16 resultados para Solidarité Sud-Nord

em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna


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Abstract (Ita): La tesi si propone l'obiettivo di analizzare l'affermazione del monachesimo cistercense nel nord della penisola iberica a cavallo tra XII e XIII secolo con particolare attenzione alla Galizia, una regione caratterizzata da una fortissima concorrenza tra i “poteri” presenti sul territorio. Attraverso l'analisi delle fonti edite ed inedite di tre monasteri cistercensi dislocati da nord a sud su tutto il territorio galiziano (Sobrado nell'arcidiocesi di Compostela, Meira nella diocesi di Lugo e Melón nella diocesi di Tuy), con il supporto della documentazione di altre cinque abbazie galiziane dell'Ordine di Cîteaux (Monfero, Armenteira, Oseira, Montederramo e Oya) e avvalendosi della più recente storiografia internazionale, la ricerca approfondisce i rapporti tra i monaci bianchi e la monarchia castellano-leonesa, le grandi famiglie aristocratiche (specialmente i Traba), la piccola aristocrazia locale dei milites e dei proprietari fondiari, gli heredes, il mondo ecclesiastico locale (sia le relazioni con l'episcopato sia con gli altri cenobi presenti sul territorio) e il mondo urbano in grande fermento nel corso del XII secolo analogamente ad altre aree d'Europa, mostrando come i monaci bianchi furono capaci di elaborare modelli di sviluppo diversi nelle varie aree della Galizia.

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Oggetto di studio del dottorato sono stati i suoli forestali in ambiente litoraneo della Regione Emilia-Romagna. In particolare sono state considerate quattro zone di studio in Provincia di Ravenna: Pineta di San Vitale, aree boscate di Bellocchio, Pineta di Classe e Pineta di Pinarella di Cervia. Lo studio in una prima fase si è articolato nella definizione dello stato del sistema suolo, mediante la caratterizzazione pedologica delle zone di studio. A tale scopo è stata messa a punto un’adeguata metodologia d’indagine costituita da un’indagine ambientale e successivamente da un’indagine pedologica. L’indagine ambientale, mediante fotointerpretazione ed elaborazione di livelli informativi in ambito GIS, ha permesso di individuare ambiti pedogenetici omogenei. L’indagine pedologica in campo ha messo in luce l’elevata variabilità spaziale di alcuni fattori della pedogenesi, in particolar modo l’andamento microtopografico tipico dei sistemi dunali costieri e la profondità della falda freatica del piano campagna. Complessivamente sono stati aperti descritti e campionati 40 profili pedologici. Sugli orizzonti diagnostici di questi sono state eseguite le seguenti analisi: tessitura, pH, calcare totale, carbonio organico, azoto kjeldahl, conduttività elettrica (CE), capacità di scambio cationico (CSC) e calcare attivo. I suoli presentano, ad eccezione della tessitura (generalmente grossolana), un’elevata variabilità delle proprietà chimico fisiche in funzione della morfologia, della profondità e della vicinanza della falda freatica. Sono state riscontrate diverse correlazioni, tra le più significative quelle tra carbonio organico e calcare totale (coeff. di correlazione R = -0.805 per Pineta di Classe) e tra calcare totale e pH (R = 0.736), dalle quali si è compreso in che misura l’effetto della decarbonatazione agisce nei diversi ambiti pedogenetici e tra suoli con diversa età di formazione. Il calcare totale varia da 0 a oltre 400 g.kg-1 e aumenta dalla superficie in profondità, dall’entroterra verso la costa e da nord verso sud. Il carbonio organico, estremamente variabile (0.1 - 107 g.kg-1), è concentrato soprattutto nel primo orizzonte superficiale. Il rapporto C/N (>10 in superficie e molto variabile in profondità) evidenzia una efficienza di umificazione non sempre ottimale specialmente negli orizzonti prossimi alla falda freatica. I tipi di suoli presenti, classificati secondo la Soil Taxonomy, sono risultati essere Mollic/Sodic/Typic Psammaquents nelle zone interdunali, Typic Ustipsamments sulle sommità dunali e Oxiaquic/Aquic Ustipsamments negli ambienti morfologici intermedi. Come sintesi della caratterizzazione pedologica sono state