11 resultados para Heaney, Seamus - Influssi classici

em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna


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In this work, we have considered the theme of landscape in the poetry of Andrea Zanzotto, Philippe Jaccottet and Seamus Heaney within the perspective of a fragmentation of the aesthetics of nature. To that end, the most advanced theories of aesthetics applied to nature, such as environmental Aesthetics and Aesthetik der Natur (also known as ökologische Aesthetik) have been taken into account. The philosophical perspective of Paolo D’Angelo, insights from geography (in particular from the works of Franco Farinelli) and from ecology (considering the contributions of Gilles Clément to this discipline) have also been useful. We have argued that the poetic experiences of Zanzotto, Jaccottet and Heaney follow a similar path, each starting from the fusion between the poetic subject and landscape to reach a two-way relationship between them. In this interpretation, the concept of landscape has been considered, according to Michel Collot’s theory of pensée-paysage, as a phenomenon. The poetic texts have been analysed under the lenses of linguistic, stylistic and rhetorical approaches, consistent with the idea that every text must be studied within its context, as every poetic experience is constituted of three elements: the poetic subject, his language and his world, the latest being shaped by and shaping the subject’s position and the perspectives related to it: that is his discourse to the world and in this world.

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Translations, says Gideon Toury, are facts of target cultures – but the perceived status of source texts has a bearing on how these are reflected or refracted in the target language. This proposition is particularly evident in the case of classics: when translators have to work on literary creations occupying a pivotal position in the source/target cultures, they adopt strategies of literalness and ennoblement which betray a quasi-religious awe – on the one hand, a desire to ruffle the surface of the revered original as little as possible; and on the other, a determination to reproduce the supposed “classical qualities” of the classic even when they are not present in the source. In this dissertation, Paola Venturi studies how the “idea of classic” influences translation theory and practice, and substantiates her theoretical observations by looking at Italian translations of eighteenth- and nineteenth-century English classics. A marked – and historically determined – disparity between source and target readerships, and the translators’ reverence for their prestigious originals, conspire to produce Italian versions which are much more “wooden” and “elegant” than their English counterparts.

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Questa tesi di dottorato ha per suo oggetto la ricognizione degli elementi teorici, di linguaggio politico e di influenza concettuale che le scienze sociali tra Ottocento e Novecento hanno avuto nell’opera di Antonio Gramsci. La ricerca si articola in cinque capitoli, ciascuno dei quali intende ricostruire, da una parte, la ricezione gramsciana dei testi classici della sociologia e della scienza politica del suo tempo, dall’altra, far emergere quelle filiazioni concettuali che permettano di valutare la portata dell’influenza delle scienze sociali sugli scritti gramsciani. Il lungo processo di sedimentazione concettuale del lessico delle scienze sociali inizia in Gramsci già negli anni della formazione politica, sullo sfondo di una Torino positivista che esprime le punte più avanzate del “progetto grande borghese” per lo studio scientifico della società e per la sua “organizzazione disciplinata”; di questa tradizione culturale Gramsci incrocia a più riprese il percorso. La sua formazione più propriamente politica si svolge però all’interno del Partito socialista, ancora imbevuto del lessico positivista ed evoluzionista. Questi due grandi filoni culturali costituiscono il brodo di coltura, rifiutato politicamente ma al tempo stesso assunto concettualmente, per quelle suggestioni sociologiche che Gramsci metterà a frutto in modo più organico nei Quaderni. La ricerca e la fissazione di una specifica antropologia politica implicita al discorso gramsciano è il secondo stadio della ricerca, nella direzione di un’articolazione complessiva delle suggestioni sociologiche che i Quaderni assumono come elementi di analisi politica. L’analisi si sposta sulla storia intellettuale della Francia della Terza Repubblica, più precisamente sulla nascita del paradigma sociologico durkheimiano come espressione diretta delle necessità di integrazione sociale. Vengono così messe in risalto alcune assonanze lessicali e concettuali tra il discorso di Durkheim, di Sorel e quello di Gramsci. Con il terzo capitolo si entra più in profondità nella struttura concettuale che caratterizza