8 resultados para Institutional framework

em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna


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Climate change has been acknowledged as a threat to humanity. Most scholars agree that to avert dangerous climate change and to transform economies into low-carbon societies, deep global emission reductions are required by the year 2050. Under the framework of the Kyoto Protocol, the Clean Development Mechanism (CDM) is the only market-based instrument that encourages industrialised countries to pursue emission reductions in developing countries. The CDM aims to pay the incremental finance necessary to operationalize emission reduction projects which are otherwise not financially viable. According to the objectives of the Kyoto Protocol, the CDM should finance projects that are additional to those which would have happened anyway, contribute to sustainable development in the countries hosting the projects, and be cost-effective. To enable the identification of such projects, an institutional framework has been established by the Kyoto Protocol which lays out responsibilities for public and private actors. This thesis examines whether the CDM has achieved these objectives in practice and can thus be considered an effective tool to reduce emissions. To complete this investigation, the book applies economic theory and analyses the CDM from two perspectives. The first perspective is the supply-dimension which answers the question of how, in practice, the CDM system identified additional, cost-effective, sustainable projects and, generated emission reductions. The main contribution of this book is the second perspective, the compliance-dimension, which answers the question of whether industrialised countries effectively used the CDM for compliance with their Kyoto targets. The application of the CDM in the European Union Emissions Trading Scheme (EU ETS) is used as a case-study. Where the analysis identifies inefficiencies within the supply or the compliance dimension, potential improvements of the legal framework are proposed and discussed.

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Negli ultimi vent’anni sono state proposte al livello internazionale alcune analisi dei problemi per le scienze nella scuola e diverse strategie per l’innovazione didattica. Molte ricerche hanno fatto riferimento a una nuova nozione di literacy scientifica, quale sapere fondamentale dell’educazione, indipendente dalle scelte professionali successive alla scuola. L’ipotesi di partenza di questa ricerca sostiene che alcune di queste analisi e l’idea di una nuova literacy scientifica di tipo non-vocazionale mostrino notevoli limiti quando rapportate al contesto italiano. Le specificità di quest’ultimo sono state affrontate, innanzitutto, da un punto di vista comparativo, discutendo alcuni documenti internazionali sull’insegnamento delle scienze. Questo confronto ha messo in luce la difficoltà di ottenere un insieme di evidenze chiare e definitive sui problemi dell’educazione scientifica discussi da questi documenti, in particolare per quanto riguarda i dati sulla crisi delle vocazioni scientifiche e sull’attitudine degli studenti verso le scienze. Le raccomandazioni educative e alcuni progetti curricolari internazionali trovano degli ostacoli decisivi nella scuola superiore italiana anche a causa di specificità istituzionali, come particolari principi di selezione e l’articolazione dei vari indirizzi formativi. Il presente lavoro si è basato soprattutto su una ricostruzione storico-pedagogica del curricolo di fisica, attraverso l’analisi delle linee guida nazionali, dei programmi di studio e di alcuni rappresentativi manuali degli ultimi decenni. Questo esame del curricolo “programmato” ha messo in luce, primo, il carattere accademico della fisica liceale e la sua debole rielaborazione culturale e didattica, secondo, l’impatto di temi e problemi internazionali sui materiali didattici. Tale impatto ha prodotto dei cambiamenti sul piano delle finalità educative e degli strumenti di apprendimento incorporati nei manuali. Nonostante l’evoluzione di queste caratteristiche del curricolo, tuttavia, l’analisi delle conoscenze storico-filosofiche utilizzate dai manuali ha messo in luce la scarsa contestualizzazione culturale della fisica quale uno degli ostacoli principali per l’insegnamento di una scienza più rilevante e formativa.

