264 resultados para cambiamento organizzativo, riprogettazione dei processi aziendali, ERP, BPR, Business Net
Resumo:
La mostra è diventata un nuovo paradigma della cultura contemporanea. Sostenuta da proprie regole e da una grammatica complessa produce storie e narrazioni. La presente ricerca di dottorato si struttura come un ragionamento critico sulle strategie del display contemporaneo, tentando di dimostrare, con strumenti investigativi eterogenei, assumendo fonti eclettiche e molteplici approcci disciplinari - dall'arte contemporanea, alla critica d'arte, la museologia, la sociologia, l'architettura e gli studi curatoriali - come il display sia un modello discorsivo di produzione culturale con cui il curatore si esprime. La storia delle esposizioni del XX secolo è piena di tentativi di cambiamento del rapporto tra lo sviluppo di pratiche artistiche e la sperimentazione di un nuovo concetto di mostra. Nei tardi anni Sessanta l’ingresso, nella scena dell’arte, dell’area del concettuale, demolisce, con un azzeramento radicale, tutte le convenzioni della rappresentazione artistica del dopoguerra, ‘teatralizzando’ il medium della mostra come strumento di potere e introducendo un nuovo “stile di presentazione” dei lavori, un display ‘dematerializzato” che rovescia le classiche relazioni tra opera, artista, spazio e istituzione, tra un curatore che sparisce (Siegelaub) e un curatore super-artista (Szeemann), nel superamento del concetto tradizionale di mostra stessa, in cui il lavoro del curatore, in quanto autore creativo, assumeva una propria autonomia strutturale all’interno del sistema dell’arte. Lo studio delle radici di questo cambiamento, ossia l’emergere di due tipi di autorialità: il curatore indipendente e l’artista che produce installazioni, tra il 1968 e il 1972 (le mostre di Siegelaub e Szeemann, la mimesi delle pratiche artistiche e curatoriali di Broodthaers e la tensione tra i due ruoli generata dalla Critica Istituzionale) permette di inquadrare teoricamente il fenomeno. Uno degli obbiettivi della ricerca è stato anche affrontare la letteratura critica attraverso una revisione/costruzione storiografica sul display e la storia delle teorie e pratiche curatoriali - formalizzata in modo non sistematico all'inizio degli anni Novanta, a partire da una rilettura retrospettiva della esperienze delle neoavanguardie – assumendo materiali e metodologie provenienti, come già dichiarato, da ambiti differenti, come richiedeva la composizione sfaccettata e non fissata dell’oggetto di studio, con un atteggiamento che si può definire comparato e post-disciplinare. Il primo capitolo affronta gli anni Sessanta, con la successione sistematica dei primi episodi sperimentali attraverso tre direzioni: l’emergere e l’affermarsi del curatore come autore, la proliferazione di mostre alternative che sovvertivano il formato tradizionale e le innovazioni prodotte dagli artisti organizzatori di mostre della Critica Istituzionale. Esponendo la smaterializzazione concettuale, Seth Siegelaub, gallerista, critico e impresario del concettuale, ha realizzato una serie di mostre innovative; Harald Szeemann crea la posizione indipendente di exhibition maker a partire When attitudes become forms fino al display anarchico di Documenta V; gli artisti organizzatori di mostre della Critica Istituzionale, soprattutto Marcel Broodhthears col suo Musée d’Art Moderne, Départment des Aigles, analizzano la struttura della logica espositiva come opera d’arte. Nel secondo capitolo l’indagine si sposta verso la scena attivista e alternativa americana degli anni Ottanta: Martha Rosler, le pratiche community-based di Group Material, Border Art Workshop/Taller de Arte Fronterizo, Guerrilla Girls, ACT UP, Art Workers' Coalition che, con proposte diverse elaborano un nuovo modello educativo e/o partecipativo di mostra, che diventa anche terreno del confronto sociale. La mostra era uno svincolo cruciale tra l’arte e le opere rese accessibili al pubblico, in particolare le narrazioni, le idee, le storie attivate, attraverso un originale ragionamento sulle implicazioni sociali del ruolo del curatore che suggeriva punti di vista alternativi usando un forum