4 resultados para Cardiopatia
em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna
Resumo:
Introduction: In the last years cardiac surgery for congenital heart disease (CHD) reduced dramatically mortality modifying prognosis, but, at the same time, increased morbidity in this patient population. Respiratory and cardiovascular systems are strictly anatomically and functionally connected, so that alterations of pulmonary hemodynamic conditions modify respiratory function. While very short-term alterations of respiratory mechanics after surgery were investigated by many authors, not as much works focused on long-term changes. In these subjects rest respiratory function may be limited by several factor: CHD itself (fetal pulmonary perfusion influences vascular and alveolar development), extracorporeal circulation (CEC), thoracotomy and/or sternotomy, rib and sternal contusions, pleural adhesions and pleural fibrosis, secondary to surgical injury. Moreover inflammatory cascade, triggered by CEC, can cause endothelial damage and compromise gas exchange. Aims: The project was conceived to 1) determine severity of respiratory functional impairement in different CHD undergone to surgical correction/palliation; 2) identify the most and the least CHD involved by pulmonary impairement; 3) find a correlation between a specific hemodynamic condition and functional anomaly, and 4) between rest respiratory function and cardiopulmonary exercise test. Materials and methods: We studied 113 subjects with CHD undergone to surgery, and distinguished by group in accord to pulmonary blood flow (group 0: 28 pts with normal pulmonary flow; group 1: 22 pts with increased flow; group 2: 43 pts with decreased flow; group 3: 20 pts with total cavo-pulmonary anastomosis-TCPC) followed by the Pediatric Cardiology and Cardiac Surgery Unit, and we compare them to 37 age- and sex-matched healthy subjects. In Pediatric Pulmonology Unit all pts performed respiratory function tests (static and dynamic volumes, flow/volume curve, airway resistances-raw- and conductance-gaw-, lung diffusion of CO-DLCO- and DLCO/alveolar volume), and CHD pts the same day had cardiopulmonary test. They all were examined and had allergological tests, and respiratory medical history. Results: restrictive pattern (measured on total lung capacity-TLC- and vital capacity-VC) was in all CHD groups, and up to 45% in group 2 and 3. Comparing all groups, we found a significant difference in TLC between healthy and group 2 (p=0.001) and 3 (p=0.004), and in VC between group 2 and healthy (p=0.001) and group 1(p=0.034). Inspiratory capacity (IC) was decreased in group 2 related to healthy (p<0.001) and group 1 (p=0.037). We showed a direct correlation between TLC and VC with age at surgery (p=0.01) and inverse with number of surgical interventions (p=0.03). Reduced FEV1/FVC ratio, Gaw and increased Raw were mostly present in group 3. DLCO was impaired in all groups, but up to 80% in group 3 and 50% in group 2; when corrected for alveolar volume (DLCO/VA) reduction persisted in group 3 (20%), 2 (6.2%) and 0 (7.1%). Exercise test was impaired in all groups: VO2max and VE markedly reduced in all but especially in group 3, and VE/VCO2 slope, marker of ventilatory response to exercise, is increased (<36) in 62.5% of group 3, where other pts had anyway value>32. Comparing group 3 and 2, the most involved categories, we found difference in VO2max and VE/VCO2 slope (respectively p=0.02 and p<0.0001). We evidenced correlation between rest and exercise tests, especially in group 0 (between VO2max and FVC, FEV1, VC, IC; inverse relation between VE/VCO2slope and FVC, FEV1 and VC), but also in group 1 (VO2max and IC), group 2 (VO2max and FVC and FEV1); never in group 3. Discussion: According with literature, we found a frequent impairment of rest pulmonary function in all groups, but especially in group 2 and 3. Restrictive pattern was the most frequent alteration probably due to compromised pulmonary (vascular and alveolar) development secondary to hypoperfusion in fetal and pre-surgery (and pre-TCPC)life. Parenchymal fibrosis, pleural adhesions and thoracic deformities can add further limitation, as showed by the correlation between group 3 and number of surgical intervention. Exercise tests were limited, particularly in group 3 (complex anatomy and lost of chronotropic response), and we found correlations between rest and exercise tests in all but group 3. We speculate that in this patients hemodynamic exceeds respiratory contribution, though markedly decreased.
