10 resultados para Prohibition.

em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna


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Family businesses have acquired a very specific gravity in the economy of occidental countries, generating most of the employment and the richness for the last ages. In Spain Family Businesses represent the 65% about the total of enterprises with 1,5 million companies. They give employment to 8 million people, the 80% of the private employment and develop the 65% of the Spanish GNP (Gross National Product). Otherwise, the family business needs a complete law regulation that gives satisfaction to their own necessities and challenges. These companies have to deal with national or international economic scene to assure their permanency and competitiveness. In fact, the statistics about family companies have a medium life of 35 years. European family businesses success their successor process between a 10 and 25%. It’s said: first generation makes, second generation stays, third generation distributes. In that sense, the Recommendation of the European Commission of December 7º 1994 about the succession of the small and medium companies has reformed European internal orders according to make easier successor process and to introduce practices of family companies’ good government. So, the Italian law, under the 14th Law, February 2006, has reformed its Covil Code, appearing a new concept, called “Patto di famiglia”, wich abolish the prohibition as laid dwon in the 458 article about successors’ agreements, admitting the possibility that testator guarantees the continuity of the company or of the family society, giving it, totally or in part, to one or various of its descendents. On other hand, Spain has promulgated the 17th Royal Decree (9th February 2007), that governs the publicity of family agreements (Protocolos familiars). These “protocolo familiar” (Family Agreement) are known as accord of wills, consented and accepted unanimously of all the family members and the company, taking into account recommendations and practices of family company’s good government.

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La ricerca oggetto della tesi riguarda la disamina delle esperienze comunitarie e nazionali in Europa in materia di elusione IVA ed antielusione IVA, al fine di esaminare le utilizzabili esperienze in materia per la Cina che dovrebbe iniziare a prendere le giuste azioni per fronteggiare il problema della crescente diffusione dei fenomeni dell’elusione IVA, in particolare nel contesto della riforma perdurante dell’IVA cinese verso il modello moderno. A questo fine, prima la tesi ha analizzato dettagliatamente le seguenti principali questioni sulla base delle esperienze comunitarie e nazionali dei determinati Stati Membri dell’UE: la definizione dell’elusione fiscale generale (a tale proposito, più rilevanti le differenze tra elusione fiscale ed altri relativi concetti come risparmio d’imposta, evasione fiscale e simulazione e la relazione intrinseca tra elusione fiscale ed altri relativi concetti come frode alla legge ed abuso del diritto), la definizione dell’elusione IVA (a tale proposito, più rilevanti gli aspetti di particolare interesse ai fini della definizione dell’elusione IVA), i principi e metodologie dell’elusione IVA, le applicazioni delle varie misure antielusive rivolte all’elusione IVA nell’ordinamento comunitario e negli ordinamenti interni degli alcuni principali Stati Membri dell’UE (a tale proposito, più rilevanti l’applicazone del principio Halifax, quale norma antielusiva generale basata sul principio di divieto dell’abuso del diritto, e la considerazione delle altre soluzioni antielusive applicabili nell’IVA, comprese correzioni normative e clausole antielusive specifiche), gli effetti dell’antielusione IVA e i limiti entro cui l’autorità impositiva può esercitare l’antielusione IVA per la tutela degli interessi legittimi dei soggetti passivi come certezza giuridica ed autonomia contrattuale. Poi, la tesi ha avanzato le proposte relative al perfezionamento delle soluzioni antielusive IVA nell’ordinamento tributario cinese, dopo presentati i principali regimi attuali dell’IVA cinese e analizzate le situazioni attuali realtive all’elusione IVA e all’antielusione IVA nel sistema fiscale cinese.