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La finalità della ricerca è l'individuazione di uno strumento urbanistico per governare il territorio metropolitano che garantisca la successione efficace ed efficiente delle azioni nelle quali si articola il processo di pianificazione strategica. All'interno della ricerca, da un lato si indaga lo sviluppo storico-culturale che ha caratterizzato in Italia il concetto di area metropolitana, individuandone i contenuti e le operazioni che portano alla perimetrazione del suo territorio. Dall'altro lato si approfondisce il tema della pianificazione strategica come strumento fondamentale per il governo delle città metropolitane intermedie. Si è proceduto all'approfondimento del dibattito culturale e scientifico sul tema delle aree metropolitane, nell'esperienza di pianificazione strategica sviluppata in ambito internazionale e successivamente il dibattito politico che si è sviluppato nella realtà italiana sul concetto di area metropolitana, evidenziandone gli aspetti condivisi e le diverse tipologie di approccio per ottenere una perimetrazione utile al piano di governo del territorio. Ovviamente, nel processo di analisi, un ruolo dominante è stato assunto dal quadro istituzionale e normativo che si è sviluppato ed è tuttora in corso sul tema delle aree metropolitane. Alla tematica relativa alla definizione delle aree, si è sviluppato un consistente approfondimento sui requisiti che devono essere posseduti da un piano strategico costruito sulle esigenze di un'area metropolitana. E' stata individuata l'area metropolitana di Bologna quale area oggetto di studio approfondito, ripercorrendo le vicende che hanno animato il dibattito sulla nascita della Città metropolitana delimitata dalla Provincia. A tal proposito, si è sviluppata una riflessione sui contenuti innovativi e promozionali del piano strategico, valutando gli effetti che il Piano Strategico Metropolitano in corso di elaborazione sarà in grado di produrre sulle dinamiche territoriali e socio-economiche dell'area bolognese.

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La ricerca è dedicata a verificare se e come, a livello dell’Unione europea, la lotta alla criminalità (ed in particolare quella organizzata) venga condotta nel rispetto di diritti e libertà fondamentali, e se la cooperazione tra Stati membri su questo fronte possa giungere a promuovere standard omogenei ed elevati di tutela degli stessi. Gli ambiti di cooperazione interessati sono principalmente quello giudiziario in materia penale e quello di polizia, e la ritrosia degli Stati a cedere all’Unione competenze in materia si è accompagnata ad un ritardo ancora maggiore dell’emersione, nell’ambito degli stessi, della dimensione dei diritti. Ciò ha reso molto difficile lo sviluppo completo ed equilibrato di uno “spazio di libertà, sicurezza e giustizia” (art. 67 TFUE). L’assetto istituzionale introdotto dal Trattato di Lisbona e l’attribuzione di valore giuridico vincolante alla Carta hanno però posto le basi per il superamento della condizione precedente, anche grazie al fatto che, negli ambiti richiamati, la salvaguardia dei diritti è divenuta competenza ed obiettivo esplicito dell’Unione. Centrale è per la ricerca la cooperazione giudiziaria in materia penale, che ha visto la ricca produzione normativa di stampo repressivo recentemente bilanciata da interventi del legislatore europeo a finalità garantista e promozionale. L’analisi degli strumenti nella prospettiva indicata all’inizio dell’esposizione è quindi oggetto della prima parte dell’elaborato. La seconda parte affronta invece la cooperazione di polizia e quello degli interventi volti alla confisca dei beni e ad impedire il riciclaggio, misure – queste ultime - di particolare rilievo soprattutto per il contrasto al crimine organizzato. Sottesi all’azione dell’Unione in queste materie sono, in modo preponderante, due diritti: quello alla salvaguardia dei dati personali e quello al rispetto della proprietà privata. Questi, anche in ragione delle peculiarità che li caratterizzano e della loro natura di diritti non assoluti, sono analizzati con particolare attenzione.

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Il lavoro intende dimostrare che lo sviluppo giurisprudenziale del principio di equilibrio istituzionale, il rapporto tra detto principio e il principio di leale cooperazione, il riconoscimento istituzionale e giurisprudenziale dell’importanza della scelta della base giuridica nella tutela dell’equilibrio istituzionale hanno concorso a determinare la dinamicità dell’evoluzione dell’assetto interistituzionale della Comunità e dell’Unione. Focalizzata l’attenzione sulle nuove basi giuridiche introdotte dal Trattato di Lisbona, sono stati definiti gli assetti del nuovo equilibrio istituzionale analizzando, da un lato, il nuovo quadro istituzionale definito dal titolo III del Trattato sull’Unione europea e, in particolare la “costituzionalizzazione” del principio orizzontale di leale cooperazione. In conclusione, si rileva che con l´entrata in vigore del Trattato di Lisbona le dimensioni politica e giuridica dell’equilibrio istituzionale sono state interessate da due mutamenti di ampia portata. In primo luogo, il completamento del processo di revisione dei trattati apertosi con la dichiarazione di Laeken ha definito un nuovo quadro istituzionale, che si è riflesso in rinnovati meccanismi di funzionamento dell’architettura istituzionale. In secondo luogo, la risposta dell’Unione alla crisi economica e finanziaria ha messo al centro dell’agenda il suo bilancio, la programmazione pluriennale e l’Unione economica. Nel primo caso un’analisi dell’articolo 295 TFUE ha costituito la base di una riflessione sulle modalità di codificazione delle relazioni istituzionali attraverso accordi e sul rapporto tra questi ultimi e il titolo III TUE. Si è rilevata, in particolare, un’incongruenza tra gli obblighi di leale cooperazione orizzontale sanciti dall’articolo 13(2) TUE e gli strumenti finalizzati alla loro istituzionalizzazione. Nel secondo caso, invece, è stato evidenziato come il preminente ruolo del Consiglio europeo, al quale il Trattato di Lisbona ha riconosciuto lo status d'istituzione, abbia modificato gli equilibri, determinando un ritorno del ricorso all’integrazione differenziata rispetto a politiche disciplinate dai Trattati.

