32 resultados para Rovello, Paola

em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna


Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

Interaction protocols establish how different computational entities can interact with each other. The interaction can be finalized to the exchange of data, as in 'communication protocols', or can be oriented to achieve some result, as in 'application protocols'. Moreover, with the increasing complexity of modern distributed systems, protocols are used also to control such a complexity, and to ensure that the system as a whole evolves with certain features. However, the extensive use of protocols has raised some issues, from the language for specifying them to the several verification aspects. Computational Logic provides models, languages and tools that can be effectively adopted to address such issues: its declarative nature can be exploited for a protocol specification language, while its operational counterpart can be used to reason upon such specifications. In this thesis we propose a proof-theoretic framework, called SCIFF, together with its extensions. SCIFF is based on Abductive Logic Programming, and provides a formal specification language with a clear declarative semantics (based on abduction). The operational counterpart is given by a proof procedure, that allows to reason upon the specifications and to test the conformance of given interactions w.r.t. a defined protocol. Moreover, by suitably adapting the SCIFF Framework, we propose solutions for addressing (1) the protocol properties verification (g-SCIFF Framework), and (2) the a-priori conformance verification of peers w.r.t. the given protocol (AlLoWS Framework). We introduce also an agent based architecture, the SCIFF Agent Platform, where the same protocol specification can be used to program and to ease the implementation task of the interacting peers.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

Negli ultimi anni la longevità è divenuto un argomento di notevole interesse in diversi settori scientifici. Le ricerche volte ad indagare i meccanismi che regolano i fattori della longevità si sono moltiplicate nell’ultimo periodo interessando, in maniera diversa, alcune regioni del territorio italiano. Lo studio presentato nella tesi ha l’obiettivo di identificare eventuali aggregazioni territoriali caratterizzate da una significativa propensione alla longevità nella regione Emilia-Romagna mediante l’impiego di metodologie di clustering spaziale, alcune delle quali di recente implementazione. La popolazione in esame è costituita dagli individui residenti in Emilia- Romagna nel quinquennio 2000-2004 suddivisa in classi di età, sesso e comune. L’analisi è di tipo puramente spaziale, in cui l’unità geografica elementare è identificata dal comune, ed è stata condotta separatamente per i due sessi. L’identificazione delle aree regionali ad elevata longevità è avvenuta utilizzando quattro metodologie di clustering spaziale, basate sulla teoria della massima verosimiglianza, che si differenziano tra loro per la modalità di ricerca dei potenziali clusters. La differenza consiste nella capacità di identificare aggregazioni territoriali di forma regolare (spatial scan statistic, Kulldorff e Nagarwalla,1995; Kulldorff,1997, 1999) o dall’andamento geometrico “libero” (flexible scan statistic, Tango e Takahashi,2005; algoritmo genetico, Duczmal et al.,2007; greedy growth search, Yiannakoulias et al.,2007). Le caratteristiche di ciascuna metodologia consentono, in tal modo, di “catturare” le possibili conformazioni geografiche delle aggregazioni presenti sul territorio e la teoria statistica di base, comune ad esse, consente di effettuare agevolmente un confronto tra i risultati ottenuti. La persistenza di un’area caratterizzata da un’elevata propensione alla longevità consente, infatti, di ritenere il cluster identificato di notevole interesse per approfondimenti successivi. Il criterio utilizzato per la valutazione della persistenza di un cluster è stato derivato dalla teoria dei grafi, con particolare riferimento ai multigrafi. L’idea è confrontare, a parità di parametri di ricerca, i grafi associati alle aggregazioni spaziali identificate con le diverse metodologie attraverso una valutazione delle occorrenze dei collegamenti esistenti tra le coppie di vertici. Alcune valutazioni di carattere demografico ed un esame della letteratura esistente sugli studi di longevità, hanno indotto alla definizione di una classe (aperta) di età per rappresentare il fenomeno nella nostra ricerca: sono stati considerati gli individui con età superiore o uguale