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Le ragioni della delocalizzazione sono molteplici e di differente natura. Si delocalizza, in primo luogo, per ragioni di stampo economico, finanziario eccetera, ma questa spinta naturale alla delocalizzazione è controbilanciata, sul piano strettamente tributario, dall’esigenza di preservare il gettito e da quella di controllare la genuinità della delocalizzazione medesima. E’ dunque sul rapporto tra “spinte delocalizzative” dell’impresa, da un lato, ed esigenze “conservative” del gettito pubblico, dall’altro, che si intende incentrare il presente lavoro. Ciò alla luce del fatto che gli strumenti messi in campo dallo Stato al fine di contrastare la delocalizzazione (più o meno) artificiosa delle attività economiche devono fare i conti con i principi comunitari introdotti con il Trattato di Roma e tratteggiati negli anni dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia. In quest’ottica, la disciplina delle CFC costituisce un ottimo punto di partenza per guardare ai fenomeni di produzione transnazionale della ricchezza e agli schemi di ordine normativo preposti alla tassazione di codesta ricchezza. Ed infatti, le norme sulle CFC non fanno altro che omogeneizzare un sistema che, altrimenti, sarebbe lasciato alla libera iniziativa degli uffici fiscali. Tale “normalizzazione”, peraltro, giustifica le esigenze di apertura che sono incanalate nella disciplina degli interpelli disapplicativi. Con specifico riferimento alla normativa CFC, assumono particolare rilievo la libertà di stabilimento ed il principio di proporzionalità anche nella prospettiva del divieto di abuso del diritto. L’analisi dunque verterà sulla normativa CFC italiana con l’intento di comprendere se codesta normativa, nelle sue diverse sfaccettature, possa determinare situazioni di contrasto con i principi comunitari. Ciò anche alla luce delle recenti modifiche introdotte dal legislatore con il d.l. 78/2009 in un quadro normativo sempre più orientato a combattere le delocalizzazioni meramente fittizie.

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La ricerca affronta in modo unitario e nell’ottica europea i multiformi fenomeni della doppia imposizione economica e giuridica, assumendo come paradigma iniziale la tassazione dei dividendi cross-border. Definito lo statuto giuridico della doppia imposizione, se ne motiva la contrarietà all’ordinamento europeo e si indagano gli strumenti comunitari per raggiungere l’obiettivo europeo della sua eliminazione. In assenza di un’armonizzazione positiva, il risultato sostanziale viene raggiunto grazie all’integrazione negativa. Si dimostra che il riserbo della Corte di Giustizia di fronte a opzioni di politica fiscale è soltanto un’impostazione di facciata, valorizzando le aperture giurisprudenziali per il suo superamento. Questi, in sintesi, i passaggi fondamentali. Si parte dall’evoluzione delle libertà fondamentali in diritti di rango costituzionale, che ne trasforma il contenuto economico e la portata giuridica, attribuendo portata costituzionale ai valori di neutralità e non restrizione. Si evidenzia quindi il passaggio dal divieto di discriminazioni al divieto di restrizioni, constatando il fallimento del tentativo di configurare il divieto di doppia imposizione come principio autonomo dell’ordinamento europeo. Contemporaneamente, però, diventa opportuno riesaminare la distinzione tra doppia imposizione economica e giuridica, e impostare un unico inquadramento teorico della doppia imposizione come ipotesi paradigmatica di restrizione alle libertà. Conseguentemente, viene razionalizzato l’impianto giurisprudenziale delle cause di giustificazione. Questo consente agevolmente di legittimare scelte comunitarie per la ripartizione dei poteri impositivi tra Stati Membri e l’attribuzione delle responsabilità per l’eliminazione degli effetti della doppia imposizione. In conclusione, dunque, emerge una formulazione europea dell’equilibrato riparto di poteri impositivi a favore dello Stato della fonte. E, accanto ad essa, una concezione comunitaria del principio di capacità contributiva, con implicazioni dirompenti ancora da verificare. Sul piano metodologico, l’analisi si concentra criticamente sull’operato della Corte di Giustizia, svelando punti di forza e di debolezza della sua azione, che ha posto le basi per la risposta europea al problema della doppia imposizione.

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La presente indagine mira ad esaminare, in chiave innovativa, i rapporti tra l’Europa ed un reato prettamente europeo: il negazionismo. Sviluppatosi in maniera assolutamente predominante nel nostro continente, le ragioni della sua diffusione sono molteplici. Al di là della lotta a razzismo ed antisemitismo, il motivo principale va identificato nel ruolo “fondativo” che riveste la memoria dell’Olocausto in Europa, collocata nel cuore dell’universo valoriale su cui si reggono i due principali attori europei, ovverosia l’Unione europea e la Corte europea dei diritti dell’uomo. La ricerca, dunque, ruota attorno a due poli tematici. Da un lato, sono state esaminate le politiche normative dell’Unione europea in materia di razzismo e xenofobia, entro cui spicca la promozione dell’incriminazione del negazionismo “allargato”, cioè esteso alle condotte di negazione non solo dell’Olocausto, ma anche degli altri crimini internazionali. Dall’altro lato, l’analisi della trentennale giurisprudenza della Corte di Strasburgo in materia ha evidenziato come, con riguardo alle manifestazioni negazioniste, sia stato elaborato uno “statuto speciale”, che si risolve nel perentorio diniego di tutela per questa categoria di opinioni, sottratte a monte all’ordinario giudizio di bilanciamento in quanto giudicate incompatibili con i valori sottesi alla CEDU. Lo scopo di questo lavoro riposa nel tentativo di individuare le interazioni tra questi due sistemi istituzionali, per interpretare una tendenza che converge con nettezza verso un incremento della repressione penale della parola. Da questo complesso intreccio di norme e principi, di hard law e soft law, sarà possibile enucleare la natura giuridica ed il contenuto delle richieste di incriminazione rivolte agli Stati membri. Una volta appurato che agli Stati è concesso di restringere il campo di applicazione del reato di negazionismo, adottando degli indici di pericolosità delle condotte, sarà analizzata la tenuta di questi “elementi opzionali del reato” alla luce dei principi penalistici di tassatività, materialità, offensività e laicità.

