14 resultados para Cross-Border losses
em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna
Resumo:
The present research aims to study the special rights other than shares in Spanish Law and the protection of their holders in cross-border mergers of limited liability companies within the European Union frame. Special rights other than shares are recognised as an independent legal category within legal systems of some EU Member States, such as Germany or Spain, through the implementation of the Third Directive 78/855/CEE concerning mergers of public limited liability companies. The above-cited Directive contains a special regime of protection for the holders of securities, other than shares, to which special rights are attached, consisting of being given rights in the acquiring company, at least equivalent to those they possessed in the company being acquired. This safeguard is to highlight the intimate connection between this type of rights and the company whose extinction determines the existence of those. Pursuant to the Directive 2005/56/CE on cross-border mergers of limited liability companies, each company taking part in these operations shall comply with the safeguards of members and third parties provided in their respective national law to which is subject. In this regard, the protection for holders of special rights other than shares shall be ruled by the domestic M&A regime. As far as Spanish Law are concerned, holders of these special rights are recognized a right of merger information, in the same terms as shareholders, as well as equal rights in the company resulting from the cross-border merger. However, these measures are not enough guarantee for a suitable protection, thus considering those holders of special rights as special creditors, sometimes it will be necessary to go to the general protection regime for creditors. In Spanish Law, it would involve the recognition of right to the merger opposition, whose exercise would prevent the operation was completed until ensuring equal rights.
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Caratteristica comune ai regimi di consolidamento previsti dai diversi ordinamenti, è quella di consentire la compensazione tra utili e perdite di società residenti, e, di negare, o rendere particolarmente difficoltosa, la stessa compensazione, quando le perdite sono maturate da società non residenti. La non considerazione delle perdite comporta una tassazione al lordo del gruppo multinazionale, per mezzo della quale, non si colpisce il reddito effettivo dei soggetti che vi appartengono. L’effetto immediato è quello di disincentivare i gruppi a travalicare i confini nazionali. Ciò impedisce il funzionamento del Mercato unico, a scapito della libertà di stabilimento prevista dagli artt. 49-54 del TFUE. Le previsioni ivi contenute sono infatti dirette, oltre ad assicurare a società straniere il beneficio della disciplina dello Stato membro ospitante, a proibire altresì allo Stato di origine di ostacolare lo stabilimento in un altro Stato membro dei propri cittadini o delle società costituite conformemente alla propria legislazione. Gli Stati membri giustificano la discriminazione tra società residenti e non residenti alla luce della riserva di competenza tributaria ad essi riconosciuta dall’ordinamento europeo in materia delle imposte dirette, dunque, in base all’equilibrata ripartizione del potere impositivo. In assenza di qualsiasi riferimento normativo, va ascritto alla Corte di Giustizia il ruolo di interprete del diritto europeo. La Suprema Corte, con una serie di importanti pronunce, ha infatti sindacato la compatibilità con il diritto comunitario dei vari regimi interni che negano la compensazione transfrontaliera delle perdite. Nel verificare la compatibilità con il diritto comunitario di tali discipline, la Corte ha tentato di raggiungere un (difficile) equilibrio tra due interessi completamenti contrapposti: quello comunitario, riconducibile al rispetto della libertà di stabilimento, quello degli Stati membri, che rivendicano il diritto di esercitare il proprio potere impositivo.