prodotte due carte dei suoli, rispettivamente per Pineta di San Vitale (scala 1:20000) e per le aree boscate di Bellocchio (scala 1:10000), rappresentanti la distribuzione dei pedotipi osservati. In una seconda fase si è focalizzata l’attenzione sugli impatti che le principali pressioni naturali ed antropiche, possono esercitare sul suolo, condizionandone la qualità in virtù delle esigenze del soprasuolo forestale. Si è scelta la zona sud di Pineta San Vitale come area campione per monitorarne mensilmente, su quattro siti rappresentativi, le principali caratteristiche chimico-fisiche dei suoli e delle acque di falda, onde evidenziare possibili correlazioni. Le principali determinazioni svolte sia nel suolo in pasta satura che nelle acque di falda hanno riguardato CE, Ca2+, Mg2+, K+, Na+, Cl-, SO4 2-, HCO3 - e SAR (Sodium Adsorption Ratio). Per ogni sito indagato sono emersi andamenti diversi dei vari parametri lungo i profili, correlabili in diversa misura tra di loro. Si sono osservati forti trend di aumento di CE e degli ioni solubili verso gli orizzonti profondi in profili con acqua di falda più salina (19 – 28 dS.m-1) e profonda (1 – 1.6 m dalla superficie), mentre molto significativi sono apparsi gli accumuli di sali in superficie nei mesi estivi (CE in pasta satura da 17.6 a 28.2 dS.m-1) nei profili con falda a meno di 50 cm dalla superficie. Si è messo successivamente in relazione la CE nel suolo con diversi parametri ambientali più facilmente monitorabili quali profondità e CE di falda, temperatura e precipitazioni, onde trovarne una relazione statistica. Dai dati di tre dei quattro siti monitorati è stato possibile definire tali relazioni con equazioni di regressione lineare a più variabili. Si è cercato poi di estendere l’estrapolabilità della CE del suolo per tutte le altre casistiche possibili di Pineta San Vitale mediante la formulazione di un modello empirico. I dati relativi alla CE nel suolo sia reali che estrapolati dal modello, sono stati messi in relazione con le esigenze di alcune specie forestali presenti nelle zone di studio e con diverso grado di tolleranza alla salinità ed al livello di umidità nel suolo. Da tali confronti è emerso che per alcune specie moderatamente tolleranti la salinità (Pinus pinea, Pinus pinaster e Juniperus communis) le condizioni critiche allo sviluppo e alla sopravvivenza sono da ricondursi, per la maggior parte dei casi, alla falda non abbastanza profonda e non tanto alla salinità che essa trasmette sull’intero profilo del suolo. Per altre specie quali Quercus robur, Populus alba, Fraxinus oxycarpa e Ulmus minor moderatamente sensibili alla salinità, ma abituate a vivere in suoli più umidi, la salinità di una falda troppo prossima alla superficie può ripercuotersi su tutto il profilo e generare condizioni critiche di sviluppo. Nei suoli di Pineta San Vitale sono stati inoltre studiati gli aspetti relativi all’inquinamento da accumulo di alcuni microtossici nei suoli quali Ag, Cd, Ni e Pb. In alcuni punti di rilievo sono stati osservati moderati fattori di arricchimento superficiale per Pb e Cd riconducibili all’attività antropica, mentre le aliquote biodisponibili risultano maggiori in superficie, ma all’interno dei valori medi dei suoli italiani. Lo studio svolto ha permesso di meglio conoscere gli impatti sul suolo, causati dalle principali pressioni esistenti, in un contesto dinamico. In particolare, si è constatato come i suoli delle zone studiate abbiano un effetto tampone piuttosto ridotto sulla mitigazione degli effetti indotti dalle pressioni esterne prese in esame (salinizzazione, sodicizzazione e innalzamento della falda freatica). Questo è dovuto principalmente alla ridotta presenza di scambiatori sulla matrice solida atti a mantenere un equilibrio dinamico con le frazioni solubili. Infine le variabili ambientali considerate sono state inserite in un modello concettuale DPSIR (Driving forces, Pressures, States, Impacts, Responces) dove sono stati prospettati, in via qualitativa, alcuni scenari in funzione di possibili risposte gestionali verosimilmente attuabili, al fine di modificare le pressioni che insistono sul sistema suolo-vegetazione delle pinete ravennati.

