423 resultados para modulo gestione messaggistica HL7 sanità


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ABSTRACT In passato valeva il motto “grande è meglio”. Le aziende avevano enormi magazzini che riempivano fino a che questi riuscivano a contenere merce. Ciò avveniva nella convinzione che gli alti costi della gestione delle scorte sarebbero stati superati dalle vendite. Negli ultimi anni le aziende hanno però radicalmente cambiato il loro approccio alla gestione delle rimanenze: queste, vengono considerate un eccesso e i magazzini con elevate scorte vengono visti come un‟opportunità mancata e capitale sprecato. I produttori sono sempre più consapevoli della necessità di minimizzare l‟inventario e massimizzare la rotazione dei prodotti. In questo contesto si inseriscono le problematiche connesse alla gestione delle scorte, con particolare riferimento al fenomeno dello slow moving, espressione che indica tutti i materiali a lenta movimentazione stoccati a magazzino. Questi spesso rappresentano un importante onere finanziario per le aziende: si sostengono costi di immobilizzo del capitale, di stoccaggio del materiale oltre a quelli connessi al rischio di obsolescenza. Molto spesso si tende a trascurare il problema, fino a quando le dimensioni di quest‟ultimo si ingrandiscono al punto di diventare una priorità aziendale da cui si cerca una rapida soluzione. L‟elaborato presenta un preliminare studio di caso che ha costituito il punto di partenza per la progettazione di un action plan per la riduzione e lo smaltimento degli item obsoleti e a bassa movimentazione di una realtà aziendale italiana del settore metalmeccanico di cui si presentano anche i primi risultati dell‟implementazione. Dopo aver fornito una panoramica teorica sul ruolo e la gestione delle scorte, si passa ad analizzare il problema dello slow moving in una particolare realtà aziendale, la Biffi s.r.l. di Fiorenzuola d‟Arda (Piacenza), un‟ impresa che dal 1955 produce attuatori per valvole. Esaminato il mercato di riferimento, il tipo di prodotto e il processo di fabbricazione, si passa all‟as-is del magazzino. Attraverso tale analisi, vengono poste in risalto le problematiche legate all‟identificazione, classificazione e gestione dei codici slow moving. E‟ stato proprio lo studio di questi dati che ha posto le basi per lo sviluppo dell‟action plan per la razionalizzazione delle giacenze a magazzino. Nell‟ultima parte dell‟elaborato ho quindi descritto le azioni intraprese e presentato i risultati ottenuti, che hanno consentito risparmi significativi senza effettuare investimenti , ma semplicemente utilizzando al meglio le risorse già disponibili.

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Il cambiamento organizzativo costituisce oggi un elemento fondamentale per la sopravvivenza dell'impresa. Un approccio al cambiamento è costituito dal Total Quality Management (o Qualità Totale). La Qualità Totale pone il cliente e la sua soddisfazione al centro delle decisioni aziendali. Ciò presuppone un coinvolgimento di tutto il personale dell'impresa nell'attività di miglioramento continuo. Un sistema di gestione della Qualità Totale è rappresentato dalla Lean Manufacturing. Infatti, i punti essenziali della Lean Manufacturing sono il focus sul cliente, l'eliminazione degli sprechi ed il miglioramento continuo. L'obiettivo è la creazione di valore per il cliente e, quindi, l'eliminazione di ogni forma di spreco. E' necessario adottare un'organizzazione a flusso e controllare continuamente il valore del flusso nell'ottica del miglioramento continuo. Il Lead Time costituisce l'indicatore principale della Lean Manufacturing.I risultati principali della Lean Manufacturing sono: aumento della produttività, miglioramento della qualità del prodotto, riduzione dei lead time e minimizzazione delle scorte ed aumento della rotazione. Tutto ciò è applicato ad un caso aziendale reale. Il caso si compone di un'analisi dei processi di supporto, dell'analisi del capitale circolante (analisi dello stock e del flusso attuale e futuro) e dell'analisi del sistema di trasporto, con l'obiettivo di ridurre il più possibile il lead time totale del sistema.

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Riba Composites, azienda specializzata nella lavorazione della fibra di materiali compositi avanzati, si trova in una vantaggiosa situazione di sviluppo e ampliamento del proprio raggio d’azione, e dove le informazioni da gestire sono sempre più numerose. E’ quindi risultato necessario un supporto informativo che gestisca le informazioni. Dal punto di vista produttivo, l’introduzione del sistema informativo ha l’obiettivo di rispondere alle problematiche legate alla gestione dei materiali, sia a livello di materie prime, che di semilavorati e prodotti finiti in modo tale da gestirli con efficienza ed evitando le rotture di stock. L’obiettivo di fondo che Riba vuole perseguire é di crescere e svilupparsi in logica di lean production che, nell’ottica della gestione dei magazzini significa “approvvigionare i materiali solamente nel momento in cui si manifesta un fabbisogno”. Quest’approccio abbandona la attuale logica di pianificazione “a spinta” (push) che prevedeva la programmazione degli approvvigionamenti e la produzione di semilavorati e prodotti finiti attraverso previsioni basate sull’analisi di dati storici o di mercato, e non attraverso gli ordini effettivamente acquisiti su cui si basa la logica di produzione “snella” (pull). L’implementazione di un sistema ERP ha richiesto un’analisi approfondita dell’azienda in cui si opera così come del prodotto finito e del processo produttivo, a tal punto da poter riconoscere le esigenze e le necessità a cui dovrà rispondere il sistema informativo. A questa fase di analisi e raccolta dati segue un momento di assestamento del sistema informativo, in cui solo una parte di articoli viene gestita dal sistema per poter procedere contemporaneamente con la graduale formazione del personale. La durata del progetto in questione è stata stimata di circa 20 mesi, tempo necessario per poter adattare il sistema e le diverse personalizzazioni ad un processo così complesso come la lavorazione della fibra di carbonio. Termine previsto Agosto 2010

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La Tesi si occupa dello studio della gestione delle piene al limite della prevedibilità nel tratto medio inferiore del Fiume Po attraverso una laminazione controllata in Fascia C, in linea con le linee strategiche dell'AdB-Po. A tal fine è stato realizzato un modello numerico idraulico quasi-bidimensionale del tratto studiato del Fiume con il software HEC-RAS, comprendente le Fasce A, B e C, calibrato per un tempo di ritorno di 500 anni. Sono state condotte delle simulazioni sotto l'ipotesi di argini erodibili con conseguente formazione di brecce nei punti soggetti a tracimazione (situazione attuale), e sotto l'ipotesi di argini inerodibili (teorico intervento di rivestimento e consolidamento dei tratti arginali interessati da sormonto); attraverso il confronto dei risultati si è dimostrata l'utilità della laminazione controllata in Fascia C e l'auspicabilità di nuovi studi volti all'individuazione di aree poco sensibili in cui convogliare i volumi idrici esondati.