istituzionale. Ogni modalità di display stabiliva relazioni nuove tra artisti, istituzioni e audience generando abitudini e rituali diversi per guardare la mostra. Il potere assegnato all’esposizione, creava contesti e situazioni da agire, che rovesciavano i metodi e i formati culturali tradizionali. Per Group Material, così come nelle reading-room di Martha Rosler, la mostra temporanea era un medium con cui si ‘postulavano’ le strutture di rappresentazione e i modelli sociali attraverso cui, regole, situazioni e luoghi erano spesso sovvertiti. Si propongono come artisti che stanno ridefinendo il ruolo della curatela (significativamente scartano la parola ‘curatori’ e si propongono come ‘organizzatori’). La situazione cambia nel 1989 con la caduta del muro di Berlino. Oltre agli sconvolgimenti geopolitici, la fine della guerra fredda e dell’ideologia, l’apertura ai flussi e gli scambi conseguenti al crollo delle frontiere, i profondi e drammatici cambiamenti politici che coinvolgono l’Europa, corrispondono al parallelo mutamento degli scenari culturali e delle pratiche espositive. Nel terzo capitolo si parte dall’analisi del rapporto tra esposizioni e Late Capitalist Museum - secondo la definizione di Rosalind Krauss - con due mostre cruciali: Le Magiciens de la Terre, alle origini del dibattito postcoloniale e attraverso il soggetto ineffabile di un’esposizione: Les Immatériaux, entrambe al Pompidou. Proseguendo nell’analisi dell’ampio corpus di saggi, articoli, approfondimenti dedicati alle grandi manifestazioni internazionali, e allo studio dell’espansione globale delle Biennali, avviene un cambiamento cruciale a partire da Documenta X del 1997: l’inclusione di lavori di natura interdisciplinare e la persistente integrazione di elementi discorsivi (100 days/100 guests). Nella maggior parte degli interventi in materia di esposizioni su scala globale oggi, quello che viene implicitamente o esplicitamente messo in discussione è il limite del concetto e della forma tradizionale di mostra. La sfida delle pratiche contemporanee è non essere più conformi alle tre unità classiche della modernità: unità di tempo, di spazio e di narrazione. L’episodio più emblematico viene quindi indagato nel terzo capitolo: la Documenta X di Catherine David, il cui merito maggiore è stato quello di dichiarare la mostra come format ormai insufficiente a rappresentare le nuove istanze contemporanee. Le quali avrebbero richiesto - altrimenti - una pluralità di modelli, di spazi e di tempi eterogenei per poter divenire un dispositivo culturale all’altezza dei tempi. La David decostruisce lo spazio museale come luogo esclusivo dell’estetico: dalla mostra laboratorio alla mostra come archivio, l’evento si svolge nel museo ma anche nella città, con sottili interventi di dissimulazione urbana, nel catalogo e nella piattaforma dei 100 giorni di dibattito. Il quarto capitolo affronta l’ultima declinazione di questa sperimentazione espositiva: il fenomeno della proliferazione delle Biennali nei processi di globalizzazione culturale. Dalla prima mostra postcoloniale, la Documenta 11 di Okwui Enwezor e il modello delle Platforms trans-disciplinari, al dissolvimento dei ruoli in uno scenario post-szeemanniano con gli esperimenti curatoriali su larga scala di Sogni e conflitti, alla 50° Biennale di Venezia. Sono analizzati diversi modelli espositivi (la mostra-arcipelago di Edouard Glissant; il display in crescita di Zone of Urgency come estetizzazione del disordine metropolitano; il format relazionale e performativo di Utopia Station; il modello del bric à brac; la “Scuola” di Manifesta 6). Alcune Biennali sono state sorprendentemente autoriflessive e hanno consentito un coinvolgimento più analitico con questa particolare forma espressiva. Qual è l'impatto sulla storia e il dibattito dei sistemi espositivi? Conclusioni: Cos’è la mostra oggi? Uno spazio sotto controllo, uno spazio del conflitto e del dissenso, un modello educativo e/o partecipativo? Una piattaforma, un dispositivo, un archivio? Uno spazio di negoziazione col mercato o uno spazio di riflessione e trasformazione? L’arte del display: ipotesi critiche, prospettive e sviluppi recenti.
