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em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna


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For a long time, the work of a Franciscan Friar who had lived in Bologna and in Florence during the 13th and 14th centuries, Bartolomeo Della Pugliola, was thought to have been lost. Recent paleographic research, however, has affirmed that most of Della Pugliolas work, although mixed into other authors, is contained in two manuscripts (1994 and 3843), currently kept at University Library in Bologna. Pugliolas chronicle is central to Bolognese medieval literature, not only because it was the privileged source for the important work of Ramponis chronicle, but also because Bartolomeo della Pugliolas sources are several significant works such as Jacopo Bianchettis lost writings and Pietro and Floriano Villolas chronicle (1163-1372). Ongoing historical studies and recent discoveries enabled me to reconstruct the historical chronology of Pugliolas work as well as the Bolognese language between the 13th and 14th century The original purpose of my research was to add a linguistic commentary to the edition of the text in order to fill the gaps in medieval Bolognese language studies. In addition to being a reliable source, Pugliolas chronicle was widely disseminated and became a sort of vulgate. The tradition of chronicle, through collation, allows the study of the language from a diachronic point of view. I therefore described all the linguistics phenomena related to phonetics, morphology and syntax in Pugliolas text and I compared these results with variants in Villolas and Ramponis chronicles. I also did likewise with another chronicle by a 16th century merchant, Friano Ubaldini, that I edited. This supplement helped to complete the Bolognese language outline from the 13th to the 16th century. In order to analize the data that I collected, I tried to approach them from a sociolinguistic point of view because each author represents a different variant of the language: closer to a scripta and the Florentine the language used by Pugliola, closer to the dialect spoken in Bologna the language used by Ubaldini. Differencies in handwriting especially show the models the authors try to reproduce or imitate. The glossary I added at the end of this study can help to understand these nuances with a number of examples.

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Questa tesi di dottorato di ricerca ha come oggetto la nozione di fatto urbano elaborata e presentata da Aldo Rossi nel libro Larchitettura della citt edito nel 1966. Ne Larchitettura della citt sono molteplici le definizioni e le forme con cui enunciata la nozione di fatto urbano. Nel corso della tesi si indagato come la costruzione nel tempo di questo concetto stata preceduta da diversi studi giovanili intrapresi dal 1953, poi riorganizzati e sintetizzati a partire dal 1963 in un quaderno manoscritto dal titolo Manuale di urbanistica, in diversi appunti e in due quaderni manoscritti. Il lavoro di ricerca ha ricostruito la formulazione della nozione di fatto urbano attraverso gli scritti di Rossi. In questa direzione la rilevazione della partecipazione di Rossi a dibattiti, seminari, riviste, corsi universitari o ricerche accademiche apparsa di fondamentale importanza, per comprendere la complessit di un lavoro non riconducibile a dei concetti disciplinari, ma alla formazione di una teoria trasmissibile. Il tentativo di comprendere e spiegare la nozione di fatto urbano ha condotto ad esaminare laccezione con cui Rossi compone Larchitettura della citt, che egli stesso assimila ad un trattato. Lanalisi ha identificato come la composizione del libro non direttamente riferibile ad un uso classico della stesura editoriale del trattato, la quale ha tra i riferimenti pi noti nel passato la promozione di una pratica corretta come nel caso vitruviano o unimpalcatura instauratrice di una nuova categoria come nel caso dellAlberti. La mancanza di un sistema globale e prescrittivo a differenza dei due libri fondativi e il rimando non immediato alla stesura di un trattato classico evidente ne Larchitettura della citt. Tuttavia la possibilit di condurre la ricerca su una serie di documenti inediti ha permesso di rilevare come negli scritti a partire dal 1953, sia maturata una trattazione delle questioni centrali alla nozione di fatto urbano ricca di intuizioni, che aspirano ad unautonomia, sintetizzate, seppure in modo non sistematico, nella stesura del celebre libro. Si cos cercato di mettere in luce la precisazione nel tempo della nozione di fatto urbano e della sua elaborazione nei molteplici scritti antecedenti la pubblicazione de Larchitettura della citt, precisando come Rossi, pur costruendo su basi teoriche la nozione di fatto urbano, ne indichi una visione progressiva, ossia un uso operativo sulla citt. La ricerca si proposta come obiettivo di comprendere le radici culturali della nozione di fatto urbano sia tramite unesplorazione degli interessi di Rossi nel suo percorso formativo sia rispetto alla definizione della struttura materiale del fatto urbano che Rossi individua nelle permanenze e che alimenta nella sua definizione con differenti apporti derivanti da altre discipline. Compito di questa ricerca stato rileggere criticamente il percorso formativo compiuto da Rossi, a partire dal 1953, sottolinearne gli ambiti innovativi e precisarne i limiti descrittivi che non vedranno mai la determinazione di una nozione esatta, ma piuttosto la strutturazione di una sintesi complessa e ricca di riferimenti ad altri studi. In sintesi la tesi si compone di tre parti: 1. la prima parte, dal titolo La teoria dei fatti urbani ne Larchitettura della citt, analizza il concetto di fatto urbano inserendolo allinterno del pi generale contesto teorico contenuto nel libro Larchitettura della citt. Questo avviene tramite la scomposizione del libro, la concatenazione delle sue argomentazioni e la molteplicit delle fonti esplicitamente citate da Rossi. In questo ambito si precisa la struttura del libro attraverso la rilettura dei riferimenti serviti a Rossi per comporre il suo progetto teorico. Inoltre si ripercorre la sua vita attraverso le varie edizioni, le ristampe, le introduzioni e le illustrazioni. Infine si analizza il ruolo del concetto di fatto urbano nel libro rilevando come sia posto in un rapporto paritetico con il titolo del libro, conseguendone unaccezione di fatto da osservare assimilabile alluso proposto dalla geografia urbana francese dei primi del Novecento. 