il laboratorio dei Quaderni. Si ricostruisce la genesi di concetti come «blocco storico», «ideologia» ed «egemonia» per farne risaltare quelle componenti che rimandano direttamente alle funzioni di integrazione di un sistema sociale. La declinazione gramsciana di questo problema prende le forme di un discorso sull’«organicità» che rende più che mai esplicito il suo debito teorico nei confronti dell’orizzonte concettuale delle scienze sociali. Il nucleo di problemi connessi a questa trattazione fa anche emergere l’assunzione di un vero e proprio lessico sociologico, come per i concetti di «conformismo» e «coercizione», comunque molto distante dallo spazio semantico proprio del marxismo contemporaneo a Gramsci. Nel quarto capitolo si affronta un caso paradigmatico per quanto riguarda l’assunzione non solo del lessico e dei concetti delle scienze sociali, ma anche dei temi e delle modalità della ricerca sociale. Il quaderno 22 intitolato Americanismo e fordismo è il termine di paragone rispetto alla realtà che Gramsci si prefigge di indagare. Le consonanze delle analisi gramsciane con quelle weberiane dei saggi su Selezione e adattamento forniscono poi gli spunti necessari per valutare le novità emerse negli Stati Uniti con la razionalizzazione produttiva taylorista, specialmente in quella sua parte che riguarda la pervasività delle tecniche di controllo della vita extra-lavorativa degli operai. L’ultimo capitolo affronta direttamente la questione delle aporie che la ricezione della teoria sociologica di Weber e la scienza politica italiana rappresentata dagli elitisti Mosca, Pareto e Michels, sollevano per la riformulazione dei concetti politici gramsciani. L’orizzonte problematico in cui si inserisce questa ricerca è l’individuazione di una possibile “sociologia del politico” gramsciana che metta a tema quel rapporto, che è sempre stato di difficile composizione, tra marxismo e scienze sociali.

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Considerando la figura di Orfeo, si mette in luce la ricezione del mito della morte di questo personaggio leggendario nell’arte simbolista, con particolare attenzione per Gustave Moreau. Il lavoro di ricerca vuole approfondire anche la natura epistemologica e metodologica dello studio della sopravvivenza dei classici, prediligendo i processi di tipo comparatistico e quelli che si rifanno alla grande categoria dei Cultural Studies, intendendo attraversare i confini, le barriere, le frontiere, i limiti delle discipline tradizionalmente intese. Viene cosí presa in considerazione anche l’interazione tra cultura verbale, scritta, letteraria e cultura visuale, sottolineando i meccanismi di transtestualità, nelle loro valenze e potenzialità di ibridazione e contaminazione. Si punta, dunque, non solo sulla superificie tematica specifica ma anche sulla filigrana dei procedimenti di legittimazione scientifica e della prasseologia di questa specifica area filologica transdisciplinare.

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La presente tesi dimostra che la letteratura nera canadese può costituire una critica al concetto di appartenenza, così come è stato sempre rappresentato nel Canada anglofono. Più specificatamente, prende in considerazione tre scrittori contemporanei – George Elliott Clarke, Austin Clarke e Dionne Brand – che mettono in evidenza, seppure non nei termini classici, ciò che Stuart Hall descrive come “quegli aspetti delle nostre identità che scaturiscono dal nostro ‘appartenere’ a distinte culture etniche, razziali, linguistiche, religiose e soprattutto nazionali” (Stuart Hall, Modernity 596). Ognuno di essi, infatti, pone in evidenza il senso di appartenenza culturale in modo incerto, ambivalente e perfino estremamente critico. L’analisi dei loro testi, inoltre, è imprescindibile, dallo studio di tre discorsi (termine da intendersi secondo la definizione proposta da Ian Angus): il nazionalismo, il multiculturalismo e la diaspora che sembrano condizionare e limitare i termini semantici, concettuali e politici dell’appartenenza culturale, specialmente nell’ambito degli studi canadesi e postcoloniali. In realtà, autori quali Austin Clarke e Dionne Brand, offrendo una prospettiva unica ed originale da cui avviare una critica a tali concetti, propongono dei ‘linguaggi di appartenenza’ diversi e, di conseguenza, modi alternativi di manifestare e concretizzare, non solo un attaccamento culturale, ma anche un impegno politico profondo. Il lavoro è composto dall’Introduzione, in cui vengono esplicitate le ragioni dell’argomento scelto; il Capitolo I, che funge da impianto metodologico alla ricerca, spiega il concetto di appartenenza; da tre Capitoli centrali, ciascuno dedicato ad un singolo autore, che esaminano una serie di opere, di ogni singolo autore, al fine di esaminare e giudicare i tre discorsi; e dalla Conclusione che contiene delle considerazioni sul ruolo della letteratura nera canadese all’interno degli studi canadesi contemporanei e postcoloniali.