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La ricerca oggetto della tesi dottorale ha riguardato l’analisi della problematica relativa ai cambiamenti provocati dalla diversificazione delle attività aziendali bancarie nell'ottica tributaria. Si è individuato nella composizione del reddito imponibile il fulcro centrale del lavoro. Data la grande importanza del mercato finanziario la presente ricerca si è proposta una valutazione dell’attività bancaria tradizionale, facendo un’analisi della relativa fiscalità. In particolare si è cercato di evidenziare il momento in cui la banca è diventata un’azienda molto più complessa e moderna di quella che era originariamente. Tale cambiamento ha così richiesto un corrispondente sviluppo della tecnica giuridica tributaria di riferimento. Si sono altresì analizzate le fasi della implementazione e dello sviluppo nell’ordinamento tributario italiano ed europeo (analizzando così le difficoltà di adattamento per i modelli di Civil Law e Common Law) dell'armonizzazione giuridico/contabile europea e dell’adozione dei principi IAS/IFRS. A tal fine si sono ripercorse le fasi anteriori all’adozione dei menzionati principi e la loro evoluzione e, nel farlo, si sono fissati i punti ove sembra sia necessario un ripensamento da parte del legislatore comunitario. Il tutto è stato sviluppato senza trascurare la giurisprudenza nazionale e della Corte di Giustizia europea, in modo tale da tentare di individuare le soluzioni alle nuove sfide che il diritto tributario comunitario si trova a fronteggiare.
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Gli impianti di incenerimento di rifiuti solidi suscitano preoccupazione nella popolazione per i possibili effetti avversi associati all’esposizione. Gli effetti delle polveri sottili (PM2.5), generate dai processi di combustione, sulla salute umana includono l’insorgenza di patologie a carico del sistema respiratorio e cardiovascolare e l’aumento della mortalità per malattie polmonari e probabilmente cancro al polmone. Lo scopo della tesi è quello di valutare il profilo tossicologico e cancerogeno del particolato atmosferico in prossimità dell’inceneritore di Bologna rispetto alle aree adiacenti mediante l’utilizzo di test alternativi alle metodologie in vivo, come il test di trasformazione cellulare e approcci di tossicogenomica (soprattutto trascrittomica) oltre alla valutazione della variazione del rischio cancerogeno indotto dall’esposizione di PM2.5 in diversi siti (massima ricaduta, controllo, fondo urbano e fondo rurale) e in differenti periodi di campionamento (estate 2008 e inverno 2009). Gli estratti di PM2.5 relativi alla stagione invernale sono risultati più tossici rispetto ai campioni estivi, che inducono tossicità soprattutto alle alte dosi. Per i campioni invernali il numero medio di colonie di cellule BALB/c 3T3 A31-1-1 risulta ridotto in modo significativo anche per le dosi più basse saggiate indipendentemente dal sito di provenienza. Tutti i campioni analizzati sono risultati negativi nel test di trasformazione cellulare in vitro. L’analisi dell’espressione genica delle cellule BALB/c 3T3 A31-1-1, in seguito all’esposizione agli estratti di PM2.5, ha mostrato un effetto stagionale evidente. Relativamente ai campioni invernali è stato evidenziato un maggior effetto tossico da parte del sito di controllo rispetto alla massima ricaduta, poiché nel sito di controllo risultano attivati marcatori di morte cellulare per apoptosi. La valutazione del rischio cancerogeno in tutti i siti valutati non mostra situazioni preoccupanti legate alla predizione di eccessi di rischio di tumori imputabili all’attività dell’inceneritore in quanto le stime di rischio non eccedono mai il valore limite riportato in letteratura.