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La relazione mira ad illustrare l'importanza del compostaggio, quale tecnologia per lo smaltimento dei rifiuti e recupero di risorse. Vengono descritti il processo di stabilizzazione aerobica, i meccanismi microbici e i parametri fisico-chimici che lo caratterizzano. E' evidenziata l'importanza della raccolta differenziata e della scelta delle matrici compostabili nell'ottimizzazione di questa biotecnologia spontanea per il trattamento di rifiuti e reflui organici putrescibili. E' sottolineato, inoltre, come una corretta gestione del processo permetta di valorizzare residui di varia natura trasformandoli in un buon compost, prodotto valido dal punto di vista agronomico e ambientale. Nella parte finale della relazione verrà inoltre descritto un impianto di compostaggio, presente nel territorio regionale, la Nuova Geovis di Sant'Agata Bolognese e dal punto di vista applicativo, verrà  costruito un modello, che permetta di legare l'andamento della temperatura all'andamento dell'IRD, Indice di Respirazione Dinamico, attraverso dati raccolti presso l'impianto, relativi ovviamente a Indice di Respirazione Dinamico (IRD) e temperatura. Questo anche per valutare il corretto del processo stesso.

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La presente tesi tratta delle analisi di sicurezza delle intersezioni sia esistenti, sia di nuova progettazione. Nel primo capitolo vengono definite le intersezioni secondo il D.M. 19-04-06 “Norme funzionali e geometriche per la costruzione delle intersezioni stradali”. Sono descritte le manovre possibili, le problematiche ed i punti di conflitto che si vengono a creare durante l’attraversamento, definendo le varie tipologie. Successivamente si affronta una classificazione tipologica delle intersezioni rappresentando per mezzo di una matrice simbolica tutti i possibili nodi. Questi vengono suddivisi in base alla possibilità di connessione. Ampio spazio è dato alla descrizione dell’intersezione a raso dove vengono esaminate le caratteristiche geometriche tra cui le configurazioni delle corsie e le tipologie di isole divisionali. Vengono esaminate le particolarità dell’intersezione semaforizzata definendo il ciclo semaforico e gli elementi che lo compongono, la fasatura, il livello di servizio (LOS), il ritardo, definendo gli elementi che lo compongono per mezzo di formule empiriche. Nella seconda parte del capitolo viene descritta l’intersezione a rotatoria in base al D.M. 19-04-06. Inizialmente si introduce l’argomento con nozioni storiche a carattere informativo, quindi si da una classificazione generale degli elementi che la caratterizzano. Viene descritta l’isola divisionale spiegandone la tipologia costruttiva e rappresentando i parametri di classificazione geometrica. A titolo di esempio sono state inserite varie rappresentazioni di rotatorie suddivise per tipologie costruttive. Nell’ultima parte viene affrontato l’elemento rotatoria definendo la distanza di visibilità e i criteri per il calcolo della capacità. Il secondo capitolo parla delle analisi di sicurezza delle intersezioni. Inizialmente viene descritta la circolare 3699 “Linee guida per le analisi di sicurezza delle strade” definendo il concetto di analisi di sicurezza ed esaminando le differenze tra le due tipologie di analisi: Road safety review e Road safety audit. In seguito si descrivono gli obbiettivi dell’analisi di sicurezza, vantaggi e svantaggi e la valutazione dell’approccio concettuale. Viene descritta più approfonditamente la tipologia del Road safety review evidenziando l’utilità, gli elementi che la caratterizzano, le figure professionali che prendono parte a queste analisi con le azioni che devono seguire. Dopo si analizzano i criteri per affrontare gli studi sulla sicurezza e le fasi per le procedure di analisi. Si procede con la descrizione di una tipologia di ispezione, analizzando le problematiche e la stesura del rapporto di analisi con la descrizione dei tempi di attuazione. Nella parte centrale del capitolo viene descritta la direttiva del parlamento europeo e del consiglio sulla gestione della sicurezza delle infrastrutture stradali con i relativi obbiettivi che si prefigge. Vengono riportati i 13 articoli che si compone con i relativi 4 allegati inerenti a: - Valutazione di impatto sulla sicurezza; - Audit della sicurezza stradale; - Gestione dei tratti stradali ad alto rischio, gestione della sicurezza della rete e ispezione di sicurezza; - Dati che devono figurare nelle relazioni di incidenti. L’ultimo argomento preso in esame riguarda le norme per gli interventi di adeguamento delle strade esistenti. Vengono descritte le categorie di intervento e gli obbiettivi da raggiungere distinguendoli in obbiettivi prestazionali, di funzionalità operativa e sicurezza della circolazione. Vengono affrontate le caratteristiche e le differenze tra interventi strutturali e non strutturali con i relativi obbiettivi valutando gli effetti che si ottengono dall’adeguamento delle strade. Successivamente vengono descritte le campagne di monitoraggio con le relative procedure e tempistiche. Infine si valutano le responsabilità degli interventi. Nel capitolo 3 viene