2. la seconda parte, dal titolo La formazione della nozione di fatto urbano 1953-66, dedicata alla presentazione dellelaborazione teorica negli scritti di Rossi prima de Larchitettura della citt, ossia dal 1953 al 1966. Questa parte cerca di descrivere le radici culturali di Rossi, le sue collaborazioni e i suoi interessi ripercorrendo la progressiva definizione della concezione di citt nel tempo. Si analizzato il percorso maturato da Rossi e i documenti scritti fin dagli anni in cui era studente alla Facolt di Architettura Politecnico di Milano. Emerge un quadro complesso in cui i primi saggi, gli articoli e gli appunti testimoniano una ricerca intellettuale tesa alla costruzione di un sapere sullo sfondo del realismo degli anni Cinquanta. Rossi matura infatti un impegno culturale che lo porta dopo la laurea ad affrontare discorsi pi generali sulla citt. In particolare la sua importante collaborazione con la rivista Casabella-continuit, con il suo direttore Ernesto Nathan Rogers e tutto il gruppo redazionale segnano il periodo successivo in cui compare linteresse per la letteratura urbanistica, larte, la sociologia, la geografia, leconomia e la filosofia. Seguono poi dal 1963 gli anni di lavoro insieme al gruppo diretto da Carlo Aymonino allIstituto Universitario di Architettura di Venezia, e in particolare le ricerche sulla tipologia edilizia e la morfologia urbana, che portano Rossi a compiere una sintesi analitica per la fondazione di una teoria della citt. Dallindagine si rileva infatti come gli scritti antecedenti Larchitettura della citt sviluppano lo studio dei fatti urbani fino ad andare a costituire il nucleo teorico di diversi capitoli del libro. Si racconta cos la genesi del libro, la cui scrittura si svolta nellarco di due anni, e le aspirazioni che hanno portato quello che era stato concepito come un manuale durbanistica a divenire quello che Rossi definir labbozzo di un trattato per la formulazione di una scienza urbana. 3. la terza parte, dal titolo La struttura materiale dei fatti urbani: la teoria della permanenza, indaga monograficamente lo studio della citt come un fatto materiale, un manufatto, la cui costruzione avvenuta nel tempo e del tempo mantiene le tracce. Sul tema della teoria della permanenza stato importante impostare un confronto con il dibattito vivo negli anni della ricostruzione dopo la guerra intorno ai temi delle preesistenze ambientali nella ricostruzione negli ambienti storici. Sono emersi fin da subito importanti la relazione con Ernesto Nathan Rogers, le discussioni sulle pagine di Casabella-Continuit, la partecipazione ad alcuni dibatti e ricerche. Si inoltre Rilevato luso di diversi termini mutuati dalle tesi filosofiche di alcune personalit come Antonio Banfi e Enzo Paci, poi elaborati dal nucleo redazionale di Casabella-Continuit, di cui faceva parte anche Rossi. Sono cos emersi alcuni spostamenti di senso e la formulazione di un vocabolario di termini allinterno della complessa vicenda della cultura architettonica degli anni Cinquanta e Sessanta. 1. Si poi affrontato questo tema analizzando le forme con cui Rossi presenta la definizione della teoria della permanenza e i contributi desunti da alcuni autori per la costruzione scientifica di una teoria dellarchitettura, il cui fine quello di essere trasmissibile e di offrire strumenti di indagine concreti. Questa ricerca ha permesso di ipotizzare come il lavoro dei geografi francesi della prima met del XX secolo, e in particolare il contributo pi rilevante di Marcel Pote e di Pierre Lavedan, costituiscono le fonti principali e il campo dindagine maggiormente esplorato da Rossi per definire la teoria della permanenza e i monumenti. Le permanenze non sono dunque presentate ne Larchitettura della citt come il tutto, ma emergono da un metodo che sceglie di isolare i fatti urbani permanenti, consentendo cos di compiere unipotesi su ci che resta dopo le trasformazioni continue che operano nella citt. Le fonti su cui ho lavorato sono state quelle annunciate da Rossi ne Larchitettura della citt, e pi precisamente i testi nelle edizioni da lui consultate. Anche questo lavoro ha permesso un confronto dei testi che ha fatto emergere ne Larchitettura della citt luso di termini mutuati da linguaggi appartenenti ad altre discipline e quale sia luso di concetti estrapolati nella loro interezza. Presupposti metodologici Della formulazione della nozione di fatto urbano si sono indagate loriginalit dellespressione, le connessioni presunte o contenute negli studi di Rossi sulla citt attraverso la raccolta di fonti dirette e indirette che sono andate a formare un notevole corpus di scritti. Le fonti dirette pi rilevanti sono state trovare nelle collezioni speciali del Getty Research Institute di Los Angeles in cui sono conservati gli Aldo Rossi Papers, questo archivio comprende materiali inediti dal 1954 al 1988. La natura dei materiali si presenta sotto forma di manoscritti, dattiloscritti, quaderni, documenti ciclostilati, appunti sparsi e una notevole quantit di corrispondenza. Negli Aldo Rossi Papers si trovano anche 32 dei 47 Quaderni