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Punto di partenza per il lavoro presentato, sono le tematiche legate alle pratiche di consumo di cibo in un’ottica che superi una semplice visione utilitaristica delle stesse, mentre viene evidenziato invece il più profondo rapporto uomo-cibo e i fenomeni di socializzazione che ne scaturiscono. Si trovano pertanto a coniugarsi la sociologia dei consumi e la sociologia della cultura. La base per questa visione del cibo e delle pratiche di produzione e consumo ad esso collegate è l’ipotesi che nel rapporto uomo-cibo sia individuabile un livello di significato superiore al mero utilitarismo/nutrizionismo, che si compone di una dimensione strutturale, una dimensione simbolica ed una dimensione metaforica. Il cibo, e di conseguenza tutte le pratiche ad esso collegate (produzione, elaborazione, consumo), rientrano pertanto in maniera naturale nella categoria “cultura”, e quindi, accostandoci al paradigma del passaggio da natura a società, attraverso il cibo si crea e si alimenta la socialità del consorzio umano, e quindi l’umanità stessa. Accostando a queste concettualizzazioni l’idea che il consumo in generale possa diventare una prassi tramite cui esperire una più diffusa ricerca di sostenibilità nello sviluppo del territorio, (facendosi carico delle conseguenze socio-ambientali derivanti dalla fruizione di determinati oggetti piuttosto che altri), si è sviluppata l’ipotesi che al consumo alimentare possa competere un ruolo precipuamente attivo nella definizione di pratiche sociali orientate alla sostenibilità, capaci cioè di integrare attraverso il consumo – e in relazione all’indebolimento delle tradizionali agenzie di socializzazione – quella perdita di senso civico e solidarietà organizzata che sperimentiamo nelle prassi di vita quotidiana. Sul piano operativo, la tesi è articolata in sei capitoli: • Il percorso presentato prende le mosse dalla considerazione che il cibo, inteso in un’ottica sociologica, costituisce un fattore culturale non irrilevante, anzi fondamentale per il consorzio umano. Si fornisce quindi una breve descrizione del ruolo del cibo nei suoi accostamenti con la definizione di un territorio (e quindi con la sua storia, economia e società), con le arti visive, con il cinema, con la musica, ma anche con la sfera sensoriale (tatto, gusto, olfatto) ed emotivo-cognitiva (psiche) dell’uomo. • Successivamente, si analizza nello specifico la funzione socializzante delle pratiche alimentari, ripercorrendo le tappe principali degli studi classici di sociologia e antropologia dell’alimentazione e introducendo anche l’idea di cibo come simbolo e metafora, che si riflettono sul piano sociale e sulle relazioni tra gli individui. La constatazione che le pratiche legate al cibo sono le uniche attività umane da sempre e per sempre irrinunciabili è un chiaro indicatore di come esse giochino un ruolo fondamentale nella socializzazione umana. • Nel terzo capitolo, la prospettiva simbolico-metaforica è la base di un’analisi di tipo storico delle pratiche alimentari, nello specifico delle pratiche di consumo di cibo, dalle origini dell’umanità ai giorni nostri. Viene presentato un excursus essenziale in cui l’attenzione è focalizzata sulla tavola, sui cibi ivi serviti e sugli eventi di socializzazione che si sviluppano attorno ad essa, considerando situazioni storico-sociali oggettive di cui si è in grado, oggi, di ricostruire le dinamiche e le fasi più significative. • Il quarto capitolo costituisce un momento di riflessione teorica intorno al tema della globalizzazione nella contemporaneità. Sia per una logica progressione cronologica all’interno del lavoro presentato, sia per la rilevanza in quanto inerente alla società attuale in cui viviamo, non si è potuto infatti non soffermarsi un po’ più a fondo sull’analisi delle pratiche alimentari nella contemporaneità, e quindi nella società