Resumo:
L'elaborato considera anzitutto la genesi dell'istituto, e con chiarezza analizza il percorso di affioramento della figura del distacco nell'impiego pubblico rimarcando affinità e differenze con ipotesi similari di temporanea dissociazione tra datore di lavoro e fruitore della prestazione. Nell'operare gli opportuni distinguo, il dott. Tortini si confronta con la fattispecie tipica del lavoro subordinato e con il divieto di dissociazione che ad essa sarebbe sotteso, anche alla luce della legge 1369 del 1960 sul divieto di interposizione. Gli elementi caratterizzanti il distacco sono poi esposti analizzando con acutezza i più rilevanti orientamenti emersi nella giurisprudenza di merito e di legittimità , in specie con riguardo alla prassi invalsa nei gruppi di società di dirigere la prestazione di lavoro a favore di società collegate o controllate dalla società datrice di lavoro. In tal senso l'elaborato prende posizione in ordine alla necessaria temporaneità dell'interesse del distaccante, nonchè all'inclusione del distacco nell'ambito del potere direttivo-organizzativo del datore di lavoro, ciò che esclude la necessità del consenso del lavoratore distaccato. Nel secondo capitolo il dott. Tortini si confronta con il quadro delle libertà fondamentali del diritto comunitario, ed in particolare con la libera prestazione di servizi, analizzando profili essenziali quali la natura autonoma, la transnazionalità e la temporaneità del servizio prestato. Con ampi riferimenti alla dottrina, anche comparata, in argomento, il capitolo delinea le possibili forme di interazione tra gli ordinamenti nazionali all'interno dell'Unione europea ed individua, in alternativa, tre modelli di coordinamento tra le esigenze liberalizzanti tipiche del mercato unico e le prerogative nazionali di tipo protezionistico che si manifestano qualora un servizio venga prestato in uno Stato membro diverso da quello in cui ha sede il prestatore: host state control, home state control e controllo sovranazionale. L'analisi si rivela essenziale al fine di delineare le ragioni della più recente giurisprudenza della Corte di giustizia in tema di appalti cross-border e libera circolazione dei lavoratori, e dimostra un sostanziale "slittamento" della base giuridica mediante la quale il diritto comunitario regola il fenomeno della prestazione di lavoro transnazionale, dall'art. 39 all'art. 49 TCE. Il terzo capitolo confronta l'impianto teorico ricavabile dai principi del Trattato con la Direttiva 96/71 sul distacco ed i relativi provvedimenti attuativi (d.lgs. n. 72/2000 e art. 30, d.lgs. n. 276/2003). In particolare, vengono analizzate le ipotesi limitrofe alla nozione di distacco ricavabile dal diritto comunitario, accomunate dalla dissociazione tra datore di lavoro ed utilizzatore della prestazione, ma distinguibili in base alla natura del rapporto contrattuale tra impresa distaccante ed impresa distaccataria. La funzione principale della Direttiva comunitaria in argomento viene individuata dal dott. Tortini nella predisposizione di una base inderogabile di diritti che devono essere, in ogni caso, assicurati al lavoratore oggetto del distacco. Questa base, denominata hard core della tutela, deve essere garantita, all'interno del singolo Stato membro, dalla contrattazione collettiva. Nell'ordinamento italiano, la disciplina del distacco contenuta nella Direttiva viene attuata con il d.lgs. n. 72/2000 che, come opportunamente segnalato dal dott. Tortini, contiene una serie di incongruenze e di lacune. Fra tutte, si rimarca come la stessa Commissione abbia rilevato uno scostamento tra le due discipline, dato che la legge italiana estende surrettiziamente ai lavoratori distaccati tutte le disposizioni legislative e/o i contratti collettivi che disciplinano le condizioni di lavoro, operazione non consentita dal la Direttiva 76/91. E' in specie il riferimento al contratto collettivo stipulato dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative ad essere criticato dall'elaborato, in quanto finisce con il trasformare l'art. 3.1 del D. Lgs. 72/2000 in una discriminazione fondata sulla nazionalità e rischia di creare maggiori difficoltà e più oneri per gli imprenditori stranieri che intendano erogare servizi sul territorio nazionale. A conclusione della tesi, il dott. Tortini esamina la nozione di distacco introdotta ad opera dell'art. 30, d.lgs. n. 276/2003, ed enuclea gli elementi caratterizzanti dell'istituto, individuati nell'interesse del distaccante e nella temporaneità dell'assegnazione, definita «l'in sè» dell'interesse stesso.
