52 resultados para Poli(Alquilideno Imina)


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Obiettivo del progetto di tesi è ritrovare un percorso urbano, riguardante un tratto della città di Cesena, che oggi non è più leggibile nella sua originaria identità. La cinta muraria di Cesena è da sempre motivo di vanto della città. Esso è dovuto anche al fatto che gran parte di tale cinta è stato oggetto di restauri puntuali. Vi è un tratto di esse però dove non risulta più immediata la sua l’appartenenza ad un tutto più ampio e finito che è quello dell’intero perimetro fortificato. Il nostro progetto vuole suggerire nuovamente quale fosse il suo andamento, e il suo rapporto con il resto della città quindi proponiamo il restauro e la valorizzazione degli elementi significativi che s’incontrano percorrendo il suddetto tratto di città. Precisamente si tratta dei manufatti della porta d’accesso del torrente Cesuola detta Portaccia e di porta Fiume, due delle antiche porte delle mura cesenati. Si propone per questi un riuso degli ambienti che saranno adibiti a punto informativo, piuttosto che aree espositive, museali. Saranno aperte al pubblico e rese visibili per portare un esempio le antiche cannoniere. Si è progettata anche la sistemazione dell’area esterna direttamente prospiciente gli edifici in questione, al fine di renderli maggiormente visibili e riconoscibili all’interno del panorama cittadino. Questi due edifici vogliono essere importanti poli per i turisti o per chiunque voglia immergersi nella storia della città di Cesena. S’incontra poi in questa passeggiata, un’area archeologica. La si raggiunge partendo per esempio dalla Portaccia e seguendo quello che era il tracciato delle antiche mura. Tale area testimonia l’esistenza di tratti di antiche fortificazioni e ci racconta i caratteri costruttivi delle abitazioni del tempo e dell’impianto urbano, oltre ad aver riportato alla luce antichi manufatti e reperti archeologici importanti. Questo spazio verrà opportunamente valorizzato e reso noto ai visitatori. Si sceglie di non portare alla luce gli elementi trovati nel sottosuolo per non variare le loro condizioni termo-igrometriche, e di suggerire la dimensione degli stessi attraverso la progettazione fedele fuori terra di elementi in alzato cavi contenenti vegetazione. Il visitatore potrà girovagare fra questi nel “giardino archeologico”. Un altro elemento di fondamentale importanza proseguendo nel percorso è la presenza dei suggestivi ruderi della rocca Vecchia, che hanno resistito allo scorrere inesorabile del tempo e che sono ancora in grado di testimoniare di un passato ormai distante e sfocato. Sarà la vegetazione a fare da protagonista in quest’area poiché attraverso la scelta di alcune piante che, con le loro radici sono in grado di aiutare i ruderi a sopravvivere, verrà dato nuova veste a ciò che resta della rocca Vecchia. Contestualmente a ciò, si è deciso di riproporre nella zona retrostante i ruderi, il sistema degli antichi terrazzamenti di cui il colle è stato dotato in passato. Essi sono importanti a livello strutturale per ovviare alle problematiche conseguenti al dilavamento del terreno verso valle, ma non solo. Si vuole sì riproporre questi terrazzamenti come citazione storica, ma essa vuole essere un’emulazione non un’imitazione, pertanto, verranno trattati come una sorta di “giardino botanico”. La discesa del colle verso porta Fiume sarà certamente più piacevole se si potranno ammirare le specie autoctone presenti in questo luogo ben organizzate lungo la passeggiata. L’obiettivo del progetto è rendere palesi le importanti caratteristiche architettoniche che contraddistinguono l’eccezionale valore dei beni oggetto di analisi, migliorando le condizioni di conservazione ed assicurando una fruizione degli ambienti, ove sia possibile, e donando una nuova destinazione d’uso agli stessi.

