11 resultados para Liver function
em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna
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Background and rationale for the study. This study investigated whether human immunodeficiency virus (HIV) infection adversely affects the prognosis of patients diagnosed with hepatocellular carcinoma (HCC).Thirty-four HIV-positive patients with chronic liver disease, consecutively diagnosed with HCC from 1998 to 2007 were one-to-one matched with 34 HIV negative controls for: sex, liver function (Child-Turcotte-Pugh class [CTP]), cancer stage (BCLC model) and, whenever possible, age, etiology of liver disease and modality of cancer diagnosis. Survival in the two groups and independent prognostic predictors were assessed. Results. Among HIV patients 88% were receiving HAART. HIV-RNA was undetectable in 65% of cases; median lymphocyte CD4+ count was 368.5/mmc. Etiology of liver disease was mostly related to HCV infection. CTP class was: A in 38%, B in 41%, C in 21% of cases. BCLC cancer stage was: early in 50%, intermediate in 23.5%, advanced in 5.9%, end-stage in 20.6% of cases. HCC treatments and death causes did not differ between the two groups. Median survival did not differ, being 16 months (95% CI: 6-26) in HIV positive and 23 months (95% CI: 5-41) in HIV negative patients (P=0.391). BCLC cancer stage and HCC treatment proved to be independent predictors of survival both in the whole population and in HIV patients. Conclusions. Survival of HIV infected patients receiving antiretroviral therapy and diagnosed with HCC is similar to that of HIV negative patients bearing this tumor. Prognosis is determined by the cancer bulk and its treatment.
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Introduction: Transjugular intrahepatic porto-systemic shunt (TIPS) is an accepted indication for treating refractory ascites. Different models have been proposed for the prediction of survival after TIPS; aim of present study was to evaluate the factors associated with mortality after TIPS for refractory ascites. Methods: Seventy-three consecutive patients undergoing a TIPS for refractory ascites in our centre between 2003 and 2008, were prospectively recorded in a database ad were the subject of the study. Mean follow-up was 17±2 months. Forty patients were awaiting liver transplantation (LT) and 12 (16.4%) underwent LT during follow-up. Results: Mean MELD at the moment of TIPS was 15.7±5.3. Overall mortality was 23.3% (n=17) with a mean survival after TIPS of 17±14 months. MELD score (B=0.161, p=0.042), AST (B= 0.020, p=0.090) and pre-TIPS HVPG (B=0.016, p=0.093) were independent predictors of overall mortality. On multivariate analysis MELD (B=0.419, p=0.018) and pre-TIPS HVPG (B=0.223, p=0.060) independently predicted 1 year survival. Patients were stratified into categories of death risk, using ROC curves for the variables MELD and HVPG. Patients with MELD<10 had a low probability of death after TIPS (n=6, 16% mortality); patients with HVPG <16 mmHg (n=6) had no mortality. Maximum risk of death was found in patients with MELD score 19 (n=16, 31% mortality) and in those with HVPG 25 mmHg (n=27, 26% mortality). Conclusions: TIPS increases overall survival in patients with refractory ascites. Liver function (assessed by MELD), necroinflammation (AST) and portal hypertension (HVPG) are independent predictors of survival; patients with MELD>19 and HVPG>25 mmHg are at highest risk of death after TIPS
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Background & Aims: This study investigates whether the aetiologic changes in liver disease and the improved management of hepatocellular carcinoma (HCC) have modified the clinical scenario of this tumour over the last 20 years in Italy. Methods: Retrospective study based on the analysis of the ITA.LI.CA (Italian Liver Cancer) database including 3027 HCC patients managed in 11 centres. Patients were divided into 3 groups according to the period of HCC diagnosis: 1987–1996 (year of the ‘‘Milano criteria’’ publication), 1997–2001 (year of release of the EASL guidelines for HCC), and 2002–2008. Results: The significant changes were: (1) progressive patient ageing; (2) increasing prevalence of HCV infection until 2001, with a subsequent decrease, when the alcoholic aetiology increased; (3) liver function improvement, until 2001; (4) increasing ‘‘incidental’’ at the expense of ‘‘symptomatic’’ diagnoses, until 2001; (5) unchanged prevalence of tumours diagnosed during surveillance (around 50%), with an increasing use of the 6- month schedule; (6) favourable HCC ‘‘stage migration’’, until 2001; (7) increasing use of percutaneous ablation; (8) improving survival, until 2001. Conclusions: Over the last 20 years, several aetiologic and clinical features regarding HCC have changed. The survival improvement observed until 2001 was due to an increasing number of tumours diagnosed in early stages and in a background of compensated cirrhosis, and a growing and better use of locoregional treatments. However, the prevalence of early cancers and survival did not increase further in the last years, a result inciting national policies aimed at implementing surveillance programmes for at risk patients.
