354 resultados para BREF, MiniBREF, Impianti termoelettrici, Indici di inquinamento, concentrazione inquinanti
Resumo:
Il presente lavoro di tesi si colloca nell’ambito della valutazione del rischio di incidente rilevante. Ai sensi della normativa europea (direttive Seveso) e del loro recepimento nella legislazione nazionale (D.Lgs. 334/99 e s.m.i.) un incidente rilevante è costituito da un evento incidentale connesso al rilascio di sostanze pericolose in grado di causare rilevanti danni all’uomo e/o all’ambiente. Ora, se da un lato esistono indici di rischio quantitativi per il bersaglio ”uomo” da tempo definiti e universalmente adottati nonché metodologie standardizzate e condivise per il loro calcolo, dall’altro non vi sono analoghi indici di rischio per il bersaglio “ambiente” comunemente accettati né, conseguentemente, procedure per il loro calcolo. Mancano pertanto anche definizioni e metodologie di calcolo di indici di rischio complessivo, che tengano conto di entrambi i bersagli citati dalla normativa. Al fine di colmare questa lacuna metodologica, che di fatto non consente di dare pieno adempimento alle stesse disposizioni legislative, è stata sviluppata all’interno del Dipartimento di Ingegneria Chimica, Mineraria e delle Tecnologie Ambientali dell’Università degli Studi di Bologna una ricerca che ha portato alla definizione di indici di rischio per il bersaglio “ambiente” e alla messa a punto di una procedura per la loro stima. L’attenzione è stata rivolta in modo specifico al comparto ambientale del suolo e delle acque sotterranee (falda freatica) ed ai rilasci accidentali da condotte di sostanze idrocarburiche immiscibili e più leggere dell’acqua, ovvero alle sostanze cosiddette NAPL – Non Acqueous Phase Liquid, con proprietà di infiammabilità e tossicità. Nello specifico si sono definiti per il bersaglio “ambiente” un indice di rischio ambientale locale rappresentato, punto per punto lungo il percorso della condotta, dai volumi di suolo e di acqua contaminata, nonché indici di rischio ambientale sociale rappresentati da curve F/Vsuolo e F/Sacque, essendo F la frequenza con cui si hanno incidenti in grado di provocare contaminazioni di volumi di suolo e di superfici di falda uguali o superiori a Vsuolo e Sacque. Tramite i costi unitari di decontaminazione del suolo e delle acque gli indici di rischio ambientale sociale possono essere trasformati in indici di rischio ambientale sociale monetizzato, ovvero in curve F/Msuolo e F/Macque, essendo F la frequenza con cui si hanno incidenti in grado di provocare inquinamento di suolo e di acque la cui decontaminazione ha costi uguali o superiori a Msuolo ed Macque. Dalla combinazione delle curve F/Msuolo e F/Macque è possibile ottenere la curva F/Mambiente, che esprime la frequenza degli eventi incidentali in grado di causare un danno ambientale di costo uguale o superiore a Mambiente. Dalla curva di rischio sociale per l’uomo ovvero dalla curva F/Nmorti, essendo F la frequenza con cui si verificano incidenti in grado di determinare un numero di morti maggiore o uguale ad Nmorti, tramite il costo unitario della vita umana VSL (Value of a Statistical Life), è possibile ottenete la curva F/Mmorti, essendo F la frequenza con cui si verificano incidenti in grado di determinare un danno monetizzato all’uomo uguale o superiore ad Mmorti. Dalla combinazione delle curve F/Mambiente ed F/Mmorti è possibile ottenere un indice di rischio sociale complessivo F/Mtotale, essendo F la frequenza con cui si verifica un danno economico complessivo uguale o superiore ad Mtotale. La procedura ora descritta è stata implementata in un apposito software ad interfaccia GIS denominato TRAT-GIS 4.1, al fine di facilitare gli onerosi calcoli richiesti nella fase di ricomposizione degli indici di rischio. La metodologia è stata fino ad ora applicata ad alcuni semplici casi di studio fittizi di modeste dimensioni e, limitatamente al calcolo del rischio per il bersaglio “ambiente”, ad un solo caso reale comunque descritto in modo semplificato. Il presente lavoro di tesi rappresenta la sua prima applicazione ad un caso di studio reale, per il quale sono stati calcolati gli indici di rischio per l’uomo, per l’ambiente e complessivi. Tale caso di studio è costituito dalla condotta che si estende, su un tracciato di 124 km, da Porto Marghera (VE) a Mantova e che trasporta greggi petroliferi. La prima parte del lavoro di tesi è consistita nella raccolta e sistematizzazione dei dati necessari alla stima delle frequenze di accadimento e delle conseguenze per l’uomo e per l’ambiente degli eventi dannosi che dalla condotta possono avere origine. In una seconda fase si è proceduto al calcolo di tali frequenze e conseguenze. I dati reperiti hanno riguardato innanzitutto il sistema “condotta”, del quale sono stati reperiti da un lato dati costruttivi (quali il diametro, la profondità di interramento, la posizione delle valvole sezionamento) e operativi (quali la portata, il profilo di pressione, le caratteristiche del greggio), dall’altro informazioni relative alle misure di emergenza automatiche e procedurali in caso di rilascio, al fine di stimare le frequenze di accadimento ed i termini “sorgente” (ovvero le portate di rilascio) in caso di rotture accidentali per ogni punto della condotta. In considerazione delle particolarità della condotta in esame è stata sviluppata una procedura specifica per il calcolo dei termini sorgente, fortemente dipendenti dai tempi degli interventi di emergenza in caso di rilascio. Una ulteriore fase di raccolta e sistematizzazione dei dati ha riguardato le informazioni relative all’ambiente nel quale è posta la condotta. Ai fini del calcolo del rischio per il bersaglio “uomo” si sono elaborati i dati di densità abitativa nei 41 comuni attraversati dall’oleodotto. Il calcolo dell’estensione degli scenari incidentali dannosi per l’uomo è stato poi effettuato tramite il software commerciale PHAST. Allo scopo della stima del rischio per il bersaglio “ambiente” è stata invece effettuata la caratterizzazione tessiturale dei suoli sui quali corre l’oleodotto (tramite l’individuazione di 5 categorie di terreno caratterizzate da diversi parametri podologici) e la determinazione della profondità della falda freatica, al fine di poter calcolare l’estensione della contaminazione punto per punto lungo la condotta, effettuando in tal modo l’analisi delle conseguenze per gli scenari incidentali dannosi per l’ambiente. Tale calcolo è stato effettuato con il software HSSM - Hydrocarbon Spill Screening Model gratuitamente distribuito da US-EPA. La ricomposizione del rischio, basata sui risultati ottenuti con i software PHAST e HSSM, ha occupato la terza ed ultima fase del lavoro di tesi; essa è stata effettuata tramite il software TRAT-GIS 4.1, ottenendo in forma sia grafica che alfanumerica gli indici di rischio precedentemente definiti. L’applicazione della procedura di valutazione del rischio al caso dell’oleodotto ha dimostrato come sia possibile un’analisi quantificata del rischio per l’uomo, per l’ambiente e complessivo anche per complessi casi reali di grandi dimensioni. Gli indici rischio ottenuti consentono infatti di individuare i punti più critici della condotta e la procedura messa a punto per il loro calcolo permette di testare l’efficacia di misure preventive e protettive adottabili per la riduzione del rischio stesso, fornendo al tempo gli elementi per un’analisi costi/benefici connessa all’implementazione di tali misure. Lo studio effettuato per la condotta esaminata ha inoltre fornito suggerimenti per introdurre in alcuni punti della metodologia delle modifiche migliorative, nonché per facilitare l’analisi tramite il software TRAT-GIS 4.1 di casi di studio di grandi dimensioni.