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This dissertation consists of three empirical studies that aim at providing new evidence in the field of public policy evaluation. In particular, the first two chapters focus on the effects of the European cohesion policy, while the third chapter assesses the effectiveness of Italian labour market incentives in reducing long-term unemployment. The first study analyses the effect of EU funds on life satisfaction across European regions , under the assumption that projects financed by structural funds in the fields of employment, education, health and environment may affect the overall quality of life in recipient regions. Using regional data from the European Social Survey in 2002-2006, it resorts to a regression discontinuity design, where the discontinuity is provided by the institutional framework of the policy. The second study aims at estimating the impact of large transfers from a centralized authority to a local administration on the incidence of white collar crimes. It merges a unique dataset on crimes committed in Italian municipalities between 2007 and 2011 with information on the disbursement of EU structural funds in 2007-2013 programming period, employing an instrumental variable estimation strategy that exploits the variation in the electoral cycle at local level. The third study analyses the impact of an Italian labour market policy that allowed firms to cut their labour costs on open-ended job contracts when hiring long-term unemployed workers. It takes advantage of a unique dataset that draws information from the unemployment lists in Veneto region and it resorts to a regression discontinuity approach to estimate the effect of the policy on the job finding rate of long-term unemployed workers.

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The candidate tackled an important issue in contemporary management: the role of CSR and Sustainability. The research proposal focused on a longitudinal and inductive research, directed to specify the evolution of CSR and contribute to the new institutional theory, in particular institutional work framework, and to the relation between institutions and discourse analysis. The documental analysis covers all the evolution of CSR, focusing also on a number of important networks and associations. Some of the methodologies employed in the thesis have been employed as a consequence of data analysis, in a truly inductive research process. The thesis is composed by two section. The first section mainly describes the research process and the analyses results. The candidates employed several research methods: a longitudinal content analysis of documents, a vocabulary research with statistical metrics as cluster analysis and factor analysis, a rhetorical analysis of justifications. The second section puts in relation the analysis results with theoretical frameworks and contributions. The candidate confronted with several frameworks: Actor-Network-Theory, Institutional work and Boundary Work, Institutional Logic. Chapters are focused on different issues: a historical reconstruction of CSR; a reflection about symbolic adoption of recurrent labels; two case studies of Italian networks, in order to confront institutional and boundary works; a theoretical model of institutional change based on contradiction and institutional complexity; the application of the model to CSR and Sustainability, proposing Sustainability as a possible institutional logic.

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This Doctoral Thesis unfolds into a collection of three distinct papers that share an interest in institutional theory and technology transfer. Taking into account that organizations are increasingly exposed to a multiplicity of demands and pressures, we aim to analyze what renders this situation of institutional complexity more or less difficult to manage for organizations, and what makes organizations more or less successful in responding to it. The three studies offer a novel contribution both theoretically and empirically. In particular, the first paper “The dimensions of organizational fields for understanding institutional complexity: A theoretical framework” is a theoretical contribution that tries to better understand the relationship between institutional complexity and fields by providing a framework. The second article “Beyond institutional complexity: The case of different organizational successes in confronting multiple institutional logics” is an empirical study which aims to explore the strategies that allow organizations facing multiple logics to respond more successfully to them. The third work “ How external support may mitigate the barriers to university-industry collaboration” is oriented towards practitioners and presents a case study about technology transfer in Italy.