a 95 anni (indicata con 95+). La misura di sintesi utilizzata per descrivere il fenomeno è un indicatore specifico di longevità, mutuato dalla demografia, indicato con Centenarian Rate (CR) (Robine e Caselli, 2005). Esso è definito dal rapporto tra la popolazione 95+ e la popolazione residente, nello stesso comune, al censimento del 1961. L’idea alla base del CR è confrontare gli individui longevi di un istante temporale con quelli presenti, nella stessa area, circa 40 anni prima dell’osservazione, ipotizzando che l’effetto migratorio di una popolazione possa ritenersi trascurabile oltre i 60 anni di età. La propensione alla longevità coinvolge in maniera diversa le aree del territorio dell’Emilia-Romagna. Le province della regione caratterizzate da una maggiore longevità sono Bologna, Ravenna e parte di Forlì-Cesena mentre la provincia di Ferrara si distingue per un livello ridotto del fenomeno. La distinzione per sesso non appare netta: gli uomini con età 95+, numericamente inferiori alle donne, risiedono principalmente nei comuni delle province di Bologna e Ravenna, con qualche estensione nel territorio forlivese, analogamente a quanto accade per la popolazione femminile che mostra, tuttavia, una maggiore prevalenza nei territori di Bologna e Forlì-Cesena, includendo alcune aree del riminese. Le province occidentali della regione, invece, non risultano interessate significativamente da questo fenomeno. Le metodologie di cluster detection utilizzate nello studio hanno prodotto risultati pressoché simili seppur con criteri di ricerca differenti. La spatial scan statistic si conferma una metodologia efficace e veloce ma il vincolo geometrico regolare imposto al cluster condiziona il suo utilizzo, rivelando una scarsa adattabilità nell’identificazione di aggregazioni irregolari. La metodologia FSC ha evidenziato buone capacità di ricerca e velocità di esecuzione, completata da una descrizione chiara e dettagliata dei risultati e dalla possibilità di poter visualizzare graficamente i clusters finali, anche se con un livello minimo di dettaglio. Il limite principale della metodologia è la dimensione ridotta del cluster finale: l’eccessivo impegno computazionale richiesto dalla procedura induce a fissare il limite massimo al di sotto delle 30 aree, rendendola così utilizzabile solo nelle indagini in cui si ipotizza un’estensione limitata del fenomeno sul territorio. L’algoritmo genetico GA si rivela efficace nell’identificazione di clusters di qualsiasi forma ed estensione, seppur con una velocità di esecuzione inferiore rispetto alle procedure finora descritte. Senza un’adeguata selezione dei parametri di ricerca,la procedura può individuare clusters molto irregolari ed estesi, consigliando l’uso di penalizzazione non nulla in fase di ricerca. La scelta dei parametri di ricerca non è comunque agevole ed immediata e, spesso, è lasciata all’esperienza del ricercatore. Questo modo di procedere, in aggiunta alla mancanza di informazioni a priori sul fenomeno, aumenta il grado di soggettività introdotto nella selezione dei parametri influenzando i risultati finali. Infine, la metodologia GGS richiede un carico computazionale nettamente superiore rispetto a quello necessario per le altre metodologie utilizzate e l’introduzione di due parametri di controllo favorisce una maggiore arbitrarietà nella selezione dei valori di ricerca adeguati; inoltre, la recente implementazione della procedura e la mancanza di studi su dati reali inducono ad effettuare un numero maggiore di prove durante la fase di ricerca dei clusters.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

Introduzione L’importanza clinica, sociale ed economica del trattamento dell’ipertensione arteriosa richiede la messa in opera di strumenti di monitoraggio dell’uso dei farmaci antiipertensivi che consentano di verificare la trasferibilità alla pratica clinica dei dati ottenuti nelle sperimentazioni. L’attuazione di una adatta strategia terapeutica non è un fenomeno semplice da realizzare perché le condizioni in cui opera il Medico di Medicina Generale sono profondamente differenti da quelle che si predispongono nell’esecuzione degli studi randomizzati e controllati. Emerge, pertanto, la necessità di conoscere le modalità con cui le evidenze scientifiche trovano reale applicazione nella pratica clinica routinaria, identificando quei fattori di disturbo che, nei contesti reali, limitano l’efficacia e l’appropriatezza clinica. Nell’ambito della terapia farmacologica antiipertensiva, uno di questi fattori di disturbo è costituito dalla ridotta aderenza al trattamento. Su questo tema, recenti