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L’Azienda USL di Bologna è la più grande della regione ed è una delle più grandi in Italia: serve una popolazione di 836.697 abitanti ed è distribuita su 50 comuni. E’ stata istituita il 1° gennaio 2004 con la Legge della Regione Emilia Romagna n. 21 del 20/10/2003 che ha unificato i Comuni di tre Aziende USL: “Città di Bologna”, “Bologna Sud” e “Bologna Nord” (ad eccezione del Comune di Medicina che dall’Area Nord è entrato a far parte dell’Azienda USL di Imola che ha mantenuto un’autonoma configurazione giuridica). Il territorio dell’Azienda USL di Bologna si estende per 2915,4 Kmq ed è caratterizzato dalla particolare ubicazione geografica dei suoi distretti. Al Distretto prettamente urbano, quale quello di Bologna Città si affiancano nell’Area Nord i Distretti di pianura quali Pianura Est e Pianura Ovest, mentre nell’Area Sud si collocano i Distretti con territorio più collinare, quali quelli di Casalecchio di Reno e San Lazzaro di Savena ed il Distretto di Porretta Terme che si caratterizza per l’alta percentuale di territorio montuoso. L’unificazione di territori diversi per caratteristiche orografiche, demografiche e socioeconomiche, ha comportato una maggiore complessità rispetto al passato in termini di governo delle condizioni di equità. La rimodulazione istituzionale ed organizzativa dell’offerta dei sevizi sanitari ha comportato il gravoso compito di razionalizzarne la distribuzione, tenendo conto delle peculiarità del contesto. Alcuni studi di fattibilità precedenti l’unificazione, avevano rilevato come attraverso la costituzione di un’Azienda USL unica si sarebbero potuti più agevolmente perseguire gli obiettivi collegati alle prospettive di sviluppo e di ulteriore qualificazione del sistema dei servizi delle Aziende USL dell’area bolognese, con benefici per il complessivo servizio sanitario regionale. Le tre Aziende precedentemente operanti nell’area bolognese erano percepite come inadeguate, per dimensioni, a supportare uno sviluppo dei servizi ritenuto indispensabile per la popolazione ma, che, se singolarmente realizzato, avrebbe condotto ad una inutile duplicazione di servizi già presenti. Attraverso l’integrazione delle attività di acquisizione dei fattori produttivi e di gestione dei servizi delle tre Aziende, si sarebbero potute ragionevolmente conseguire economie più consistenti rispetto a quanto in precedenza ottenuto attraverso il coordinamento volontario di tali processi da parte delle tre Direzioni. L’istituzione della nuova Azienda unica, conformemente al Piano sanitario regionale si proponeva di: o accelerare i processi di integrazione e di redistribuzione dell’offerta dei servizi territoriali, tenendo conto della progressiva divaricazione fra i cambiamenti demografici, che segnavano un crescente deflusso dal centro storico verso le periferie, ed i flussi legati alle attività lavorative, che si muovevano in senso contrario; o riorganizzare i servizi sanitari in una logica di rete e di sistema, condizione necessaria per assicurare l’equità di accesso ai servizi e alle cure, in stretta interlocuzione con gli Enti Locali titolari dei servizi sociali; o favorire il raggiungimento dell’equilibrio finanziario dell’Azienda e contribuire in modo significativo alla sostenibilità finanziaria dell’intero sistema sanitario regionale. L’entità delle risorse impegnate nell’Area bolognese e le dimensioni del bilancio della nuova Azienda unificata offrivano la possibilità di realizzare economie di scala e di scopo, attraverso la concentrazione e/o la creazione di sinergie fra funzioni e attività, sia in ambito ospedaliero, sia territoriale, con un chiaro effetto sull’equilibrio del bilancio dell’intero Servizio sanitario regionale. A cinque anni dalla sua costituzione, l’Azienda USL di Bologna, ha completato una significativa fase del complessivo processo riorganizzativo superando le principali difficoltà dovute alla fusione di tre Aziende diverse, non solo per collocazione geografica e sistemi di gestione, ma anche per la cultura dei propri componenti. La tesi affronta il tema dell’analisi dell’impatto della fusione sugli assetti organizzativi aziendali attraverso uno sviluppo così articolato: o la sistematizzazione delle principali teorie e modelli organizzativi con particolare attenzione alla loro contestualizzazione nella realtà delle organizzazioni professionali di tipo sanitario; o l’analisi principali aspetti della complessità del sistema tecnico, sociale, culturale e valoriale delle organizzazioni sanitarie; o l’esame dello sviluppo organizzativo dell’Azienda USL di Bologna attraverso la lettura combinata dell’Atto e del Regolamento Organizzativo Aziendali esaminati alla luce della normativa vigente, con particolare attenzione all’articolazione distrettuale e all’organizzazione Dipartimentale per cogliere gli aspetti di specificità che hanno caratterizzano il disegno organizzativo globalmente declinato. o l’esposizione degli esiti di un questionario progettato, in accordo con la Direzione Sanitaria Aziendale, allo scopo di raccogliere significativi elementi per valutare l’impatto della riorganizzazione dipartimentale rispetto ai tre ruoli designati in “staff “alle Direzioni degli otto Dipartimenti Ospedalieri dell’AUSL di Bologna, a tre anni dalla loro formale istituzione. La raccolta dei dati è stata attuata tramite la somministrazione diretta, ai soggetti indagati, di un questionario costituito da numerosi quesiti a risposta chiusa, integrati da domande aperte finalizzate all’approfondimento delle dimensioni di ruolo che più frequentemente possono presentare aspetti di criticità. Il progetto ha previsto la rielaborazione aggregata dei dati e la diffusione degli esiti della ricerca: alla Direzione Sanitaria Aziendale, alle Direzioni Dipartimentali ospedaliere ed a tutti i soggetti coinvolti nell’indagine stessa per poi riesaminare in una discussione allargata i temi di maggiore interesse e le criticità emersi. Gli esiti sono esposti in una serie di tabelle con i principali indicatori e vengono adeguatamente illustrati.