descritta l’analisi dello stato di fatto. Si è proceduto con la classificazione della infrastruttura descrivendo i tratti di strada interessati dall’intervento ed utilizzando delle foto per individuare alcune problematiche emerse nell’intersezione. Utilizzando l’elaborato “azzonamento del territorio comunale di Carpi” è stata descritta la zona oggetto di studio. Poi con la macroclassificazione del territorio con scala 1:10000 viene mostrato graficamente il territorio urbanizzato, in corso di urbanizzazione e a destinazione urbana. L’ultimo elaborato preso in esame riguarda la classificazione acustica del territorio. Infine si è proceduto con l’analisi del traffico e di incidentalità. Utilizzando i dati rilevati dalla polizia municipale del comune di Carpi sono stati costruiti i grafici e studiati gli andamenti nel periodo di tempo di riferimento dal 2000 al 2008. Utilizzando poi i dati dei flussi di traffico si sono analizzati le tipologie e i volumi di traffico nell’intersezione. Nell’ultimo capitolo viene studiato il Road safety review dell’intersezione. Si procede con una descrizione generale dell’intersezione, e si prosegue poi con l’individuazione delle problematiche lungo il tracciato. Inizialmente sono state scattate numerose foto nella zona interessata poi sono state divise per tipologia di problema. Per ogni problema si è cercato una soluzione descrivendo e motivando la scelta. Nelle conclusioni si sono descritti i risultati ottenuti nell’analisi di sicurezza elencando le principali raccomandazioni emerse dall’analisi.

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Analisi in chiave economica e sociale dell'evoluzione di Internet, delle tecnologie legate al Web 2.0, dei fenomeni della pirateria, del software libero ed open source, del copyleft, dei contenuti aperti e della produzione tra pari. Introduzione dei concetti di economia del gratis ("freeconomics") e di coda lunga. Consigli manageriali pratici per i nuovi mercati digitali e per la competizione nella rete Internet.

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Il lavoro svolto da Fabrizio Amici ha suscitato immediatamente il mio interesse in primo luogo perché quando si parla di virtualizzazione con vari fornitori e commerciali, questi la indicano come una soluzione che possa coprire a 360 gradi le esigenze di un Datacenter. Questo è vero nella misura in cui il progetto di virtualizzazione e consolidamento dei Server sia svolto sotto certi criteri progettuali. Per esperienza personale non ho trovato in letteratura lavori che potessero fornire indicazioni approfondite sui parametri da considerare per una corretta progettazione di sistemi di virtualizzazione, spesso ci si avvale di vari fornitori che accennano ad eventuali criticità. Un lavoro come quello proposto da Fabrizio va esattamente nella direzione di rispondere a quelle domande che nascono quando si affronta la tematica della virtualizzazione e soprattutto cerca di capire quali siano i limiti intrinseci della virtualizzazione. In particolare nei vari confronti che, con piacere, ho avuto con Fabrizio, il mio suggerimento è stato quello di esasperare il sistema che aveva assemblato, caricando i test sino ad osservarne i limiti. Dai vari test sono emerse sia conferme, sia inaspettati comportamenti del sistema che rendono ancora più chiaro che solo una prova sperimentale può essere il banco di prova di un sistema complesso. L'elemento che colpisce maggiormente analizzando i risultati è il diverso comportamento in funzione delle CPU utilizzate. I risultati indicano chiaramente che le prestazioni sono fortemente influenzate da come si distribuiscono i core nelle macchine virtuali. Dalla lettura dei risultati viene confermato che i sistemi virtualizzati devono essere progettati per non raggiungere il 70-80% della componente più critica (RAM, CPU) ma anche che sono fortemente sensibili alle disponibilità prestazionali dei sistemi al contorno (Rete, SAN/Dischi). L'approccio metodico sperimentale ed i risultati forniscono una serie di elementi che permettono di affrontare la tematica della virtualizzazione in un quadro generale più solido, offrendo fra l'altro spunti di ricerca ulteriori anche in previsione di nuove soluzioni che vari costruttori, sviluppatori e system integrator proporranno nei prossimi anni. Ing. Massimiliano Casali Esperto di Gestione ICT, Pubblica Amministrazione,Repubblica di San Marino

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Questa si ripropone in prima istanza di analizzare le origini e l’evoluzione del concetto di sostenibilità e successivamente di prendere in considerazione uno dei tanti mezzi che consentono di perseguirla: la gestione della sosta. Per molti anni infatti, a partire dal momento in cui sono iniziate ad emergere le esternalità negative legate al traffico, si è pensato che quello dei parcheggi fosse solo un ulteriore problema. Solo di recente, dalla fine degli anni ’90, fatta eccezione per il caso della Gran Bretagna che ha fatto da capofila già a partire dagli anni ’80, si è iniziato a considerare la sosta come parte della soluzione dei problemi di congestione, inquinamento e di vivibilità delle città. Verrà analizzata perciò nel secondo