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La maggiore richiesta energetica di questi anni, associata alla diminuzione delle riserve di combustibile fossile e ai problemi di inquinamento ambientale hanno spinto il settore scientifico verso la ricerca di nuovi dispositivi che presentino elevata efficienza e quantità di emissioni ridotta. Tra questi, le celle a combustibile (fuel cells) alimentate con idrogeno o molecole organiche come etanolo, acido formico e metanolo, hanno particolare rilevanza anche se attualmente risultano particolarmente costose. Una delle principali sfide di questi ultimi anni è ridurne i costi e aumentarne l'efficienza di conversione in energia. Per questo scopo molti sforzi vengono condotti verso l'ottimizzazione dei catalizzatori a base di Pt spostando l’attenzione verso sistemi nanostrutturati ad elevata attività catalitica e buona stabilità. Durante questo lavoro di tesi si è affrontato lo studio relativo alla preparazione di elettrodi modificati con PtNPs ottenute per elettrodeposizione, un metodo semplice ed efficace per poterne controllare i parametri di deposizione e crescita e per ottenere direttamente le nanoparticelle sulla superficie dell’elettrodo. Come materiale elettroattivo si è utilizzato un foglio di grafite, denominato (Pure Graphite Sheet = PGS). Tale superficie elettrodica, meno costosa e più conduttiva rispetto all’ITO, si presenta sotto forma di fogli flessibili resistenti ad alte temperature e ad ambienti corrosivi e quindi risulta conveniente qualora si pensi ad un suo utilizzo su scala industriale. In particolare è stato studiato come la variazione di alcuni parametri sperimentali quali: i) il tempo di elettrodeposizione e ii) la presenza di stabilizzanti tipo: KI, acido dodecil benzene sulfonico (DBSA), poli vinil pirrolidone (PVP) o poliossietilene ottilfenil etere (Triton-X100) e iii) la concentrazione degli stessi stabilizzanti, potessero influire sulle dimensioni ed eventualmente sulla morfologia delle PtNPs. in fase di elettrodeposizione. L’elettrosintesi è stata effettuata per via cronoamperometria. I film di PtNPs sono stati caratterizzati utilizzando tecniche di superficie quali microscopia a scansione elettronica (SEM) e Voltammetria Ciclica (CV). Al fine di valutare le capacità elettrocatalitiche delle diverse PtNPs ottenute si è studiata la reazione di ossidazione del metanolo in ambiente acido.

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Lo studio effettuato verte sulla ricerca delle cave storiche di pietra da taglio in provincia di Bologna, facendo partire la ricerca al 1870 circa, data in cui si hanno le prime notizie cartacee di cave bolognesi. Nella ricerca si è potuto contare sull’aiuto dei Dott. Stefano Segadelli e Maria Tersa De Nardo, geologi della regione Emilia-Romagna, che hanno messo a disposizione la propria conoscenza e le pubblicazioni della regione a questo scopo. Si è scoperto quindi che non esiste in bibliografia la localizzazione di tali cave e si è cercato tramite l’utilizzo del software ArcGIS , di georeferenziarle, correlandole di informazioni raccolte durante la ricerca. A Bologna al momento attuale non esistono cave di pietra da taglio attive, così tutte le fonti che si sono incontrate hanno fornito dati parziali, che uniti hanno permesso di ottenere una panoramica soddisfacente della situazione a inizio secolo scorso. Le fonti studiate sono state, in breve: il catasto cave della regione Emilia-Romagna, gli shape preesistenti della localizzazione delle cave, le pubblicazioni “Uso del Suolo”, oltre ai dati forniti dai vari Uffici Tecnici dei comuni nei quali erano attive le cave. I litotipi cavati in provincia sono quattro: arenaria, calcare, gesso e ofiolite. Per l’ofiolite si tratta di coltivazioni sporadiche e difficilmente ripetibili dato il rischio che può esserci di incontrare l’amianto in queste formazioni; è quindi probabile che non verranno più aperte. Il gesso era una grande risorsa a fine ‘800, con molte cave aperte nella Vena del Gesso. Questa zona è diventata il Parco dei Gessi Bolognesi, lasciando alla cava di Borgo Rivola il compito di provvedere al fabbisogno regionale. Il calcare viene per lo più usato come inerte, ma non mancano esempi di formazioni adatte a essere usate come blocchi. La vera protagonista del panorama bolognese rimane l’arenaria, che venne usata da sempre per costruire paesi e città in provincia. Le cave, molte e di ridotte dimensioni, sono molto spesso difficili da trovare a causa della conseguente rinaturalizzazione. Ci sono possibilità però di vedere riaprire cave di questo materiale a Monte Finocchia, tramite la messa in sicurezza di una frana, e forse anche tramite la volontà di sindaci di comunità montane, sensibili a questo argomento. Per avere una descrizione “viva” della situazione attuale, sono stati intervistati il Dott. Maurizio Aiuola, geologo della Provincia di Bologna, e il Geom. Massimo Romagnoli della Regione Emilia-Romagna, che hanno fornito una panoramica esauriente dei problemi che hanno portato ad avere in regione dei poli unici estrattivi anziché più cave di modeste dimensioni, e delle possibilità future. Le grandi cave sono, da parte della regione, più facilmente controllabili, essendo poche, e più facilmente ripristinabili data la disponibilità economica di chi la gestisce. Uno dei problemi emersi che contrastano l’apertura di aree estrattive minori, inoltre, è la spietata concorrenza dei materiali esteri, che costano, a parità di qualità, circa la metà del materiale italiano. Un esempio di ciò lo si è potuto esaminare nel comune di Sestola (MO), dove, grazie all’aiuto e alle spiegazioni del Geom. Edo Giacomelli si è documentato come il granito e la pietra di Luserna esteri utilizzati rispondano ai requisiti di resistenza e non gelività che un paese sottoposto ai rigori dell’inverno richiede ai lapidei, al contrario di alcune arenarie già in opera provenienti dal comune di Bagno di Romagna. Alla luce di questo esempio si è proceduto a calcolare brevemente l’ LCA di questo commercio, utilizzando con l’aiuto dell’ Ing. Cristian Chiavetta il software SimaPRO, in cui si è ipotizzato il trasporto di 1000 m3 di arenaria da Shanghai (Cina) a Bologna e da Karachi (Pakistan) a Bologna, comparandolo con le emissioni che possono esserci nel trasporto della stessa quantità di materiale dal comune di Monghidoro (BO) al centro di Bologna. Come previsto, il trasporto da paesi lontani comporta un impatto ambientale quasi non comparabile con quello locale, in termini di consumo di risorse organiche e inorganiche e la conseguente emissione di gas serra. Si è ipotizzato allora una riapertura di cave locali a fini non edilizi ma di restauro; esistono infatti molti edifici e monumenti vincolati in provincia, e quando questi devono essere restaurati, dove si sceglie di cavare il materiale necessario e rispondente a quello già in opera? Al riguardo, si è passati attraverso altre due interviste ai Professori Francesco Eleuteri, architetto presso la Soprintendenza dei Beni Culturali a Bologna e Gian Carlo Grillini, geologo-petrografo e esperto di restauro. Ciò che è emerso è che effettivamente non esiste attualmente una panoramica soddisfacente di quello che è il patrimonio lapideo della provincia, mancando, oltre alla georeferenziazione, una caratterizzazione minero-petrografica e fisico-meccanica adeguata a poter descrivere ciò che veniva anticamente cavato; l’ipotesi di riapertura a fini restaurativi potrebbe esserci, ma non sembra essere la maggiore necessità attualmente, in quanto il restauro viene per lo più fatto senza sostituzioni o integrazioni, tranne rari casi; è pur sempre utile avere una carta alla mano che possa correlare l’edificio storico con la zona di estrazione del materiale, quindi entrambi i professori hanno auspicato una prosecuzione della ricerca. Si può concludere dicendo che la ricerca può proseguire con una migliore e più efficace localizzazione delle cave sul terreno, usando anche come fonte il sapere della popolazione locale, e di procedere con una parte pratica che riguardi la caratterizzazione minero-petrografica e fisico-meccanica. L’utilità di questi dati può esserci nel momento in cui si facciano ricerche storiche sui beni artistici presenti a Bologna, e qualora si ipotizzi una riapertura di una zona estrattiva.