Resumo:
Nella definizione di incidente rilevante presente nelle Direttive Seveso, come pure nel loro recepimento nella legislazione italiana, rientrano eventi incidentali che abbiano conseguenze gravi per il bersaglio “ambiente”, sia in concomitanza sia in assenza di effetti dannosi per l’uomo. Tuttavia, a fronte di questa attenzione al bersaglio “ambiente” citata dalle norme, si constata la mancanza di indici quantitativi per la stima del rischio di contaminazione per i diversi comparti ambientali e, conseguentemente, anche di metodologie per il loro calcolo. Misure di rischio quantitative consolidate e modelli condivisi per la loro stima riguardano esclusivamente l’uomo, con la conseguenza che la valutazione di rischio per il bersaglio “ambiente” rimane ad un livello qualitativo o, al più, semi-quantitativo. Questa lacuna metodologica non consente di dare una piena attuazione al controllo ed alla riduzione del rischio di incidente rilevante, secondo l’obiettivo che le norme stesse mirano a raggiungere. E d‘altra parte il verificarsi periodico di incidenti con significativi effetti dannosi per l’ambiente, quali, ad esempio lo sversamento di gasolio nel fiume Lambro avvenuto nel febbraio 2010, conferma come attuale e urgente il problema del controllo del rischio di contaminazione ambientale. La ricerca presentata in questo lavoro vuole rappresentare un contributo per colmare questa lacuna. L’attenzione è rivolta al comparto delle acque superficiali ed agli sversamenti di liquidi oleosi, ovvero di idrocarburi insolubili in acqua e più leggeri dell’acqua stessa. Nel caso in cui il rilascio accidentale di un liquido oleoso raggiunga un corso d’acqua superficiale, l’olio tenderà a formare una chiazza galleggiante in espansione trasportata dalla corrente e soggetta ad un complesso insieme di trasformazioni fisiche e chimiche, denominate fenomeni di “oil weathering”. Tra queste rientrano l’evaporazione della frazione più volatile dell’olio e la dispersione naturale dell’olio in acqua, ovvero la formazione di una emulsione olio-in-acqua nella colonna d’acqua al di sotto della chiazza di olio. Poiché la chiazza si muove solidale alla corrente, si può ragionevolmente ritenere che l’evaporato in atmosfera venga facilmente diluito e che quindi la concentrazione in aria dei composti evaporati non raggiunga concentrazioni pericolose esternamente alla chiazza stessa. L’effetto fisico dannoso associato allo sversamento accidentale può pertanto essere espresso in doversi modi: in termini di estensione superficiale della chiazza, di volume di olio che emulsifica nella colonna d’acqua, di volume della colonna che si presenta come emulsione olio-in-acqua, di lunghezza di costa contaminata. In funzione di questi effetti fisici è possibile definire degli indici di rischio ambientale analoghi alle curve di rischio sociale per l’uomo. Come una curva di rischio sociale per l’uomo esprime la frequenza cumulata in funzione del numero di morti, così le curve di rischio sociale ambientale riportano la frequenza cumulata in funzione dell’estensione superficiale della chiazza, ovvero la frequenza cumulata in funzione del volume di olio che emulsifica in acqua ovvero la frequenza cumulata in funzione del volume di colonna d’acqua contaminato ovvero la frequenza cumulata in funzione della lunghezza di costa contaminata. Il calcolo degli indici di rischio così definiti può essere effettuato secondo una procedura analoga al calcolo del rischio per l’uomo, ovvero secondo i seguenti passi: 1) descrizione della sorgente di rischio; 2) descrizione del corso d’acqua che può essere contaminato in caso di rilascio dalla sorgente di rischio; 3) identificazione, degli eventi di rilascio e stima della loro frequenza di accadimento; 4) stima, per ogni rilascio, degli effetti fisici in termini di area della chiazza, di volume di olio emulsificato in acqua, di volume dell’emulsione olio-in-acqua, lunghezza di costa contaminata; 5) ricomposizione, per tutti i rilasci, degli effetti fisici e delle corrispondenti frequenze di accadimento al fine di stimare gli indici di rischio sopra definiti. Al fine di validare la metodologia sopra descritta, ne è stata effettuata l’applicazione agli stabilimenti a rischio di incidente rilevante presenti nei bacini secondari che fanno parte del bacino primario del Po. E’ stato possibile calcolare gli indici di rischio per ogni stabilimento, sia in riferimento al corso d’acqua del bacino secondario a cui appartengono, sia in riferimento al Po, come pure ottenere degli indici di rischio complessivi per ogni affluente del Po e per il Po stesso. I risultati ottenuti hanno pienamente confermato la validità degli indici di rischio proposti al fine di ottenere una stima previsionale del rischio di contaminazione dei corsi d’acqua superficiali, i cui risultati possano essere utilizzati per verificare l’efficacia di diverse misure di riduzione del rischio e per effettuare una pianificazione d’emergenza che consenta, in caso di incidente, di contenere, recuperare e favorire la dispersione dell’olio sversato.