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La leishmaniosi è una malattia protozoaria importante che interessa l’ambito della sanità animale e umana, in relazione al carattere zoonotico dell’infezione. In Italia l’infezione è sostenuta da Leishmania infantum, i cui ceppi viscerotropi sono responsabili della leishmaniosi canina (LCan) e della forma viscerale zoonotica (LVZ), ed i ceppi dermotropi della forma cutanea sporadica nell’uomo (LCS). La trasmissione dell’infezione è sostenuta da femmine ematofaghe di ditteri appartenenti al genere Phlebotomus, che hanno il ruolo di vettori biologici attivi. L’unico serbatoio domestico riconosciuto è il cane. In Italia la LCan è in forte espansione. Fino agli anni ottanta era presente in forma endemica nel centro-sud Italia e nelle isole mentre il nord Italia, fatta eccezione per la Liguria e una piccola parte dell’Emilia-Romagna risultava indenne. A partire dagli anni novanta, parallelamente ad un aumento della consistenza e del numero dei focolai nelle aree storicamente endemiche, sono iniziate, nelle regioni del Nord, le segnalazioni di focolai autoctoni stabili. Le attività del network scientifico LeishMap™, tra il 2002 e il 2005, hanno evidenziato un nuovo quadro epidemiologico in tutte le regioni del nord Italia, confermato anche da indagini successive. Alla riemergenza della leishmaniosi hanno concorso una serie di fattori ecologico-ambientali e umani. Tra i primi si ricorda il cambiamento climatico che ha influito sulla distribuzione e sulla densità della popolazione vettoriale; tra i secondi, ruolo fondamentale ha giocato la maggiore movimentazione di animali, provenienti da aree indenni, in zone interessate dalla malattia. La valutazione di tutti questi aspetti è stato il punto di partenza per la messa a punto di un progetto per la realizzazione della sorveglianza della leishmaniosi in Emilia-Romagna. Parte delle attività previste da tale progetto costituiscono la prima parte della presente tesi. Mediante la realizzazione di una banca dati e, la successiva georeferenziazione, dei casi di leishmaniosi canina (LCan) in cani di proprietà della regione e zone limitrofe (Pesaro-Urbino, Repubblica di San Marino), sono stati evidenziati 538 casi, la maggior parte dei quali nelle province di Bologna e Rimini (235 e 204, rispettivamente). Nelle due province sono stati individuati clusters di aggregazione importanti in base alla densità di casi registrati/km2 (4 nella provincia di Bologna e 3 in quella di Rimini). Nella seconda parte della presente tesi è stato approfondito l’aspetto diagnostico della malattia. Molte sono le metodiche applicabili alla diagnosi di LCan: da quelle dirette, come i metodi parassitologici e molecolari, a quelle indirette, come le tecniche sierologiche. Nella II parte sperimentale della presente tesi, 100 sieri di cane sono stati esaminati in Immunofluorescenza Indiretta (IFI), Enzyme-Linked Immunosorbent Assay (ELISA) e Western Blot (WB), al fine di valutare l’applicazione di queste metodiche a scopi diagnostici ed epidemiologici. L’elaborazione statistica dei risultati ottenuti conferma l’IFI metodica gold standard per la diagnosi della LCan. Inoltre, si è osservato che il grado di concordanza tra l’IFI e le altre due metodiche aumenta quando nell’animale si instaura una risposta anticorpale forte, che, corrisponderebbe ad uno stato di infezione in atto.

