34 resultados para biodiesel, catalisi eterogenea, idrotalcite


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In recent years, the asymmetric organocatalysis has been recognized as an independent area of synthetic chemistry, where the goal is the preparation of any chiral molecule in an efficient, rapid, and stereoselective manner. In this context we have synthesized macromolecular catalysts soluble in the reaction conditions and that can finally recovered by simple precipitation and subsequent filtration. In particular different active compounds (9-epi-NH2 hyidroquinine and β –isocupreidine) have been linked to the terminal group of the main chain polyethylene glycol monomethyl ether (PEG-5000). The macromolecular catalysts have been tested in different reactions and the results have been compared with those of the correspondent low molecular compounds.

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One of the key processing parameters in thermoset composites manufacturing is to have an optimum balance between open time and cure time. Long open times followed with a fast cure profile (also referred as snap cure or “hockey stick” shaped profiles) are required on applications like Pultrusion, Filament Winding, Resin Transfer Molding (RTM) and Infusion. In this work, several factors affecting the reactivity of a base line polyurethane formulation were studied. The addition of different components such as internal mold release agents, cross-linker, polyols having different molecular structure and isocyanates having different functionality were studied. A literature search was conducted to identify the main catalyst packages existing in the market. The reactivity of catalyst based on tertiary amines, orgamometallic salts, and co-catalyst of amine-organometallic complexes was characterized. Addition of quelants agents such as thioglycerol and acetyl acetone to delay the catalyst activity were also considered. As a consequence of this work a vast reactivity map was generated. This should guide the formulation designer in future product generations for the further development of the mentioned applications. Recommendations on measurements systems and further areas of exploration are also given.

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The present work is part of a larger project aimed at obtaining compounds of industrial interest from renewable sources. The work is particularly aimed to investigate the reactivity of 2,5-bis-hydroxymethylfuran (BHMF), an important building block of organic nature easily obtainable from biomass, with acid catalysis. Through the study of the reactivity of BHMF in water, in the presence of an heterogeneous acid catalyst (Amberlyst 15), has been developed a new synthetic method for the preparation of α-6-hydroxy-6-methyl-4-enyl-2H-pyran-3-one a derivative whose molecular skeleton is similar to that of natural products which are used in pharmaceutical chemistry. The product is obtained in milder conditions and with better selectivity with respect to the strongly oxidizing conditions with which it is prepared in the literature starting from different precursors containing furan ring.

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Studio, a livello teorico basandosi sulla teoria DFT, del precursore dell’acido fosforico di Brønsted derivato dall’R-BINOL, delineazione delle conformazioni possibili e della loro stabilità come supporto base alla via sperimentale. Ricerca di una via di sintesi ottimizzata, basata sulla reazione di Suzuki-coupling, che permetta di ottenere i precursori ipotizzati in precedenza (si veda la figura 9) con buone rese e successiva separazione degli atropoisomeri mediante HPLC semipreparartiva. Caratterizzazione completa degli isomeri conformazionali utilizzando tecniche spettroscopiche (NMR ed ECD), studio cinetico per ottenere il valore della barriera rotazionale sperimentale (ΔG#) dei gruppi metilnaftalenici attraverso equilibrazione termica e confronto con i dati teorici. Ricerca di una via di sintesi che consenta la funzionalizzazione dei precursori ad acidi fosforici senza alterazione della conformazione atropoisomerica e con assenza di racemizzazione ed equilibrazione. Studio dell’attività catalitica dei vari atropoisomeri in una sintesi asimmetrica nota per osservare sia come varia la reattività in funzione della conformazione molecolare, sia per ottenere confronti con altri organocatalizzatori conosciuti.