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Il presente studio rappresenta la prima applicazione della tecnica CEUS in alcune delle più diffuse specie non convenzionali, nonché la prima nei rettili. In particolare è stata investigata la perfusione di fegato e milza in 10 conigli, 10 furetti e il fegato in 8 iguane. Per quanto riguarda i mammiferi, la tecnica è risultata di facile attuazione e i risultati ottenuti erano equiparabili a quelli documentati per i piccoli animali. Maggiore variabilità si è messa in evidenza a livello splenico in entrambe le specie e nel coniglio rispetto al furetto. Nelle iguane è stata necessaria una modifica del protocollo a seguito dei tempi più lunghi delle fasi di wash in e di wash out. Le curve ottenute erano caratterizzate da picchi più bassi e TTP più lunghi, con wash out incompleto anche dopo 10 minuti di indagine. Nelle iguane l’indagine del fegato è stata approfondita grazie all’esecuzione di TC dinamiche con MDC, studio pioneristico per quanto riguarda la medicina dei rettili. L’esecuzione è avvenuta senza problemi in anestesia generale. Diffusione del MDC e conseguenti variazione di HU a livello aortico e epatico sono state considerate contemporaneamente, con costruzione di curve HU-tempo piuttosto ripetibili, entrambe caratterizzate da un wash in rapido, un picco, particolarmente alto a livello aortico, e da una fase di wash out più lento, anche qui incompleto dopo i 600 secondi di indagine. Una certa variabilità è stata notata in tre individui, risultato attendibile conseguentemente alla forte dipendenza da fattori intriseci ed estrinseci del metabolismo e della funzionalità epatica dei rettili. L’intero protocollo è stato applicato in un furetto e due iguane patologiche, al fine di evidenziare le potenzialità cliniche delle tecniche. Sebbene il numero esiguo di casi non permetta di trarre conclusioni a questo riguardo, l’ultimo capitolo della tesi vuole essere uno spunto per studi futuri.
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La chemioembolizzazione (TACE) è uno dei trattamenti locoregionali più largamente utilizzati nel trattamento dell’epatocarcinoma (HCC). A tutt’oggi però rimangono irrisolte alcune importanti controversie sul suo impiego. Nella presente tesi sono stati analizzati alcuni dei principali oggetti di dibattito quali (1) indicazione al trattamento, (2) trattamenti multipli e schema di ritrattamento e (3) trattamento dei pazienti candidabili a trapianto di fegato. A tal fine sono stati riportati tre studi che hanno analizzato gli argomenti sopradescritti. La TACE viene comunemente eseguita nei pazienti al di fuori delle raccomandazioni delle linee guida tra cui i pazienti con nodulo singolo, i pazienti con trombosi portale e con performance status (PS) compromesso. Dallo studio 1 è emerso che la TACE può essere considerata una valida opzione terapeutica nei pazienti con HCC singolo non candidabili a trattamenti curativi, che la trombosi portale non neoplastica ed una lieve compromissione del performance status (PS-1) verosimilmente legata alla cirrosi non hanno impatto sulla sopravvivenza post-trattamento. Multipli trattamenti di chemioembolizzazione vengono frequentemente eseguiti ma non esiste a tutt’oggi un numero ottimale di ritrattamenti TACE. Dallo studio 2 è emerso che il trattamento TACE eseguito “on demand” può essere efficacemente ripetuto nei pazienti che non abbiano scompenso funzionale e non siano candidabili a trattamenti curativi anche se solo una piccola percentuale di pazienti selezionati può essere sottoposto a più cicli di trattamento. La TACE è frequentemente impiegata nei pazienti in lista per trapianto di fegato ma non c’è evidenza dell’efficacia di trattamenti ripetuti in questi pazienti. Dallo studio 3 è emerso che il numero di TACE non è significativamente associato né alla necrosi tumorale, né alla recidiva né alla sopravvivenza post-trapianto. Un tempo d’attesa prima del trapianto ≤6 mesi è invece risultato essere fattore predittivo indipendente di recidiva riflettendo la possibile maggiore aggressività tumorale in questa classe di pazienti.