Resumo:
Negli ultimi anni la ricerca nella cura dei tumori si è interessata allo sviluppo di farmaci che contrastano la formazione di nuovi vasi sanguigni (angiogenesi) per l’apporto di ossigeno e nutrienti ai tessuti tumorali, necessari per l’accrescimento e la sopravvivenza del tumore. Per valutare l’efficacia di questi farmaci antiangiogenesi esistono tecniche invasive: viene prelevato tramite biopsia un campione di tessuto tumorale, e tramite analisi microscopica si quantifica la densità microvascolare (numero di vasi per mm^2) del campione. Stanno però prendendo piede tecniche di imaging in grado di valutare l’effetto di tali terapie in maniera meno invasiva. Grazie allo sviluppo tecnologico raggiunto negli ultimi anni, la tomografia computerizzata è tra le tecniche di imaging più utilizzate per questo scopo, essendo in grado di offrire un’alta risoluzione sia spaziale che temporale. Viene utilizzata la tomografia computerizzata per quantificare la perfusione di un mezzo di contrasto all’interno delle lesioni tumorali, acquisendo scansioni ripetute con breve intervallo di tempo sul volume della lesione, a seguito dell’iniezione del mezzo di contrasto. Dalle immagini ottenute vengono calcolati i parametri perfusionali tramite l’utilizzo di differenti modelli matematici proposti in letteratura, implementati in software commerciali o sviluppati da gruppi di ricerca. Al momento manca un standard per il protocollo di acquisizione e per l’elaborazione delle immagini. Ciò ha portato ad una scarsa riproducibilità dei risultati intra ed interpaziente. Manca inoltre in letteratura uno studio sull’affidabilità dei parametri perfusionali calcolati. Il Computer Vision Group dell’Università di Bologna ha sviluppato un’interfaccia grafica che, oltre al calcolo dei parametri perfusionali, permette anche di ottenere degli indici sulla qualità dei parametri stessi. Questa tesi, tramite l’analisi delle curve tempo concentrazione, si propone di studiare tali indici, di valutare come differenti valori di questi indicatori si riflettano in particolari pattern delle curve tempo concentrazione, in modo da identificare la presenza o meno di artefatti nelle immagini tomografiche che portano ad un’errata stima dei parametri perfusionali. Inoltre, tramite l’analisi delle mappe colorimetriche dei diversi indici di errore si vogliono identificare le regioni delle lesioni dove il calcolo della perfusione risulta più o meno accurato. Successivamente si passa all’analisi delle elaborazioni effettuate con tale interfaccia su diversi studi perfusionali, tra cui uno studio di follow-up, e al confronto con le informazioni che si ottengono dalla PET in modo da mettere in luce l’utilità che ha in ambito clinico l’analisi perfusionale. L’intero lavoro è stato svolto su esami di tomografia computerizzata perfusionale di tumori ai polmoni, eseguiti presso l’Unità Operativa di Diagnostica per Immagini dell’IRST (Istituto Scientifico Romagnolo per lo Studio e la Cura dei Tumori) di Meldola (FC). Grazie alla collaborazione in atto tra il Computer Vision Group e l’IRST, è stato possibile sottoporre i risultati ottenuti al primario dell’U. O. di Diagnostica per Immagini, in modo da poterli confrontare con le considerazioni di natura clinica.
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Gli impianti di depurazione rappresentano, nei contesti urbani, elementi di imprescindibile importanza nell’ambito di una corretta gestione e tutela della risorsa idrica e dell’ambiente. Il crescente grado di antropizzazione delle aree urbanizzate e parallelamente le sempre minori disponibilità in termini di spazi utilizzabili a fini depurativi comportano sempre di più la necessità di ottimizzare i processi di dimensionamento degli impianti. Inoltre, l’obiettivo di aumentare l’efficienza del ciclo depurativo andando a minimizzare i costi correlati alla gestione degli stessi indirizza verso una omogeneizzazione nei criteri di dimensionamento adottati. In questo senso, la normativa tecnica di settore risulta carente, andandosi a concentrare prevalentemente sul rispetto di fissati standard ambientali senza però fornire indicazioni precise sui criteri di progettazione da adottare per perseguire tali standard. La letteratura scientifica pur indicando range di possibili valori di riferimento da adottare, nel dimensionamento degli impianti, lascia un ampio margine di discrezionalità al progettista. La presente tesi si pone pertanto, a partire da tali valori di letteratura, di andare a definire da un lato le caratteristiche quali-quantitative del refluo in ingresso e dall’altro i valori di riferimento da adottare in sede di progettazione per perseguire gli obiettivi precedentemente indicati. La prima parte, di valenza generale, oltre alla caratterizzazione dell’influente descrive nel dettaglio le diverse fasi del processo e il loro dimensionamento che in tutte le sezioni, ad eccezione del biologico, viene effettuato attraverso equazioni semplificate mettendo a confronto e analizzando i parametri progettuali proposti da letteratura. Per quanto riguarda il comparto biologico la maggior complessità del fenomeno da descrivere rende difficile la valutazione delle grandezze che caratterizzano il funzionamento mediante l’utilizzo di equazioni semplificate. Per questo si è deciso di modellare questo comparto, unito a quello della sedimentazione, attraverso un software (WEST) che permette non solo di simulare il processo ma anche, attraverso le analisi di scenario, di determinare quelli che sono i valori progettuali puntuali che consentono di ottenere da un lato una minimizzazione dei costi dell’impianto, sia costruttivi che gestionali, e dall’altro la massimizzazione delle rese depurative. Nello specifico si è fatto riferimento ad impianto fanghi attivi a schema semplificato con potenzialità fissata pari a 10000 AE. Il confronto con i dati di esercizio di alcuni impianti di analoga tipologia ha evidenziato che una buona capacità dello strumento di modellazione utilizzato di descrivere i processi. E’ possibile quindi concludere che tali strumenti, affiancati ad una lettura critica dei risultati ottenuti possono essere ottimi strumenti di supporto sia in fase di progettazione che in prospettiva di gestione dell’impianto al fine di ottimizzare i processi e quindi i costi.