Resumo:
La presente tesi di dottorato ha ad oggetto l’analisi dei profili critici emersi nella prassi in relazione alle transnational damages group actions. All’interno di tale esteso ambito di ricerca, senza pretese di esaustività, si affronteranno determinati aspetti, tenendo in considerazione quanto accaduto negli ordinamenti che, sebbene in modo assai limitato, hanno già conosciuto tali problematiche. A seguito di una prima parte meramente introduttiva, nel secondo capitolo, si inquadreranno brevemente gli strumenti di tutela collettiva risarcitoria, indicando in che cosa consistano, a quali esigenze rispondano e quale origine abbiano; si indicheranno altresì i criteri distintivi e di classificazione che maggiormente possono rilevare nell’ottica di una cross border litigation. Nel terzo capitolo si analizzerà in termini essenziali la disciplina delle azioni collettive di alcuni Paesi, al fine di porre le basi necessarie per comprendere in quale contesto normativo si pongano le problematiche inerenti alle multi-jurisdictional collective redress actions. Nel quarto capitolo, si prenderà in considerazione la dimensione transnazionale delle azioni collettive, tenendo presenti le categorie e le regole affermatesi nel diritto internazionale privato e processuale e, soprattutto, quelle esistenti nell’ordinamento italiano e comunitario. Si individueranno poi gli obiettivi prioritari che si deve porre il giudice richiesto di giudicare sull’azione collettiva nella necessità di rendere una pronuncia o approvare una transazione che, da un lato, sia riconosciuta ed eseguita nei Paesi in cui dovrà essere riconosciuta ed eseguita e che, dall’altro lato, in ipotesi di opt out procedure, precluda ai soggetti che la pronuncia o la transazione dovrebbe vincolare successive azioni individuali e/o collettive in altri Paesi. Nel quinto capitolo, alla luce dei dati indicati nel terzo capitolo e delle considerazioni effettuate nel quarto capitolo, si analizzeranno alcuni dei profili critici posti dalla dimensione transnazionale delle azioni collettive; a tal fine, la trattazione verrà suddivisa in diversi punti che, pur essendo necessariamente connessi tra loro, nella loro individualità riescano ad evidenziare l’importanza e la centralità di determinate questioni. Peraltro, nell’intento di rispondere in modo adeguato alle problematiche analizzate, si indicheranno alcune delle soluzioni sperimentate dalla pratica giudiziaria o proposte dalla recente letteratura sul tema. Seguirà, infine, un ultimo capitolo contenente le osservazioni conclusive sugli esiti del lavoro.
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The use of stone and its types of processing have been very important in the vernacular architecture of the cross-border Carso. In Carso this represents an important legacy of centuries and has a uniform typological characteristic to a great extent. The stone was the main constituent of the local architecture, setting and shaping the human environment, incorporating the history of places through their specific symbolic and constructive language. The primary aim of this research is the recognition of the constructive rules and the values embedded in the Carso rural architecture by use and processing of stone. Central to this investigation is the typological reading, aimed to analyze the constructive language expressed by this legacy, through the analysis of the relationship between type, technique and material.