generalmente definita come “globalizzata” (o “mcdonaldizzata”, per dirla alla Ritzer) ma che in realtà è caratterizzata da un più sottile gioco di equilibri tra dimensione locale e dimensione globale, che si compenetrano come anche nel termine che indica tale equilibrio: il “glocale”. In questo capitolo vengono presentati i principali riferimenti teorici relativi a queste tematiche. • Nel quinto capitolo è stata analizzata, quindi, la declinazione in senso “alimentare” della relazione tra globale e locale, e quindi non solo i mutamenti intercorsi nella contemporaneità nelle pratiche di produzione, scambio e consumo di cibo con particolare riferimento ai sistemi culturali e al territorio, ma anche alcune proposte (sia teoriche che pratiche) a garanzia di uno sviluppo sostenibile del territorio, che trovi i suoi fondamenti sulla perpetuazione di modalità tradizionali di produzione, commercio e consumo di cibo. • Nel sesto capitolo viene analizzato un caso di studio significativo, (il movimento Slow Food, con il suo progetto Terra Madre) senza la pretesa di confermare o smentire né le ipotesi di partenza, né i concetti emersi in itinere, ma semplicemente con l’intenzione di approfondire il percorso svolto attraverso l’esemplificazione operativa e la ricerca entro un piccolo campione composto da testimoni significativi e intervistati, sottoposti a colloqui e interviste incentrate su item inerenti i temi generali di questo lavoro e sul caso di studio considerato. La scelta del caso è motivata dalla considerazione che, alla luce delle filosofia che lo anima e delle attività che svolge, il movimento Slow Food con il progetto Terra Madre costituisce una vera e propria eccellenza nella pianificazione di uno sviluppo sostenibile del territorio e delle sue risorse, tanto economiche quanto sociali e culturali. L’intera analisi è stata condotta tenendo presente l’importanza della comparazione e della collocazione del singolo caso non solo nel contesto sociale di riferimento, ma anche in sintonia con l’ipotesi della ricerca, e quindi con l’assunto che le pratiche alimentari possano guidare uno sviluppo sostenibile del territorio. Per analizzare la realtà individuata, si è in primo luogo proceduto alla raccolta e all’analisi di dati e informazioni volte alla ricostruzione della sua storia e del suo sviluppo attuale. Le informazioni sono state raccolte attraverso l’analisi di materiali, documenti cartacei e documenti multimediali. Si è poi proceduto con colloqui in profondità a testimoni significativi individuati nell’ambito delle attività promosse da Slow Food, con particolare riferimento alle attività di Terra Madre; le informazioni sono state elaborate con l’ausilio dell’analisi del contenuto. Alla luce di quanto analizzato, tanto a livello teorico quanto a livello empirico, la tesi si conclude con alcune considerazioni che, in linea con la finalità dichiarata di approfondire (più che di confermare o smentire) le ipotesi di partenza circa un ruolo fondamentale delle pratiche alimentari nello sviluppo sostenibile del territorio, non possono comunque non tendere ad una convalida dei concetti introduttivi. Si individuano pertanto spunti importanti per affermare che nelle pratiche alimentari, nei tre momenti in cui trovano specificazione (la produzione, lo scambio, il consumo), siano individuabili quei semi valoriali che possono dare solidità alle ipotesi di partenza, e che quindi - nell’intento di operare per uno sviluppo sostenibile del territorio - sia possibile farne un valido strumento al fine di costruire dei veri e propri percorsi di sostenibilità ancorati ai concetti di tutela della tradizione locale, recupero e salvaguardia dei metodi tradizionali di produzione e conservazione, certificazione di tipicità, controllo della distribuzione, riscatto e promozione delle modalità tradizionali di consumo con particolare riferimento alle culture locali.