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Sommario Il polo chimico di Ferrara, situato nella periferia nord occidentale del territorio comunale, rappresenta un’area ad alta concentrazione di stabilimenti, ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. 334/99 e s.m.i., ovvero un’area in cui sono presenti diversi stabilimenti a rischio di incidente rilevante, così definiti in base alle caratteristiche di pericolosità e dei quantitativi delle sostanze chimiche presenti. Per tali aree la norma di legge prevede la realizzazione di uno Studio di Sicurezza Integrato d’Area o SSIA. Allo SSIA del polo chimico ferrarese è stato dato avvio nel corso del 2012, in seguito ad un accordo tra la Regione Emilia Romagna, l’Agenzia Regionale di Protezione Civile, la Provincia di Ferrara, l’Ufficio Territoriale del Governo, il Comune di Ferrara, la Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco, l’Agenzia Regionale Prevenzione e Ambiente e le stesse aziende presenti nel polo. La realizzazione dello SSIA prevede 6 fasi: 1) la definizione dei criteri metodologici da adottare per l’analisi del rischio; 2) la raccolta e l’analisi critica dei dati necessari all'analisi del rischio; 3) l’individuazione e la caratterizzazione delle sorgenti di rischio; 4) l’analisi delle conseguenze e la stima della frequenza di accadimento degli scenari incidentali che possono scaturire da ogni sorgente di rischio; 5) la ricomposizione, per tutti gli scenari di ogni sorgente e per tutte le sorgenti, delle frequenze e delle conseguenze negli indici di rischio; 6) l’analisi e la valutazione dei risultati ottenuti, al fine di interventi eventuali interventi per la riduzione e la mitigazione del rischio stesso. Il presente lavoro di tesi si inserisce nello Studio di Sicurezza Integrato d’Area del polo chimico di Ferrara ed in particolare nelle fasi 2), 3) e 4) sopra citate. Esso ha preso avvio durante un tirocinio svolto presso l’Agenzia Regionale di Protezione Civile ed ha avuto ad oggetto il trasporto di sostanze pericolose via strada e ferrovia nell'area dello SSIA. Il lavoro di tesi è così strutturato: a valle del capitolo 1 avente carattere introduttivo, si è descritta nel dettaglio l’area oggetto dello SSIA, con particolare riferimento alle vie di trasporto delle sostanze pericolose (capitolo 2). Successivamente (capitolo 3) si è illustrata la metodologia utilizzata per effettuare il censimento dei dati di trasporto delle sostanze pericolose forniti dalle aziende del polo e si sono presentati i risultati ottenuti. Infine (capitolo 4) si è eseguita l’analisi delle conseguenze degli scenari incidentali associati al trasporto di alcune delle sostanze movimentate per strada e ferrovia.
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L’esigenza di affrontare la questione della tutela del mare dalle diverse fonti di inquinamento si è posta con forza soprattutto a partire al 1970, in parallelo con l’affinamento della sensibilità ambientale a fronte del crescente processo di industrializzazione in atto in tutto il mondo. Tuttavia, a fronte di questa attenzione al bersaglio “ambiente” citata dalle convenzioni e dalle norme, si constata la mancanza di indici quantitativi per la stima del rischio di contaminazione per tutti i comparti ambientali ed anche per il mare e, conseguentemente, anche l’assenza di metodologie per il loro calcolo. Misure di rischio quantitative consolidate e modelli condivisi per la loro stima riguardano esclusivamente l’uomo, con la conseguenza che la valutazione di rischio per il bersaglio “ambiente” rimane ad un livello qualitativo o, al più, semi-quantitativo. La ricerca presentata in questo lavoro vuole rappresentare un contributo per colmare questa lacuna. L’attenzione è rivolta al comparto delle acque marine ed agli sversamenti di liquidi oleosi, ovvero di idrocarburi insolubili in acqua e più leggeri dell’acqua stessa.
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Negli ultimi cinquant’anni, in particolare dal 1956 al 2010, grazie a miglioramenti di tipo economico e sociale, il territorio urbanizzato italiano è aumentato di circa 600 mila ettari, cioè una superficie artificializzata pari quasi a quella dell’intera regione Friuli Venezia Giulia, con un aumento del 500% rispetto agli anni precedenti. Quando si parla di superfici “artificializzate” ci si riferisce a tutte quelle parti di suolo che perdono la propria caratteristica pedologica per essere asportate e divenire urbanizzate, cioè sostituite da edifici, spazi di pertinenza, parcheggi, aree di stoccaggio, strade e spazi accessori. La costruzione di intere periferie e nuclei industriali dagli anni ’50 in poi, è stata facilitata da un basso costo di mano d’opera e da una supposta presenza massiccia di risorse disponibili. Nonché tramite adeguati piani urbanistico-territoriali che hanno accompagnato ed assecondato questo orientamento. All’oggi, è evidente come questa crescita tumultuosa del tessuto urbanizzato non sia più sostenibile. Il consumo del suolo provoca infatti vari problemi, in particolare di natura ecologica e ambientale, ma anche sanitaria, economica e urbana. Nel dettaglio, secondo il dossier Terra Rubata1, lanciato all’inizio del 2012 dal FAI e WWF gli aspetti che vengono coinvolti direttamente ed indirettamente dalla conversione urbana dei suoli sono complessivamente i seguenti. Appartenenti alla sfera economico-energetica ritroviamo diseconomie dei trasporti, sperperi energetici, riduzione delle produzioni agricole. Per quanto riguarda la sfera idro-geo-pedologica vi è la possibilità di destabilizzazione geologica, irreversibilità d’uso dei suoli, alterazione degli assetti idraulici ipo ed epigei. Anche la sfera fisico-climatica non è immune a questi cambiamenti, ma può invece essere soggetta ad accentuazione della riflessione termica e dei cambiamenti 1 Dossier TERRA RUBATA Viaggio nell’Italia che scompare. Le analisi e le proposte di FAI e WWF sul consumo del suolo, 31 gennaio 2012 2 climatici, ad una riduzione della capacità di assorbimento delle emissioni, ad effetti sul sequestro del carbonio e