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Le sperimentazioni riguardanti la produzione di biodiesel da alghe sono state condotte solo in laboratorio o in impianti pilota e il processo produttivo non è ancora stato sviluppato su scala industriale. L’obiettivo di questo lavoro di tesi è stato quello di valutare la potenziale sostenibilità ambientale ed energetica della produzione industriale di biodiesel da microalghe nella realtà danese ipotizzando la coltivazione in fotobioreattori. La tesi ha analizzato le diverse tecnologie attualmente in sperimentazione cercando di metterne in evidenza punti di forza e punti di debolezza. La metodologia applicata in questa tesi per valutare la sostenibilità ambientale ed energetica dei processi analizzati è LCA strumento che permette di effettuare la valutazione sull’intero ciclo di vita di un prodotto o di un processo. L’unità funzionale scelta è 1 MJ di biodiesel. I confini del sistema analizzato comprendono: coltivazione, raccolta, essicazione, estrazione dell’olio, transesterificazione, digestione anaerobica della biomassa residuale e uso del glicerolo ottenuto come sottoprodotto della transesterificazione. Diverse categorie d’impatto sono state analizzate. In questo caso studio, sono stati ipotizzati 24 diversi scenari differenziati in base alle modalità di coltivazione, di raccolta della biomassa, di estrazione dell’olio algale. 1. la produzione di biodiesel da microalghe coltivate in fotobioreattori non appare ancora conveniente né dal punto di vista energetico né da quello ambientale. 2. l’uso di CO2 di scarto e di acque reflue per la coltivazione, fra l’altro non ancora tecnicamente realizzabili, migliorerebbero le prestazioni energetiche ed ambientali del biodiesel da microalghe 3. la valorizzazione di prodotti secondari svolge un ruolo importante nel processo e nel suo sviluppo su larga scala Si conclude ricordando che il progetto di tesi è stato svolto in collaborazione con la Danish Technical University of Denmark (DTU) svolgendo presso tale università un periodo di tirocinio per tesi di sei mesi

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Sono stati sintetizzati catalizzatori eterogenei di oro supportati su silice funzionalizzata. Le specifiche funzionalità condensate sulla superficie del supporto sono in grado di ridurre HAuCl4, producendo nanoparticelle d’oro metalliche sferiche e stabilizzate sulla superficie, senza l’aggiunta di agenti riducenti e stabilizzanti. I catalizzatori sono attivi per la reazione di riduzione del 4-nitrofenolo (4-NP) a 4-amminofenolo (4-AP).

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I materiali a base di carbone vengono utilizzati in catalisi come supporti per fasi attive, ma anche direttamente come catalizzatori essi stessi, grazie soprattutto alla versatilità delle loro proprietà di massa e superficiali. L’attività catalitica dei carboni è influenzata soprattutto dalla natura, dalla concentrazione e dall’accessibilità dei siti attivi tra cui i più comuni sono: gruppi funzionali superficiali, difetti, ed eteroatomi inseriti nella struttura. Per ridurre i problemi diffusionali legati alla microporosità dei carboni attivi sono in corso numerosi studi sulla sintesi di carboni mesoporosi, i quali possono fornire benefici unici come alta area superficiale ed elevato volume dei pori, uniti a buone proprietà chimiche e stabilità meccanica. Nel corso di questa tesi, sono state svolte diverse attività finalizzate principalmente alla preparazione e alla caratterizzazione di carboni mesoporosi da utilizzare in ambito catalitico. La sintesi di carboni porosi è stata eseguita con la metodologia soft-templating, un metodo basato sulla replica di un agente templante polimerico che si organizza in micelle attorno alle quali avviene la reticolazione di un precursore polimerico termoindurente. Precursore e templante vengono pirolizzati ad elevate temperature per rimuovere in un primo momento l’agente templante e successivamente carbonizzare il precursore. Sono state scelte due metodologie di sintesi riportate in letteratura con lo scopo di sintetizzare due tipologie di carboni. La sintesi Mayes è stata utilizzata per sintetizzare carboni mesoporosi classici, mentre la sintesi Hao è stata utilizzata per ottenere carboni porosi contenenti azoto. Le due sintesi sono state ottimizzate variando diversi parametri, tra cui il tempo di reticolazione (curing) e la temperatura di pirolisi. Sui diversi carboni ottenuti sono stati effettuati alcuni trattamenti superficiali di ossidazione al fine di modificarne la funzionalità. In particolare si sono utilizzati agenti ossidanti come HNO3, H2O2 e N2O.

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Con questo studio si è volto effettuare un confronto tra la generazione di energia termica a partire da cippato e da pellet, con particolare riferimento agli aspetti di carattere ambientale ed economico conseguenti la produzione delle due differenti tipologie di combustibile. In particolare, si sono ipotizzate due filire, una di produzione del cippato, una del pellet, e per ciascuna di esse si è condotta un'Analisi del Ciclo di Vita, allo scopo di mettere in luce, da un lato le fasi del processo maggiormente critiche, dall'altro gli impatti sulla salute umana, sugli ecosistemi, sul consumo di energia e risorse. Quest'analisi si è tradotta in un confronto degli impatti generati dalle due filiere al fine di valutare a quale delle due corrisponda il minore. E' stato infine effettuato un breve accenno di valutazione economica per stimare quale tipologia di impianto, a cippato o a pellet, a parità di energia prodotta, risulti più conveniente.