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Prendendo in esame diverse angolature d’analisi è indagata la situazione attuale della produzione tradizionale della ceramica salentina. La ricerca comprende la descrizione della situazione culturale attuale, l’analisi qualitativa e quantitativa dei dati raccolti sul campo e la costruzione di un quadro generale multidimensionale della rappresentazione di un’area culturale. Il primo capitolo della tesi tratta il problema teorico dei linguaggi specialistici e delle peculiarità a essi legati. La dottoranda fornisce un quadro completo ed esaustivo della bibliografia sia italiana che anglosassone sull’argomento affrontato. Questo capitolo fa da introduzione al problema della comunicazione specialistica nell’ambito della quale si svolgono le interviste. Il secondo capitolo presenta la metodologia utilizzata durante la ricerca svolta sul campo. La metodologia della ricerca sul campo include i metodi etnografici di osservazione partecipante e linguistico antropologici di interviste non strutturate. Il terzo capitolo della tesi è dedicato alla descrizione etnografica del processo produttivo. Questo capitolo ha un valore rilevante per l’intera ricerca poiché oltre ai termini italiani sono riportati tutti i termini tradizionali e descritti dettagliatamente i momenti della produzione. Va dimostrata una profonda conoscenza della lavorazione della ceramica nel Salento non solo nel suo stato attuale ma anche nel passato. Come parte conclusiva di questo capitolo è proposta una riflessione di carattere filosofico e antropologico sul ruolo dell’artigiano come Creatore, proponendo paragoni con la figura del Demiurgo platonico descritto nel “Timeo” e l’analisi del cambiamento dello statuto di oggetto da manufatto a oggetto industriale basandosi sul lavoro di Baudrillard. Il quarto capitolo è strutturato in modo diverso rispetto agli altri perché rappresenta la parte centrale della tesi e propone quattro diversi tipi di analisi linguistica possibile. La prima analisi riguarda l’ideologia linguistica e la sua espressione nel parlato inosservato. E’ fornita la prospettiva teorica sulla problematica di ideologia linguistica e dimostrata la conoscenza dei testi sia di natura sociologica (Althusser, Bourdieu, Gouldner, Hobsbawm, Thompson, Boas) che di natura linguistica (Schieffelin Bambi B., Woolard Kathryn A., Kroskrity Paul V., eds. 1998 Language ideologies : practice and theory. New York Oxford, Oxford University press). Golovko analizza i marcatori spazio-temporali utilizzati dagli artigiani per costruire le tassonomie del pronome “noi” e la contrapposizione “noi” – altri. Questa analisi consente di distinguere i diversi livelli d’inclusione ed esclusione del gruppo. Un altro livello di analisi include la valutazione degli usi del passato e del presente nel parlato per costruire le dimensioni temporali del discorso. L’analisi dei marcatori spazio-temporali consente di proporre una teoria sulla “distanza” tra i parlanti che influisce la scelta del codice oppure la sua modifica (passaggio dal dialetto all’italiano, la scelta della varietà a seconda dell’interlocutore). La parte dedicata all’ideologia si conclude con un’analisi profonda (sia quantitativa che qualitativa) dei verbi di moto che sono stati raggruppati in una categoria denominata dalla Golovko “verbi di fase” che rappresentano usi non standard dei verbi di moto per esprimere il passaggio da una fase all’altra. Il termine “fasale” prende spunto non dalla letteratura linguistica ma dal libro di Van Gennep “Les rites de passage” che discute dell’importanza dei riti di passaggio nella cultura africana e nella ricerca etnografica e folkloristica. È stato rilevato dalla dottoranda che i passaggi da una fase produttiva all’altra hanno un valore particolare anche nella produzione della ceramica e soprattutto negli usi particolari dei verbi di moto. Analizzati in profondità, questi usi particolari rispecchiano non solo fattori linguistici ma anche la visione e la percezione di queste fasi delicate in modo particolare dagli artigiani stessi. Sono stati descritti i procedimenti linguistici come personalizzazione e alienazione dell’oggetto. Inoltre la dottoranda ha dimostrato la conoscenza della letteratura antropologica non solo inerente la zona da lei studiata ma anche di altre come, ad esempio, dell’Africa Sub Sahariana. Nella parte successiva del quarto capitolo viene proposta un’altra chiave di lettura delle problematiche linguistiche: l’analisi del lessico utilizzato dagli artigiani per poter classificare i gruppi identitari presenti nella comunità studiata. E’ proposta l’analisi dei rapporti all’interno dei gruppi professionali che sono generalmente classificati come solidarietà e distinzione. La terminologia ha origine sociologica, infatti viene proposto un quadro teorico degli studi sulla solidarietà (Durkheim, Appandurai, Harré, Zoll) e l’adattamento del termine in questo senso coniato da Bourdieu “la distiction”. L’identità linguistica è affrontata sia dal punto di vista linguistico che dal punto di vista sociologico. Per svolgere l’analisi sulle identità assunte dagli