Azzurri, le bozze de Larchitettura della citt e dell Autobiografia Scientifica. Per quanto riguarda in particolare Larchitettura della citt negli Aldo Rossi Papers sono conservati: un quaderno con il titolo Manuale durbanistica, giugno 1963, chiara prima bozza del libro, degli Appunti per libro urbanistica estate/inverno 1963, un quaderno con la copertina rossa datato 20 settembre 1964-8 agosto 1965 e un quaderno con la copertina blu datato 30 agosto 1965-15 dicembre 1965. La possibilit di accedere a questo archivio ha permesso di incrementare la bibliografia relativa agli studi giovanili consentendo di rileggere il percorso culturale in cui Rossi si formato. E cos apparsa fondamentale la rivalutazione di alcune questioni relative al realismo socialista che hanno portato a formare un pi preciso quadro dei primi scritti di Rossi sullo sfondo di un complesso scenario intellettuale. A questi testi si affiancata la raccolta delle ricerche universitarie, degli articoli pubblicati su riviste specializzate e degli interventi a dibattiti e seminari. A proposito de Larchitettura della citt si raccolta unampia letteratura critica riferita sia al testo in specifico che ad una sua collocazione nella storia dellarchitettura, mettendo in discussione alcune osservazioni che pongono Larchitettura della citt come un libro risolutivo e definitivo. Per quanto riguarda il capitolo sulla teoria della permanenza lanalisi stata svolta a partire dai testi che Rossi stesso indicava ne Larchitettura della citt rivelando i diversi apporti della letteratura urbanistica francese, e permettendo alla ricerca di precisare le relazioni con alcuni scritti centrali e al contempo colti da Rossi come opportunit per intraprendere lelaborazione dellidea di tipo. Per questultima parte si pu precisare come Rossi formuli la sua idea di tipo in un contesto culturale dove linteresse per questo tema era fondamentale. Dunque le fonti che hanno assunto maggior rilievo in questultima fase emergono da un ricco panorama in cui Rossi compie diverse ricerche sia con il gruppo redazionale di Casabella-continuit, sia allinterno della scuola veneziana negli anni Sessanta, ma anche negli studi per lILSES e per lIstituto Nazionale dUrbanistica. RESEARCH ON THE NOTION OF URBAN ARTIFACT IN THE ARCHITECTURE OF THE CITY BY ALDO ROSSI. Doctoral candidate: Letizia Biondi Tutor: Valter Balducci The present doctoral dissertation deals with the notion of urban artifact that was formulated and presented by Aldo Rossi in his book The Architecture of the City, published in 1966. In The Architecture of the City, the notion of urban artifact is enunciated through a wide range of definitions and forms. In this thesis, a research was done on how the construction of this concept over time was preceded by various studies started in 1953 during the authors youth, then re-organized and synthesized since 1963 in a manuscript titled Manual of urban planning and in two more manuscripts later on. The work of research re-constructed the formulation of the notion of urban artifact through Rossis writings. In this sense, the examination of Rossis participation in debates, seminars, reviews, university courses or academic researches was of fundamental importance to understand the complexity of a work which is not to be attributed to disciplinary concepts, but to the formulation of a communicable theory. The effort to understand and to explain the notion of urban artifact led to an examination of the meaning used by Rossi to compose The Architecture of the City, which he defines as similar to a treatise. Through this analysis, it emerged that the composition of the book is not directly ascribable to the classical use of editorial writing of a treatise, whose most famous references in the past are the promotion of a correct practice as in the case of Vitruvios treatise, or the use of a structure that introduces a new category as in the Alberti case. Contrary to the two founding books, the lack of a global and prescriptive system and the not immediate reference to the writing of a classical treatise are evident in The Architecture of the City. However, the possibility of researching on some unpublished documents allowed to discover that in the writings starting from 1953 the analysis of the questions that are at the core of the notion of urban artifact is rich of intuitions, that aim to autonomy and that would be synthesized, even though not in a systematic way, in his famous book. The attempt was that of highlighting the specification over time of the notion of urban artifact and its elaboration in the various writings preceding the publication of The Architecture of the City. It was also specified that, despite building on theoretical grounds, Rossi indicates a progressive version of the notion of urban artifact, that is a performing use in the city. The present research aims to understand the cultural roots of the notion of urban artifact in two main directions: analyzing, firstly, Rossis interests along his formation path and, secondly, the definition of material structure of an urban artifact identified by Rossi in the permanences and enriched by various contributions from other disciplines. The purpose of the present research is to revise the formation path made by Rossi in a critical way, starting by 1953, underlining its innovative aspects and identifying its describing limits, which will never lead to the formulation of an exact notion, but rather to the elaboration of a complex synthesis, enriched by references to other studies. In brief, the thesis is composed of three parts: 1. The first part, titled The Theory of urban artifacts in The Architecture of the City, analyzes the concept of urban artifact in the more general theoretical context of the book The Architecture of the City. Such analysis is done by disassembling the book, and by linking together the argumentations and the multiplicity of the sources which are explicitly quoted by Rossi. In this context, the books structure is defined more precisely through the revision of the references used by Rossi to compose his theoretical project. Moreover, the authors life is traced back through the various editions, re-printings, introductions and illustrations. Finally, it is specified which role the concept of urban artifact has in the book, pointing out that it is placed in an equal relation with the books title; by so doing, the concept of urban artifact gets the new meaning of fact to be observed, similar to the use that was suggested by the French urban geography at the beginning of the 20th century. 