capitolo l’evoluzione delle politiche della sosta a livello europeo, con particolare attenzione all’operato svolto dall’EPA (European Parking Association) associazione leader nel settore riconosciuta dall’Unione Europea e sostenuta da 18 Paesi membri tra cui anche l’Italia. Il lavoro svolto da quest’associazione, nata nei primi anni ’80, è quello di decidere insieme agli associati delle linee comuni da seguire per migliorare le politiche a livello europeo riguardo la gestione della sosta. Si tratta nella pratica di studi, convegni e analisi degli effetti prodotti da provvedimenti intrapresi nelle varie città che hanno iniziato ad introdurre la regolamentazione della sosta. Sempre nel secondo capitolo saranno quindi presentate le linee guida europee nell’ambito dei parcheggi e si analizzeranno casi di “Best Practices” di alcuni Paesi che hanno introdotto provvedimenti per la gestione della sosta. Nel terzo capitolo invece viene considerata la situazione in Italia parlando in principio di Aipark, l’associazione italiana operatori nel settore dei parcheggi che partecipa alle attività dell’Epa e prendendo in esame in seguito le politiche adottate a livello nazionale e nello specifico in alcune tra le più importanti città italiane. Si vedrà come sia ancora troppo marcata la distanza del nostro Paese dai progressi registrati in altri Paesi dell’UE, con le dovute eccezioni. Per quel che riguarda l’aspetto normativo è significativo il fatto che, nonostante il riconoscimento della forte influenza che le politiche della sosta hanno sulla regolazione del traffico, ci siano ancora molte lacune legislative e che spesso la sosta non compaia tra i soggetti delle leggi in tale settore. La legislazione italiana nell’ambito dei parcheggi verrà analizzata nel quarto capitolo. Successivamente, nei capitoli 5 e 6 si parlerà delle fasi preliminari della redazione del Piano della Sosta di Casalecchio di Reno. Il Piano della Sosta è uno dei Piani Particolareggiati che costituiscono il 2° livello di progettazione del PUT (Piano Urbano del Traffico) e rappresenta uno strumento di pianificazione utile ad analizzare lo stato di fatto del sistema dei parcheggi di una città in modo da coglierne le criticità e fornire eventualmente le soluzioni per ovviare ad esse. Nel quinto capitolo viene effettuato un inquadramento territoriale di Casalecchio e si parlerà delle problematiche della sosta emerse nel PGTU (Piano Generale del Traffico Urbano) che costituisce il progetto preliminare o Piano Quadro del PUT. Le fasi attraverso le quali viene elaborato un Piano della sosta si possono sintetizzare nei seguenti punti: - Studio della normativa nazionale e locale e di esempi significativi di altre realtà nell’ambito della sosta. - Analisi dello stato di fatto in termini di domanda e offerta. - Indagini mediante incontri pubblici, distribuzione di questionari o interviste dirette, per cogliere le esigenze degli utenti che usufruiscono del servizio. - Analisi delle eventuali criticità emerse. - Progettazione del nuovo assetto della sosta. - Campagna di sensibilizzazione per fare “accettare” con più facilità i cambiamenti agli utenti. Nel sesto capitolo di questa tesi, e negli allegati si possono consultare i risultati delle indagini su domanda e offerta condotte da TPS (Transport Planning Service), azienda che svolge attività di pianificazione e progettazione, di fornitura software, oltre che indagini e rilievi nell’ambito dei trasporti. Verranno descritte le modalità di rilievo e verranno presentati i risultati ottenuti dall’elaborazione dei dati raccolti, con qualche accenno alle possibili soluzioni per risolvere le problematiche emerse. La fase di progettazione vera e propria degli interventi non verrà invece trattata in questa sede.

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L'elaborato di tesi sviluppato ha come obiettivo l'ottimizzazione della Supply Chian di contesti manufatturieri con particolare attenzione alle procedure di approvvigionamento dei materiali e al problema dei materiali "mancanti" in produzione.Viene esposto il risultato di un’attività di analisi di due casi reali per l’ottimizzazione dell'impatto logistico del problema dell'alimentazione di sistemi di fabbricazione e montaggio. Lo studio è stato affrontato definendo un approccio basato su una duplice analisi del processo, top-down e bottom-up. Le due analisi condotte hanno permesso di procedere alla mappatura dell’intero processo end to end (che inizia con le richieste del cliente e termina con la consegna dei prodotti allo stesso) e di individuare le criticità in esso presenti, sulla base delle quali sono state fornite una serie di linee guida per la risoluzione del problema dei mancanti. I risultati ottenuti hanno evidenziato che l’ottimizzazione dell’area di pianificazione permette di migliorare la qualità dei dati in ingresso all’intero processo con conseguente diminuzione del numero di materiali mancanti. Tuttavia, la trasversalità dell’argomento ai processi aziendali impedisce la definizione di un approccio al problema focalizzato su un’area specifica. Infine, è stata eseguita una bozza di valutazione economica per la stima dei tempi di recupero degli investimenti necessari.