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La tesi affronta la questione della riqualificazione dell’ area situata lungo l’argine orientale del fiume Savio a Cesena, a sud del Ponte del Risorgimento e a nord del Ponte Clemente; longitudinalmente il quartiere è individuati dall’asse carrabile di via IV Novembre e ad est tra le vie IX Febbraio e Aurelio Saffi. L'area è attualmente dominata dalla caserma militare “Decio Raggi” (oggi acclusa al C.A.P.S.) e da un parcheggio multipiano di recente costruzione, oltre ad alcune abitazioni private. Il progetto prevede di resettare quasi completamente l'area, fatta salva una palazzina del complesso del C.A.P.S. ed il parcheggio; al posto degli attuali edifici sorgeranno tre poli destinati a funzioni diverse: un polo commerciale, uno culturale ed uno residenziale. Il polo culturale, oggetto specifico della presente tesi, sorge approssimativamente al centro dell'area di progetto e si relaziona sulla sinistra con il mercato, con il quale divide una piazza concepita sul modello di Piazza del Popolo; la costruzione ospita un auditorium con una sala d'ascolto da 476 posti a sedere (più un altro centinaio sistemati nei palchetti laterali), diversi spazi adibiti a sala prove ed aule musicali o teatrali; gli ambienti secondari dell’auditorium sono ricavati in due corpi laterali, affiancati lateralmente al volume principale. Sul lato opposto alla facciata sorge una corte quadrata, che può fungere sia da spazio pubblico che da platea all'aperto: il palcoscenico infatti è concepito in modo da avere un doppio boccascena: uno rivolto verso la sala ed uno (chiuso da una parete scorrevole) verso la corte. Sul solaio dei corpi secondari sono stati progettati due ampi terrazzi, di cui uno che guarda al fiume e che si prolunga con una passerella verso il sentiero tra il ponte Risorgimento e il ponte Clemente. Per l'argine del Savio è stato previsto un sistema di terrazzamenti che contengano e regolino le esondazioni del fiume e siano contemporaneamente spazi verdi calpestabili. L'intera area fluviale verrà riassettata in modo che la vegetazione possa estendersi più profondamente verso le costruzioni ed armonizzarsi con esse meglio di quanto non faccia attualmente.