studi osservazionali hanno individuato le caratteristiche del paziente associate a bassi livelli di compliance; altri hanno focalizzato l’attenzione sulle caratteristiche del medico e sulla sua capacità di comunicare ai propri assistiti l’importanza del trattamento farmacologico. Dalle attuali evidenze scientifiche, tuttavia, non emerge con chiarezza il peso relativo dei due diversi attori, paziente e medico, nel determinare i livelli di compliance nel trattamento delle patologie croniche. Obiettivi Gli obiettivi principali di questo lavoro sono: 1) valutare quanta parte della variabilità totale è attribuibile al livello-paziente e quanta parte della variabilità è attribuibile al livello-medico; 2) spiegare la variabilità totale in funzione delle caratteristiche del paziente e in funzione delle caratteristiche del medico. Materiale e metodi Un gruppo di Medici di Medicina Generale che dipendono dall’Azienda Unità Sanitaria Locale di Ravenna si è volontariamente proposto di partecipare allo studio. Sono stati arruolati tutti i pazienti che presentavano almeno una misurazione di pressione arteriosa nel periodo compreso fra il 01/01/1997 e il 31/12/2002. A partire dalla prima prescrizione di farmaci antiipertensivi successiva o coincidente alla data di arruolamento, gli assistiti sono stati osservati per 365 giorni al fine di misurare la persistenza in trattamento. La durata del trattamento antiipertensivo è stata calcolata come segue: giorni intercorsi tra la prima e l’ultima prescrizione + proiezione, stimata sulla base delle Dosi Definite Giornaliere, dell’ultima prescrizione. Sono stati definiti persistenti i soggetti che presentavano una durata del trattamento maggiore di 273 giorni. Analisi statistica I dati utilizzati per questo lavoro presentano una struttura gerarchica nella quale i pazienti risultano “annidati” all’interno dei propri Medici di Medicina Generale. In questo contesto, le osservazioni individuali non sono del tutto indipendenti poiché i pazienti iscritti allo stesso Medico di Medicina Generale tenderanno ad essere tra loro simili a causa della “storia comune” che condividono. I test statistici tradizionali sono fortemente basati sull’assunto di indipendenza tra le osservazioni. Se questa ipotesi risulta violata, le stime degli errori standard prodotte dai test statistici convenzionali sono troppo piccole e, di conseguenza, i risultati che si ottengono appaiono “impropriamente” significativi. Al fine di gestire la non indipendenza delle osservazioni, valutare simultaneamente variabili che “provengono” da diversi livelli della gerarchia e al fine di stimare le componenti della varianza per i due livelli del sistema, la persistenza in trattamento antiipertensivo è stata analizzata attraverso modelli lineari generalizzati multilivello e attraverso modelli per l’analisi della sopravvivenza con effetti casuali (shared frailties model). Discussione dei risultati I risultati di questo studio mostrano che il 19% dei trattati con antiipertensivi ha interrotto la terapia farmacologica durante i 365 giorni di follow-up. Nei nuovi trattati, la percentuale di interruzione terapeutica ammontava al 28%. Le caratteristiche-paziente individuate dall’analisi multilivello indicano come la probabilità di interrompere il trattamento sia più elevata nei soggetti che presentano una situazione clinica generale migliore (giovane età, assenza di trattamenti concomitanti, bassi livelli di pressione arteriosa diastolica). Questi soggetti, oltre a non essere abituati ad assumere altre terapie croniche, percepiscono in minor misura i potenziali benefici del trattamento antiipertensivo e tenderanno a interrompere la terapia farmacologica alla comparsa dei primi effetti collaterali. Il modello ha inoltre evidenziato come i nuovi trattati presentino una più elevata probabilità di interruzione terapeutica, verosimilmente spiegata dalla difficoltà di abituarsi all’assunzione cronica del farmaco in una fase di assestamento della terapia in cui i principi attivi di prima scelta potrebbero non adattarsi pienamente, in termini di tollerabilità, alle caratteristiche del paziente. Anche la classe di farmaco di prima scelta riveste un ruolo essenziale nella determinazione dei livelli di compliance. Il fenomeno è probabilmente legato ai diversi profili di tollerabilità delle numerose alternative terapeutiche. L’appropriato riconoscimento dei predittori-paziente di discontinuità (risk profiling) e la loro valutazione globale nella pratica clinica quotidiana potrebbe contribuire a migliorare il rapporto medico-paziente e incrementare i livelli di compliance al trattamento. L’analisi