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L’oggetto del lavoro si sostanzia nella verifica del grado di giustiziabilità che i diritti sociali ricevono nell’ordinamento dell’Unione europea. L’indagine si articola in tre capitoli. Il primo è dedicato ad una sintetica ricostruzione dei modelli di welfare state riconosciuti dagli ordinamenti dei diversi paesi membri dell’Unione attraverso cui, la candidata enuclea un insieme di diritti sociali che ricevono tutela in tutti gli ordinamenti nazionali. L’esposizione prosegue, con la ricostruzione dell’evoluzione dei Trattati istitutivi dell’Unione e l’inclusione della sfera sociale tra gli obiettivi di questa. In particolare, il secondo capitolo esamina la giurisprudenza della Corte di Giustizia in relazione alle materie sociali, nonché l’inclusione dei diritti sociali nel testo della Carta dei diritti fondamentali. L’analisi si sofferma sulle tecniche normative adottate nell’area della politica sociale, evidenziando la tendenza ad un approccio di tipo “soft” piuttosto che attraverso il classico metodo comunitario. Esaurita questa analisi il terzo capitolo analizza i rapporti tra il diritto dell’Ue e quello della CEDU in materia di diritti sociali, evidenziano il diverso approccio utilizzato dalle due istanze sovranazionali nella tutela di questi diritti. Sulla base del lavoro svolto si conclude per una sostanziale mancanza di giustiziabilità dei diritti sociali in ambito dell’Unione. In particolare i punti deboli dell’Europa sociale vengono individuati in: un approccio regolativo alla dimensione sociale di tipo sempre più soft; la permanenza di alcuni deficit di competenze; la mancata indicazione di criteri di bilanciamento tra diritti sociali e libertà economiche e dalla compresenza delle due nozioni di economia sociale e di economia di mercato. Le conclusioni mostrano come l’assenza di competenze esclusive dell’Unione in materia di politica sociale non consenta una uniformazione/armonizzazione delle politiche sociali interne, che si riflette nell’incapacità dei modelli sociali nazionali di assorbire i grandi mutamenti macro economici che si sono avuti negli ultimi vent’anni, sia a livello sovranazionale che internazionale.
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L’elaborato è strutturato in quattro parti: la prima è dedicata all’inquadramento del background normativo. L’autrice affronta, con un approccio ricostruttivo, i precedenti alla redazione del regolamento e le difficoltà incontrate a causa delle resistenze degli Stati membri. Si sofferma altresì sulle norme UNCITRAL, anch’esse oggetto nel recente periodo, di numerose implementazioni. La seconda parte fotografa il ruolo della Corte di Giustizia nell’interpretazione del regolamento n. 1346/2000 ed individua i concetti fondamentali del regolamento: l’universalità attenuata, il campo di applicazione soggettivo del regolamento, la legge applicabile, il principio dell’automatico riconoscimento delle decisioni e la correlata tematica dell’ordine pubblico, nonché la figura del curatore. Si approfondisce l’attività degli Stati membri nel dotarsi di norme di coordinamento ( esemplare il caso della Spagna e della Germania) sottolineando il silenzio del legislatore italiano che, nonostante le numerose riforme in materia, a tutt’oggi non ha ideato un sistema in grado di coordinare la normativa nazionale con la struttura del regolamento europeo. Nella terza parte l'autrice approfondisce la giurisdizione nel regolamento n. 1346/2000. Si individuano le parole chiave: Comi e dipendenza, i cui significati sono sfumati seguendo le posizioni della Corte di Giustizia, (Leading Case Eurofood sino a Interedil) e si mette in discussione, nel panorama attuale, la tenuta di tali criteri giurisdizionali. Sempre intorno al concetto di Comi, si analizzano: la giurisdizione verso gruppi di imprese disciplina assente nel regolamento, i rapporti tra procedura principale e secondaria , la giurisdizione in materia di azioni connesse e/o correlate (Gourdain vs Nadler/Seagon vs Deko Marty). Il capitolo conclusivo offre una panoramica delle proposte finalizzate ad un’implementazione della struttura del regolamento sull’insolvenza. Numerose, infatti, sono le proposte a livello dottrinale e da parte degli organi comunitari in vista della scadenza del Report della Commissione Europea sulla applicazione del regolamento 1346 del 2000 (art. 46).