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Numerose evidenze sperimentali hanno dimostrato il contributo delle cellule staminali di derivazione midollare nei processi di rigenerazione epatica dopo danno tissutale. E’ cresciuto pertanto l’interesse sul loro potenziale impiego in pazienti con cirrosi. Questo studio si propone di valutare la fattibilità e la sicurezza della reinfusione intraepatica di cellule staminali midollari autologhe CD133+ in 12 pazienti con insufficienza epatica terminale definita da un punteggio di Model for End Stage of Liver Disease (MELD) compreso tra 17 e 25. L’efficacia in termini di funzionalità epatica rappresenta un obiettivo secondario. Previa mobilizzazione nel sangue periferico mediante somministrazione di granulocyte-colony stimulating factor (G-CSF) alla dose di 7,5 mcg/Kg/b.i.d. e raccolta per leucoaferesi, le cellule CD133+ altamente purificate vengono reinfuse in arteria epatica a partire da 5x104/Kg fino a 1x106/kg. Nei tre giorni successivi si somministra G-CSF per favorire l’espansione e l’attecchimento delle cellule. Durante la mobilizzazione, la reinfusione e nei 12 mesi successivi i pazienti sono sottoposti a periodici controlli clinici, laboratoristici e strumentali e ad attenta valutazione di effetti collaterali. Lo studio è tuttora in corso e ad oggi, 11 pazienti sono stati sottoposti a reinfusione e 4 hanno completato i 12 mesi di follow-up. Il G-CSF è stato ben tollerato e ha consentito di ottenere una buona espansione cellulare. Dopo la reinfusione sono stati documentati un ematoma inguinale e due episodi transitori di encefalopatia portosistemica. Durante il follow-up 4 pazienti sono stati trapiantati e 2 sono morti. Non è stata osservata alcuna modificazione significativa degli indici di funzione epatica. Questi risultati preliminari confermano la possibilità di mobilizzare e reinfondere un numero adeguato di cellule staminali di derivazione midollare in pazienti con malattia epatica in stadio terminale.
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Il danno epatico indotto dall'assunzione di farmaci viene comunemente indicato con il termine inglese DILI (Drug-Induced Liver Injury). Il paracetamolo rappresenta la causa più comune di DILI, seguito da antibiotici, FANS e farmaci antitubercolari. In particolare, i FANS sono una delle classi di farmaci maggiormente impiegate in terapia. Numerosi case report descrivono pazienti che hanno sviluppato danno epatico fatale durante il trattamento con FANS; molti di questi farmaci sono stati ritirati dal commercio in seguito a gravi reazioni avverse a carico del fegato. L'ultimo segnale di epatotossicità indotto da FANS è associato alla nimesulide; in alcuni paesi europei come la Finlandia, la Spagna e l'Irlanda, la nimesulide è stata sospesa dalla commercializzazione perché associata ad un'alta frequenza di epatotossicità. Sulla base dei dati disponibili fino a questo momento, l'Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) ha recentemente concluso che i benefici del farmaco superano i rischi; un possibile aumento del rischio di epatotossicità associato a nimesulide rimane tuttavia una discussione aperta di cui ancora molto si dibatte. Tra le altre classi di farmaci che possono causare danno epatico acuto la cui incidenza tuttavia non è sempre ben definita sono gli antibiotici, quali amoxicillina e macrolidi, le statine e gli antidepressivi.Obiettivo dello studio è stato quello di determinare il rischio relativo di danno epatico indotto da farmaci con una prevalenza d'uso nella popolazione italiana maggiore o uguale al 6%. E’ stato disegnato uno studio caso controllo sviluppato intervistando pazienti ricoverati in reparti di diversi ospedali d’Italia. Il nostro studio ha messo in evidenza che il danno epatico da farmaci riguarda numerose classi farmacologiche e che la segnalazione di tali reazioni risulta essere statisticamente significativa per numerosi principi attivi. I dati preliminari hanno mostrato un valore di odds ratio significativo statisticamente per la nimesulide, i FANS, alcuni antibiotici come i macrolidi e il paracetamolo.