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Come in un affresco nel quale sono stati sovrapposti vari strati di pittura o in un antico manoscritto di pergamena il cui testo originario è stato ricoperto da uno scritto più recente, così l’intento che ha generato il nostro percorso progettuale è stato quello di riscoprire le tracce presenti nell’area sia in ambito archeologico che paesaggistico consentendo una narrazione della storia del sito. L’intento è quello di far emergere l’aspetto relazionale del progetto di paesaggio attraverso la riscoperta degli elementi paesaggistici presenti nell’area di Claterna, strettamente legati ad un fattore identitario, di restituzione e soprattutto di percezione, intesi come lettura da parte di chi vive ed attraversa i territori. Il palinsesto si declina in questo senso come superficie attiva in grado di accogliere programmazioni temporanee e dinamiche per promuovere quella diversificazione e quella stratificazione che da sempre rappresentano il senso di urbanità ma anche il senso del paesaggio in continuo dialogo con il tempo. La messa a sistema dei vari frammenti mira a stabilire così una sequenza capace di guidare il visitatore all’interno del Parco e diviene elemento strutturante per la messa a fuoco di un disegno di mobilità sostenibile che dal centro di accoglienza dell’area archeologica conduce al Parco dei Gessi sfruttando un’antica via di penetrazione appenninica situata alla sinistra del torrente Quaderna. Il Museo della Città di Claterna e della Via Emilia, insieme al Centro ricerca per gli esperti del settore, entreranno così a far parte di una vasta rete di musei archeologici già presenti nel territorio bolognese. La ricchezza di questo sito e gli elementi che lo caratterizzano ci hanno indirizzato verso un duplice progetto che, alla grande scala, non aggiunge altri segni importanti a quelli già presenti nel territorio,cercando quindi di valorizzare i sistemi esistenti focalizzandosi sugli ambiti principali dell’area ed intensificando la consistenza segnaletica degli interventi. E’ stato previsto il mantenimento delle cavedagne esistenti per la fruizione di un Parco Agricolo Didattico legato ai temi delle coltivazioni in epoca romana ed a quelli dell’aia del ‘900, che costituirà un percorso alternativo a quello del Parco Archeologico. Il progetto articolato in un sistema di percorsi che permettono la visita del parco archeologico, vede due teste adiacenti alla Via Emilia e posizionate in modo ad essa speculare che costituiscono i poli principali del progetto: l’area di accoglienza per i visitatori che comprende un Polo Museale ed un Centro Ricerca con annessa una foresteria, punto di forza del parco dal punto di vista programmatico. Un grande museo diffuso all’aperto dunque che prevederà una sequenza museale lineare con un percorso definito, che risulterà si gerarchizzato ma al contempo reversibile. La visita del parco archeologico sarà quindi articolata in un percorso che partendo dal polo museale intercetterà l’area forense per poi sfruttare le cavedagne esistenti. L’area forense concepita come una piazza affacciata sul margine nord della via Emilia, verrà valorizzata dal progetto mediante il ripristino del basolato che affiancherà il percorso di visita installato lungo il perimetro del foro, punto di forza per l’economia dell’antica civitas romana. Il percorso piegherà poi verso la via Emilia affiancando le tracce aeree di un tempio a cameroni ciechi per poi inserirsi sulla cavedagna che costeggia la via Emilia attuale. Si proseguirà poi con la riscoperta di una porzione del basolato dell’antica via Emilia e dell’incrocio tra cardo e decumano fino ad intercettare il settore 11 con la musealizzazione della “domus diacronica” L’area archeologica divisa nettamente in due parti dalla Via Emilia attuale sarà connessa mediante attraversamenti a raso dotati di semafori a chiamata e barre di rallentamento. La scelta di questo tipo di connessione è stata dettata dall’esigenza di non voler introdurre segni forti sull’area come ponti pedonali o sottopassi che andrebbero ad intaccare il suolo archeologico. Il percorso quindi proseguirà con la visita del centro ricerca e di un muro didattico passando per un’area nella quale sono state individuate tracce aeree che verranno valorizzate mediante l’utilizzo di strutture fantasma per la rievocazione volumetrica degli abitati fino ad intercettare l’ultima tappa del percorso che sarà costituita dalla visita al settore 12, la cosiddetta “domus dei mosaici”.