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Le ragioni della delocalizzazione sono molteplici e di differente natura. Si delocalizza, in primo luogo, per ragioni di stampo economico, finanziario eccetera, ma questa spinta naturale alla delocalizzazione è controbilanciata, sul piano strettamente tributario, dall’esigenza di preservare il gettito e da quella di controllare la genuinità della delocalizzazione medesima. E’ dunque sul rapporto tra “spinte delocalizzative” dell’impresa, da un lato, ed esigenze “conservative” del gettito pubblico, dall’altro, che si intende incentrare il presente lavoro. Ciò alla luce del fatto che gli strumenti messi in campo dallo Stato al fine di contrastare la delocalizzazione (più o meno) artificiosa delle attività economiche devono fare i conti con i principi comunitari introdotti con il Trattato di Roma e tratteggiati negli anni dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia. In quest’ottica, la disciplina delle CFC costituisce un ottimo punto di partenza per guardare ai fenomeni di produzione transnazionale della ricchezza e agli schemi di ordine normativo preposti alla tassazione di codesta ricchezza. Ed infatti, le norme sulle CFC non fanno altro che omogeneizzare un sistema che, altrimenti, sarebbe lasciato alla libera iniziativa degli uffici fiscali. Tale “normalizzazione”, peraltro, giustifica le esigenze di apertura che sono incanalate nella disciplina degli interpelli disapplicativi. Con specifico riferimento alla normativa CFC, assumono particolare rilievo la libertà di stabilimento ed il principio di proporzionalità anche nella prospettiva del divieto di abuso del diritto. L’analisi dunque verterà sulla normativa CFC italiana con l’intento di comprendere se codesta normativa, nelle sue diverse sfaccettature, possa determinare situazioni di contrasto con i principi comunitari. Ciò anche alla luce delle recenti modifiche introdotte dal legislatore con il d.l. 78/2009 in un quadro normativo sempre più orientato a combattere le delocalizzazioni meramente fittizie.
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La ricerca affronta in modo unitario e nell’ottica europea i multiformi fenomeni della doppia imposizione economica e giuridica, assumendo come paradigma iniziale la tassazione dei dividendi cross-border. Definito lo statuto giuridico della doppia imposizione, se ne motiva la contrarietà all’ordinamento europeo e si indagano gli strumenti comunitari per raggiungere l’obiettivo europeo della sua eliminazione. In assenza di un’armonizzazione positiva, il risultato sostanziale viene raggiunto grazie all’integrazione negativa. Si dimostra che il riserbo della Corte di Giustizia di fronte a opzioni di politica fiscale è soltanto un’impostazione di facciata, valorizzando le aperture giurisprudenziali per il suo superamento. Questi, in sintesi, i passaggi fondamentali. Si parte dall’evoluzione delle libertà fondamentali in diritti di rango costituzionale, che ne trasforma il contenuto economico e la portata giuridica, attribuendo portata costituzionale ai valori di neutralità e non restrizione. Si evidenzia quindi il passaggio dal divieto di discriminazioni al divieto di restrizioni, constatando il fallimento del tentativo di configurare il divieto di doppia imposizione come principio autonomo dell’ordinamento europeo. Contemporaneamente, però, diventa opportuno riesaminare la distinzione tra doppia imposizione economica e giuridica, e impostare un unico inquadramento teorico della doppia imposizione come ipotesi paradigmatica di restrizione alle libertà. Conseguentemente, viene razionalizzato l’impianto giurisprudenziale delle cause di giustificazione. Questo consente agevolmente di legittimare scelte comunitarie per la ripartizione dei poteri impositivi tra Stati Membri e l’attribuzione delle responsabilità per l’eliminazione degli effetti della doppia imposizione. In conclusione, dunque, emerge una formulazione europea dell’equilibrato riparto di poteri impositivi a favore dello Stato della fonte. E, accanto ad essa, una concezione comunitaria del principio di capacità contributiva, con implicazioni dirompenti ancora da verificare. Sul piano metodologico, l’analisi si concentra criticamente sull’operato della Corte di Giustizia, svelando punti di forza e di debolezza della sua azione, che ha posto le basi per la risposta europea al problema della doppia imposizione.