delle componenti della varianza ha evidenziato come il 18% della variabilità nella persistenza in trattamento antiipertensivo sia attribuibile al livello Medico di Medicina Generale. Controllando per le differenze demografiche e cliniche tra gli assistiti dei diversi medici, la quota di variabilità attribuibile al livello medico risultava pari al 13%. La capacità empatica dei prescrittori nel comunicare ai propri pazienti l’importanza della terapia farmacologica riveste un ruolo importante nel determinare i livelli di compliance al trattamento. La crescente presenza, nella formazione dei medici, di corsi di carattere psicologico finalizzati a migliorare il rapporto medico-paziente potrebbe, inoltre, spiegare la relazione inversa, particolarmente evidente nella sottoanalisi effettuata sui nuovi trattati, tra età del medico e persistenza in trattamento. La proporzione non trascurabile di variabilità spiegata dalla struttura in gruppi degli assistiti evidenzia l’opportunità e la necessità di investire nella formazione dei Medici di Medicina Generale con l’obiettivo di sensibilizzare ed “educare” i medici alla motivazione ma anche al monitoraggio dei soggetti trattati, alla sistematica valutazione in pratica clinica dei predittori-paziente di discontinuità e a un appropriato utilizzo della classe di farmaco di prima scelta. Limiti dello studio Uno dei possibili limiti di questo studio risiede nella ridotta rappresentatività del campione di medici (la partecipazione al progetto era su base volontaria) e di pazienti (la presenza di almeno una misurazione di pressione arteriosa, dettata dai criteri di arruolamento, potrebbe aver distorto il campione analizzato, selezionando i pazienti che si recano dal proprio medico con maggior frequenza). Questo potrebbe spiegare la minore incidenza di interruzioni terapeutiche rispetto a studi condotti, nella stessa area geografica, mediante database amministrativi di popolazione. Conclusioni L’analisi dei dati contenuti nei database della medicina generale ha consentito di valutare l’impiego dei farmaci antiipertensivi nella pratica clinica e di stabilire la necessità di porre una maggiore attenzione nella pianificazione e nell’ottenimento dell’obiettivo che il trattamento si prefigge. Alla luce dei risultati emersi da questa valutazione, sarebbe di grande utilità la conduzione di ulteriori studi osservazionali volti a sostenere il progressivo miglioramento della gestione e del trattamento dei pazienti a rischio cardiovascolare nell’ambito della medicina generale.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

The main aim of this Ph.D. dissertation is the study of clustering dependent data by means of copula functions with particular emphasis on microarray data. Copula functions are a popular multivariate modeling tool in each field where the multivariate dependence is of great interest and their use in clustering has not been still investigated. The first part of this work contains the review of the literature of clustering methods, copula functions and microarray experiments. The attention focuses on the K–means (Hartigan, 1975; Hartigan and Wong, 1979), the hierarchical (Everitt, 1974) and the model–based (Fraley and Raftery, 1998, 1999, 2000, 2007) clustering techniques because their performance is compared. Then, the probabilistic interpretation of the Sklar’s theorem (Sklar’s, 1959), the estimation methods for copulas like the Inference for Margins (Joe and Xu, 1996) and the Archimedean and Elliptical copula families are presented. In the end, applications of clustering methods and copulas to the genetic and microarray experiments are highlighted. The second part contains the original contribution proposed. A simulation study is performed in order to evaluate the performance of the K–means and the hierarchical bottom–up clustering methods in identifying clusters according to the dependence structure of the data generating process. Different simulations are performed by varying different conditions (e.g., the kind of margins (distinct, overlapping and nested) and the value of the dependence parameter ) and the results are evaluated by means of different measures of performance. In light of the simulation results and of the limits of the two investigated clustering methods, a new clustering algorithm based on copula functions (‘CoClust’ in brief) is proposed. The basic idea, the iterative procedure of the CoClust and the description of the written R functions with their output are given. The CoClust algorithm is tested on simulated data (by varying the number of clusters, the copula models, the dependence