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La dissertazione è uno studio monografico delle cantate dialogiche e delle serenate a più voci e strumenti composte da Händel in Italia negli anni 1706-1710. Insieme ai drammi per musica e agli oratori coevi, le quattro cantate "Aminta e Fillide" HWV 83, "Clori, Tirsi e Fileno" HWV 96, "Il duello amoroso" HWV 82, "Apollo e Dafne" HWV 122 e le due serenate "Aci, Galatea e Polifemo" HWV 72 e "Olinto pastore arcade alle glorie del Tebro" HWV 143 costituiscono le prime importanti affermazioni di Händel come compositore di musica vocale. Le sei composizioni sono state studiate sotto l’aspetto storico-letterario, drammaturgico-musicale e della committenza, con l’obiettivo di individuare intersecazioni fra questi piani. I testi poetici, di cui si è curata l’edizione, sono stati analizzati da un punto di vista storico e stilistico e collocati nel particolare contesto romano del primo Settecento, in cui la proibizione di ogni spettacolo teatrale determinò, sotto la spinta di una raffinata committenza, un ‘drammatizzazione’ dei generi della cantata e della serenata. L’analisi musicale di ciascuna composizione è stata dunque finalizzata a una lettura ‘drammaturgica’, che ha portato alla individuazione dei dispositivi di ascendenza teatrale nella scelte compositive di Händel. Lo studio si conclude con un selettivo confronto con le cantate e le serenate scritte negli stessi anni a Roma da Alessandro Scarlatti.

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La presente ricerca si fonda su un’attenta ed approfondita analisi della normativa vigente in Italia in materia di procreazione medicalmente assistita (P.M.A.), con particolare riferimento al divieto assoluto di P.M.A. eterologa, di cui all’art. 4, comma 3, L. 19 febbraio 2004, n. 40, consentita invece – sia pure con la previsione di limitazioni differenti – nella quasi totalità dei paesi europei. Dopo aver esaminato la “questione etica” del ricorso alle tecniche di fecondazione assistita e le normative vigenti in Europa in materia di P.M.A. eterologa, il presente lavoro analizza i profili civilistici della L. n. 40/2004 ed i conseguenti dubbi interpretativi che la normativa italiana pone in materia di fecondazione eterologa, con specifico riguardo al consenso prestato dai coniugi o conviventi, al divieto di disconoscimento di paternità e di anonimato della madre ed, infine, al diritto del nato da fecondazione eterologa di conoscere le proprie origini biologiche. Ne consegue che, in una materia che coinvolge la sfera più intima e personale della vita privata e familiare, quale quella della P.M.A., il legislatore avrebbe dovuto intervenire con misura, individuando soluzioni ragionevoli ed equilibrate nel rispetto della pluralità di etiche contrapposte ed interessi in conflitto. Attraverso una capillare analisi della recente giurisprudenza nazionale ed europea, la presente ricerca mira, dunque, a valutare possibili prospettive di superamento del divieto assoluto di P.M.A. eterologa previsto dalla L. n. 40/2004. I risultati a cui la presente indagine ha consentito di pervenire dimostrano quanto sia opportuna l’adozione in Italia di un “modello liberale”, in cui sia lecita anche la fecondazione eterologa (con la previsione di limiti e condizioni volti a tutelare primariamente il superiore interesse del nascituro), onde consentire l’adeguamento al nuovo concetto di “genitorialità” ormai prevalente e l’arresto del cd. “turismo procreativo”.