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Introduzione e scopo: la rapida diffusione delle malattie dismetaboliche sta modificando l’epidemiologia dell’epatocarcinoma (HCC). Scopo della tesi è, attraverso quattro studi, analizzare l’impatto di questi cambiamenti nella gestione clinica del paziente affetto da HCC. Materiali e metodi: quattro studi di coorte, condotti con analisi retrospettiva del database ITA.LI.CA. Studio 1:3658 pazienti arruolati tra il 01-01-2001 ed il 31-12-2012 suddivisi in base alla data di diagnosi:2001-2004 (954 pazienti), 2005-2008 (1122 pazienti), 2009-2012 (1582 pazienti). Studio 2:analisi comparativa tra 756 pazienti con HCC-NAFLD e 611 pazienti con HCC-HCV. Studio 3:proposta di quattro modelli alternativi al BCLC originale con validazione di una proposta di sottostadiazione dell’intermedio, considerando 2606 pazienti arruolati tra il 01-01-2000 e il 31-12-2012 e riallocati secondo gradi diversi di perfomance status (PS). Studio 4:analisi di 696 pazienti con HCC in stadio intermedio diagnosticato dopo il 1999 stratificati per trattamento. Risultati: studio 1:progressivo aumento dell’età alla diagnosi e delle eziologie dismetaboliche; più frequente esordio dell’HCC in stadio precoce e con funzione epatica più conservata; aumento della sopravvivenza dopo il 2008. Studio 2:i pazienti con HCC-NAFLD mostrano più frequentemente un tumore infiltrativo diagnosticato fuori dai programmi di sorveglianza, con prognosi peggiore rispetto ai pazienti HCC-HCV. Questa differenza di sopravvivenza si elimina rimuovendo i fattori di confondimento attraverso propensity analysis. Studio 3:il PS1 non è un predittore indipendente di sopravvivenza. Il modello 4 (considerando PS1=PS0 e con la sottostadiazione proposta), ha la migliore capacità discriminativa. Studio 4:i trattamenti curativi riducono la mortalità più della TACE, anche dopo propensity analysis. Conclusioni: l’aumento delle patologie dismetaboliche comporterà diagnosi di malattia ad uno stadio più avanzato, quando sintomatica, rendendo necessario stabilire un programma di sorveglianza. Inoltre per una migliore stratificazione e gestione dei pazienti, bisogna riconsiderare il ruolo del PS ed offrire un ventaglio di opzioni terapeutiche anche per il pazienti in stadio intermedio.