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Introduction 1.1 Occurrence of polycyclic aromatic hydrocarbons (PAH) in the environment Worldwide industrial and agricultural developments have released a large number of natural and synthetic hazardous compounds into the environment due to careless waste disposal, illegal waste dumping and accidental spills. As a result, there are numerous sites in the world that require cleanup of soils and groundwater. Polycyclic aromatic hydrocarbons (PAHs) are one of the major groups of these contaminants (Da Silva et al., 2003). PAHs constitute a diverse class of organic compounds consisting of two or more aromatic rings with various structural configurations (Prabhu and Phale, 2003). Being a derivative of benzene, PAHs are thermodynamically stable. In addition, these chemicals tend to adhere to particle surfaces, such as soils, because of their low water solubility and strong hydrophobicity, and this results in greater persistence under natural conditions. This persistence coupled with their potential carcinogenicity makes PAHs problematic environmental contaminants (Cerniglia, 1992; Sutherland, 1992). PAHs are widely found in high concentrations at many industrial sites, particularly those associated with petroleum, gas production and wood preserving industries (Wilson and Jones, 1993). 1.2 Remediation technologies Conventional techniques used for the remediation of soil polluted with organic contaminants include excavation of the contaminated soil and disposal to a landfill or capping - containment - of the contaminated areas of a site. These methods have some drawbacks. The first method simply moves the contamination elsewhere and may create significant risks in the excavation, handling and transport of hazardous material. Additionally, it is very difficult and increasingly expensive to find new landfill sites for the final disposal of the material. The cap and containment method is only an interim solution since the contamination remains on site, requiring monitoring and maintenance of the isolation barriers long into the future, with all the associated costs and potential liability. A better approach than these traditional methods is to completely destroy the pollutants, if possible, or transform them into harmless substances. Some technologies that have been used are high-temperature incineration and various types of chemical decomposition (for example, base-catalyzed dechlorination, UV oxidation). However, these methods have significant disadvantages, principally their technological complexity, high cost , and the lack of public acceptance. Bioremediation, on the contrast, is a promising option for the complete removal and destruction of contaminants. 1.3 Bioremediation of PAH contaminated soil & groundwater Bioremediation is the use of living organisms, primarily microorganisms, to degrade or detoxify hazardous wastes into harmless substances such as carbon dioxide, water and cell biomass Most PAHs are biodegradable unter natural conditions (Da Silva et al., 2003; Meysami and Baheri, 2003) and bioremediation for cleanup of PAH wastes has been extensively studied at both laboratory and commercial levels- It has been implemented at a number of contaminated sites, including the cleanup of the Exxon Valdez oil spill in Prince William Sound, Alaska in 1989, the Mega Borg spill off the Texas coast in 1990 and the Burgan Oil Field, Kuwait in 1994 (Purwaningsih, 2002). Different strategies for PAH bioremediation, such as in situ , ex situ or on site bioremediation were developed in recent years. In situ bioremediation is a technique that is applied to soil and groundwater at the site without removing the contaminated soil or groundwater, based on the provision of optimum conditions for microbiological contaminant breakdown.. Ex situ bioremediation of PAHs, on the other hand, is a technique applied to soil and groundwater which has been removed from the site via excavation (soil) or pumping (water). Hazardous contaminants are converted in controlled bioreactors into harmless compounds in an efficient manner. 1.4 Bioavailability of PAH in the subsurface Frequently, PAH contamination in the environment is occurs as contaminants that are sorbed onto soilparticles rather than in phase (NAPL, non aqueous phase liquids). It is known that the biodegradation rate of most PAHs sorbed onto soil is far lower than rates measured in solution cultures of microorganisms with pure solid pollutants (Alexander and Scow, 1989; Hamaker, 1972). It is generally believed that only that fraction of PAHs dissolved in the solution can be metabolized by microorganisms in soil. The amount of contaminant that can be readily taken up and degraded by microorganisms is defined as bioavailability (Bosma et al., 1997; Maier, 2000). Two phenomena have been suggested to cause the low bioavailability of PAHs in soil (Danielsson, 2000). The first one is strong adsorption of the contaminants to the soil constituents which then leads to very slow release rates of contaminants to the aqueous phase. Sorption is often well correlated with soil organic matter content (Means, 1980) and significantly reduces biodegradation (Manilal and Alexander, 1991). The second phenomenon is slow mass transfer of pollutants, such as pore diffusion in the soil aggregates or diffusion in the organic matter in the soil. The complex set of these physical, chemical and biological processes is schematically illustrated in Figure 1. As shown in Figure 1, biodegradation processes are taking place in the soil solution while diffusion processes occur in the narrow pores in and between soil aggregates (Danielsson, 2000). Seemingly contradictory studies can be found in the literature that indicate the rate and final extent of metabolism may be either lower or higher for sorbed PAHs by soil than those for pure PAHs (Van Loosdrecht et al., 1990). These contrasting results demonstrate that the bioavailability of organic contaminants sorbed onto soil is far from being well understood. Besides bioavailability, there are several other factors influencing the rate and extent of biodegradation of PAHs in soil including microbial population characteristics, physical and chemical properties of PAHs and environmental factors (temperature, moisture, pH, degree of contamination). Figure 1: Schematic diagram showing possible rate-limiting processes during bioremediation of hydrophobic organic contaminants in a contaminated soil-water system (not to scale) (Danielsson, 2000). 1.5 Increasing the bioavailability of PAH in soil Attempts to improve the biodegradation of PAHs in soil by increasing their bioavailability include the use of surfactants , solvents or solubility enhancers.. However, introduction of synthetic surfactant may result in the addition of one more pollutant. (Wang and Brusseau, 1993).A study conducted by Mulder et al. showed that the introduction of hydropropyl-ß-cyclodextrin (HPCD), a well-known PAH solubility enhancer, significantly increased the solubilization of PAHs although it did not improve the biodegradation rate of PAHs (Mulder et al., 1998), indicating that further research is required in order to develop a feasible and efficient remediation method. Enhancing the extent of PAHs mass transfer from the soil phase to the liquid might prove an efficient and environmentally low-risk alternative way of addressing the problem of slow PAH biodegradation in soil.