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Cambiamenti di habitat in ambienti marini: uno studio sperimentale sulla perdita di foreste a Cystoseira barbata (Stackhouse) C. Agardh e sui popolamenti che le sostituiscono La presente tesi affronta il tema scientifico generale di come prevedere e mitigare la perdita di habitat marini naturali causata dalle attività umane. La tesi si è focalizzata sugli habitat subtidali a “canopy” formati da macroalghe brune a tallo eretto dell’ordine Fucales, che per morfologia, ruolo ed importanza ecologica possono essere paragonate alle “foreste” in ambienti terrestri temperati. Questi sistemi sono tra i più produttivi in ambienti marini, e sono coinvolti in importanti processi ecologici, offrendo cibo, protezione, riparo ed ancoraggio a diverse altre specie animali e vegetali, modificando i gradienti naturali di luce, sedimentazione e idrodinamismo, e partecipando al ciclo dei nutrienti. Sulle coste temperate di tutto il mondo, le foreste di macroalghe a canopy sono in forte regressione su scala locale, regionale e globale. Questo fenomeno, che sta accelerando a un ritmo sempre più allarmante, sta sollevando interesse e preoccupazione. Infatti, data la loro importanza, la perdita di questi habitat può avere importanti conseguenze ecologiche ed economiche, tra cui anche il possibile declino della pesca che è stato osservato in alcune aree in seguito alla conseguente riduzione della produttività complessiva dei sistemi marini costieri. Nel Mar Mediterraneo questi tipi di habitat sono originati prevalentemente da alghe appartenenti al genere Cystoseira, che sono segnalate in forte regressione in molte regioni. Gli habitat a Cystoseira che ancora persistono continuano ad essere minacciati da una sineregia di impatti antropici, ed i benefici complessivi delle misure di protezione fin ora attuate sono relativamente scarsi. Scopo della presente tesi era quello di documentare la perdita di habitat a Cystoseira (prevalentemente Cystoseira barbata (Stackhouse) C. Agardh) lungo le coste del Monte Conero (Mar Adriatico centrale, Italia), e chiarire alcuni dei possibili meccanismi alla base di tale perdita. Studi precedentemente condotti nell’area di studio avevano evidenziato importanti cambiamenti nella composizione floristica e della distribuzione di habitat a Cystoseira in quest’area, e avevano suggerito che la scarsa capacità di recupero di questi sistemi potesse essere regolata da interazioni tra Cystoseira e le nuove specie dominanti sui substrati lasciati liberi dalla perdita di Cystoseira. Attraverso ripetute mappature dell’habitat condotte a partire da Luglio 2008 fino a Giugno 2010, ho documentato la perdita progressiva delle poche, e sempre più frammentate, patch di habitat originate da questa specie in due siti chiamati La Vela e Due Sorelle. Attraverso successivi esperimenti, ho poi evidenziato le interazioni ecologiche tra le specie dominanti coinvolte in questi cambiamenti di habitat, al fine di identificare possibili meccanismi di feedback che possano facilitare la persistenza di ciascun habitat o, viceversa, l’insediamento di habitat alternativi. La mappatura dell’habitat ha mostrato un chiaro declino della copertura, della densità e della dimensione degli habitat a Cystoseira (rappresentati soprattutto dalla specie C. barbata e occasionalmente C. compressa che però non è stata inclusa nei successivi esperimenti, d’ora in avanti per semplicità verrà utilizzato unicamente il termine Cystoseira per indicare questo habitat) durante il periodo di studio. Nel sito Due Sorelle le canopy a Cystoseira sono virtualmente scomparse, mentre a La Vela sono rimaste poche, sporadiche ed isolate chiazze di Cystoseira. Questi habitat a canopy sono stati sostituiti da nuovi habitat più semplici, tra cui soprattutto letti di mitili, feltri algali e stand monospecifici di Gracilaira spp.. La mappatura dell’habitat ha inoltre sottolineato una diminuzione del potenziale di recupero del sistema con un chiaro declino del reclutamento di Cystoseira durante tutto il periodo di studio. Successivamente ho testato se: 1) una volta perse, il recupero di Cystoseira (reclutamento) possa essere influenzato dalle interazioni con le nuove specie dominanti, quali mitili e feltri algali; 2) il reclutamento di mitili direttamente sulle fronde di Cystoseira (sia talli allo stadio adulto che giovanili) possa influenzare la sopravvivenza e la crescita della macroalga; 3) la sopravvivenza e la crescita delle nuove specie dominanti, in particolare mitili, possa essere rallentata dalla presenza di canopy di Cystoseira. I risultati dimostrano che le nuove specie dominanti insediatesi (feltri algali e mitili), possono inibire il reclutamento di Cystoseira, accelerandone il conseguente declino. L’effetto diretto dei mitili sulle fronde non è risultato particolarmente significativo né per la sopravvivenza di Cystoseira che finora non è risultata preclusa in nessun stadio di sviluppo, né per la crescita, che nel caso di individui adulti è risultata leggermente, ma non significativamente, più elevata per le fronde pulite dai mitili, mentre è stato osservato il contrario per i giovanili. La presenza di canopy a Cystoseira, anche se di piccole dimensioni, ha limitato la sopravvivenza di mitili. Questi risultati complessivamente suggeriscono che una foresta di macroalghe in buone condizioni può avere un meccanismo di autoregolazione in grado di facilitare la propria persistenza. Quando però il sistema inizia a degradarsi e a frammentarsi progressivamente, i cambiamenti delle condizioni biotiche determinati dall’aumento di nuove specie dominanti contribuiscono alla mancanza di capacità di recupero del sistema. Pertanto le strategie per una gestione sostenibile di questi sistemi dovrebbero focalizzarsi sui primi segnali di cambiamenti in questo habitat e sui possibili fattori che ne mantengono la resilienza.