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The Thrace Basin is the largest and thickest Tertiary sedimentary basin of the eastern Balkans region and constitutes an important hydrocarbon province. It is located between the Rhodope-Strandja Massif to the north and west, the Marmara Sea and Biga Peninsula to the south, and the Black Sea to the est. It consists of a complex system of depocenters and uplifts with very articulate paleotopography indicated by abrupt lateral facies variations. Its southeastern margin is widely deformed by the Ganos Fault, a segment of the North Anatolian strike-slip fault system . Most of the Thrace Basin fill ranges from the Eocene to the Late Oligocene. Maximum total thickness, including the Neogene-Quaternary succession, reaches 9.000 meters in a few narrow depocenters. This sedimentary succession consists mainly of basin plain turbiditic deposits with a significant volcaniclastic component which evolves upwards to shelf deposits and continental facies, with deltaic bodies prograding towards the basin center in the Oligocene. This work deals with the provenance of Eocene-Oligocene clastic sediments of the southern and western part of Thrace Basin in Turkey and Greece. Sandstone compositional data (78 gross composition analyses and 40 heavy minerals analyses) were used to understand the change in detrital modes which reflects the provenance and geodinamic evolution of the basin. Samples were collected at six localities, which are from west to est: Gökçeada, Gallipoli and South-Ganos (south of Ganos Fault), Alexandroupolis, Korudağ and North-Ganos (north of Ganos Fault). Petrologic (framework composition and heavy-mineral analyses) and stratigraphic-sedimentologic data, (analysis of sedimentologic facies associations along representative stratigraphic sections, paleocurrents) allowed discrimination of six petrofacies; for each petrofacies the sediment dispersal system was delineated. The Thrace Basin fill is made mainly of lithic arkoses and arkosic litharenites with variable amount of low-grade metamorphic lithics (also ophiolitic), neovolcanic lithics, and carbonate grains (mainly extrabasinal). Picotite is the most widespread heavy mineral in all petrofacies. Petrological data on analyzed successions show a complex sediment dispersal pattern and evolution of the basin, indicating one principal detrital input from a source area located to the south, along both the İzmir-Ankara and Intra-Pontide suture lines, and a possible secondary source area, represented by the Rhodope Massif to the west. A significant portion of the Thrace Basin sediments in the study area were derived from ophiolitic source rocks and from their oceanic cover, whereas epimetamorphic detrital components came from a low-grade crystalline basement. An important penecontemporaneous volcanic component is widespread in late Eocene-Oligocene times, indicating widespread post-collisional (collapse?) volcanism following the closure of the Vardar ocean. Large-scale sediment mass wasting from south to north along the southern margin of the Thrace Basin is indicated (i) in late Eocene time by large olistoliths of ophiolites and penecontemporaneous carbonates, and (ii) in the mid-Oligocene by large volcaniclastic olistoliths. The late Oligocene paleogeographic scenario was characterized by large deltaic bodies prograding northward (Osmancik Formation). This clearly indicates that the southern margin of the basin acted as a major sediment source area throughout its Eocene-Oligocene history. Another major sediment source area is represented by the Rhodope Massif, in particolar the Circum-Rhodopic belt, especially for plutonic and metamorphic rocks. Considering preexisting data on the petrologic composition of Thrace Basin, silicilastic sediments in Greece and Bulgaria (Caracciolo, 2009), a Rhodopian provenance could be considered mostly for areas of the Thrace Basin outside our study area, particularly in the northern-central portions of the basin. In summary, the most important source area for the sediment of Thrace Basin in the study area was represented by the exhumed subduction-accretion complex along the southern margin of the basin (Biga Peninsula and western-central Marmara Sea region). Most measured paleocurrent indicators show an eastward paleoflow but this is most likely the result of gravity flow deflection. This is possible considered a strong control due to the east-west-trending synsedimentary transcurrent faults which cuts the Thrace Basin, generating a series of depocenters and uplifts which deeply influenced sediment dispersal and the areal distribution of paleoenvironments. The Thrace Basin was long interpreted as a forearc basin between a magmatic arc to the north and a subduction-accretion complex to the south, developed in a context of northward subduction. This interpretation was challenged by more recent data emphasizing the lack of a coeval magmatic arc in the north and the interpretation of the chaotic deposit which outcrop south of Ganos Fault as olistoliths and large submarine slumps, derived from the erosion and sedimentary reworking of an older mélange unit located to the south (not as tectonic mélange formed in an accretionary prism). The present study corroborates instead the hypothesis of a post-collisional origin of the Thrace Basin, due to a phase of orogenic collapse, which generated a series of mid-Eocene depocenters all along the İzmir-Ankara suture (following closure of the Vardar-İzmir-Ankara ocean and the ensuing collision); then the slab roll-back of the remnant Pindos ocean played an important role in enhancing subsidence and creating additional accommodation space for sediment deposition.