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La maggiore richiesta energetica di questi anni, associata alla diminuzione delle riserve di combustibile fossile e ai problemi di inquinamento ambientale hanno spinto il settore scientifico verso la ricerca di nuovi dispositivi che presentino elevata efficienza e quantità di emissioni ridotta. Tra questi, le celle a combustibile (fuel cells) alimentate con idrogeno o molecole organiche come etanolo, acido formico e metanolo, hanno particolare rilevanza anche se attualmente risultano particolarmente costose. Una delle principali sfide di questi ultimi anni è ridurne i costi e aumentarne l'efficienza di conversione in energia. Per questo scopo molti sforzi vengono condotti verso l'ottimizzazione dei catalizzatori a base di Pt spostando l’attenzione verso sistemi nanostrutturati ad elevata attività catalitica e buona stabilità. Durante questo lavoro di tesi si è affrontato lo studio relativo alla preparazione di elettrodi modificati con PtNPs ottenute per elettrodeposizione, un metodo semplice ed efficace per poterne controllare i parametri di deposizione e crescita e per ottenere direttamente le nanoparticelle sulla superficie dell’elettrodo. Come materiale elettroattivo si è utilizzato un foglio di grafite, denominato (Pure Graphite Sheet = PGS). Tale superficie elettrodica, meno costosa e più conduttiva rispetto all’ITO, si presenta sotto forma di fogli flessibili resistenti ad alte temperature e ad ambienti corrosivi e quindi risulta conveniente qualora si pensi ad un suo utilizzo su scala industriale. In particolare è stato studiato come la variazione di alcuni parametri sperimentali quali: i) il tempo di elettrodeposizione e ii) la presenza di stabilizzanti tipo: KI, acido dodecil benzene sulfonico (DBSA), poli vinil pirrolidone (PVP) o poliossietilene ottilfenil etere (Triton-X100) e iii) la concentrazione degli stessi stabilizzanti, potessero influire sulle dimensioni ed eventualmente sulla morfologia delle PtNPs. in fase di elettrodeposizione. L’elettrosintesi è stata effettuata per via cronoamperometria. I film di PtNPs sono stati caratterizzati utilizzando tecniche di superficie quali microscopia a scansione elettronica (SEM) e Voltammetria Ciclica (CV). Al fine di valutare le capacità elettrocatalitiche delle diverse PtNPs ottenute si è studiata la reazione di ossidazione del metanolo in ambiente acido.