Resumo:
PRESUPPOSTI: Le tachicardie atriali sono comuni nei GUCH sia dopo intervento correttivo o palliativo che in storia naturale, ma l’incidenza è significativamente più elevata nei pazienti sottoposti ad interventi che prevedono un’estesa manipolazione atriale (Mustard, Senning, Fontan). Il meccanismo più frequente delle tachicardie atriali nel paziente congenito adulto è il macrorientro atriale destro. L’ECG è poco utile nella previsione della localizzazione del circuito di rientro. Nei pazienti con cardiopatia congenita sottoposta a correzione biventricolare o in storia naturale il rientro peritricuspidale costituisce il circuito più frequente, invece nei pazienti con esiti di intervento di Fontan la sede più comune di macrorientro è la parete laterale dell’atrio destro. I farmaci antiaritmici sono poco efficaci nel trattamento di tali aritmie e comportano un’elevata incidenza di effetti avversi, soprattutto l’aggravamento della disfunzione sinusale preesistente ed il peggioramento della disfunzione ventricolare, e di effetti proaritmici. Vari studi hanno dimostrato la possibilità di trattare efficacemente le IART mediante l’ablazione transcatetere. I primi studi in cui le procedure venivano realizzate mediante fluoroscopia tradizionale, la documentazione di blocco di conduzione translesionale bidirezionale non era routinariamente eseguita e non tutti i circuiti di rientro venivano sottoposti ad ablazione, riportano un successo in acuto del 70% e una libertà da recidiva a 3 anni del 40%. I lavori più recenti riportano un successo in acuto del 94% ed un tasso di recidiva a 13 mesi del 6%. Questi ottimi risultati sono stati ottenuti con l’utilizzo delle moderne tecniche di mappaggio elettroanatomico e di cateteri muniti di sistemi di irrigazione per il raffreddamento della punta, inoltre la dimostrazione della presenza di blocco di conduzione translesionale bidirezionale, l’ablazione di tutti i circuiti indotti mediante stimolazione atriale programmata, nonché delle sedi potenziali di rientro identificate alla mappa di voltaggio sono stati considerati requisiti indispensabili per la definizione del successo della procedura. OBIETTIVI: riportare il tasso di efficia, le complicanze, ed il tasso di recidiva delle procedure di ablazione transcatetere eseguite con le moderne tecnologie e con una rigorosa strategia di programmazione degli obiettivi della procedura. Risultati: Questo studio riporta una buona percentuale di efficacia dell’ablazione transcatetere delle tachicardie atriali in una popolazione varia di pazienti con cardiopatia congenita operata ed in storia naturale: la percentuale di successo completo della procedura in acuto è del 71%, il tasso di recidiva ad un follow-up medio di 13 mesi è pari al 28%. Tuttavia se l’analisi viene limitata esclusivamente alle IART il successo della procedura è pari al 100%, i restanti casi in cui la procedura è stata definita inefficace o parzialmente efficace l’aritmia non eliminata ma cardiovertita elettricamente non è un’aritmia da rientro ma la fibrillazione atriale. Inoltre, sempre limitando l’analisi alle IART, anche il tasso di recidiva a 13 mesi si abbassa dal 28% al 3%. In un solo paziente è stato possibile documentare un episodio asintomatico e non sostenuto di IART al follow-up: in questo caso l’aspetto ECG era diverso dalla tachicardia clinica che aveva motivato la prima procedura. Sebbene la diversa morfologia dell’attivazione atriale all’ECG non escluda che si tratti di una recidiva, data la possibilità di un diverso exit point del medesimo circuito o di un diverso senso di rotazione dello stesso, è tuttavia più probabile l’emergenza di un nuovo circuito di macrorientro. CONCLUSIONI: L'ablazione trancatetere, pur non potendo essere considerata una procedura curativa, in quanto non in grado di modificare il substrato atriale che predispone all’insorgenza e mantenimento della fibrillazione atriale (ossia la fibrosi, l’ipertrofia, e la dilatazione atriale conseguenti alla patologia e condizione anatomica di base)è in grado di assicurare a tutti i pazienti un sostanziale beneficio clinico. È sempre stato possibile sospendere l’antiaritmico, tranne 2 casi, ed anche nei pazienti in cui è stata documentata una recidiva al follow-up la qualità di vita ed i sintomi sono decisamente migliorati ed è stato ottenuto un buon controllo della tachiaritmia con una bassa dose di beta-bloccante. Inoltre tutti i pazienti che avevano sviluppato disfunzione ventricolare secondaria alla tachiaritmia hanno presentato un miglioramento della funzione sistolica fino alla normalizzazione o al ritorno a valori precedenti la documentazione dell’aritmia. Alla base dei buoni risultati sia in acuto che al follow-up c’è una meticolosa programmazione della procedura e una rigorosa definizione degli endpoint. La dimostrazione del blocco di conduzione translesionale bidirezionale, requisito indispensabile per affermare di aver creato una linea continua e transmurale, l’ablazione di tutti i circuiti di rientro inducibili mediante stimolazione atriale programmata e sostenuti, e l’ablazione di alcune sedi critiche, in quanto corridoi protetti coinvolti nelle IART di più comune osservazione clinica, pur in assenza di una effettiva inducibilità periprocedurale, sono obiettivi necessari per una procedura efficace in acuto e a distanza. Anche la disponibilità di moderne tecnologie come i sistemi di irrigazione dei cateteri ablatori e le metodiche di mappaggio elettroanantomico sono requisiti tecnici molto importanti per il successo della procedura.