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Nella presente analisi si è avuta l’eccezionale disponibilità di dati longitudinali su molti individui (6000studenti frequentanti le scuole superiori bolognesi). Per ottenere un modello che al meglio spiegasse e riproducesse l’andamento degli esiti scolastici (promozione alla classe successiva) tenendo conto del percorso scolastico nel tempo, si è scelto il modello a curva latente condizionato. La variabile risposta è combinazione lineare dell’esito di fine anno (Promosso/Non promosso); riassume, per ogni studente/anno scolastico, classe frequentata ed esito finale. Le variabili esplicative sono state selezionate tra le informazioni disponibili per gli individui. Vengono presentati alcuni dati aggregati, poi descritti i dati individuali che entreranno nel modello, evidenziando la composizione degli studenti. La prima fase è la stima del modello logistico, con specificazione delle criticità, che hanno indotto alla scelta successiva del modello dipendente dal tempo. Dopo la descrizione della metodologia principale utilizzata, la teoria del conditionalLCM, e la selezione degli indicatori di fitting, viene delineata la procedura di stima, e raggiunto il modello ottimale. Le variabili significative per spiegare l’andamento delle promozioni individuali nel tempo risultano: cittadinanza (italiani con risultati significativamente migliori degli stranieri), sesso (ragazze con percorso scolastico mediamente migliore dei ragazzi: la differenza risulta però significativa soltanto negli istituti tecnici e professionali), tipologia di scuola frequentata (studenti del liceo con risultati significativamente migliori di chi frequenta altri tipi di istituto). I risultati risultano fortemente dipendenti dai dati impiegati, specie riguardo al limite territoriale. Precedenti analisi evidenziavano una forte differenziazione dei risultati scolastici tra studenti del nord e del sud Italia, oltre che tra studenti dei comuni maggiormente popolati e studenti dei comuni di provincia. Sarebbe interessante disporre di dati individuali analoghi a quelli qui utilizzati, ma riferiti all’intero territorio nazionale, oppure ad un zona maggiormente vasta dell’Italia, onde saggiare l’entità dell’influenza sul percorso scolastico,ed in particolare sulla regolarità, della differenza territoriale.

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Il lavoro cerca di valutare il possibile ruolo della Comunità Energetica del Sud Est Europa quale fattore di stabilita’ nell’area Balcanica. Il Trattato fondativo della Comunita’ assegna a questa l’obiettivo di condurre una cooperazione in campo energetico al fine diffondere istituzioni e normative condivise, quali elementi di superamento del conflitto: tuttavia, sono molti gli ostacoli posti su questo cammino sia di natura interna alla regione che esterna, per l’influenza di fattori e poteri internazionali interessati all’area. Il processo di transizione in molti dei paesi del quadrante non e’ ancora concluso e molti sono i nodi politici successivi ai processi di disgregazione della Federazione Jugoslava ancora presenti e non risolti. I progetti di corridoi energetici portati avanti dall’Unione Europea, Stati Uniti e Russia, concentrano sui Balcani un interesse sempre alto e tali attenzioni potrebbero influire sui processi d’area e sulle scelte politiche da compiersi. Sullo sfondo di tutto cio’ un altro importante fattore contribuisce alle dinamiche in corso: la crisi economica ha fatto sentire la sua presenza anche nella regione balcanica e questo crea importanti squilibri che devono essere valutati alla luce di processi di cooperazione quale quello della Comunita’ Energetica.

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L’obiettivo di questo lavoro di tesi è di ottenere un’analisi climatica giornaliera ad alta risoluzione della precipitazione sul territorio del nord Italia realizzata con tecniche di controllo statistico, di analisi e di strumenti di descrizione dei risultati presentati nella recente letteratura. A tal fine, sono stati utilizzati i dati dell’Archivio ARCIS. In seguito alle fasi di controllo qualità, omogeneità e sincronicità i dati sono stati utilizzati per realizzare un’analisi giornaliera su grigliato regolare a 10 km di risoluzione utile alla rappresentazione della variabilità spazio-temporale della precipitazione sul Nord Italia per il periodo 1961-2005. I risultati di tale analisi mettono in evidenza dei valori medi di precipitazione annuale abbastanza intensi sulla parte centrale dell’arco Alpino, con massimi (oltre 2000 mm) sull’estremità orientale e sull’Appennino Ligure. Valori minimi (500 – 600 mm) sono osservati lungo le aree prospicienti il fiume Po, in Val d’Aosta ed in Alto Adige. La corrispondente analisi del trend temporale indica la presenza di lievi cali statisticamente significativi solo in aree limitate del territorio. In coerenza con questi risultati, la variazione nel tempo della precipitazione annuale mediata su tutto il territorio mette in evidenza un’intensa variabilità decennale, ma solo una lieve flessione lineare sull’intero periodo. Il numero annuo di giorni piovosi ed il 90° percentile della precipitazione giornaliera presentano invece trend lineari un po’ più pronunciati. In particolare, sul periodo considerato si nota un calo del numero di giorni piovosi su gran parte del territorio e solo su alcune aree del territorio un aumento dell’intensità del 90° percentile, sia a scala annuale che stagionale. Nell’ultima parte di questo lavoro è stato realizzato uno studio della relazione fra la forzante climatica e l’evoluzione della morfologia dell’Appennino Emiliano-Romagnolo. I risultati mostrano che a parità di quota, di pendenza e di litologia, la franosità è influenzata dalle precipitazioni.