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The recent financial crisis triggered an increasing demand for financial regulation to counteract the potential negative economic effects of the evermore complex operations and instruments available on financial markets. As a result, insider trading regulation counts amongst the relatively recent but particularly active regulation battles in Europe and overseas. Claims for more transparency and equitable securities markets proliferate, ranging from concerns about investor protection to global market stability. The internationalization of the world’s securities market has challenged traditional notions of regulation and enforcement. Considering that insider trading is currently forbidden all over Europe, this study follows a law and economics approach in identifying how this prohibition should be enforced. More precisely, the study investigates first whether criminal law is necessary under all circumstances to enforce insider trading; second, if it should be introduced at EU level. This study provides evidence of law and economics theoretical logic underlying the legal mechanisms that guide sanctioning and public enforcement of the insider trading prohibition by identifying optimal forms, natures and types of sanctions that effectively induce insider trading deterrence. The analysis further aims to reveal the economic rationality that drives the potential need for harmonization of criminal enforcement of insider trading laws within the European environment by proceeding to a comparative analysis of the current legislations of height selected Member States. This work also assesses the European Union’s most recent initiative through a critical analysis of the proposal for a Directive on criminal sanctions for Market Abuse. Based on the conclusions drawn from its close analysis, the study takes on the challenge of analyzing whether or not the actual European public enforcement of the laws prohibiting insider trading is coherent with the theoretical law and economics recommendations, and how these enforcement practices could be improved.

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Market manipulation is an illegal practice that enables a person can profit from practices that artificially raise or lower the prices of an instrument in the financial markets. Its prohibition is based on the 2003 Market Abuse Directive in the EU. The current market manipulation regime was broadly considered as a big success except for enforcement and supervisory inconsistencies in the Member States at the initial. A review of the market manipulation regime began at the end of 2007, which became quickly incorporated into the wider EU crisis-era reform program. A number of weaknesses of current regime have been identified, which include regulatory gaps caused by the development of trading venues and financial products, regulatory gaps concerning cross-border and cross-markets manipulation (particular commodity markets), legal uncertainty as a result of various implementation, and inefficient supervision and enforcement. On 12 June 2014, a new regulatory package of market abuse, Market Abuse Regulation and Directive on criminal sanctions for market abuse, has been adopted. And several changes will be made concerning the EU market manipulation regime. A wider scope of the regime and a new prohibition of attempted market manipulation will ensure the prevention of market manipulation at large. The AMPs will be subject to strict scrutiny of ESMA to reduce divergences in implementation. In order to enhance efficiency of supervision and enforcement, powers of national competent authorities will be strengthened, ESMA is imposed more power to settle disagreement between national regulators, and the administrative and criminal sanctioning regimes are both further harmonized. In addition, the protection of fundamental rights is stressed by the new market manipulation regime, and some measures are provided to guarantee its realization. Further, the success EU market manipulation regime could be of significant reference to China, helping China to refine its immature regime.

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La tematica dell’abuso del diritto in campo fiscale ha conosciuto, negli ultimi anni, una diffusione particolarmente rilevante. Questo lavoro, dopo una necessaria premessa introduttiva alla problematica, affronta l’abuso del diritto in campo tributario tramite l’analisi degli strumenti classici dell’ermenutica, constatando come si arrivi ad un intreccio tra lo strumento della clausola generale anti-abuso e il principio di divieto d’abuso del diritto sviluppatosi a livello europeo, concretizzazione del più ampio principio dell’effettività del diritto dell’Unione Europea. L’analisi prende a modello, da un lato, la clausola generale anti-abuso tedesca, adottata già nel primo dopoguerra, e le sue diverse modifiche legislative occorse negli anni, e dall’altro, il principio europeo di divieto d’abuso del diritto. L’esame congiunto rivela un cortocircuito interpretativo, posto che il principio europeo espone gli stessi concetti della clausola nazionale tedesca pre riforma, la quale, in seguito, alle sentenze Halifax e Cadbury Schweppes, ha subito un’importante modifica, cosicchè la clausola generale abbisogna ora del princìpio europeo per essere interpretata. La tesi evidenzia, inoltre, come tale circuito sia aggravato anche da tensioni interne alle stesse Istituzioni europee, posto che, nonostante l’esistenza di un principio di elaborazione giurisprudenziale, gli Stati Membri sono stati invitati ad introdurre una clausola generale anti-abuso, la cui formulazione rimanda al principio di divieto d’abuso del diritto elaborato dalla Corte di Giustizia.