sulla propagazione spaziale dei disturbi fisico-chimici. In ultimo, ma non per importanza, riguardo la sfera eco-biologica, ritroviamo problemi inerenti l’erosione fisica e la distruzione degli habitat, la frammentazione eco sistemica, la distrofia dei processi eco-biologici, la penalizzazione dei servizi ecosistemici dell’ambiente e la riduzione della «resilienza» ecologica complessiva. Nonostante ci sia ancora la speranza che questo orientamento possa “invertire la rotta”, non è però possibile attendere ancora. È necessario agire nell’immediato, anche adottando adeguati provvedimenti normativi e strumenti pianificatori ed operativi nell’azione delle pubbliche amministrazioni analogamente a quanto, come evidenziato nel dossier sopracitato2, hanno fatto altri paesi europei. In un recente documento della Commissione Europea3 viene posto l’anno 2050 come termine entro il quale “non edificare più su nuove aree”. Per fare ciò la Commissione indica che nel periodo 2000-2020 occorre che l’occupazione di nuove terre sia ridotta in media di 800 km2 totali. È indispensabile sottolineare però, che nonostante la stabilità demografica della situazione attuale, se non la sua leggera decrescenza, e la società attuale ha necessità di spazi di azione maggiori che non nel passato e possiede una capacità di spostamento a velocità infinitamente superiori. Ciò comporta una variazione enorme nel rapporto tra le superfici edificate (quelle cioè effettivamente coperte dal sedime degli edifici) e le superfici urbanizzate (le pertinenze pubbliche e private e la viabilità). Nell’insediamento storico, dove uno degli obiettivi progettuali era quello di minimizzare i tempi di accesso tra abitazioni e servizi urbani, questo rapporto varia tra il 70 e il 90%, mentre nell’insediamento urbano moderno è quasi sempre inferiore al 40-50% fino a valori anche inferiori al 20% in taluni agglomerati commerciali, 2 Dossier TERRA RUBATA Viaggio nell’Italia che scompare. Le analisi e le proposte di FAI e WWF sul consumo del suolo, 31 gennaio 2012 3 Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse, settembre 2011 3 industriali o direzionali nei quali il movimento dei mezzi o le sistemazioni paesaggistiche di rappresentanza richiedono maggiori disponibilità di spazi. Come conciliare quindi la necessità di nuovi spazi e la necessità di non edificare più su nuove aree? Dai dati Istat il 3% del territorio Italiano risulta occupato da aree dismesse. Aree che presentano attualmente problemi di inquinamento e mancata manutenzione ma che potrebbero essere la giusta risorsa per rispondere alle necessità sopracitate. Enormi spazi, costruiti nella precedente epoca industriale, che possono essere restituiti al pubblico sotto forma di luoghi destinati alla fruizione collettiva come musei, biblioteche, centri per i giovani, i bambini, gli artisti. Allo stesso tempo questi spazi possono essere, completamente o in parte, rinaturalizzati e trasformati in parchi e giardini. La tematica, cosiddetta dell’archeologia industriale non si presenta come una novità, ma come una disciplina, definita per la sua prima volta in Inghilterra nel 1955, che vanta di esempi recuperati in tutta Europa. Dagli anni ’60 l’opinione pubblica cominciò ad opporsi alla demolizione di alcune strutture industriali, come ad esempio la Stazione Euston a Londra, riconoscendone l’importanza storica, culturale ed artistica. Questo paesaggio industriale, diviene oggi testimonianza storica di un’epoca e quindi per questo necessita rispetto e attenzione. Ciò non deve essere estremizzato fino alla esaltazione di questi immensi edifici come rovine intoccabili, ma deve invitare l’opinione pubblica e i progettisti a prendersene cura, a reintegrarli nel tessuto urbano donando loro nuove funzioni compatibili con la struttura esistente che andrà quindi lasciata il più possibile inalterata per mantenere una leggibilità storica del manufatto. L’Europa presenta vari casi di recupero industriale, alcuni dei quali presentano veri e propri esempi da seguire e che meritano quindi una citazione ed un approfondimento all’interno di questo saggio. Tra questi l’ex stabilimento FIAT del Lingotto a Torino, 4 la celebre Tate Modern di Londra, il Leipzig Baumwollspinnerei, il Matadero Madrid e la Cable Factory a Elsinky. Questi edifici abbandonati risultano all’oggi sparsi in maniera disomogenea anche in tutta Italia, con una maggiore concentrazione lungo le linee ferroviarie e nei pressi delle città storicamente industrializzate. Essi, prima di un eventuale recupero, risultano come rifiuti abbandonati. Ma come sopradetto questi rifiuti urbani possono essere recuperati, reinventati, riabilitati, ridotati di dignità, funzione, utilità. Se questi rifiuti urbani possono essere una nuova risorsa per le città italiane come per quelle Europee, perché non provare a trasformare in risorse anche i rifiuti di altra natura? Il problema dei rifiuti, più comunemente chiamati come tali, ha toccato direttamente l’opinione pubblica italiana nel 2008 con il caso drammatico della regione Campania e in particolare dalla condizione inumana della città di Napoli. Il rifiuto è un problema dovuto alla società cosiddetta dell’usa e getta, a quella popolazione che contrariamente al mondo rurale non recupera gli scarti impiegandoli in successive lavorazioni e produzioni, ma li getta, spesso in maniera indifferenziata senza preoccuparsi di ciò che ne sarà. Nel passato, fino agli anni ’60, il problema dello smaltimento dei rifiuti era molto limitato in quanto in genere gli scatti del processo industriale, lavorativo, costruttivo venivano reimpiegati come base per una nuova produzione; il materiale da riciclare veniva di solito recuperato. Il problema degli scarti è quindi un problema moderno e proprio della città, la quale deve quindi farsene carico e trasformarlo in un valore, in una risorsa. Se nell’equilibrio ecologico la stabilità è rappresentata dalla presenza di cicli chiusi è necessario trovare una chiusura anche al cerchio del consumo; esso non può terminare in un oggetto, il rifiuto, ma deve riuscire a reinterpretarlo, a