2. The second part, titled The formation of the notion of urban artifact 1953-66, introduces the theoretical elaboration in Rossis writings before The Architecture of the City, that is from 1953 to 1966. This part tries to describe Rossis cultural roots, his collaborations and his interests, tracing back the progressive definition of his conception of city over time. The analysis focuses on the path followed by Rossi and on the documents that he wrote since the years as a student at the Department of Architecture at the Politecnico in Milan. This leads to a complex scenario of first essays, articles and notes that bear witness to the intellectual research aiming to the construction of a knowledge on the background of the Realism of the 1950s. Rossi develops, in fact, a cultural engagement that leads him after his studies to deal with more general issues about the city. In particular, his important collaboration with the architecture magazine Casabella-continuit, with the director Ernesto Nathan Rogers and with the whole redaction staff mark the following period when he starts getting interested in city planning literature, art, sociology, geography, economics and philosophy. Since 1963, Rossi has worked with the group directed by Carlo Aymonino at the Istituto Universitario di Architettura (University Institute of Architecture) in Venice, especially researching on building typologies and urban morphology. During these years, Rossi elaborates an analytical synthesis for the formulation of a theory about the city. From the present research, it is evident that the writings preceding The Architecture of the City develop the studies on urban artifacts, which will become theoretical core of different chapters of the book. In conclusion, the genesis of the book is described; written in two years, what was conceived to be an urban planning manual became a treatise draft for the formulation of an urban science, as Rossi defines it. 3. The third part is titled The material structure of urban artifacts: the theory of permanence. This research is made on the study of the city as a material fact, a manufacture, whose construction was made over time, bearing the traces of time. As far as the topic of permanence is concerned, it was also important to draw a comparison with the debate about the issues of environmental pre-existence of re-construction in historical areas, which was very lively during the years of the Reconstruction. Right from the beginning, of fundamental importance were the relationship with Ernesto Nathan Rogers, the discussions on the pages of Casabella-Continuit and the participation to some debates and researches. It is to note that various terms were taken by the philosophical thesis by some personalities such as Antonio Banfi and Enzo Paci, and then re-elaborated by the redaction staff at Casabella-Continuit, which Rossi took part in as well. Through this analysis, it emerged that there were some shifts in meaning and the formulation of a vocabulary of terms within the complex area of the architectonic culture in the 1950s and 1960s. Then, I examined the shapes in which Rossi introduces the definition of the theory of permanence and the references by some authors for the scientific construction of an architecture theory whose aim is being communicable and offering concrete research tools. Such analysis allowed making a hypothesis about the significance for Rossi of the French geographers of the first half of the 20th century: in particular, the work by Marcel Pote and by Pierre Lavedan is the main source and the research area which Rossi mostly explored to define the theory of permanence and monuments. Therefore, in The Architecture of the City, permanencies are not presented as the whole, but they emerge from a method which isolates permanent urban artifacts, in this way allowing making a hypothesis on what remains after the continuous transformations made in the city. The sources examined were quoted by Rossi in The Architecture of the City; in particular I analyzed them in the same edition which Rossi referred to. Through such an analysis, it was possible to make a comparison of the texts with one another, which let emerge the use of terms taken by languages belonging to other disciplines in The Architecture of the City and which the use of wholly extrapolated concepts is. Methodological premises As far as the formulation of the notion of urban artifact is concerned, the analysis focuses on the originality of the expression, the connections that are assumed or contained in Rossis writings about the city, by collecting direct and indirect sources which formed a significant corpus of writings. The most relevant direct sources were found in the special collections of the Getty Research Institute in Los Angeles, where the Aldo Rossi Papers are conserved. This archive contains unpublished material from 1954 to 1988, such as manuscripts, typescripts, notebooks, cyclostyled documents, scraps and notes, and several letters. In the Aldo Rossi Papers there are also 32 out of the 47 Light Blue Notebooks (Quaderni Azzurri), the rough drafts of The Architecture of the City and of the A Scientific Autobiography. As regards The Architecture of the City in particular, the Aldo Rossi Papers preserve: a notebook by the title of Urban planning manual, June, 1963, which is an explicit first draft of the book; Notes for urban planning book summer/winter 1963; a notebook with a red cover dated September 20th, 1964 August 8th, 1965; and a notebook with a blue cover dated August 30th, 1965 December 15th, 1965. The possibility of accessing this archive allowed to increase the bibliography related to the youth studies, enabling a revision of the cultural path followed by Rossis education. To that end, it was fundamental to re-evaluate some issues linked to the socialist realism which led to a more precise picture of the first writings by Rossi against the background of the intellectual scenario where he formed. In addition to these texts, the collection of university researches, the articles published on specialized reviews and the speeches at debates and seminars were also examined. About The Architecture of the City, a wide-ranging critical literature was collected, related both to the text specifics and to its collocation in the story of architecture, questioning some observations which define The Architecture of the City as a conclusive and definite book. As far as the chapter on the permanence theory is concerned, the analysis started by the texts that Rossi indicated in The Architecture of the City, revealing the different contributions from the French literature on urban planning. This allowed to the present research a more specific definition of the connections to some central writings which, at the same time, were seen by Rossi as an opportunity to start up the elaboration of the idea of type. For this last part, it can be specified that Rossi formulates his idea of type in a cultural context where the interest in this topic was fundamental. Therefore, the sources which played a central role in this final phase emerge from an extensive panorama in which Rossi researched not only with the redaction staff at Casablanca-continuit and within the School of Venice in the 1960s, but also in his studies for the ILSES (Institute of the Region Lombardia for Economics and Social Studies) and for the National Institute of Urban Planning.

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In the whole of Europe the most important composer of concertos for two violins is indubitably Vivaldi (1678-1741), who produced almost thirty works of this type during almost the full length of his creative career. The dissertation examines this particular side of Vivaldis activity, starting with an examination of the concerto in Rome, Bologna, and Venice at the turn of the seventeenth and eighteenth centuries. The aspects investigated include the conceptual origins of the double concerto for two violins in Vivaldi, the nature, distribution and interrelationship of their sources (particular attention being given to compositional revisions in the autograph manuscripts) and an analysis of the works themselves that takes in form, tonal structure, technical-instrumental character and performance practice. The concertos that have come down in particularly problematic non-autograph sources are discussed in detail and presented in critical editions. A reconstruction is offered of the two works (RV 520 and 526) that have survived only in incomplete form, lacking the part of the first soloist. The concertos for two violins composed in Germany by Telemann and J. S. Bach, the contemporaries of Vivaldi who paid greatest attention to the double concerto genre, are then described and analysed. The thesis ends with a complete list of modern editions of Vivaldis concertos for two violins and a select discography.

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Introduction: Transjugular intrahepatic porto-systemic shunt (TIPS) is an accepted indication for treating refractory ascites. Different models have been proposed for the prediction of survival after TIPS; aim of present study was to evaluate the factors associated with mortality after TIPS for refractory ascites. Methods: Seventy-three consecutive patients undergoing a TIPS for refractory ascites in our centre between 2003 and 2008, were prospectively recorded in a database ad were the subject of the study. Mean follow-up was 172 months. Forty patients were awaiting liver transplantation (LT) and 12 (16.4%) underwent LT during follow-up. Results: Mean MELD at the moment of TIPS was 15.75.3. Overall mortality was 23.3% (n=17) with a mean survival after TIPS of 1714 months. MELD score (B=0.161, p=0.042), AST (B= 0.020, p=0.090) and pre-TIPS HVPG (B=0.016, p=0.093) were independent predictors of overall mortality. On multivariate analysis MELD (B=0.419, p=0.018) and pre-TIPS HVPG (B=0.223, p=0.060) independently predicted 1 year survival. Patients were stratified into categories of death risk, using ROC curves for the variables MELD and HVPG. Patients with MELD<10 had a low probability of death after TIPS (n=6, 16% mortality); patients with HVPG <16 mmHg (n=6) had no mortality. Maximum risk of death was found in patients with MELD score 19 (n=16, 31% mortality) and in those with HVPG 25 mmHg (n=27, 26% mortality). Conclusions: TIPS increases overall survival in patients with refractory ascites. Liver function (assessed by MELD), necroinflammation (AST) and portal hypertension (HVPG) are independent predictors of survival; patients with MELD>19 and HVPG>25 mmHg are at highest risk of death after TIPS

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Il lavoro tratta della produzione miniata a Bologna sotto la signoria dei Bentivoglio, tra il quinto decennio del Quattrocento ed il secondo decennio del secolo successivo.