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La dermoscopia, metodica non invasiva, di pratico utilizzo e a basso costo si è affermata negli ultimi anni come valido strumento per la diagnosi e il follow up delle lesioni cutanee pigmentate e non pigmentate. La presente ricerca è stata incentrata sullo studio dermoscopico dei nevi melanocitici a localizzazione palmo-plantare, acquisiti e congeniti, in età pediatrica: a questo scopo sono state analizzate le immagini dei nevi melanocitici acrali nei pazienti visitati c/o l’ambulatorio di Dermatologia Pediatrica del Policlinico Sant’Orsola Malpighi dal 2004 al 2011 per definire i principali pattern dermoscopici rilevati ed i cambiamenti osservati durante il follow up videodermatoscopico. Nella nostra casistica di immagini dermoscopiche pediatriche abbiamo notato un cambiamento rilevante (inteso come ogni modificazione rilevata tra il pattern demoscopico osservato al baseline e i successivi follow up) nell’88,6% dei pazienti ed in particolare abbiamo osservato come in un’alta percentuale di pazienti (80%), si sia verificato un vero e proprio impallidimento del nevo melanocitico e in un paziente è stata evidenziata totale regressione dopo un periodo di tempo di 36 mesi. E’ stato interessante notare come l’impallidimento della lesione melanocitaria si sia verificata per lo più in sedi sottoposte ad una sollecitazione meccanica cronica, come la pianta del piede e le dita (di mani e piedi), facendoci ipotizzare un ruolo del traumatismo cronico nelle modificazioni che avvengono nelle neoformazioni melanocitarie dei bambini in questa sede.
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La tesi di Matteo Allodi intende analizzare alcune pratiche socio-assistenziali rivolte a minori e famiglie in difficoltà relative a progetti di accoglienza presso alcune strutture residenziali. In particolare, Matteo Allodi si sofferma su progetti di accoglienza elaborati presso alcune Comunità familiari la cui metodologia d’intervento si caratterizza per un orientamento verso un modello di lavoro sociale di tipo sussidiario nell’ottica del recupero dei legami e delle competenze genitoriali. La tesi affronta nella prima parte la dimensione teorica relativa a un approccio progettuale di intervento sociale che, mettendo al centro le relazioni dei soggetti in gioco, possa promuovere la loro attivazione in funzione della realizzazione dell’obiettivo del recupero della genitorialità. Allodi si concentra dal punto di vista teorico sulle modalità di realizzazione di un servizio alla persona guidato dal principio di sussidiarietà, ovvero orientato alla valorizzazione delle capacità riflessive degli attori. Nella seconda, parte Allodi presenta l’indagine condotta in alcune Comunità di tipo familiare di Parma. La strategia iniziale d’indagine è quella del case study. Allodi sceglie di indagare il fenomeno partendo da un’osservazione partecipata di orientamento etnometodologico integrata con interviste agli attori privilegiati. In questa fase si è proceduto a una prima ricerca qualitativa, attraverso la metodologia dello studio di caso, che ha permesso di entrare in contatto con alcune tipologie di strutture residenziali per minori al fine di completare il quadro generale del fenomeno delle Comunità familiari e impostare una prima mappatura esplorativa. La ricerca prosegue con uno studio longitudinale prospettico volto a monitorare e valutare il lavoro di rete della comunità e dei servizi, osservando principalmente la mobilitazione verso l’autonomia e l’empowerment dei soggetti (minori) e delle reti ancorate al soggetto (single case study). Si è voluto comprendere quali modalità relazionali gli attori della rete di coping mettono in gioco in funzione del “cambiamento sociale”.
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Questo studio propone un’esplorazione dei nessi tra fenomeno migratorio, dinamiche transnazionali e quadri familiari, in un contesto specificato che è quello peruviano. Dal confronto critico con i paradigmi disciplinari in uso negli ambiti dell’antropologia delle migrazioni, degli studi sul transnazionalismo e sulle famiglie transnazionali, e dell’etnografia multi-situata, si è tentata una lettura teorica e metodologica che renda conto del contesto socio-familiare di partenza non come parte periferica di una completa visione del migrante, ma quale oggetto specifico della ricerca. L’obbiettivo è verificare, a livello locale, quale siano gli impatti della migrazione esterna di uno o più membri sulle strutture e sulle dinamiche, sui codici e sui ruoli del nucleo parentale originario. E individuare, sul piano transnazionale, quali reti, quali rituali o pratiche di connessione funzionino tra coloro che vanno e coloro che restano, quali discorsi e quali culture migratorie si sviluppino e si condividano. La ricerca si è svolta in Perù tra il 2009 ed il 2011. Il campo dell’indagine si è diviso tra due località nell’area della Costa del Perù. Lima, la capitale, e Chiclín, un villaggio rurale nella regione settentrionale de La Libertad. Attraverso le tecniche d’inchiesta della pratica etnografica, una permanenza prolungata sul terreno e l’osservazione partecipante, si è lavorato con i membri adulti di ambo i sessi di tre gruppi parentali distribuiti tra i due luoghi menzionati, selezionati in partenza sulla base dei contatti forniti da alcuni dei loro familiari emigrati in Italia tra il 1990 ed il 2000. Centrare l’analisi sulle figure per certi aspetti marginali dell’esperienza della migrazione normalmente considerata, è servito da un lato a rovesciare parzialmente la prospettiva transnazionale aggiustandola proprio rispetto a quegli attori sociali; dall’altro e ad un tempo, ha permesso di fare luce su dinamiche migratorie più generali, di ricostruirle e di ri-teorizzarle.