parameter value and the degree of overlap of margins) and is compared with the performance of model–based clustering by using different measures of performance, like the percentage of well–identified number of clusters and the not rejection percentage of H0 on . It is shown that the CoClust algorithm allows to overcome all observed limits of the other investigated clustering techniques and is able to identify clusters according to the dependence structure of the data independently of the degree of overlap of margins and the strength of the dependence. The CoClust uses a criterion based on the maximized log–likelihood function of the copula and can virtually account for any possible dependence relationship between observations. Many peculiar characteristics are shown for the CoClust, e.g. its capability of identifying the true number of clusters and the fact that it does not require a starting classification. Finally, the CoClust algorithm is applied to the real microarray data of Hedenfalk et al. (2001) both to the gene expressions observed in three different cancer samples and to the columns (tumor samples) of the whole data matrix.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

Many new Escherichia coli outer membrane proteins have recently been identified by proteomics techniques. However, poorly expressed proteins and proteins expressed only under certain conditions may escape detection when wild-type cells are grown under standard conditions. Here, we have taken a complementary approach where candidate outer membrane proteins have been identified by bioinformatics prediction, cloned and overexpressed, and finally localized by cell fractionation experiments. Out of eight predicted outer membrane proteins, we have confirmed the outer membrane localization for five—YftM, YaiO, YfaZ, CsgF, and YliI—and also provide preliminary data indicating that a sixth—YfaL—may be an outer membrane autotransporter.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

MYCN oncogene amplification/expression is a feature of many childhood tumors, and some adult tumors, and it is associated with poor prognosis. While MYC expression is ubiquitary, MYCN has a restricted expression after birth and it is an ideal target for an effective therapy. PNAs belong to the latest class of nucleic acid-based therapeutics, and they can bind chromosomal DNA and block gene transcription (anti-gene activity). We have developed an anti-gene PNA that targets specifically the MYCN gene to block its transcription. We report for the first time MYCN targeted inhibition in Rhabdomyosarcoma (RMS) by the anti-MYCN-PNA in RMS cell lines (four ARMS and four ERMS) and in a xenograft RMS mouse model. Rhabdomyosarcoma is the most common pediatric soft-tissue sarcoma, comprising two main subgroups [Alveolar (ARMS) and Embryonal (ERMS)]. ARMS is associated with a poorer prognosis. MYCN amplification is a feature of both the ERMS and ARMS, but the MYCN amplification and expression levels shows a significant correlation and are greater in ARMS, in which they are associated with adverse outcome. We found that MYCN mRNA and protein levels were higher in the four ARMS (RH30, RH4, RH28 and RMZ-RC2) than in the four ERMS (RH36, SMS-CTR, CCA and RD) cell lines. The potent inhibition of MYCN transcription was highly specific, it did not affect the MYC expression, it was followed by cell-growth inhibition in the RMS cell lines which correlated with the MYCN expression rate, and it led to complete cell-growth inhibition in ARMS cells. We used a mutated- PNA as control. MYCN silencing induced apoptosis. Global gene expression analysis (Affymetrix microarrays) in ARMS cells treated with the anti-MYCN-PNA revealed genes specifically induced or repressed, with both genes previously described as targets of N-myc or Myc, and new genes undescribed as targets of N-myc or Myc (mainly involved in cell cycle, apoptosis, cell motility, metastasis, angiogenesis and muscle development). The changes in the expression of the most relevant genes were confirmed by Real-Time PCR and western blot, and their expression after the MYCN silencing was evaluated in the other RMS cell lines. The in vivo study, using an ARMS xenograft murine model evaluated by micro-PET, showed a complete elimination of the metabolic tumor signal in most of the cases (70%) after anti-MYCN-PNA treatment (without toxicity), whereas treatment with the mutated-PNA had no effect. Our results strongly support the development of MYCN anti-gene therapy for the treatment of RMS, particularly for poor prognosis ARMS, and of other MYCN-expressing tumors.