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La mia tesi dal titolo ”Applicazione della tecnica PSinSAR™ allo studio di fenomeni franosi lenti: casi di studio in Emilia-Romagna” ha avuto come obiettivo quello di mostrare le potenzialità e i limiti della tecnica PSinSAR nel monitoraggio di fenomeni franosi localizzati in Val Marecchia. Ho svolto, nel capitolo due, un’analisi preliminare dell’area di studio andando a evidenziare prima le caratteristiche climatiche, piogge medie annue e le temperature minime e massime, e a seguire sono passato a descrivere l’inquadramento geologico e geomorfologico. L’area della Val Marecchia è, da questo punto di vista, molto particolare poggiando su quella che è definita dagli autori “coltre della Val Marecchia”; essa è un complesso alloctono sovrascorso ai terreni autoctoni della successione Umbro – Romagnola - Marchigiana. La traslazione verso Est della coltre avvenne per "scatti", in funzione delle principali fasi tettoniche appenniniche, separati da momenti di pausa in cui sedimentarono le formazioni più recenti le quali poi si spostarono in modo solidale con la coltre. La coltre, infatti, è costituita da un insieme di formazioni di età diverse e in particolare ritroviamo, partendo da quella più antica l’unità ligure, l’unità subligure e infine l’unità epiligure. La presenza di formazioni più recenti sopra ad altre più antiche rende unica la morfologia della vallata con enormi blocchi rocciosi poggianti su un substrato in genere argilloso come nell’esempio più famoso della rupe di San Leo. Da queste analisi è emersa un’altra caratteristica peculiare della valle cioè la forte tendenza a essere interessata da dissesti di varie tipologie. Gli indici di franosità mostrano che nella zona alta della vallata circa il 50% del territorio è interessato da dissesti, valore che decresce leggermente nella parte media e bassa della valle. Il motivo di tale instabilità è da imputare in parte alla forte erosione che avviene sulle placche epiliguri e in parte alle caratteristiche scadenti del substrato che è per lo più composto di argille e arenarie. Per quanto riguarda le tipologie di frane in Val Marecchia la situazione è molto eterogenea; in particolari le tre tipologie più frequenti sono il colamento lento, lo scivolamento rotazionale/traslativo e le frane di tipo complesso. Nel terzo capitolo ho descritto la tecnica PSinSAR; essa si basa sull’elaborazione di scene riprese da satellite per giungere alla formazione di una rete di punti, i PS, di cui conosciamo i movimenti nel tempo. I Permanent Scatterer (PS) sono dei bersagli radar individuati sulla superficie terrestre dal sensori satellitari caratterizzati per il fatto di possedere un’elevata stabilità nel tempo alla risposta elettromagnetica. I PS nella maggior parte dei casi corrispondono a manufatti presenti sulla superficie quali edifici, monumenti, strade, antenne e tralicci oppure ad elementi naturali come per esempio rocce esposte o accumuli di detrito. Lo spostamento viene calcolato lungo la linea di vista del satellite, per cui il dato in uscita non mostra lo spostamento effettivo del terreno, ma l'allontanamento o l'avvicinamento del punto rispetto al satellite. La misure sono sempre differenziali, ovvero sono riferite spazialmente a un punto noto a terra chiamato reference point, mentre temporalmente alla data di acquisizione della prima immagine. La tecnica PSinSAR proprio per la sua natura è "cieca" rispetto ai movimenti in direzione Nord-Sud. Le scene utilizzate per la creazione dei dataset di PS derivano quasi interamente dai satelliti ERS e ENVISAT. Tuttora sono disponibili anche le scene dei satelliti TerraSAR-X, RADARSAT e Cosmo Skymed. I sensori utilizzati in questo ambito sono i SAR (Synthetic Aperture Radar) che sono sensori attivi, cioè emettono loro stessi l'energia necessaria per investigare la superficie terrestre al contrario dei sensori ottici. Questo permette di poter acquisire scene anche di notte e in condizioni di cielo nuvoloso. La tecnica PSinSAR presenta molti vantaggi rispetto alle tecniche interferometriche tradizionali essa, infatti, è immune agli errori di decorrelamento temporale e spaziale oltre agli errori atmosferici, che portavano ad avere precisioni non inferiori a qualche cm, mentre ora l’errore di misura sulla velocità media di spostamento si attesta in genere sui 2 mm. La precisione che si ha nella georeferenziazione dei punti è in genere di circa 4-7 m lungo la direzione Est e circa 1-2 m in quella Nord. L’evoluzione di PSinSAR, SqueeSAR, permette un numero maggiore di punti poiché oltre ai Permanent Scatterers PS, tramite un apposito algoritmo, calcola anche i Distribuited Scatterer DS. I dataset di dati PS che ho utilizzato nel mio lavoro di tesi (PSinSAR) derivano, come detto in precedenza, sia da scene riprese dal satellite ERS che da ENVISAT nelle due modalità ascendenti e discendenti; nel primo caso si hanno informazioni sui movimenti avvenuti tra il 1992 e il 2000 mentre per l’ENVISAT tra il 2002 e il 2008. La presenza di dati PS nelle due modalità di ripresa sulla stessa zona permette tramite alcuni calcoli di ricavare la direzione effettiva di spostamento. È importante però sottolineare che, a seconda della modalità di ripresa, alcune aree possono risultare in ombra, per questo nell’analisi dei vari casi di studio non sempre sono stati utilizzabili tutti i dataset. Per l'analisi dei vari casi di studio, presentati nel capitolo 4, ho utilizzato diverso materiale cartografico. In particolare mi sono servito delle Carte Tecniche Regionali (CTR) a scala 1:10000 e 1:5000, in formato digitale, come base cartografica. Sempre in formato digitale ho utilizzato anche le carte geologiche e geomorfologiche dell'area della Val Marecchia (fogli 266, 267, 278) oltre, per finire, agli shapefile presi dal database online del Piano stralcio dell’Assetto Idrogeologico PAI. Il software usato per la realizzazione del lavoro di tesi è stato ArcGIS di proprietà di ESRI. Per ogni caso di studio ho per prima cosa effettuato un'analisi dal punto di vista geologico e geomorfologico, in modo da fare un quadro delle formazioni presenti oltre ad eventuali fenomeni franosi mostrati dalle carte. A seguire ho svolto un confronto fra il dato PS, e quindi i valori di spostamento, e la perimetrazione mostrata nel PAI. Per alcuni casi di studio il dato PS ha mostrato movimenti in aree già perimetrate nel PAI come "in dissesto", mentre in altri il dato satellitare ha permesso di venire a conoscenza di fenomeni non conosciuti (come ad esempio nel caso di Monte Gregorio). Per ogni caso di studio ho inoltre scelto alcuni PS caratteristici (solitamente quelli a coerenza maggiore) e ho ricavato la relativa serie storica. In questo modo è stato possibile verificare lo spostamento durante tutti gli anni in cui sono state prese le scene (dal 1992 al 2000 per dati ERS, dal 2002 al 2008 per dati ENVISAT) potendo quindi mettere in luce accelerazioni o assestamenti dei fenomeni nel tempo, oltre a escludere la presenza di trend di spostamento anomali imputabili nella maggior parte dei casi a errori nel dato. L’obiettivo della tesi è stato da una parte di verificare la bontà del dato PS nell’interpretazione dei movimenti dovuti a dissesti franosi e dall’altra di fare un confronto tra il dato di spostamento ricavato dai PS e i vari inventari o carte di piano. Da questo confronto sono emerse informazioni molti interessanti perché è stato possibile avere conferme di movimento su dissesti già conosciuti (Sant’Agata Feltria, San Leo e altri) ma anche di venire a conoscenza di fenomeni non conosciuti (Monte Gregorio). In conclusione è emerso dal mio lavoro che il monitoraggio tramite tecnica PSinSAR necessita di essere integrato con le tecniche tradizionali poiché presenta alcune limitazioni importanti come l’impossibilità di "vedere" movimenti veloci o lungo la direzione Nord-Sud, oltre ad avere dati in aree vegetate o scarsamente abitate. I vantaggi sono però notevoli potendo monitorare con un’unica ripresa vaste porzioni di territorio oltre ad avere serie storiche consistenti, in grado di evidenziare i movimenti avvenuti nel passato. Tale tecnica quindi, secondo il mio parere, può essere utilizzata come supporto alla stesura di cartografia di fenomeni franosi fornendo informazioni aggiuntive rispetto alle varie tecniche tradizionali come il GPS, sondaggi geotecnici e sondaggi inclinometrici.