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Gli scavi effettuati a Classe, a sud di Ravenna, presso i siti archeologici dell'area portuale e della Basilica di San Severo, hanno portato alla luce un numero abbondante di moneta, 2564 dall'area portuale e 224 dalla basilica, un totale di 2788 reperti monetali, di cui solo 863 sono leggibili e databili. La datazione dei materiali dell’area portuale, fondata agli inizi del V secolo, parte dal II secolo a.C. fino all’VIII secolo d.C.. La maggior parte dei reperti è relativa al periodo tra il IV e il VII secolo, il momento di massima importanza del porto commerciale, con testimonianza di scambi con altri porti del bacino mediterraneo, in particolare con l’Africa del Nord e il Vicino Oriente. La documentazione proveniente dalla Basilica di San Severo, fondata alla fine del VI secolo per la custodia delle reliquie del santo, mostra un trend diverso dal precedente, con monetazione che copre un arco cronologico dal I secolo a.C. fino al XIV secolo d.C.. La continuità dell’insediamento è dimostrato dall’evidenza numismatica, seppur scarsa, fino alla costruzione del monastero a sud della basilica, l’area dalla quale provengono la maggior parte delle monete. I quantitativi importanti di monetazione tardoantica, ostrogota e bizantina, in particolare di tipi specifici come il Felix Ravenna, ipoteticamente coniato a Roma, oppure il ½ e il 1/4 di follis di produzione saloniana emesso da Giustiniano I, hanno concesso uno studio dettagliato per quello che riguarda il peso, le dimensioni e lo stile di produzione di queste emissioni. Questi dati e la loro distribuizione sul territorio ha suggerito nuove ipotesi per quello che riguarda la produzione di questi due tipi presso la zecca di Ravenna. Un altro dato importante è il rinvenimento di emissioni di Costantino VIII, alcune rare e altre sconosciute, rinvenute solo nel territorio limitrofo a Classe e Ravenna.

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L’impegno civile di Umberto Zanotti Bianco (1889-1963) intrecciandosi ai principali eventi storici della prima metà del Novecento ha concorso a fare del Mezzogiorno d’Italia un laboratorio per una concreta emancipazione delle fasce sociali più umili. In queste coordinate l’azione di Zanotti Bianco è emblematica: supera la visione conservatrice di un sud incapace di fare emergere saperi e capacità organizzative mirando invece attraverso chiari, determinati e moderni progetti di riforma a far crescere il lievito della consapevolezza e della capacità di governarsi. Si può legittimamente sostenere che la complessa azione di Zanotti Bianco, pur partendo dalle migliori e più avanzate forme del pensiero meridionalista di inizio secolo, nella pratica tende a superare anche queste collocando la questione del Mezzogiorno d’Italia non solo nello scenario nazionale, tipico della fondamentale e già innovativa riflessione intorno al sud sviluppatasi da Villari a Salvemini, ma proietta le problematiche del meridione all’interno di un quadro europeo con una spiccata vocazione mediterranea. In sostanza i piani dell’intervento sociale, studiati e messi a punto inizialmente in Calabria e nelle regioni economicamente depresse del nostro Mezzogiorno, per Zanotti Bianco sembrano essere da modello anche per le più complesse questioni sociali di altri popoli del bacino del Mediterraneo i quali (come le popolazioni dell’Italia meridionale in quegli anni) apparivano deficitarii di strumenti per lo sviluppo economico, sociale, politico: è questa la tesi qui proposta.

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La presente ricerca di dottorato consiste in un’analisi di carattere politico ed istituzionale dei poteri signorili e territoriali, collegati a distretti castrensi, documentati nella Romagna nord-occidentale durante il pieno medioevo. L’indagine mira a ricostruire, principalmente attraverso fonti documentarie, alcune delle quali inedite, la geografia dei poteri in un’area sub-regionale, con particolare attenzione al fenomeno della signoria rurale, dei poteri comitali e dell’incastellamento. Partendo dallo studio di una realtà locale, la ricerca arriva a sviluppare argomentazioni di carattere generale, ricollegandosi al dibattito storiografico sui poteri signorili e l’incastellamento. La ricerca risulta incentrata sui soggetti politici, laici ed ecclesiastici, detentori dei castelli e dei poteri pubblici nella Bassa Romagna, in primo luogo gli arcivescovi di Ravenna, i vescovi e i conti di Imola, le famiglie comitali di Cunio, Bagnacavallo e Donigallia nei secoli XI-XIII. L'attenzione si concentra, in particolare, sulla fase del cosiddetto “secondo incastellamento” e sui decenni a cavaliere tra XII e XIII secolo, con il tentativo di espansione dei comuni nel contado e la formalizzazione dei poteri dei signori rurali da parte dei sovrani svevi. Proprio alla complessa interazione con il mondo cittadino e allo stretto rapporto dei Cunio e dei Malvicini con la corte di Federico II viene dato ampio spazio nei capitoli conclusivi del presente lavoro.