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Le aree costiere hanno un ruolo fondamentale nello sviluppo economico, sociale e politico della maggior parte dei paesi; esse supportano infatti diversi ecosistemi produttivi che rendono disponibili beni e servizi. L'importanza economica delle aree costiere è destinata a una considerevole crescita a causa del costante aumento delle popolazioni, delle industrie e delle attività  ricreazionali che si concentrano sempre di più sulle coste e ciò può provocare un'alterazione delle linee di costa, imputabile a più fattori e un deterioramento delle condizioni naturali. E' necessario anche tenere da conto dei processi erosivi, sia imputabili a cause naturali (correnti oceaniche, movimenti di marea; azione del vento) sia a cause antropiche (subsidenza del terreno indotta dall'uomo, dragaggio al largo, riduzione del rifornimento di sedimento dai fiumi, distruzione di letti algali, paludi e dune sabbiose). A questo panorama va poi aggiunto il problema dell'innalzamento del livello del mare e dell'aumento delle frequenze di tempeste, come conseguenza del cambiamento climatico globale. In questo contesto quindi, le strutture rigide di difesa contro l'erosione e le mareggiate sono diventate molto comuni nelle aree costiere, coinvolgendo in alcune regioni più della metà della linea di costa. Il meccanismo di difesa attuato dalle barriere consiste nel provocare una riduzione dell'energia delle onde e conseguentemente in una limitazione della quantità di sedimento che viene da loro rimosso dalla spiaggia. La presenza di strutture rigide di difesa generalmente comporta una perdita di habitat di fondale molle e, a causa delle variazioni idrodinamiche che la loro presenza comporta, anche delle comunità ad esso associate, sia su scala locale, che su scala regionale. Uno dei problemi che tali strutture possono indurre è l'eccessiva deposizione di detrito prodotto dalle specie che si insediano sul substrato duro artificiale, che normalmente non fanno parte delle comunità "naturali" di fondo molle circostanti le strutture. Lo scopo di questo studio è stato quello di cercare di evidenziare gli effetti che la deposizione di tale detrito potesse avere sulle comunita meiobentoniche di fondale molle. A tale fine è stata campionata un'area antistante la località di Lido di Dante (RA), la quale è protetta dal 1996 da una struttura artificiale, per fronteggiare il problema dell'erosione della zona, in aumento negli ultimi decenni. La struttura è costituita da una barriera semisoffolta e tre pennelli, di cui uno completamente collegato alla barriera. A circa 50 m dalla barriera, e alla profondità di 4 m circa, è stato allestito un esperimento manipolativo in cui è stato valutato l'effetto della deposizione delle due specie dominanti colonizzanti la barriera, Ulva sp. e Mitili sp. sull'ambiente bentonico, e in particolare sulla comunità  di meiofauna. Ulva e Mitili sono stati posti in sacche di rete che sono state depositate sul fondo al fine di simulare la deposizione naturale di detrito, e tali sacche hanno costituito i trattamenti dell'esperimento, i quali sono stati confrontati con un Controllo, costituito da sedimento non manipolato, e un Controllo Procedurale, costituito da una sacca vuota. Il campionamento è stato fatto in tre occasioni nel giugno 2009 (dopo 2 giorni, dopo 7 giorni e dopo 21 giorni dall'allestimento dell'esperimento) per seguire la dinamica temporale degli effetti del detrito. Per ogni combinazione tempo/trattamento sono state prelevate 4 repliche, per un totale di 48 campioni. Successivamente sono stati prelevati ulteriori campioni di meiofauna in condizioni naturali. In particolare sono stati raccolti in due Posizioni diverse, all'Interno e all'Esterno del pennello posto più a Sud, e su due substrati differenti, rispettivamente Ulva proveniente dalle barriere e sedimento privo di detrito. Per ogni combinazione Posizione/Substrato sono state prelevate 3 repliche, ottenendo un totale di 12 campioni. Tutti i campioni prelevati sono stati poi trattati in laboratorio tramite la procedura di filtratura, pulizia e centrifuga indicata dal protocollo. A questa fase è seguito il sorting al microscopio, durante il quale la meiofauna è stata identificata ed enumerata a livello di taxa maggiori. Per quanto riguarda il taxon più abbondante, quello dei Nematodi, si è proceduto anche all'analisi della distribuzione della biomassa per classi di taglia, in quanto descrittore funzionale delle comunità. Per la costruzione degli spettri di biomassa per classi di taglia sono state misurate la lunghezza e larghezza dei primi 100 Nematodi presenti nei campioni. A partire da tali valori dimensionali è stata calcolata la biomassa di ogni individuo, usata poi per la costruzione dei size spectra, tramite tre metodiche messe a confronto: "Nematode Biomass Spectra" (NBS), "Normalised Nematode Biomass Spectra"(NNBS), "Mean Cumulative Biomass Spectra" (MC-NBS). Successivamente la composizione e la struttura della comunità meiobentonica, in termini di consistenza numerica e di rapporti reciproci di densità degli organismi che la compongono e variabili dimensionali, sono state analizzate mediante tecniche di analisi univariate e multivariate. Ciò che emerge generalmente dai risultati dell'esperimento è la mancanza di interazione significativa tra i due fattori, tempi e trattamenti, mentre sono risultati significativi i due fattori principali, considerati singolarmente. Tali esiti sono probabilmente imputabili all'elevata variabilità fra campioni dei trattamenti e delle patches di controllo. Nonostante ciò l'analisi dei risultati ottenuti permette di effettuare alcune considerazioni interessanti. L'analisi univariata ha mostrato che nel confronto tra trattamenti non ci sono differenze significative nel numero medio di taxa rinvenuti, mentre il livello di diversità e di