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Il presente lavoro di tesi di laurea magistrale si è proposto di sintetizzare composti polimerici basati su un derivato del 3-esiltiofene e sulla porfirina per preparare materiali da utilizzare nelle celle fotovoltaiche. Politiofeni con queste caratteristiche sono stati sintetizzati a partire da un monomero -bromoalchiltiofenico, il 3-(6-bromoesil)tiofene (T6Br), dal quale è stato ottenuto il corrispondente derivato polimerico poli[3-(6-bromoesil)]tiofene (PT6Br). Esso è stato preparato con un metodo non regiospecifico, utilizzando la comune tecnica di polimerizzazione ossidativa in presenza di FeCl3. Il monomero T6Br è stato funzionalizzato con idrossifenil porfirina (TPPOH) per dare il 3-[5-(4-fenossi)-10,15,20-trifenilporfirinil]esiltiofene (T6TPP). Poiché la polimerizzazione diretta di questo monomero non si è mostrata una via percorribile, a causa dell’elevato ingombro del sostituente presente sulla catena macromolecolare, è stata effettuata l’eterificazione sul polimero bromurato PT6Br per ottenere il poli[3-[5-(4-fenossi)-10,15,20-trifenilporfirinil]esiltiofene] (PT6TPP). Contemporaneamente è stato sintetizzato il copolimero poli[(3-(6-bromoesil)]tiofene)-co-(3-[5-(4-fenossi)-10,15,20-trifenilporfirinil]esiltiofene)] (P(T6Br-co-T6TPP)) allo scopo di valutare l’effetto del diverso grado di sostituzione della catena polimerica sulle proprietà del polimero. Anch’esso è stato preparato con un metodo non regiospecifico, utilizzando la tecnica di polimerizzazione ossidativa in presenza di FeCl3. I prodotti sintetizzati sono stati caratterizzati mediante le comuni tecniche spettroscopiche (FTIR, NMR, UV-vis) e ne sono state determinate le proprietà termiche. I pesi molecolari medi e le relative distribuzioni sono stati determinati mediante cromatografia a permeazione su gel (GPC). Infine, con P(T6Br-co-T6TPP) e PT6Br sono state effettuate prove preliminari di preparazione e caratterizzazione di dispositivi per valutare la possibilità di un loro utilizzo come materiali per celle fotovoltaiche.

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Questo lavoro di tesi rientra nel progetto europeo SaveMe, al quale partecipa il gruppo di ricerca del dipartimento di chimica organica nel quale ho svolto l’attività di tirocinio. Obiettivo finale di tale progetto è la sintesi di nanoparticelle a base di PLGA (acido poli(D,L-lattico-co-glicolico)) superficialmente funzionalizzate con biomolecole, per l’impiego nel trattamento e nella diagnosi del cancro al pancreas. L’obiettivo da raggiungere nel primo anno di ricerca per il mio gruppo era la sintesi delle nanoparticelle centrali (core nanosystems). Nel presente lavoro sono quindi riportati i metodi di sintesi di polimeri derivati da PLGA e suoi copolimeri con PEG (polietilenglicole) aventi vari gruppi funzionali terminali: acidi idrossamici, amminici e acidi carbossilici. I polimeri sintetizzati sono stati caratterizzati tramite test colorimetrici qualitativi, 1H-NMR, 13C-NMR, spettrometria IR e TGA. Sono state sintetizzate nanoparticelle polimeriche (PNPs), con le tecniche Oil/Water (O/W) e nanoprecipitazione (NP), basate sui polimeri ottenuti, aventi quindi funzioni acide, idrossamiche ed amminiche sulla superficie. Su queste PNPs è stato effettuata una decorazione superficiale con nanoparticelle metalliche di maghemite (CAN-Maghemite). Le nanoparticelle polimeriche sono state caratterizzate tramite DLS e delle PNPs decorate sono state ottenute immagini TEM. Sono riportati inoltre i test di viabilità cellulare delle nanoparticelle ottenute.

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Studi preliminari condotti dal gruppo di ricerca presso il quale ho svolto il mio lavoro di tesi, avevano dimostrato che il poli[3-(6-bromoesil)tiofene] non regioregolare funzionalizzato con idrossifenilporfirina [TPPOH] può essere utilizzato con successo per la realizzazione di celle fotovoltaiche. Il presente lavoro di tesi di laurea magistrale è stato quindi incentrato sulla sintesi e caratterizzazione di un campione di poli[3-(6-bromoesil)tiofene] [PT6Br] ad elevata regioregolarità e sulla sua successiva funzionalizzazione con diverse percentuali di 5-(4-idrossifenil)-10,15,20-trifenilporfirina [TPPOH] per ottenere i copolimeri poli[3-(6-bromoesil)tiofene-co-(3-[5-(4-fenossi)-10,15,20-trifenilporfinil]esiltiofene)] [P(T6Br-co-T6TPP)], anch’essi con elevata percentuale di concatenamenti testa-coda, al fine di valutare se la regioregolarità del polimero sia in grado di migliorare l’efficienza fotovoltaica. Il campione che ha fornito i risultati migliori è stato poi ulteriormente testato eseguendo prove su celle trattate termicamente per tempi diversi, in modo tale da verificare come la durata del riscaldamento, che incide sull’organizzazione strutturale del materiale, influisca sulle prestazioni ottenibili dalla cella stessa. I prodotti polimerici sintetizzati sono stati caratterizzati mediante tecniche spettroscopiche (NMR, FT-IR, UV-Vis), ne sono determinate le proprietà termiche ed i pesi molecolari medi e la relativa distribuzione, mediante cromatografia a permeazione su gel (GPC). Le prestazioni delle celle fotovoltaiche realizzate utilizzando i copolimeri prodotti sono state misurate tramite un multimetro Keithley ed un Solar Simulator, che permette di riprodurre l’intero spettro della radiazione solare.