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Aureliano Fernandez-Guerra is known especially among Quevedos scholars because he published the first complete edition of Quevedos works. Few people know his plays and, for this reason, they have never been studied. These plays were written during his youth, when Fernndez-Guerra hadnt decided anything about his career yet. Therefore, these plays were always very important for him and, for this reason, he continued to correct and to revise them. Among them, the unpublished drama La hija de Cervantes (1840) was considered the most important play. In this doctoral thesis I have tried to describe this Spanish author, especially focusing on theatre. In the first part I wrote about the life and the literary works, giving particularly importance to his plays that are La pea de los enamorados (1939), La hija de Cervantes (1840), Alonso Cano (1842) and La Ricahembra (1845), this last one written in collaboration with Manuel Tamayo y Baus, another important and famous playwright. In the second part I deepened the study of La hija de Cervantes because it is a particular interesting drama: Aureliano Fernndez-Guerra chose to represent the author of the Quixote as a character of his drama, especially dramatizing the most mysterious moments of his life, such as the Gaspar de Ezpeletas murder, his relationship with his daughter Isabel de Saavedra and his supposed love for a woman, whose existence his unknown. Besides, this drama is interesting because it is partially autobiographic: I found several letters and articles where it is emphasized the similarities between Cervantes and Aurelianos life: both feel misunderstood and not appreciated by other people and both had to renounce a big love. In the final part I presented the critical edition of La hija de Cervantes based on the last three manuscripts that are today at the Institut de Teatre in Barcelona. A wide philological note shows the transcription criterions.

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La ricerca dedicata allo studio propedeutico ad una nuova edizione critica del primo dei Libri medicinales di Aezio Amideno, medico vissuto nel VI secolo e attivo alla corte di Costantinopoli. Sono stati oggetto principale di studio 35 manoscritti contenenti, in parte o integralmente, il primo libro di Aezio; la collazione ha permesso di individuare numerosi codices descripti e soprattutto di procedere ad una nuova classificazione dei codici. Riguardo alla modalit di utilizzo delle fonti da parte di Aezio si potuto non solo accertare luso indiretto del testo galenico ed escludere la mediazione di Oribasio, ma sono state individuate nuove fonti, oltre a quelle tradizionalmente conosciute. Per la prima volta sono stati presi in esame sia il commento di Cristobal de Horozco ai sedici libri di Aezio che la traduzione latina di Giovanbattista Montano. Presente infine un saggio di edizione dei capitoli 1-10 e 124 delledizione Olivieri, il testo proposto presenta significative differenze rispetto a quello edito nel CMG.

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La tesi dedicata alla personalit artistica dellIllustratore, tra i protagonisti della miniatura bolognese degli anni trenta e quaranta del Trecento, cos felicemente soprannominato da Roberto Longhi. Dopo un capitolo dedicato alla vicenda critica dellartista, la tesi affronta il percorso artistico dellIllustratore nellambito della decorazione libraria bolognese del secondo quarto del XIV secolo. Ho trattato le opere attribuite alIllustratore insieme agli esempi contemporanei della miniatura bolognese, in modo da far emergere il ruolo di questo maestro nelle relazioni con il contesto cittadino. Nella successione cronologica dei manoscritti, emerge un nuovo sconvolgimento caotico che scardina lordine spaziale e compositivo delle opere iniziali debitrici del giottismo del Maestro del 1328. Il capitolo si conclude con alcune osservazioni sui rapporti tra il maestro e i suoi aiuti e sul rapporto con Buffalmacco. In questo capitolo sono inoltre presentate due nuove attribuzioni. Gli ultimi due capitoli sono un approfondimento sullinterazione tra il linguaggio figurativo dellartista e la funzione dellimmagine quale forma di comunicazione visiva in stretta relazione con i testi scritti che accompagnano e sui caratteri della committenza, l dove possibile definirli. La prima parte del terzo capitolo dedicata allillustrazione dei libri legales, mentre nella seconda parte si tratta di un caso particolare, le iniziali istoriate dellInferno e del Purgatorio di Dante Alighieri della Biblioteca Riccardiana di Firenze (ms. 1005), per molti aspetti riconducibili allillustrazione giuridica. La mia intenzione in questo capitolo di verificare come il caratteristico linguaggio narrativo espressivo e diretto dellIllustratore abbia risposto alla funzione delle immagini dipinte nei codici giuridici di offrire una struttura materiale alla memorizzazione visiva per via di luoghi e figure dei contenuti di studio del diritto comune. In appendice alla tesi si trova un catalogo dei manoscritti decorati da miniature dellIllustratore, comprensivo anche di una sezione per le opere di dubbia o erronea attribuzione.