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Lo sviluppo di nuovi processi per la chimica industriale vede come fulcro della ricerca l’armonizzazione tra gli aspetti economici, sociali, ambientali e quelli relativi alla sicurezza; questi ultimi incidono profondamente sull’approccio scientifico indirizzando il chimico moderno verso una chimica focalizzata sulla catalisi e sulla manipolazione di sostanze con basso pericolo intrinseco. Un esempio di obbiettivo da perseguire è quindi lo studio, l’ottimizzazione e la messa in opera di processi che utilizzino bioetanolo come “building-block” per la sintesi di intermedi, quali per esempio acetonitrile, attualmente ottenuto principalmente come sottoprodotto della sintesi industriale dell’acrilonitrile. Il lavoro di tesi, che ha visto coinvolta la mia partecipazione, ha permesso di evidenziare gli aspetti positivi, nonché quelli critici nella reazione di sintesi di acetonitrile mediante ammonossidazione in fase gas a partire da etanolo, in cui come catalizzatore modello è stato utilizzato pirofosfato di vanadile. Investigando il contributo apportato dai vari componenti della miscela di reazione, dei parametri operativi, quali temperatura e tempo di contatto, è stato possibile studiare la reazione in ogni suo aspetto mettendo in evidenza anche i limiti derivanti dall’utilizzo di questo particolare sistema catalitico.