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Il calcestruzzo è uno dei materiali più utilizzati nell’edilizia, ma il meno sostenibile. Per la sua produzione vengono sfruttate elevate quantità di risorse naturali non rinnovabili con un impatto ambientale non trascurabile, sia per le sostanze emesse in atmosfera, sia per le macerie derivate post utilizzo. L’ingresso nel XXI secolo ha segnato definitivamente l’affermazione del concetto di sviluppo sostenibile nei riguardi di tutti i processi produttivi dei beni, che devono essere necessariamente strutturati secondo una logica di risparmio energetico e di controllo della produzione di scorie e rifiuti, prevedendone un loro riutilizzo in altri settori, o un loro smaltimento senza provocare danni all’ambiente. Anche l’industria del cemento e del calcestruzzo è chiamata a svolgere il proprio ruolo per contribuire ad un miglior bilancio ecologico globale, indirizzando la ricerca verso possibilità d’impiego di materiali “innovativi”, che siano in grado di sostituire parzialmente o totalmente l’uso di materie prime non rinnovabili, tenendo conto dell’enorme richiesta futura di infrastrutture, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Negli ultimi anni si sta sempre più affermando il potenziale del riciclo dei materiali ottenuti dalla demolizione di edifici (C&DW – Construction and Demolition Waste), questo dovuto anche a politiche di gestione dei rifiuti che incentivano il risparmio, il riutilizzo, il riciclo e la valorizzazione dei beni. I calcestruzzi con aggregati di riciclo sono generalmente suddivisi in due macrogruppi: quelli ottenuti da aggregati di riciclo di solo calcestruzzo (RCA – Recycled Coarse Aggregate) e quelli da aggregati da demolizione totale (MRA – Mixed Recycled Aggregate) che però contengono molte impurità. Come anche uno può subito pensare gli aggregati riciclati hanno delle proprietà diverse da quelli naturali, questi contengono oltre l’aggregato naturale anche il legante coeso, polveri di laterizio, vetro, ceramica, plastica eccet., i quali offrono una miscela ricca di cloruri, solfati, silice amorfa ed altri componenti dannosi per la nuova miscela di calcestruzzo. In presenza di questi prodotti, gli aggregati non solo non soddisfano i requisiti chimici, ma influiscono negativamente anche sulle proprietà fisico-meccaniche del calcestruzzo. Per questo vedremmo in questa tesi tramite un accurata analisi degli aggregati, e del loro “contributo” per il corretto comportamento del calcestruzzo, leggendo criticamente come le normative regolano i requisiti che gli aggregati debbono soddisfare, vedendo le varie possibilità di riutilizzo dei materiali di riciclo da demolizione. La tesi mira all'incentivo dei materiali da riciclo, come scelta sostenibile per il futuro dell'edilizia. E' stato calcolato che la produzione totale di macerie da demolizione nel mondo, non supera il 20% in massa degli aggregati che vengono utilizzati per la produzione del calcestruzzo nei paesi sviluppati. Dai vari studi è stato valutato in media che col solo 20% di riciclato sostituito, le caratteristiche del calcestruzzo indurito cambiano di poco dal normale miscelato con aggregati naturali; ovviamente se gli aggregati da riciclo sono stati selezionati e sottoposti ai vari test delle norme europee standardizzate. Quindi uno può subito pensare in linea teorica, tralasciando i costi di gestione, trasporto eccet. , che basta utilizzare per ogni metro cubo di calcestruzzo 20% di riciclato, per rispondere allo smaltimento dei rifiuti da C&D; abbassando cosi i costi degli inerti naturali, sempre parlando di economie di scala. Questo è in linea teorica, ma riflette un dato rilevante. Nel presente lavoro si partirà da una veloce lettura sul comportamento del calcestruzzo, su i suoi principali costituenti, concentrandoci sugli aggregati, analizzandone le sue proprietà fisico-meccaniche, quali la granulometria, la resistenza meccanica e la rigidezza, valutando l’importanza dei legami coesivi tra aggregato alla pasta cementizia. Verranno inoltre analizzate le azioni deleterie che possono instaurarsi tra aggregato di riciclo e pasta cementizia. Dopo aver visto le varie politiche sulla gestione dei rifiuti, la legislazione passata e presente sull’uso dei materiali riciclati, si analizzeranno vari studi sulle proprietà fisico-meccaniche dei calcestruzzi con aggregati di riciclo seguiti da università e poli di ricerca internazionali. Se gli aggregati di riciclo sono selezionati con metodo, in presenza di piani di gestione regionale e/o nazionale, è possibile soddisfare le prestazioni richieste del calcestruzzo, nel rispetto delle politiche di sostenibilità economico-ambientali. Può essere il calcestruzzo riciclato una scelta non solo sostenibile, ma anche economica per il settore edile? Si può avere un calcestruzzo riciclato ad alte prestazioni? Quali sono le politiche da mettere in atto per un mercato di produzione sostenibile del riciclato? Questo e molto altro verrà approfondito nelle pagine seguenti di questa tesi.