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The focus of this study is the relationship among three different manuscripts (Modena, Bibl. Estense, MS .R.4.4; Firenze, Bibl. Laurenziana MS Rediano 9; and London, BL, MS Harley, 2253) and the poetry they transmit. The aim of this research is to show the ways that the Bible was used in the transmission of the lyric poetry in the three literatures that they represent: Occitan (primarily through Marcabrus songs), Italian (through the love poetry of Guittone dArezzo), and Middle English (through the Harley love lyrics and the MS.s primary scribe), in a medieval European context.

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L'inno dedicato ai sette Amesha Spta parte della produzione avestica recenziore, e si compone in gran parte di porzioni testuali riprese da altri testi avestici a loro volta di formazione tardiva. Lo Yat si divide in tre parti principali: le stanze 0-10; 11-14; e infine la stanza 15 che comprende la formula di chiusura tipica degli inni avestici. La prima sezione (2.0-10) composta dalla formula di apertura, incompleta rispetto a quelle dei restanti inni, seguita dai primi sette capitoli di entrambi i Sh-rzag compresi i Gh. Le stanze centrali (11-14) si caratterizzano per l'assenza di passi gemelli, un elevato numero di hapax e di arcaismi formali e inoltre, una grande variabilit nella tradizione manoscritta. Si tratta di una formula magica per esorcizzare/allontanare demoni e stregoni, che doveva essere recitata per sette volte. Tale formula probabilmente rappresentava in origine un testo autonomo che veniva recitato assieme ad altri testi avestici. La versione a noi pervenuta comprende la recitazione di parte di entrambi i Sh-rzag, ma molto probabile che tale arrangement sia soltanto una sequenza recitativa che doveva coesistere assieme ad altre. Attualmente la formula magica viene recitata principalmente assieme allo Yasna Haptahiti, senza le restanti stanze dell'inno nella sua versione geldneriana. Il testo sembra nascere come formula magica la quale venne recitata assieme a diversi testi avestici come per esempio parti dello Sh-rzag. In un periodo impossibile da stabilire con certezza la versione viene fissata nella forma a noi pervenuta nella maggior parte dei manoscritti e per la sua affinit formale probabilmente interpretato come inno e perci incluso nell'innario avestico.

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Agostino Mitelli (1609-1660) una figura centrale nella vicenda artistica bolognese. Rinnova profondamente la quadratura, genere in cui opera maggiormente, e diventa il principale riferimento per le generazioni successive. Infatti ha un grande numero di allievi che si fanno interpreti del suo stile e le sue opere continuano ad essere studiate fino a Settecento inoltrato. Nel suo lavoro accorda una grande importanza al mezzo grafico, in cui eccelle e che considera strumento di verifica ed esercizio. Questa predilezione influenza anche i suoi seguaci: dopo la sua morte i suoi disegni diventano molto ricercati e vengono impiegati come repertori di soluzioni di quadratura ed elementi decorativi. Sono essi stessi strumento di studio e infatti ci pervenuto un grande numero di copie ed esercizi in stile mitelliano. L'analisi sistematica di questo materiale anonimo e poco studiato mi ha permesso di individuare alcune delle personalit di maggiore spicco tra i suoi seguaci, quali Domenico Santi, Giacomo Antonio Mannini e Marc'Antonio Chiarini. Per valutare l'influenza dell'opera di Agostino presso le generazioni successive centrale anche la produzione calcografica che analizzo a partire dalle quattro serie di elementi di ornato che egli stesso d alle stampe e che riscuotono molto successo, come provano le numerose ristampe, anche francesi. Dopo la sua morte vengono incise diverse imprese che si riallacciano al suo operato: la prima quella del figlio Giuseppe Maria Mitelli che pubblica alcuni suoi disegni. Seguono le serie di Santi, Buffagnotti, Mannini, Chiarini e diversi altri che comprendono anche quadratura e veduta e che spesso sono state riassemblate da editori e collezionisti. Anche le fonti affrontano la questione della dipendenza delle successive generazioni dagli stilemi di Agostino Mitelli, oltre a quelle a stampa ho studiato approfonditamente i manoscritti inediti dell'altro figlio di Agostino, Giovanni Mitelli, che forniscono molte nuove notizie.