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Oggigiorno si osserva a livello mondiale un continuo aumento dei consumi di acqua per uso domestico, agricolo ed industriale che dopo l’impiego viene scaricata nei corpi idrici (laghi, fiumi, torrenti, bacini, ecc) con caratteristiche chimico fisiche ed organolettiche completamente alterate, necessitando così di specifici trattamenti di depurazione. Ricerche relative a metodi di controllo della qualità dell’acqua e, soprattutto, a sistemi di purificazione rappresentano pertanto un problema di enorme importanza. I trattamenti tradizionali si sono dimostrati efficienti, ma sono metodi che operano normalmente trasferendo l’inquinante dalla fase acquosa contaminata ad un’altra fase, richiedendo perciò ulteriori processi di depurazione. Recentemente è stata dimostrata l’efficacia di sistemi nano strutturati come TiO2-Fe3O4 ottenuto via sol-gel, nella foto-catalisi di alcuni sistemi organici. Questo lavoro di tesi è rivolto alla sintesi e caratterizzazione di un catalizzatore nanostrutturato composito costituito da un core di Fe3O4 rivestito da un guscio di TiO2 separate da un interstrato inerte di SiO2, da utilizzare nella foto-catalisi di sistemi organici per la depurazione delle acque utilizzando un metodo di sintesi alternativo che prevede un “approccio” di tipo colloidale. Partendo da sospensioni colloidali dei diversi ossidi, presenti in commercio, si è condotta la fase di deposizione layer by layer via spray drying, sfruttando le diverse cariche superficiali dei reagenti. Questo nuovo procedimento permette di abbattere i costi, diminuire i tempi di lavoro ed evitare possibili alterazioni delle proprietà catalitiche della titania, risultando pertanto adatto ad una possibile applicazione su scala industriale. Tale sistema composito consente di coniugare le proprietà foto-catalitiche dell’ossido di titanio con le proprietà magnetiche degli ossidi di ferro permettendo il recupero del catalizzatore a fine processo. Il foto-catalizzatore è stato caratterizzato durante tutte la fasi di preparazione tramite microscopia SEM e TEM, XRF, Acusizer, spettroscopia Raman e misure magnetiche. L’attività foto-calitica è stata valutata con test preliminari utilizzando una molecola target tipo il rosso di metile in fase acquosa. I risultati ottenuti hanno dimostrato che il sistema core-shell presenta inalterate sia le proprietà magnetiche che quelle foto-catalitiche tipiche dei reagenti.

