartiere. Sempre sulla piazza sono presenti una caffetteria, accessibile anche dal parco, che regge un sistema di scale permettendo di attraversare il dislivello con la “fascia” verde del colle, e la nuova ala dell’Hotel “Duca degli Abruzzi”, ridimensionata rispetto all’originale (in parte distrutto dal terremoto), che si va a collegare in maniera organica all’edificio principale. Il sistema degli edifici pubblici è completo con la ricostruzione del distrutto “Istituto della Dottrina Cristiana”, adiacente alla chiesa di San Quinziano, che va a creare con essa un cortile di cui usufruiscono gli alunni di questa scuola materna ed elementare. Analizzando l’intorno, gran parte dell’abitato è definito da edifici a corte che, all’interno del tessuto compatto storico riescono a sopperire la mancanza di spazi aperti con corti, più o meno private, anche per consentire ai singoli alloggi una giusta illuminazione e areazione. Nel progetto si passa da due edifici a corti semi-private, chiusi in se stessi, a un sistema più grande e complesso che crea un ampio “cortile” urbano, in cui gli edifici che vi si affacciano (case a schiera e edifici in linea) vanno a caratterizzare gli spazi aperti. Vi è in questa differenziazione l’intenzione di favorire l’interazione tra le persone che abitano il luogo, il proposito di realizzare elementi di aggregazione più privati di una piazza pubblica e più pubblici di una corte privata. Le variazioni tipologiche degli alloggi poi, (dalla casa a schiera e i duplex, al monolocale nell’edilizia sociale) comportano un’altrettanta auspicabile mescolanza di utenti, di classi sociali, età e perché no, etnie diverse che permettano una flessibilità nell’utilizzo degli spazi pubblici.