Resumo:
La ricerca si è focalizzata su due degli aspetti di interesse odontoiatrico più diffusi: la carie dentaria e la parodontite cronica. Il problema della carie dentaria è stato studiato in una popolazione di 39 soggetti affetti da cardiopatia congenita in cui la scarsa igiene orale è fattore di rischio per problematiche di salute generale e soprattutto per lo sviluppo di endocardite infettiva. I dati osservati e confrontati con quelli di un omogeneo gruppo di controllo dimostrano che nella dentatura decidua questi bambini hanno più denti cariati, come dimostrato dalla significativa differenza dell'indice dmft. Nella dentatura permanente non si osservano differenze tra i due gruppi. La carica microbica totale rilevata nella saliva e la presenza di Streptococcus mutans non mostrano differenze tra i due gruppi. I problemi di parodontite cronica sono stati studiati in un gruppo di 352 soggetti italiani adulti in cui si è definita la prevalenza dei 6 più importanti patogeni parodontali e la possibile correlazione con parametri clinici (pus, sanguinamento al sondaggio - BOP, profondità di sondaggio della tasca parodontale – PPD). Tra le 6 specie batteriche ricercate, quello di più frequente riscontro è stato Fusobacterium nucleatum (95%), mentre quello con carica batterica più alta è stato Tannerella forsythia. La carica batterica di Porphyromonas gingivalis, Treponema denticola, Tannerella forsythia e Fusobacterium nucleatum ha mostrato una correlazione diretta con il BOP e la presenza di pus. Inoltre, si è riscontrato che la carica batterica di tutte le specie (tranne Aggregatibacterium actinomycetemcomitans) aumenta all'aumentare del PPD. Tra le variabili studiate, PPD rappresenta il più importante fattore di rischio per la presenza di parodontopatogeni, mentre BOP è un indicatore di rischio per la ricerca del complesso rosso.
Resumo:
OBIETTIVO : Quantificare le CECs/ml nei pazienti affetti da ischemia critica (IC) degli arti inferiori, eventuali correlazioni tra i fattori di rischio, lo stadio clinico con l’ aumento delle CECs. Valutare i cambiamenti strutturali (calcificazione ed infiltratto infiammatorio) e l’ angiogenesi (numero di capillari /sezione) della parete arteriosa. MATERIALI E METODI: Da Maggio 2006 ad Aprile 2008 in modo prospettico abbiamo arruolato paziente affetti da IC da sottoporre ad intervento chirurgico. In un data base abbiamo raccolto : caratteristiche demografiche, fattori di rischio, stadiazione dell'IC secondo Leriche-Fontaine (L-F), il tipo di intervento chirurgico. Per ogni paziente abbiamo effettuato un prelievo ematico di 2 ml per la quantificazione immunomagnetica delle CECs e prelievo di parete arteriosa. RISULTATI: In modo consecutivo abbiamo arruolato 33 pazienti (75.8% maschi) con età media di 71 aa (range 34-91aa), affetti da arteriopatia ostruttiva cronica periferica al IV stadio di L-F nel 84.8%, da cardiopatia ischemica cronica nel 60.6%, da ipertensione arteriosa nel 72.7% e da diabete mellito di II tipo nel 66.6%. Il valore medio di CECs/ml è risultato significativamente più elevato (p= 0.001) nei soggetti affetti da IC (CECs/ml =531.24 range 107- 3330) rispetto ai casi controllo (CECs/ml = 125.8 range 19-346 ). Le CECs/ml nei pazienti diabetici sono maggiori rispetto alle CECs/ml nei pazienti non diabetici ( 726.7 /ml vs 325.5/ml ), p< 0.05 I pazienti diabetici hanno presentato maggior incidenza di lesioni arteriose complesse rispetto ai non diabetici (66% vs 47%) e minor densità capillare (65% vs 87%). Conclusioni : Le CECs sono un marker sierologico attendibile di danno vascolare parietale, la loro quantità è maggiore nei pazienti diabetici e ipertesi. La minor capacità angiogenetica della parete arteriosa in presenza di maggior calcificazioni ed infiltrato infiammatorio nei diabetici, dimostra un danno istopatologico di parete maggiore .