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La trasformazione di glicerolo ad acido acrilico può essere un fattore importante per la valorizzazione del processo di produzione di biodiesel, il quale prevede la coproduzione di enormi quantità di glicerolo. La sintesi di acido acrilico in un unico step è stata studiata attraverso vari catalizzatori solidi bifunzionali di diversa natura, contenenti proprietà acide e redox. I catalizzatori devono avere un’adeguata acidità di Brønsted per promuovere la trasformazione di glicerolo ad acroleina, mentre le proprietà ossidanti, necessarie per la sintesi di acido acrilico sono ottenute mediante l’inserimento di un metallo ossidante nella struttura. Si vuole quindi sintetizzare e testare una serie di catalizzatori che mostrino questa bifunzionalità in grado di soddisfare requisiti di attività e selettività nei confronti della reazioni . Per questo studio sono stati sintetizzati e caratterizzati ossidi misti di W/V, nella forma di aggregati dispersi sulla titania ed ossidi misti di Zr/Nb/V in struttura bulk. Sono stati quindi eseguiti dei test di reattività in fase gas ed in presenza di ossigeno utilizzando un reattore tubolare in quarzo a letto fisso.

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Il presente lavoro di tesi è frutto di una collaborazione fra il Dipartimento di Chimica Fisica ed Inorganica (gruppo del Prof. Valerio Zanotti – Mattia Vaccari, Dr. Rita Mazzoni) ed il Dipartimento di Chimica Industriale e dei Materiali (gruppo del Prof. Angelo Vaccari – Dr. Thomas Pasini, Dr. Stefania Albonetti, Prof. Fabrizio Cavani) e si inserisce il un progetto volto a valutare l’attività e la selettività del catalizzatore di idrogenazione di Shvo 1, verso l’idrogenazione selettiva del doppio legame polare del 5-idrossimetilfurfurale (HMF) in fase omogenea. L’HMF è un composto di natura organica facilmente ottenibile dalle biomasse, il quale può essere impiegato come building block per ottenere prodotti ad alto valore aggiunto per la chimica fine o additivi per biocarburanti aventi un elevato potere calorifico. In particolare la nostra attenzione si è rivolta alla produzione del 2,5-diidrossimetilfurano (BHMF), un importante building block per la produzione di polimeri e schiume poliuretaniche. Il lavoro di tesi da me svolto ha riguardato la messa a punto di una nuova metodologia sintetica per la preparazione del catalizzatore di Shvo e lo studio della sua attività catalitica nella riduzione di HMF a BHMF. Il comportamento del catalizzatore è stato monitorato studiando la resa in BHMF in funzione di tutti i parametri di reazione: temperatura, pressione di H2, solvente, rapporto molare substrato/catalizzatore, concentrazione, tempo. Successivamente è stata valutata la possibilità di riciclare il catalizzatore recuperando il prodotto di estrazione con acqua, per precipitazione o eseguendo la reazione in miscela bifasica (toluene/H2O). The present work is a collaboration between the Department of Physics and Inorganic Chemistry (group of Prof. Valerio Zanotti - Mattia Vaccari, Dr. Rita Mazzoni) and the Department of Industrial Chemistry and Materials (Group of Prof. Angelo Vaccari - Dr. Thomas Pasini, Dr. Stefania Albonetti, Prof. Fabrizio Cavani), and it’s a project devoted to evaluate the activity and selectivity of the Shvo catalyst, in the selective hydrogenation of polar double bond of 5 -hydroxymethylfurfural (HMF) in homogeneous phase. The HMF is an organic compound easily obtained from biomass, which can be used as a building block for fine chemicals abd polymer production or additives for biofuels with a high calorific value. In particular, our attention turned to the production of 2.5-bishydroxymethylfuran (BHMF), an important building block for the production of polymers and polyurethane foams. This thesis has involved the development of a new synthetic methodology for the preparation of Shvo’s catalyst and the study of its catalytic activity in the reduction of HMF to BHMF. The behavior of the catalyst was monitored by studying the yield in BHMF as a function of all the reaction parameters: temperature, pressure of H2, solvent, substrate to catalyst molar ratio, concentration, time. Subsequently it was evaluated the possibility of recycling the catalyst recovering the product of extraction with water, by precipitation or performing the reaction in biphasic mixture (toluene/H2O).