equidistribuzione degli individui nei taxa differisce in maniera significativa, indicando che la struttura delle comunità varia in funzione dei trattamenti e non in funzione del tempo. Nel trattamento Ulva si osservano le densità più elevate della meiofauna totale imputabile prevalentemente alla densità dei Nematodi. Tuttavia, i valori di diversità e di equiripartizione non sono risultati più elevati nei campioni di Ulva, bensì in quelli di Mitili. Tale differenza potrebbe essere imputabile all'inferiorità numerica dei Nematodi nei campioni di Mitili. Questo andamento è stato giustificato dai differenti tempi di degradazione di Mitili e Ulva posti nelle sacche durante l'esperimento, dai quali emerge una più rapida degradazione di Ulva; inoltre la dimensione ridotta della patch analizzata, i limitati tempi di permanenza fanno sì che l'Ulva non rappresenti un fattore di disturbo per la comunità analizzata. Basandosi su questo concetto risulta dunque difficile spiegare l'inferiorità numerica dei Nematodi nei campioni del trattamento Mitili, in quanto i tempi di degradazione durante l'esperimento sono risultati più lenti, ma è anche vero che è nota l'elevata resistenza dei Nematodi ai fenomeni di ipossia/anossia creata da fenomeni di arricchimento organico. E' possibile però ipotizzare che la presenza delle valve dei Mitili aumenti la complessità dell'habitat e favorisca la colonizzazione da parte di più specie, tra cui specie predatrici. Tale effetto di predazione potrebbe provocare la riduzione dell'abbondanza media dei Nematodi rispetto a Ulva e al Controllo, in quanto i Nematodi costituiscono circa l'85% della meiofauna totale rinvenuta nei campioni. A tale riduzione numerica, però, non corrisponde un decremento dei valori medi di biomassa rilevati, probabilmente a causa del fatto che l'arricchimento organico dovuto ai Mitili stessi favorisca la permanenza degli individui più facilmente adattabili a tali condizioni e di dimensioni maggiori, oppure, la colonizzazione in tempi successivi delle patches a Mitili da parte di individui più grandi. Anche i risultati dell'analisi multivariata sono in accordo con quanto rilevato dall'analisi univariata. Oltre alle differenze tra tempi si evidenzia anche un'evoluzione della comunità nel tempo, in particolar modo dopo 7 giorni dall'allestimento dell'esperimento, quando si registrano il maggior numero di individui meiobentonici e il maggior numero di taxa presenti. Il taxon che ha risentito maggiormente dell'influenza dei tempi è quello degli Anfipodi, con densità maggiori nei campioni prelevati al secondo tempo e sul trattamento Ulva. E'importante considerare questo aspetto in quanto gli Anfipodi sono animali che comprendono alcune specie detritivore e altre carnivore; le loro abitudini detritivore potrebbero quindi aumentare il consumo e la degradazione di Ulva, spiegando anche la loro abbondanza maggiore all'interno di questo trattamento, mentre le specie carnivore potrebbero concorrere al decremento del numero medio di Nematodi nei Mitili. Un risultato inatteso della sperimentazione riguarda l'assenza di differenze significative tra trattamenti e controlli, come invece era lecito aspettarsi. Risultati maggiormente significativi sono emersi dall'analisi del confronto tra sedimento privo di detrito e sedimento contenente Ulva provenienti dal contesto naturale. Relativamente all'area esterna alla barriera, sono stati confrontati sedimento privo di detrito e quello sottostante l'Ulva, nelle condizioni sperimentali e naturali. Globalmente notiamo che all'esterno della barriera gli indici univariati, le densità totali di meiofauna, di Nematodi e il numero di taxa, si comportano in maniera analoga nelle condizioni sperimentali e naturali, riportando valori medi maggiori nei campioni prelevati sotto l'Ulva, rispetto a quelli del sedimento privo di detrito. Differente appare invece l'andamento delle variabili e degli indici suddetti riguardanti i campioni prelevati nell'area racchiusa all'interno della barriera, dove invece i valori medi maggiori si rilevano nei campioni prelevati nel sedimento privo di detrito. Tali risultati possono essere spiegati dall'alterazione dell'idrodinamismo esercitato dalla barriera, il quale provoca maggiori tempi di residenza del detrito con conseguente arricchimento di materia organica nell'area interna alla barriera. Le comunità dei sedimenti di quest'area saranno quindi adattate a tale condizioni, ma la deposizione di Ulva in un contesto simile può aggravare la situazione comportando la riduzione delle abbondanze medie dei Nematodi e degli altri organismi meiobentonici sopracitata. Per quel che riguarda i size spectra la tecnica che illustra i risultati in maniera più evidente è quella dei Nematode Biomass Spectra. I risultati statistici fornitici dai campioni dell'esperimento, non evidenziano effetti significativi dei trattamenti, ma a livello visivo, l'osservazione dei grafici evidenzia valori medi di biomassa maggiori nei Nematodi rilevati sui Mitili rispetto a quelli rilevati su Ulva. Differenze significative si rilevano invece a livello dei tempi: a 21 giorni dall'allestimento dell'esperimento infatti, le biomasse dei Nematodi misurati sono più elevate. Relativamente invece ai size spectra costruiti per l'ambiente naturale, mostrano andamento e forma completamente diversi e con differenze significative tra l'interno e l'esterno della barriera; sembra infatti che la biomassa nella zona interna sia inibita, portando a densità maggiori di Nematodi, ma di dimensioni minori. All'esterno della barriera troviamo invece una situazione differente tra i due substrati. Nel sedimento prelevato sotto l'Ulva sembra infatti che siano prevalenti le classi dimensionali maggiori, probabilmente a causa del fatto che l'Ulva tende a soffocare le specie detritivore, permettendo la sopravvivenza delle specie più grosse, composte da