trovare per 5 esso una nuova funzione che vada ad attivare un secondo ciclo di vita, che possa a sua volta generare un terzo ciclo, poi un quarto e cosi via. Una delle vie possibili, è quella di riciclare il più possibile i nostri scarti e quindi di disassemblarli per riportare alla luce le materie prime che stavano alla base della loro formazione. Uno degli ultimi nati, su cui è possibile agire percorrendo questa strada è il rifiuto RAEE4. Esso ha subito un incremento del 30,7% negli ultimi 5 anni arrivando ad un consumo di circa 19 kilogrammi di rifiuti all’anno per abitante di cui solo 4 kilogrammi sono attualmente smaltiti nelle aziende specializzate sul territorio. Dismeco s.r.l. è una delle aziende sopracitate specializzata nello smaltimento e trattamento di materiale elettrico ed elettronico, nata a Bologna nel 1977 come attività a gestione familiare e che si è poi sviluppata divenendo la prima in Italia nella gestione specifica dei RAEE, con un importante incremento dei rifiuti dismessi in seguito all'apertura del nuovo stabilimento ubicato nel Comune di Marzabotto, in particolare nel lotto ospitante l’ex-cartiera Rizzoli-Burgo. L’azienda si trova quindi ad operare in un contesto storicamente industriale, in particolare negli edifici in cui veniva stoccato il caolino e in cui veniva riciclata la carta stampata. Se la vocazione al riciclo è storica dell’area, grazie all’iniziativa dell’imprenditore Claudio Tedeschi, sembra ora possibile la creazione di un vero e proprio polo destinato alla cultura del riciclo, all’insegnamento e all’arte riguardanti tale tematica. L’intenzione che verrà ampliamente sviluppata in questo saggio e negli elaborati grafici ad esso allegati è quella di recuperare alcuni degli edifici della vecchia cartiera e donane loro nuove funzioni pubbliche al fine di rigenerare l’area. 4 RAEE: Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche, in lingua inglese: Waste of electric and electronic equipment (WEEE) o e-waste). Essi sono rifiuti di tipo particolare che consistono in qualunque apparecchiatura elettrica o elettronica di cui il possessore intenda disfarsi in quanto guasta, inutilizzata, o obsoleta e dunque destinata all'abbandono. 6 Il progetto, nello specifico, si occuperà di riqualificare energeticamente il vecchio laboratorio in cui veniva riciclata la carta stampata e di dotarlo di aree per esposizioni temporanee e permanenti, sale conferenze, aule didattiche, zone di ristoro e di ricerca. Per quanto riguarda invece l’area del lotto attualmente artificializzata, ma non edificata, vi è l’intenzione di riportarla a zona verde attraverso la creazione di un “Parco del Riciclo”. Questa zona verde restituirà al lotto un collegamento visivo con le immediate colline retrostanti, accoglierà i visitatori e li ospiterà nelle stagioni più calde per momenti di relax ma al tempo stesso di apprendimento. Questo perché come già detto i rifiuti sono risorse e quando non possono essere reimpiegati come tali vi è l’arte che se ne occupa. Artisti del calibro di Picasso, Marinetti, Rotella, Nevelson e molti altri, hanno sempre operato con i rifiuti e da essi sono scaturite opere d’arte. A scopo di denuncia di una società consumistica, semplicemente come oggetti del quotidiano, o come metafora della vita dell’uomo, questi oggetti, questi scarti sono divenuti materia sotto le mani esperte dell’artista. Se nel 1998 Lea Vergine dedicò proprio alla Trash Art una mostra a Rovereto5 significa che il rifiuto non è scarto invisibile, ma oggetto facente parte della nostra epoca, di una generazione di consumatori frugali, veloci, e indifferenti. La generazione dell’”usa e getta” che diviene invece ora, per necessita o per scelta generazione del recupero, del riciclo, della rigenerazione. L’ipotesi di progetto nella ex-cartiera Burgo a Lama di Reno è proprio questo, un esempio di come oggi il progettista possa guardare con occhi diversi queste strutture dismesse, questi rifiuti, gli scarti della passata società e non nasconderli, ma reinventarli, riutilizzarli, rigenerarli per soddisfare le necessità della nuova generazione. Della generazione riciclo.
Resumo:
La minaccia derivante da fattori di rischio esterni, come gli eventi catastrofici naturali, è stata recentemente riconosciuta come una questione importante riguardo la sicurezza degli impianti chimici e di processo. Gli incidenti causati dal rilascio di sotanze pericolose in seguito al danneggiamento di apparecchiature per effetto di eventi naturali sono stati definiti eventi NaTech, data la doppia componente naturale e tecnologica. È proprio la simultaneità del disastro naturale e dell’incidente tecnologico il problema principale di questo tipo di eventi, che, oltre a generare elevate difficoltà nella gestione delle emergenze, sono caratterizzati da un’elevata criticità in quanto la catastrofe naturale può essere la causa del cedimento contemporaneo di più apparecchiature in zone diverse dell’impianto. I cambiamenti climatici in corso porteranno inoltre ad un incremento della frequenza degli eventi idrometerologici estremi, con un conseguente aumento del rischio Natech. Si tratta quindi di un rischio emergente la cui valutazione deve essere effettuata attraverso metodologie e strumenti specifici. Solo recentemente è stato proposto un framework per la valutazione quantitativa di questo tipo di rischio. L’applicazione di tale procedura passa attraverso l’utilizzo di modelli di vulnerabilità che relazionano la probabilità di danneggiamento di una specifica apparecchiatura all’intensità dell’evento naturale di riferimento. Questo elaborato, facendo riferimento ai modelli di vulnerabilità e alle cartteristiche delle apparecchiature prese in esame, avrà inizialmente lo scopo di sviluppare una procedura a ritroso, calcolando l’intensità degli eventi di riferimento (terremoti e alluvioni) capace di causare un incremento di rischio non accettabile, al fine di poter determinare a priori se una data apparecchiatura con determinate condizioni operative e caratteristiche strutturali possa o meno essere installata in una zona specifica.