artigiani e poter ricondurre la scelta volontaria e a volte non conscia di uno stile (consistente di un insieme di termini) inteso come espressione d’identità assunta dagli artigiani, la dottoranda riflette sul termine “stile” nella sua accezione sociolinguistica, com’è usuale negli studi anglosasoni di ultima generazione (Coupland, Eckert, Irvine e altri). La dottoranda fornisce una classificazione delle identità e ne spiega la motivazione basandosi sui dati empirici raccolti. La terza parte del quarto capitolo è dedicata all’analisi del linguaggio specialistico degli artigiani e alla descrizione dei tratti solitamente assegnati a questo tipo di linguaggio (monoreferenziaità, trasparenza, sinteticità e altri). La dottoranda svolge un’analisi di carattere semantico dei sinonimi presenti nel linguaggio degli artigiani, analizza il rapporto con la lingua comune, riporta l’uso delle metafore e casi di produttività linguistica. L’ultima parte del quarto capitolo consiste nell’analisi dei tratti non standard nel linguaggio degli artigiani classificati considerando il livello di variazione (lessico, morfologia e morfosintassi e sintassi) e spiegati con gli esempi tratti dalle interviste. L’autrice riflette sui cambiamenti avvenuti nella lingua parlata italiana e nella sua varietà regionale basandosi sui lavori “classici” della linguistica italiana (Berruto, Sobrero, Stehl, Bruni, D’Achille, Berretta, Tempesta e altri) studiandone attentamente i processi evidenziati nella sua descrizione. Lo scopo e l’apice della tesi consiste nell’analisi del repertorio linguistico degli artigiani e la discussione delle dinamiche in corso (livellamento del dialetto, convergenza e divergenza del dialetto, italianizzazione e regionalizzazione dell’italiano). La dottoranda propone un suo schema di rapporti tra italiano e dialetto motivando pienamente la sua teoria. A corollario la tesi è composta anche da un glossario dei termini tecnici e un album fotografico che aumentano l’interesse del lavoro dandogli un valore culturale.

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Il presente studio si propone come una rilettura del profilo drammaturgico e teatrale di Sarah Kane a partire dalla ricostruzione e integrazione dei dati biografici e delle interazioni artistiche e personali dell’autrice. Lo studio si articola in due sezioni: in un primo momento esso inquadra contestualmente la drammaturgia inglese del secondo dopoguerra, origine della prima generazione dei Giovani Arrabbiati e sostrato della trasformazione teatrale britannica degli anni Novanta. La seconda sezione, invece, si articola come un’indagine biografica della vita della Kane scandita da documenti e immagini inediti. Tali immagini restituiscono una preziosa testimonianza dei primi spettacoli giovanili, delle prime regie e del percorso professionale maturo della drammaturga/regista, oltre a far luce sulla sua vita personale e famigliare e sugli influssi della stessa sul suo teatro. Inoltre, lo studio approfondito delle vicende biografiche dell’autrice ridisegna le caratteristiche fondanti dell'universo teatrale britannico comprendendo il valore che hanno: i teatri, la critica giornalistica e le strutture universitarie, per la configurazione del sistema teatrale.

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Nella tesi si osserva come nella cultura russa cambiava l’immagine di Roma. Se ancora alla fine del settecento l’antichità romana poteva risultare solamente uno strumento retorico-filologico da utilizzare per fare il proprio discorso più convincente, la generazione dei decabristi la stessa antica romanità la accostava alla cultura e storia russe tramite gli elevati ideali civici. La romanità ora risultava uno strumento di analisi della esperienza storica e politica della Russia anche nel contesto europeo. Da qui nasceva una serie di modelli russi legati all’antica Roma: il Catone di Radiscev, il Bruto dei decabristi, ecc. Vi attingeva generosamente anche una corrente di lirica russo-antica con i suoi ricchi riferimenti agli autori classici, Ovidio, Tacito, Orazio. Nasceva così una specie di Roma antica russa che viveva secondo le sue regole etiche ed estetiche. Con il fallimento dell’esperienza decabrista cambia anche l’approccio alle antichità: ci si distacca dalla visione storico-morale dell’antico, Roma non è più una categoria da emulare, ma una storia a sé stante e chiusa in sé stessa come ogni periodo storico. Essa smette di essere un criterio universale di giudizio etico e morale. Allo stesso tempo, una parte integrante della cultura russa all’epoca era il viaggio a Roma. I russi cresciuti con interesse e amore verso la Roma antica, impazienti ed emozionati, desideravano ora di vedere quella patria dei classici. Era come se fosse un appuntamento fra gli amici di vecchia data. Si affrettava a verificare di persona le muse di storia e di poesia. E con tutto questo si imparavano ad amare tutti i defetti della Roma reale, spesso inospitale, la Roma del dolore e della fatica. La voce importante nel racconto romano dei russi era anche la Roma del cristianesimo, dove ritrovare e ricoprire la propria “anima cristiana”.