predatori poco specializzati, i quali si cibano degli organismi presenti sull'Ulva stessa. Nel sedimento privo di detrito, invece, la distribuzione all'interno delle classi segue un andamento completamente diverso, mostrando una forma del size spectra più regolare. In base a questo si può ipotizzare che la risposta a questo andamento sia da relazionarsi alla capacità di movimento dei Nematodi: a causa della loro conformazione muscolare i Nematodi interstiziali di dimensioni minori sono facilitati nel movimento in un substrato con spazi interstiziali ridotti, come sono nel sedimento sabbioso, invece Nematodi di dimensioni maggiori sono più facilitati in sedimenti con spazi interstiziali maggiori, come l'Ulva. Globalmente si evidenzia una risposta della comunità  bentonica all'incremento di detrito proveniente dalla struttura rigida artificiale, ma la risposta dipende dal tipo di detrito e dai tempi di residenza del detrito stesso, a loro volta influenzati dal livello di alterazione del regime idrodinamico che la struttura comporta. Si evince inoltre come dal punto di vista metodologico, le analisi univariate, multivariate e dei size spectra riescano a porre l'accento su diverse caratteristiche strutturali e funzionali della comunità. Rimane comunque il fatto che nonostante la comunità scientifica stia studiando metodiche "taxonomic free" emerge che, se da un lato queste possono risultare utili, dall'altro, per meglio comprendere l'evoluzione di comunità, è necessaria un'analisi più specifica che punti all'identificazione almeno delle principali famiglie. E'importante infine considerare che l'effetto riscontrato in questo studio potrebbe diventare particolarmente significativo nel momento in cui venisse esteso alle centinaia di km di strutture artificiali che caratterizzano ormai la maggior parte delle coste, la cui gestione dovrebbe tenere conto non soltanto delle esigenze economico-turistiche, e non dovrebbe prescindere dalla conoscenza del contesto ambientale in cui si inseriscono, in quanto, affiancati a conseguenze generali di tali costruzioni, si incontrano molti effetti sitospecifici.

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La necessità di sincronizzare i propri dati si presenta in una moltitudine di situazioni, infatti il numero di dispositivi informatici a nostra disposizione è in continua crescita e, all' aumentare del loro numero, cresce l' esigenza di mantenere aggiornate le multiple copie dei dati in essi memorizzati. Vi sono diversi fattori che complicano tale situazione, tra questi la varietà sempre maggiore dei sistemi operativi utilizzati nei diversi dispositivi, si parla di Microsoft Windows, delle tante distribuzioni Linux, di Mac OS X, di Solaris o di altri sistemi operativi UNIX, senza contare i sistemi operativi più orientati al settore mobile come Android. Ogni sistema operativo ha inoltre un modo particolare di gestire i dati, si pensi alla differente gestione dei permessi dei file o alla sensibilità alle maiuscole. Bisogna anche considerare che se gli aggiornamenti dei dati avvenissero soltanto su di uno di questi dispositivi sarebbe richiesta una semplice copia dei dati aggiornati sugli altri dispositivi, ma che non è sempre possibile utilizzare tale approccio. Infatti i dati vengono spesso aggiornati in maniera indipendente in più di un dispositivo, magari nello stesso momento, è pertanto necessario che le applicazioni che si occupano di sincronizzare tali dati riconoscano le situazioni di conflitto, nelle quali gli stessi dati sono stati aggiornati in più di una copia ed in maniera differente, e permettano di risolverle, uniformando lo stato delle repliche. Considerando l' importanza e il valore che possono avere i dati, sia a livello lavorativo che personale, è necessario che tali applicazioni possano garantirne la sicurezza, evitando in ogni caso un loro danneggiamento, perchè sempre più spesso il valore di un dispositivo dipende più dai dati in esso contenuti che dal costo dello hardware. In questa tesi verranno illustrate alcune idee alternative su come possa aver luogo la condivisione e la sincronizzazione di dati tra sistemi operativi diversi, sia nel caso in cui siano installati nello stesso dispositivo che tra dispositivi differenti. La prima parte della tesi descriverà nel dettaglio l' applicativo Unison. Tale applicazione, consente di mantenere sincronizzate tra di loro repliche dei dati, memorizzate in diversi dispositivi che possono anche eseguire sistemi operativi differenti. Unison funziona a livello utente, analizzando separatamente lo stato delle repliche al momento dell' esecuzione, senza cioè mantenere traccia delle operazioni che sono state effettuate sui dati per modificarli dal loro stato precedente a quello attuale. Unison permette la sincronizzazione anche quando i dati siano stati modificati in maniera indipendente su più di un dispositivo, occupandosi di risolvere gli eventuali conflitti che possono verificarsi rispettando la volontà dell' utente. Verranno messe in evidenza le strategie utilizzate dai suoi ideatori per garantire la sicurezza dei dati ad esso affidati e come queste abbiano effetto nelle più diverse condizioni. Verrà poi fornita un' analisi dettagiata di come possa essere utilizzata l' applicazione, fornendo una descrizione accurata delle funzionalità e vari esempi per renderne più chiaro il funzionamento. Nella seconda parte della tesi si descriverà invece come condividere file system tra sistemi operativi diversi all' interno della stessa macchina, si tratta di un approccio diametralmente opposto al precedente, in cui al posto di avere una singola copia dei dati, si manteneva una replica per ogni dispositivo coinvolto. Concentrando l' attenzione sui sistemi operativi Linux e Microsoft Windows verranno descritti approfonditamente gli strumenti utilizzati e illustrate le caratteristiche tecniche sottostanti.