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La libertad de establecimiento y la movilidad de las empresas juegan un papel fundamental en el proceso comunitario de integración. Las empresas buscan nuevas formas de cooperación e integración que les permitan ocupar cuotas de mercado cada vez más importantes. De entre las modalidades de integración y cooperación que tienen a su disposición, la fusión transfronteriza de sociedades es, sin duda, una de las más relevantes. Es evidente que las fusiones de sociedades pertenecientes a Estados miembros distintos podrían tener una enorme importancia en el proceso de integración del mercado único. Sin embargo, la posibilidad de llevar a cabo con éxito una fusión transfronteriza en el ámbito comunitario era improbable hasta época reciente. Dos tipos de impedimentos la dificultaban: por una parte, obstáculos a la libertad de establecimiento por parte de los ordenamientos jurídicos de los Estados miembros; por otro, obstáculos de Derecho internacional privado. En cambio, hoy la mayor parte de estos impedimentos han sido superados gracias, en primer lugar, al progresivo reconocimiento del derecho de establecimiento de las sociedades por el Tribunal de Justicia, y en segundo, a la importante Directiva 2005/56/CE relativa a las fusiones transfronterizas de sociedades de capital. Esta Directiva impone a los Estados miembros una serie de normas de mínimos de derecho material a fin de armonizar la tutela de los intereses de los sujetos implicados más débiles (sobre todo, los trabajadores y los socios). De igual manera, establece una serie de normas de conflicto para resolver la cuestión de la ley aplicable a las fusiones transfronterizas. Este trabajo tiene como objetivo principal valorar la relevancia de los pronunciamientos del Tribunal de Justicia y de las actuaciones del legislador europeo orientados a impedir las restricciones a las fusiones transfronterizas de sociedades en el territorio comunitario.
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Conformemente ai trattati, l'UE sviluppa una politica comune in materia di asilo, immigrazione e controllo delle frontiere esterne, fondata sulla solidarietà e sul rispetto dei diritti fondamentali e, a tal fine, avvia relazioni strategiche con i Paesi terzi e le Organizzazioni internazionali. Un fenomeno “senza frontiere”, quale quello migratorio, esige del resto un'azione coerente e coordinata sia sul piano interno sia su quello esterno. La messa in atto di quest'ultima, tuttavia, si scontra con difficoltà di rilievo. Innanzitutto, l'UE e i suoi Stati membri devono creare i presupposti per l'avvio della collaborazione internazionale, vale a dire stimolare la fiducia reciproca con i Paesi terzi, rafforzando la propria credibilità internazionale. A tal fine, le istituzioni, gli organi e gli organismi dell'UE e gli Stati membri devono impegnarsi a fornire un modello coerente di promozione dei valori fondanti, quali la solidarietà e il rispetto dei diritti fondamentali, nonché a coordinare le proprie iniziative, per individuare, insieme ai Paesi terzi e alle Organizzazioni internazionali, una strategia d'azione comune. In secondo luogo, l'UE e gli Stati membri devono adottare soluzioni volte a promuovere l'efficacia della collaborazione internazionale e, più precisamente, assicurare che la competenza esterna sia esercitata dal livello di governo in grado di apportare il valore aggiunto e utilizzare la forma collaborativa di volta in volta più adeguata alla realizzazione degli obiettivi previsti. In definitiva, l'azione esterna dell'UE in materia di politica migratoria necessita di una strategia coerente e flessibile. Se oggi la coerenza è garantita dalla giustiziabilità dei principi di solidarietà, di rispetto dei diritti fondamentali e, giustappunto, di coerenza, la flessibilità si traduce nel criterio del valore aggiunto che, letto in combinato disposto con il principio di leale cooperazione, si pone al centro del nuovo modello partenariale proposto dall'approccio globale, potenzialmente idoneo a garantire la gestione efficace del fenomeno migratorio.
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La tesi affronta le problematiche fiscali della riorganizzazione societaria e la soluzione adoperata nell’Unione europea per le operazioni di carattere transfrontaliere. Si parte dalla definizione del termine “riorganizzazione societaria”, evidenziando le sue matici economiche e la varietà del suo contenuto secondo l’ordinamento giuridico e la branca del diritto di riferimento. Si prosegue sulla correlazione fra l’ampliazione del contenuto della libertà di stabilimento, dovuta maggiormente all’attività interpretativa della Corte di giustizia, e l’allargamento del concetto di riorganizzazione societaria nel quadro normativo dell’Unione. Si procede dunque all’analisi del regime fiscale comune della direttiva 2009/133/CE intravedendosi i suoi sviluppi successivi. In sede di conclusioni, si apporta un breve riassunto sullo stato della questione in Brasile e si riflette sull’attendibilità del modello impositivo dell’Unione quale parametro per una futura riforma fiscale in Brasile.