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Nell’ambito delle problematiche relative agli impianti a rischio di incidente rilevante, riscontra particolare interesse l’analisi dell’effetto domino, sia per la grande severità delle conseguenze degli eventi incidentali che esso comporta, sia per l’indeterminazione ancora presente nelle metodologie di analisi e di valutazione del fenomeno stesso. Per effetto domino si intende la propagazione di un evento incidentale primario dall’apparecchiatura dalla quale ha avuto origine alle apparecchiature circostanti, che diventano sorgenti di eventi incidentali secondari. Infatti elevati valori dell’irraggiamento, della sovrappressione di picco ed il lancio di proiettili, imputabili all’evento primario, possono innescare eventi secondari determinando una propagazione a catena dell’incidente così come si propaga la catena di mattoncini nel gioco da tavolo detto “domino”. Le Direttive Europee 96/82/EC e 2012/18/EU denominate, rispettivamente “Seveso II” e “Seveso III” stabiliscono la necessità, da parte del gestore, di valutare l’effetto domino, in particolare in aree industriali ad elevata concentrazione di attività a rischio di incidente rilevante. L’analisi consiste nel valutare, in termini di frequenza e magnitudo, gli effetti indotti su apparecchiature cosiddette “bersaglio” da scenari incidentali che producono irraggiamenti, onde di pressione e lancio di proiettili. Il presente lavoro di tesi, svolto presso lo stabilimento di Ravenna di ENI Versalis, ha lo scopo di presentare una metodologia per l’analisi dell’effetto domino adottata in un caso reale, in mancanza di un preciso riferimento normativo che fissi i criteri e le modalità di esecuzione di tale valutazione. Inoltre esso si presta a valutare tutte le azioni preventive atte a interrompere le sequenze incidentali e quindi i sistemi di prevenzione e protezione che possono contrastare un incidente primario evitando il propagarsi dell’incidente stesso e quindi il temuto effetto domino. L’elaborato è strutturato come segue. Dopo il Capitolo 1, avente carattere introduttivo con l’illustrazione delle linee guida e delle normative in riferimento all’effetto domino, nel Capitolo 2 sono descritte le principali tecniche di analisi di rischio che possono essere utilizzate per l’individuazione degli eventi incidentali credibili ovvero degli eventi incidentali primari e della loro frequenza di accadimento. Nel Capitolo 3 vengono esaminati i criteri impiegati da ENI Versalis per la valutazione dell’effetto domino. Nei Capitoli 4 e 5 sono descritti gli iter tecnico-procedurali messi a punto per la progettazione della protezione antincendio, rispettivamente attiva e passiva. Nel Capitolo 6 viene approfondito un aspetto particolarmente critico ovvero la valutazione della necessità di dotare di protezione le tubazioni. Nel Capitolo 7 viene illustrata la progettazione antifuoco di un caso di studio reale dello stabilimento ENI Versalis di Ravenna: l’unità di Idrogenazione Selettiva. Infine nel Capitolo 8 sono riportate alcune considerazioni conclusive.
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Considerando l'elevato grado di inquinamento del pianeta e la forte dipendenza delle attività antropiche dai combustibili fossili, stanno avendo notevole sviluppo e incentivazione gli impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. In particolare, la digestione anaerobica è in grande diffusione in Italia. Lo studio in oggetto si prefigge l'obiettivo di determinare, mediante analisi di Life Cycle Assessment (LCA), i carichi ambientali di un impianto di digestione anaerobica, e della sua filiera, per valutarne l'effettiva ecosostenibilità. L'analisi considera anche gli impatti evitati grazie all'immissione in rete dell'energia elettrica prodotta e all'utilizzo del digestato in sostituzione dell'urea. Lo studio analizza sei categorie d'impatto: Global warming potential (GWP), Abiotic depletion potential (ADP), Acidification potential (AP), Eutrophication potential (EP), Ozone layer depletion potential (ODP) e Photochemical oxidant formation potential (POFP). I valori assoluti degli impatti sono stati oggetto anche di normalizzazione per stabilire la loro magnitudo. Inoltre, è stata effettuata un'analisi di sensitività per investigare le variazioni degli impatti ambientali in base alla sostituzione di differenti tecnologie per la produzione di energia elettrica: mix elettrico italiano, carbone e idroelettrico. Infine, sono stati analizzati due scenari alternativi all'impianto in esame che ipotizzano la sua conversione ad impianto per l'upgrading del biogas a biometano. I risultati mostrano, per lo scenario di riferimento (produzione di biogas), un guadagno, in termini ambientali, per il GWP, l'ADP e il POFP a causa dei notevoli impatti causati dalla produzione di energia elettrica da mix italiano che la filiera esaminata va a sostituire. I risultati evidenziano anche quanto gli impatti ambientali varino in base alla tipologia di alimentazione del digestore anaerobica: colture dedicate o biomasse di scarto. I due scenari alternativi, invece, mostrano un aumento degli impatti, rispetto allo scenario di riferimento, causati soprattutto dagli ulteriori consumi energetici di cui necessitano sia i processi di purificazione del biogas in biometano sia i processi legati alla digestione anaerobica che, nel caso dello scenario di riferimento, sono autoalimentati. L'eventuale conversione dell'attuale funzione dell'impianto deve essere fatta tenendo anche in considerazione i benefici funzionali ed economici apportati dalla produzione del biometano rispetto a quella del biogas.
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Presentazione di alcuni indici di diagnosi detonazione e recenti sistemi di controllo di anticipo d'accensione.
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Tesi in azienda che verte sugli impianti di ripartizione di farmaci in asepsi e atmosfera controllata. Sono stati analizzati: norme riguardanti progettazione e installazione di impianti farmaceutici; tecnologie di ripartizione (isolatori e RABS) con riferimento all'isolatore in azienda e all'impianto HVAC asservito; la linea di ripartizione in generale (washing machine - tunnel di depirogenazione - isolatore - coding station); test SAT di convalida per l'installazione di isolatore e impianto HVAC; sviluppo e convalida del ciclo di decontaminazione con VHP; conti di ottimizzazione dell'inertizzazione della camera di riempimento.
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Con questo studio si è volto effettuare un confronto tra la generazione di energia termica a partire da cippato e da pellet, con particolare riferimento agli aspetti di carattere ambientale ed economico conseguenti la produzione delle due differenti tipologie di combustibile. In particolare, si sono ipotizzate due filire, una di produzione del cippato, una del pellet, e per ciascuna di esse si è condotta un'Analisi del Ciclo di Vita, allo scopo di mettere in luce, da un lato le fasi del processo maggiormente critiche, dall'altro gli impatti sulla salute umana, sugli ecosistemi, sul consumo di energia e risorse. Quest'analisi si è tradotta in un confronto degli impatti generati dalle due filiere al fine di valutare a quale delle due corrisponda il minore. E' stato infine effettuato un breve accenno di valutazione economica per stimare quale tipologia di impianto, a cippato o a pellet, a parità di energia prodotta, risulti più conveniente.