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La ricerca è mirata a valutare come l’attuazione delle politiche ambientali di Sviluppo Rurale possa contribuire al miglioramento del paesaggio, analizzando i suoi effetti territoriali. Nell’ambito del caso di studio della Regione Emilia-Romagna vengono analizzate le misure agro-ambientali e di forestazione agricola dal 1994 al 2011, comprendendo gli interventi realizzati con i Regolamenti (CEE) 2078/1992, 2080/1992 e dai Programmi di Sviluppo Rurale (PSR) 2000-2006 e 2007-2013. In particolare, sono approfonditi i fattori che determinano la partecipazione territoriale delle misure agro-ambientali, individuate a livello aziendale le motivazioni alla partecipazione per le azioni con effetto diretto sul paesaggio, valutati i conseguenti effetti tecnico-economici e analizzati gli impatti degli interventi sul paesaggio a livello territoriale, in funzione del contesto ambientale. I risultati hanno consentito di approfondire quanto già riportato nelle valutazioni istituzionali dei PSR e in letteratura scientifica, individuando i fattori determinanti della partecipazione a livello regionale. A questo scopo sono state utilizzate analisi di econometria spaziale che hanno permesso di evidenziare effetti di concentrazione territoriale delle superfici sotto impegno, in funzione delle priorità della misura e degli ordinamenti produttivi dei beneficiari. Sono stati inoltre analizzati gli impatti paesaggistici in un’area di studio ristretta a livello territoriale e aziendale: gli interventi specifici, in alcuni contesti territoriali dove è stata raggiunta una certa concentrazione delle superfici sotto impegno, hanno modificato il paesaggio rurale, differenziandolo rispetto alla matrice agricola intensiva in cui sono stati inseriti. A livello aziendale sono stati rilevati effetti significativi sull’economia dei beneficiari che scelgono di aderire a tali misure, con un diffuso effetto di riduzione della redditività. I contributi compensano in maniera differenziata i costi legati all’implementazione degli interventi in funzione della tipologia di intervento e delle scelte tecniche aziendali adottate per la loro gestione.
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Nonostante il fatto che una gran parte del mondo viva ancora oggi a livelli di sussistenza, i dati in nostro possesso ci indicano che le attività umane stanno esaurendo le risorse ambientali del pianeta. La causa di questo eccessivo sfruttamento delle risorse è da ricercare nei pattern non sostenibili di produzione e consumo dei paesi sviluppati. La preoccupazione per le conseguenze sull'ambiente e la lotta al cambiamento climatico hanno posto le politiche ambientali al centro dell'attenzione internazionale. Il Protocollo di Kyoto e la Commissione Europea hanno stabilito degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra, rispettivamente del 12% entro il 2012 e del 20% entro il 2020. All'interno del Protocollo di Kyoto l'obiettivo per l'Italia è ridurre del 6,5% le emissioni di gas serra nazionali rispetto al 1990. Le politiche mirate alla riduzione delle emissioni di gas serra hanno in genere come obiettivo gli impianti energetici e i trasporti. Poca attenzione viene data alla filiera agroalimentare pur sapendo che l'agricoltura ha un forte impatto sull'ambiente e recenti studi stimano che circa il 50% del cibo prodotto viene perso o buttato via dalla produzione al consumo. Alla luce di questi dati, il mio lavoro di tesi ha avuto come obiettivo quello di quantificare i rifiuti e gli sprechi agroalimentari in Europa e in Italia e stimare l'impatto ambientale associato. I dati raccolti in questa tesi mettono in evidenza l'importanza di migliorare l'efficienza della filiera agroalimentare per ridurre l'impatto ambientale nazionale e rispettare gli accordi internazionali sulla lotta ai cambiamenti climatici.