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ABSTRACT Background:Strong opioids are the treatment of choice for moderate to severe cancer-related pain. Fentanyl is a synthetic opioid with high affinity for the μ-opioid receptor and is 75–100 times more potent than morphine. Fentanyl is metabolised rapidly, particularly in the liver and only 10% is excreted as intact substance. The use of CYP3A4 inhibitors and inducers, impaired liver function, and heating of the patch potentially influence fentanyl pharmacokinetics in a clinically relevant way. The influence of BMI and gender on fentanyl pharmacokinetics is questionable. Pharmacogenetic, may influence fentanyl pharmacokinetic and other factors have been studied but did not show significant and clinically relevant effects on fentanyl pharmacokinetic. Method: This is a biological interventional prospective, single-center study in 49 patients with solid or haematological neoplasm treated with transdermal fentanyl undergoing 5-step pharmacokinetic and pharmacogenetic withdrawals from administration of the fentanyl patch. Objective:to evaluate the pharmacokinetic and pharmacogenetic of transdermal fentanyl in relation to the patient's clinical response on pain Results: Sex was the only parameter with evidence of different distribution between responders and non-responders , showing a major chance for male to be responders than females. We found some correlation with pharmacokinetic parameters and sex, regarding adverse events and NRS correlation with BPI. NAT2 and UGT2B7 polymorphisms are associated with AUC and Cmax kinetics parameters, NAT2 and CYP4F2 showed some evidence of association with the fentanyl dosage and CYP2B6 polymorphism seemed to be correlate with side effects. Conclusion: Small sample size of study population make difficult do find some significant correlation between pharmacogenetic, pharmacokinetic and clinical response. Larger studies are needed to increase knowledge about response to opioid treatment in cancer patients to better individualized pain treatment.
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Aging is a complex phenomenon that affects organs and tissues at a different rate. With advancing age, the skeletal muscle undergoes a progressive loss of mass and strength, a process known as sarcopenia that leads to a decreased mobility and increased risk of falls and invalidity. On the other side, another organ such as the liver that is endowed with a peculiar regenerative capacity seems to be only marginally affected by aging. Accordingly, clinical data indicate that liver transplantation from aged subjects has, in specific conditions, function and duration comparable to those achievable with grafts of liver from young donors. The molecular mechanisms involved in these peculiar aging patterns are still largely unknown, but it is conceivable that protein degradation machineries might play an important role, as they are responsible for the maintenance of cellular homeostasis. Indeed, it has been suggested that alteration of proteostasis may contribute to the onset and progression of several age-related pathological conditions, including skeletal muscle wasting and sarcopenia, as well as to the aging phenotypes. The ubiquitin-proteasome system (UPS) is one of the most important cellular pathways for intracellular degradation of short-lived as well as damaged proteins. To date, studies on the age-related modifications of proteasomes in liver and skeletal muscle were performed prevalently in rodents, with controversial results, while only preliminary observations have been obtained in human liver and skeletal muscle. In this scenario, we want to investigate and characterize in humans the age-related modifications of proteasomes of these two different organs.
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Objective: Liver transplantation has been associated with a high prevalence of osteoporosis, although most data rely on single-center studies with limited sample size, with most of them dating back to late 1990s and early 2000s. The present thesis aims to assess the prevalence of fragility fractures and contributing factors in a large modern cohort of liver transplant recipients managed in a referral Italian Liver Transplant Center. Design and Methods: Paper and electronic medical records of 429 consecutive patients receiving liver transplantation from 1/1/2010 to 31/12/2015 were reviewed, and 366 patients were selected. Clinically obtained electronic radiological images within 6 months from the date of liver transplant surgery, such as lateral views of spine X-rays or CT abdominal scans, were opportunistically reviewed in a blinded fashion to screen for morphometric vertebral fractures. Clinical fragility fractures reported in the medical records, along with information on etiology of cirrhosis and biochemistries at the time of liver surgery were also recorded. Results: Prevalence of fragility fractures in the whole cohort was 155/366 (42.3%), with no significant differences between sexes. Of patients with fractures, most sustained vertebral fractures (145/155, 93.5%), the majority of which were mild or moderate wedges. Multiple vertebral fractures were common (41.3%). Fracture rates were similar across different etiologies of cirrhosis and were also comparable in patients with diabetes or exposed to glucocorticoids. Kidney function was significantly worse in women with fractures. Independent of age, sex, alcohol use, eGFR, etiology of liver disease, lower BMI was the only independent risk factor for fractures (adjusted OR 1,058, 95%CI 1,001-1,118, P=0.046) in this study population. Conclusions: A considerable fracture burden was shown in a large and modern cohort of liver transplant recipients. Given the remarkably high prevalence of fractures, a metabolic bone disease screening should be implemented in every patient awaiting liver transplantation.