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La ricerca consiste nelledizione e traduzione del trattato Practica musice di Franchino Gaffurio corredata da apparati critici e storico-contestuali. Si inizia con la biografia dellautore redatta secondo gli ultimi dati disponibili e si presenta una esposizione del contenuto del trattato con proposte di chiarimenti dei passi pi oscuri. Segue quindi uno studio dei cambiamenti intercorsi tra le parti del trattato come trasmesse nei manoscritti preparatori e la sua versione finale a stampa, seguito da una indagine sulle edizioni successive alleditio princeps, con tabelle sulle varianti tra le edizioni. Vengono quindi offerte la trascrizione interpretativa del testo latino del trattato (che pu essere considerata la pi corretta attualmente disponibile ed lunica a riportare numeri di partizione testuale) seguita dalla sua traduzione in italiano, con trascrizione degli esempi musicali. Il trattato, diviso in quattro libri, ha per argomenti rispettivamente il cantus planus e le scale modali gregoriane, la musica misurata e le figure della notazione, larte del contrappunto e la pi ampia casistica disponibile sulle proporzioni ritmiche.

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Oggetto di questa tesi lanalisi delle modalit di rappresentazione del trauma nel romanzo del Novecento e, in particolare, nelle opere di Samuel Beckett, Georges Perec e Agota Kristof. Fondamento dello studio sar una disamina dei procedimenti linguistici e narrativi di rappresentazione del trauma nelle prose degli autori citati, al fine tracciare le linee di unestetica in grado di descrivere le caratteristiche peculiari delle narrazioni in cui la dimensione antinarrativa della memoria traumatica assume il ruolo di principio estetico guida. Lanalisi si soffermer sulla cruciale relazione esistente, in tutti e tre gli autori, tra rappresentazione del trauma e sviluppo di strategie narrativi definibili come denegative. Lanalisi dei testi letterari condotta sulla base del corpus critico dei Trauma Studies, dellermeneutica della narrazione di stampo ricuriano e della teoria del linguaggio psicoanalitica e affiancata, ove possibile, da uno studio filologico-genetico dei materiali dautore. Alla luce di tali premesse, intendo rivalutare il carattere rappresentativo e testimoniale della letteratura del secolo scorso, in contrasto con la consuetudine a vedere nel romanzo novecentesco il trionfo dellantimimesi e il declino del racconto. Dal momento che le narrazioni traumatiche si costruiscono intorno e attraverso i vuoti di linguaggio, la tesi che siano proprio questi vuoti linguistici e narrativi (amnesie, acronie, afasie, lapsus, omissioni e mancanze ancora pi sofisticate come nel caso di Perec) a rappresentare, in modo mimetico, la realt apparentemente inaccessibile del trauma. Si tenter di dimostrare come questi nuovi canoni di rappresentazione non denuncino limpossibilit del racconto, bens una sfida al silenzio, celata in pi sottili e complesse convenzioni narrative, le quali mantengono un rapporto di filiazione indiretto per una via che potremmo definire denegativa con quelle del romanzo tradizionale.

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La tesi ha per oggetto la cultura ebraica cretese nei secoli XIV-XVI e, in particolare, linflusso esercitato su di essa dalla cultura e dalle tradizioni degli ebrei sefarditi e ashkenaziti che cominciarono a stabilirsi sullisola a partire dalla met del Trecento. La tesi si basa da un lato su fonti amministrative e notarili e, dallaltro, sui manoscritti ebraici prodotti o portati a Candia nel periodo considerato. Il primo capitolo tratta della comunit ebraica nel primo Cinquecento e porta nuove notizie a proposito della geografia della zudeca, delle sue sinagoghe, della sua composizione sociale, dellentit della sua popolazione e della biografia del principale leader spirituale e culturale attivo a Candia a quellepoca: Elia Capsali. Il secondo capitolo offre una panoramica sullimmigrazione ebraica a Candia nei secoli XIV-XV. Il terzo capitolo esplora alcune particolarit della liturgia sinagogale elaborata dagli ebrei candioti sotto linflusso della tradizione ashkenazita. Il quarto capitolo tratta di due liste di libri databili alla seconda met del Quattrocento (Bologna, Biblioteca Universitaria, ms. 3574 B) e suggerisce di considerarle come indicative del peso che ebbero alcuni immigrati ebrei catalani nella diffusione della cultura medica sefardita a Candia. Il quinto capitolo dedicato al medico, filosofo e astronomo Mosheh ben Yehudah Galiano, il quale visse a Candia tra la seconda met degli anni Venti del Cinquecento e il 1543. Lultimo capitolo tratta degli effetti provocati dallepidemia di peste del 1592-95 allinterno della zudeca di Candia.