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Il presente progetto di ricerca analizza quella particolare forma di affidamento diretto dei servizi pubblici denominata in house providing e si articola in tre sezioni. Nella prima sezione viene analizzata la disciplina dei servizi pubblici locali nell’ordinamento italiano mediante un excursus normativo dai primi del 900 ad oggi; la seconda sezione è dedicata alla disciplina dell’affidamento dei servizi pubblici locali di trasporto; la terza sezione, infine, descrive l’in house providing e l’elaborazione pretoria di tale istituto operata dalla giurisprudenza comunitaria. Come noto, la pubblica amministrazione può soddisfare le sue esigenze secondo due diverse modalità: ricorrendo al libero mercato come qualsiasi altro operatore economico oppure auto-producendo i beni e i servizi di cui necessita. Infatti, nonostante il diritto comunitario imponga il rispetto del principio di tutela della concorrenza, lascia impregiudicato il potere di auto-organizzazione in capo alle pubbliche amministrazioni negli Stati membri, le quali potranno scegliere di agire “in economia” o di ricorrere alle prestazioni di operatori terzi. Con la locuzione di derivazione comunitaria in house providing si definisce quel modello organizzativo mediante il quale le pubbliche amministrazioni realizzano le attività di loro competenza attraverso i propri organismi, cioè senza ricorrere al libero mercato per procurarsi i lavori, i servizi e le forniture ad esse occorrenti o per erogare alla collettività prestazioni di pubblico servizio, in deroga ai principi comunitari sulla tutela della concorrenza stabiliti nel Trattato istitutivo della Comunità Europea, che invece imporrebbero lo svolgimento di gare ad evidenza pubblica per l'affidamento di tali servizi. Tuttavia, come chiarito dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale, affinché la procedura di gara non sia necessaria, occorre che tra l’amministrazione e il prestatore ci sia sostanziale identità, nonostante le distinte personalità giuridiche, in modo tale da configurare il contratto tra le stesse intercorso come un atto di organizzazione interna.
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La ricerca ha preso le mosse da tre ipotesi fondamentali: 1) Esiste un legame tra processi cognitivi di basso ed alto livello; 2) Lo spazio senso-motorio è una percezione soggettiva; 3) Lo spazio senso-motorio varia in funzione delle diverse modalità di interazione sociale. La tesi sostiene che lo spazio senso-motorio si lascia modulare dalla semplice co-presenza di un altro agente umano e da interazioni cooperative e non cooperative. I capitoli I, II, III, hanno lo scopo di scomporre e spiegare il significato della prima, seconda e terza ipotesi; giungendo a formulare la tesi centrale che sarà poi dimostrata sperimentalmente nel capitolo IV. Il capitolo V introduce future linee di ricerca nell’ambito dell’etica proponendo una nuova ipotesi sul legame che potrebbe sussistere tra la percezione dello spazio durante l’interazione sociale e i giudizi morali. Il lavoro svolto chiama ad operare insieme diverse discipline che concorrono a formare le scienze cognitive: la storia della filosofia, la filosofia della mente contemporanea, la neuropsicologia sperimentale ed alcuni temi della psicologia sociale.