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Il web è cambiato! In questi ultimi anni internet ha subito grandi cambiamenti, è passato da un web formato da sole pagine ad un web fornitore di servizi. Questi servizi chiamati ‘Web Service’ vengono utilizzati ampiamente per sviluppare la maggior parte delle applicazioni web. A questo proposito, viene presentata brevemente la tecnologia dei Web Service, per passare successivamente ad analizzare due tipi di standard: quelli basati su SOAP con disegni strettamente accoppiati simili a chiamate di procedura e quelli basati su REST con disegni debolmente accoppiati, simili alla navigazione di link. Questa tesi si pone l’obiettivo di fornire informazioni sulle caratteristiche, l’interoperabilità, le differenze e l’implementazione dei due standard, descrivendo l’utilizzo di queste architetture in un contesto di informatica gestionale, nello specifico, lo scenario di Infor ERP LN.

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In questo lavoro sono stati sintetizzati dei copolimeri anfifilici random per il trasporto di materiale genetico. Si è partiti dalla sintesi di poli (glicidil metacrilato) mediante tecnica RAFT (Reversible Addition-Fragmentation chain Transfer), con il fine di ottenere un polimero con una distribuzione del peso molecolare ben definita. Il trattamento del polimero con un opportuno nucleofilo fornisce un materiale con caratteristiche differenti da quelle di partenza, con l’ottenimento di un polimero solubile in acqua. Altri trattamenti di funzionalizzazione con gruppi lipofili hanno fornito un materiale (copolimero random) anfifilico in grado di autoassemblarsi in acqua con formazione di micelle. Si è dimostrato che le micelle hanno un’interazione con del materiale genetico. I polimeri sono stati infine funzionalizzati con degli agenti fluorescenti.

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La ricerca nell’ambito dell’ingegneria tissutale e del rilascio controllato di farmaci ha compiuto notevoli progressi negli ultimi anni. In questo contesto, i materiali polimerici rappresentano senza dubbio la tipologia più adatta: è infatti possibile modularne piuttosto facilmente le proprietà finali per ottenere materiali con caratteristiche ad hoc per il tipo di applicazione scelta, garantendo al contempo il mantenimento di biodegradabilità e biocompatibilità, essenziali in campo biomedicale. All’interno della classe dei polimeri, i poliesteri alifatici risultano particolarmente interessanti e promettenti. Tra questi ultimi, il poli(butilene succinato) (PBS) è utilizzato soprattutto nel campo degli imballaggi biodegradabili grazie alla buona stabilità termica e alla elevata temperatura di fusione (115°C). Di contro, tale polimero è caratterizzato da tempi di biodegradazione lunghi, dovuti all’elevato grado di cristallinità (circa 45-50%), nonché da proprietà meccaniche non ottimali per alcune applicazioni. In tale contesto si inserisce il presente lavoro di tesi che ha come scopo la realizzazione di nuovi poli(esteri uretani) multiblocco a base di PBS, caratterizzati da proprietà migliorate rispetto all’omopolimero di partenza. Al fine di ottenere nuovi materiali che presentino una maggiore velocità di degradazione, combinata con un comportamento meccanico sia elastomerico che termoplastico, sono state prese in considerazione due diverse unità copolimeriche: una cosiddetta “hard” e l’altra “soft”. L’alternanza di queste due porzioni permette infatti di realizzare un polimero tenace, con una elevata temperatura di fusione (dovuta all’elevato grado di cristallinità del segmento hard), e con un basso modulo elastico ed un elevato allungamento a rottura (tipici invece del segmento soft).