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L’armonizzazione fiscale è una importante sfida che l’Unione Europea si trova ad affrontare per la completa realizzazione del mercato interno. Le istituzioni comunitarie, tuttavia, non dispongono delle competenze legislative per intervenire direttamente negli ordinamenti tributari degli Stati membri. Svolgendo una analisi del contesto legislativo vigente, ed esaminando le prospettive de iure condendo della materia fiscale dell’Unione, il presente lavoro cerca di comprendere le prospettive di evoluzione del sistema, sia dal punto di vista della normativa fiscale sostanziale, che procedimentale. Mediante la disciplina elaborata a livello comunitario che regola la cooperazione amministrativa in materia fiscale, con particolare riferimento alle direttive relative allo scambio di informazioni e all’assistenza alla riscossione (dir. 2011/16/UE e dir. 2010/24/UE) si permette alle Amministrazioni degli Stati membri di avere accesso ai reciproci ordinamenti giuridici, e conoscerne i meccanismi. L’attuazione di tali norme fa sì che ciascun ordinamento abbia l’opportunità di importare le best practices implementate dagli altri Stati. L’obiettivo sarà quello di migliorare il proprio procedimento amministrativo tributario, da un lato, e di rendere più immediati gli scambi di informazione e la cooperazione alla riscossione, dall’altro. L’armonizzazione fiscale all’interno dell’Unione verrebbe perseguita, anziché mediante un intervento a livello europeo, attraverso un coordinamento “dal basso” degli ordinamenti fiscali, realizzato attraverso l’attività di cooperazione delle amministrazioni che opereranno su un substrato di regole condivise. La maggiore apertura delle amministrazioni fiscali dei Paesi membri e la maggiore spontaneità degli scambi di informazioni, ha una efficacia deterrente di fenomeni di evasione e di sottrazione di imposta posti in essere al fine di avvantaggiarsi delle differenze dei sistemi impositivi dei vari paesi. Nel lungo periodo ciò porterà verosimilmente, gli Stati membri a livellare i sistemi impositivi, dal momento che i medesimi non avranno più interesse ad utilizzare la leva fiscale per generare una concorrenza tra gli ordinamenti.
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Market manipulation is an illegal practice that enables a person can profit from practices that artificially raise or lower the prices of an instrument in the financial markets. Its prohibition is based on the 2003 Market Abuse Directive in the EU. The current market manipulation regime was broadly considered as a big success except for enforcement and supervisory inconsistencies in the Member States at the initial. A review of the market manipulation regime began at the end of 2007, which became quickly incorporated into the wider EU crisis-era reform program. A number of weaknesses of current regime have been identified, which include regulatory gaps caused by the development of trading venues and financial products, regulatory gaps concerning cross-border and cross-markets manipulation (particular commodity markets), legal uncertainty as a result of various implementation, and inefficient supervision and enforcement. On 12 June 2014, a new regulatory package of market abuse, Market Abuse Regulation and Directive on criminal sanctions for market abuse, has been adopted. And several changes will be made concerning the EU market manipulation regime. A wider scope of the regime and a new prohibition of attempted market manipulation will ensure the prevention of market manipulation at large. The AMPs will be subject to strict scrutiny of ESMA to reduce divergences in implementation. In order to enhance efficiency of supervision and enforcement, powers of national competent authorities will be strengthened, ESMA is imposed more power to settle disagreement between national regulators, and the administrative and criminal sanctioning regimes are both further harmonized. In addition, the protection of fundamental rights is stressed by the new market manipulation regime, and some measures are provided to guarantee its realization. Further, the success EU market manipulation regime could be of significant reference to China, helping China to refine its immature regime.