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Il ritrovamento della Casa dei due peristili a Phoinike ha aperto la strada a un’intensa opera di revisione di tutti i dati relativi all’edilizia domestica nella regione, con studi comparativi verso nord (Illiria meridionale) e verso sud (il resto dell’Epiro, ovvero Tesprozia e Molossia). Tutta quest’area della Grecia nord-occidentale è stata caratterizzata nell’antichità da un’urbanizzazione scarsa numericamente e tardiva cronologicamente (non prima del IV sec. a.C.), a parte ovviamente le colonie corinzio-corciresi di area Adriatico- Ionica d’età arcaica (come Ambracia, Apollonia, Epidamnos). A un’urbanistica di tipo razionale e programmato (ad es. Cassope, Orraon, Gitani in Tesprozia, Antigonea in Caonia) si associano numerosi casi di abitati cresciuti soprattutto in rapporto alla natura del suolo, spesso diseguale e montagnoso (ad es. Dymokastro/Elina in Tesprozia, Çuka e Aitoit nella Kestrine), talora semplici villaggi fortificati, privi di una vera fisionomia urbana. D’altro canto il concetto classico di polis così come lo impieghiamo normalmente per la Grecia centro-meridionale non ha valore qui, in uno stato di tipo federale e dominato dall’economia del pascolo e della selva. In questo contesto l’edilizia domestica assume caratteri differenti fra IV e I sec. a.C.: da un lato le città ortogonali ripetono schemi egualitari con poche eccezioni, soprattutto alle origini (IV sec. a.C., come a Cassope e forse a Gitani), dall’altro si delinea una spiccata differenziazione a partire dal III sec., quando si adottano modelli architettonici differenti, come i peristili, indizio di una più forte differenziazione sociale (esemplari i casi di Antigonea e anche di Byllis in Illiria meridionale). I centri minori e fortificati d’altura impiegano formule abitative più semplici, che sfruttano l’articolazione del terreno roccioso per realizzare abitazioni a quote differenti, utilizzando la roccia naturale anche come pareti o pavimenti dei vani.

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La tesi indaga l’esperienza del teatro comunitario, una delle espressioni artistiche più originali e pressoché sconosciute nel panorama teatrale novecentesco, che ha avuto in Argentina un punto di riferimento fondamentale. Questo fenomeno, che oggi conta cinquanta compagnie dal nord al sud del paese latinoamericano, e qualcuna in Europa, affonda le sue radici nella Buenos Aires della post-dittatura, in una società che continua a risentire degli esiti del terrore di Stato. Il teatro comunitario nasce dalla necessità di un gruppo di persone di un determinato quartiere di riunirsi in comunità e comunicare attraverso il teatro, con l'obiettivo di costruire un significato sociale e politico. La prima questione messa a fuoco riguarda la definizione della categoria di studio: quali sono i criteri che consentono di identificare, all’interno della molteplicità di pratiche teatrali collettive, qualcosa di sicuramente riconducibile a questo fenomeno. Nel corso dell’indagine si è rivelata fondamentale la comprensione dei conflitti dell’esperienza reale e l’individuazione dei caratteri comuni, al fine di procedere a un esercizio di generalizzazione. La ricerca ha imposto la necessità di comprendere i meccanismi mnemonici e identitari che hanno determinato e, a loro volta, sono stati riattivati dalla nascita di questa esperienza. L’analisi, supportata da studi filosofici e antropologici, è volta a comprendere come sia cambiata la percezione della corporeità in un contesto di sparizione dei corpi, dove il lavoro sulla memoria riguarda in particolare i corpi assenti (desaparecidos). L’originalità del tema ha imposto la riflessione su un approccio metodologico in grado di esercitare una adeguata funzione euristica, e di fungere da modello per studi futuri. Sono stati pertanto scavalcati i confini degli studi teatrologici, con particolare attenzione alle svolte culturali e storiche che hanno preceduto e affiancato l’evoluzione del fenomeno.