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In questa tesi dottorale viene preso in analisi il tema della famiglia, uno degli elementi fondanti della riflessione pedagogica, crocevia di una molteplicità di nuclei interpretativi con diramazioni e contaminazioni, con mutamenti attraverso le epoche storiche, rappresentati in pagine contenute nei Classici della letteratura per l’infanzia e nei migliori libri di narrativa contemporanea. Si tratta di un tema di grande ampiezza che ha comportato una scelta mirata di Autori che, nei loro romanzi hanno trattato questioni riguardanti la famiglia nelle sue pluralità delle sue tante accezioni, dalla vita familiare agli abbandoni, dalle infanzie senza famiglia alle famiglie altre. Nelle diverse epoche storiche, le loro narrazioni hanno lasciato un segno per l'originalità interpretativa che ancora oggi ci raccontano storie di vie familiale Dai romanzi ottocenteschi alle saghe fantasy degli ultimi cinquant’anni, fino ai picturebook, destinati ai più piccoli, le families stories possono costituire un materiale pedagogico privilegiato, sia offrendo occasioni di scoperta e conoscenza di sé e del mondo, attraverso le quali i lettori bambini, enigmatici frontalieri, varcano soglie verso altrovi misteriosi, sia fornendo spunti agli studiosi per approfondire tematiche multiple e complesse. Le families stories riflettono spesso in maniera critica le divergenze che possono manifestarsi tra le prassi individuate e studiate dalle scienze umane e sociali e le metafore narrative proposte dai numerosi Autori della letteratura per l’infanzia. Proponendo una prospettiva spesso spiazzante, esse interpretano la realtà a fondo, cogliendo i più piccoli ed inosservati particolari che, invece, hanno la capacità di rompere gli schemi socio-educativi dell’epoca storica in cui le storie prendono vita.

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La tematica dell’abuso del diritto in campo fiscale ha conosciuto, negli ultimi anni, una diffusione particolarmente rilevante. Questo lavoro, dopo una necessaria premessa introduttiva alla problematica, affronta l’abuso del diritto in campo tributario tramite l’analisi degli strumenti classici dell’ermenutica, constatando come si arrivi ad un intreccio tra lo strumento della clausola generale anti-abuso e il principio di divieto d’abuso del diritto sviluppatosi a livello europeo, concretizzazione del più ampio principio dell’effettività del diritto dell’Unione Europea. L’analisi prende a modello, da un lato, la clausola generale anti-abuso tedesca, adottata già nel primo dopoguerra, e le sue diverse modifiche legislative occorse negli anni, e dall’altro, il principio europeo di divieto d’abuso del diritto. L’esame congiunto rivela un cortocircuito interpretativo, posto che il principio europeo espone gli stessi concetti della clausola nazionale tedesca pre riforma, la quale, in seguito, alle sentenze Halifax e Cadbury Schweppes, ha subito un’importante modifica, cosicchè la clausola generale abbisogna ora del princìpio europeo per essere interpretata. La tesi evidenzia, inoltre, come tale circuito sia aggravato anche da tensioni interne alle stesse Istituzioni europee, posto che, nonostante l’esistenza di un principio di elaborazione giurisprudenziale, gli Stati Membri sono stati invitati ad introdurre una clausola generale anti-abuso, la cui formulazione rimanda al principio di divieto d’abuso del diritto elaborato dalla Corte di Giustizia.