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Il presente lavoro di tesi di laurea magistrale è stato incentrato sulla sintesi e caratterizzazione di due copolimeri regioregolari poli[3-esiltiofene-co-(3-[5-(4-fenossi)-10,15,20-trifenilporfinil]esiltiofene)] contenenti diversa percentuale di sostituente porfirinico, ottenuti per post-funzionalizzazione con 5-(4-idrossifenil)-10,15,20-trifenilporfirina di due copolimeri regioregolari poli[3-esiltiofene-co-(3-(6-bromoesil)tiofene)] contenenti diverse percentuali di sostituente esilico bromurato, appositamente sintetizzati. E’ stato inoltre preparato il copolimero non regioregolare poli[3-dodeciltiofene-co-(3-[5-(4-fenossi)-10,15,20-trifenilporfinil]esiltiofene)] partendo da un comonomero con una catena alchilica laterale più lunga, il 3-dodeciltiofene, per evitare l’eventuale insolubilità del copolimero finale e per avere un ulteriore termine di paragone derivante dall’utilizzo di catene alchiliche di diversa lunghezza. I prodotti polimerici sintetizzati sono stati caratterizzati mediante tecniche spettroscopiche (NMR, FT-IR, UV-Vis), ne sono state determinate le proprietà termiche tramite analisi DSC e TGA ed i pesi molecolari medi con la relativa distribuzione, mediante cromatografia a permeazione su gel (GPC). Tali derivati sono stati successivamente testati attraverso prove di preparazione e caratterizzazione di dispositivi fotovoltaici, Le prestazioni delle celle fotovoltaiche realizzate utilizzando i copolimeri prodotti sono state misurate tramite un multimetro Keithley ed un Solar Simulator, che permette di riprodurre l’intero spettro della radiazione solare.

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Questo lavoro costituisce un'interfaccia tra la fisica dei materiali e la biologia; sfruttando le particolari proprietà del polimero conduttore poli(3,4-etilenediossitiofene) drogato con poli(stirene sulfonato) (PSS), o PEDOT:PSS, sono stati sviluppati e realizzati substrati per colture cellulari. Tale composto è infatti un polimero organico biocompatibile, caratterizzato da proprietà fisiche che ben si prestano ad applicazioni in campo biologico. Vengono inizialmente descritte le caratteristiche generali e gli schemi di classificazione dei polimeri, per analizzare quindi in dettaglio i polimeri conduttori e la loro modalità di drogaggio. Si presenta quindi il PEDOT:PSS, del quale vengono descritte le proprietà, in particolare ci si sofferma sulle quelle termiche, meccaniche ed elettriche. Il primo capitolo si conclude con la presentazione delle applicazioni bioelettroniche del PEDOT:PSS, illustrando le principali applicazioni nella ricerca biologica e descrivendo le caratteristiche che ne hanno fatto uno dei composti più utilizzati per questo tipo di applicazioni. Nel secondo capitolo, per la parte sperimentale, sono stati descritti approfonditamente gli strumenti e i materiali utilizzati; in particolare vengono spiegati dettagliatamente il procedimento di spin-coating per la produzione di film sottili e le tecniche AFM (Atomic Force Microscopy) per l'analisi della morfologia superficiale. Nel terzo capitolo vengono esposte le tecniche sperimentali impiegate: è stata sviluppata una procedura di produzione ripetibile, grazie alla quale sono stati realizzati dei campioni, per i quali poi è stata misurata la rugosità. I risultati conseguiti sono stati infine correlati con l'analisi della proliferazione cellulare, illustrata chiaramente dalle immagini ottenute al microscopio ottico, che rivelano l'adesione e la moltiplicazione cellulare sui substrati di PEDOT:PSS.

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Scopo del presente lavoro di tesi è dimensionare a livello preliminare e modellare con software CAD 3D, un dirigibile non-rigido per riprese aeree di eventi sportivi o musicali. Il dimensionamento viene svolto attraverso un metodo tratto dalla bibliografia che si avvale di un processo iterativo che cerca la convergenza tra il peso ottenuto in base al carburante necessario per la missione da compiere e il peso ottenuto sommando tutti i contributi dei componenti del dirigibile, al variare del volume dell’involucro. La descrizione del metodo è preceduta da un’introduzione che descrive alcuni concetti fondamentali legati alle innovazioni che si sono susseguite nel tempo a livello di progettazione e dimensionamento strutturale dei dirigibili. Il dimensionamento ottenuto dal processo iterativo è stato preso come base per la modellazione CAD di un dirigibile equipaggiato con un sistema composto da una camera per riprese aeree e batterie per permettere l'alimentazione degli apparati video e di trasmissione.