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L’utilizzo di materiali compositi come i calcestruzzi fibrorinforzati sta diventando sempre più frequente e diffuso. Tuttavia la scelta di nuovi materiali richiede una approfondita analisi delle loro caratteristiche e dei loro comportamenti. I vantaggi forniti dall’aggiunta di fibre d’acciaio ad un materiale fragile, quale il calcestruzzo, sono legati al miglioramento della duttilità e all'aumento di assorbimento di energia. L’aggiunta di fibre permette quindi di migliorare il comportamento strutturale del composito, dando vita ad un nuovo materiale capace di lavorare non solo a compressione ma anche in piccola parte a trazione, ma soprattutto caratterizzato da una discreta duttilità ed una buona capacità plastica. Questa tesi ha avuto come fine l’analisi delle caratteristiche di questi compositi cementizi fibrorinforzati. Partendo da prove sperimentali classiche quali prove di trazione e compressione, si è arrivati alla caratterizzazione di questi materiali avvalendosi di una campagna sperimentale basata sull’applicazione della norma UNI 11039/2003. L’obiettivo principale di questo lavoro consiste nell’analizzare e nel confrontare calcestruzzi rinforzati con fibre di due diverse lunghezze e in diversi dosaggi. Studiando questi calcestruzzi si è cercato di comprendere meglio questi materiali e trovare un riscontro pratico ai comportamenti descritti in teorie ormai diffuse e consolidate. La comparazione dei risultati dei test condotti ha permesso di mettere in luce differenze tra i materiali rinforzati con l’aggiunta di fibre corte rispetto a quelli con fibre lunghe, ma ha anche permesso di mostrare e sottolineare le analogie che caratterizzano questi materiali fibrorinforzati. Sono stati affrontati inoltre gli aspetti legati alle fasi della costituzione di questi materiali sia da un punto di vista teorico sia da un punto di vista pratico. Infine è stato sviluppato un modello analitico basato sulla definizione di specifici diagrammi tensione-deformazione; i risultati di questo modello sono quindi stati confrontati con i dati sperimentali ottenuti in laboratorio.
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In questi ultimi anni il tema della sicurezza sismica degli edifici storici in muratura ha assunto particolare rilievo in quanto a partire soprattutto dall’ordinanza 3274 del 2003, emanata in seguito al sisma che colpì il Molise nel 2002, la normativa ha imposto un monitoraggio ed una classificazione degli edifici storici sotto tutela per quanto riguarda la vulnerabilità sismica (nel 2008, quest’anno, scade il termine per attuare quest’opera di classificazione). Si è posto per questo in modo più urgente il problema dello studio del comportamento degli edifici storici (non solo quelli che costituiscono monumento, ma anche e soprattutto quelli minori) e della loro sicurezza. Le Linee Guida di applicazione dell’Ordinanza 3274 nascono con l’intento di fornire strumenti e metodologie semplici ed efficaci per affrontare questo studio nei tempi previsti. Il problema si pone in modo particolare per le chiese, presenti in grande quantità sul territorio italiano e di cui costituiscono gran parte del patrimonio culturale; questi edifici, composti di solito da grandi elementi murari, non presentano comportamento scatolare, mancando orizzontamenti, elementi di collegamento efficace e muri di spina interni e sono particolarmente vulnerabili ad azioni sismiche; presentano inoltre un comportamento strutturale a sollecitazioni orizzontali che non può essere colto con un approccio globale basato, ad esempio, su un’analisi modale lineare: non ci sono modi di vibrare che coinvolgano una sufficiente parte di massa della struttura; si hanno valori dei coefficienti di partecipazione dei varii modi di vibrare minori del 10% (in generale molto più bassi). Per questo motivo l’esperienza e l’osservazione di casi reali suggeriscono un approccio di studio degli edifici storici sacri in muratura attraverso l’analisi della sicurezza sismica dei cosiddetti “macroelementi” in cui si può suddividere un edificio murario, i quali sono elementi che presentano un comportamento strutturale autonomo. Questo lavoro si inserisce in uno studio più ampio iniziato con una tesi di laurea dal titolo “Analisi Limite di Strutture in Muratura. Teoria e Applicazione all'Arco Trionfale” (M. Temprati), che ha studiato il comportamento dell’arco trionfale della chiesa collegiata di Santa Maria del Borgo a San Nicandro Garganico (FG). Suddividere un edificio in muratura in più elementi è il metodo proposto nelle Linee Guida, di cui si parla nel primo capitolo del presente lavoro: la vulnerabilità delle strutture può essere studiata tramite il moltiplicatore di collasso quale parametro in grado di esprimere il livello di sicurezza sismica. Nel secondo capitolo si illustra il calcolo degli indici di vulnerabilità e delle accelerazioni di danno per la chiesa di Santa Maria del Borgo, attraverso la compilazione delle schede dette “di II livello”, secondo quanto indicato nelle Linee Guida. Nel terzo capitolo viene riportato il calcolo del moltiplicatore di collasso a ribaltamento della facciata della chiesa. Su questo elemento si è incentrata l’attenzione nel presente lavoro. A causa della complessità dello schema strutturale della facciata connessa ad altri elementi dell’edificio, si è fatto uso del codice di calcolo agli elementi finiti ABAQUS. Della modellazione del materiale e del settaggio dei parametri del software si è discusso nel quarto capitolo. Nel quinto capitolo si illustra l’analisi condotta tramite ABAQUS sullo stesso schema della facciata utilizzato per il calcolo manuale nel capitolo tre: l’utilizzo combinato dell’analisi cinematica e del metodo agli elementi finiti permette per esempi semplici di convalidare i risultati ottenibili con un’analisi non-lineare agli elementi finiti e di estenderne la validità a schemi più completi e più complessi. Nel sesto capitolo infatti si riportano i risultati delle analisi condotte con ABAQUS su schemi strutturali in cui si considerano anche gli elementi connessi alla facciata. Si riesce in questo modo ad individuare con chiarezza il meccanismo di collasso di più facile attivazione per la facciata e a trarre importanti informazioni sul comportamento strutturale delle varie parti, anche in vista di un intervento di ristrutturazione e miglioramento sismico.