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Con il termine IPC (precondizionamento ischemico) si indica un fenomeno per il quale, esponendo il cuore a brevi cicli di ischemie subletali prima di un danno ischemico prolungato, si conferisce una profonda resistenza all’infarto, una delle principali cause di invalidità e mortalità a livello mondiale. Studi recenti hanno suggerito che l’IPC sia in grado di migliorare la sopravvivenza, la mobilizzazione e l’integrazione di cellule staminali in aree ischemiche e che possa fornire una nuova strategia per potenziare l’efficacia della terapia cellulare cardiaca, un’area della ricerca in continuo sviluppo. L’IPC è difficilmente trasferibile nella pratica clinica ma, da anni, è ben documentato che gli oppioidi e i loro recettori hanno un ruolo cardioprotettivo e che attivano le vie di segnale coinvolte nell’IPC: sono quindi candidati ideali per una possibile terapia farmacologica alternativa all’IPC. Il trattamento di cardiomiociti con gli agonisti dei recettori oppioidi Dinorfina B, DADLE e Met-Encefalina potrebbe proteggere, quindi, le cellule dall’apoptosi causata da un ambiente ischemico ma potrebbe anche indurle a produrre fattori che richiamino elementi staminali. Per testare quest’ipotesi è stato messo a punto un modello di “microambiente ischemico” in vitro sui cardiomioblasti di ratto H9c2 ed è stato dimostrato che precondizionando le cellule in modo “continuativo” (ventiquattro ore di precondizionamento con oppioidi e successivamente ventiquattro ore di induzione del danno, continuando a somministrare i peptidi oppioidi) con Dinorfina B e DADLE si verifica una protezione diretta dall’apoptosi. Successivamente, saggi di migrazione e adesione hanno mostrato che DADLE agisce sulle H9c2 “ischemiche” spronandole a creare un microambiente capace di attirare cellule staminali mesenchimali umane (FMhMSC) e di potenziare le capacità adesive delle FMhMSC. I dati ottenuti suggeriscono, inoltre, che la capacità del microambiente ischemico trattato con DADLE di attirare le cellule staminali possa essere imputabile alla maggiore espressione di chemochine da parte delle H9c2.
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Obiettivo del lavoro è migliorare la lettura della ruralità europea. A fronte delle profonde trasformazioni avvenute, oggi non è più possibile analizzare i territori rurali adottando un mero approccio dicotomico che semplicemente li distingua dalle città. Al contrario, il lavoro integra l’analisi degli aspetti socio-economici con quella degli elementi territoriali, esaltando le principali dimensioni che caratterizzano le tante tipologie di ruralità oggi presenti in Europa. Muovendo dal dibattito sulla classificazione delle aree rurali, si propone dapprima un indicatore sintetico di ruralità che, adottando la logica fuzzy, considera congiuntamente aspetti demografici (densità), settoriali (rilevanza dell’attività agricola), territoriali e geografici (accessibilità e uso del suolo). Tale tecnica permette di ricostruire un continuum di gradi di ruralità, distinguendo così, all’interno dell’Unione Europea (circa 1.300 osservazioni), le aree più centrali da quelle progressivamente più rurali e periferiche. Successivamente, attraverso un’analisi cluster vengono individuate tipologie di aree omogenee in termini di struttura economica, paesaggio, diversificazione dell’attività agricola. Tali cluster risentono anche della distribuzione geografica delle aree stesse: vengono infatti distinti gruppi di regioni centrali da gruppi di regioni più periferiche. Tale analisi evidenzia soprattutto come il binomio ruralità-arretratezza risulti ormai superato: alcune aree rurali, infatti, hanno tratto vantaggio dalle trasformazioni che hanno interessato l’Unione Europea negli ultimi decenni (diffusione dell’ICT o sviluppo della manifattura). L’ultima parte del lavoro offre strumenti di analisi a supporto dell’azione politica comunitaria, analizzando la diversa capacità delle regioni europee di rispondere alle sfide lanciate dalla Strategia Europa 2020. Un’analisi in componenti principali sintetizza le principali dimensioni di tale performance regionale: i risultati sono poi riletti alla luce delle caratteristiche strutturali dei territori europei. Infine, una più diretta analisi spaziale dei dati permette di evidenziare come la geografia influenzi ancora profondamente la capacità dei territori di rispondere alle nuove sfide del decennio.
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La tesi analizza i rapporti tra l’ordinamento italiano e la Cedu, in particolare la collocazione della Cedu all’interno del sistema delle fonti alla luce della modifica dell’art. 117, comma 1 Cost. Si tratta di un tema molto dibattuto in dottrina, specialmente a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Questa tematica risulta strettamente connessa al profilo dell’interazione tra la Corte di Strasburgo e la Corte costituzionale e i giudici ordinari. L’analisi del profilo statico concernente lo status della Cedu nel sistema italiano deve quindi essere accompagnata dall’esame del profilo dinamico, relativo al ruolo della giurisprudenza della Corte di Strasburgo nell’esperienza dell’ordinamento nazionale. Entrambi i profili di indagine sono esaminati alla luce delle indicazioni provenienti dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, della Corte di Cassazione e della Corte di Strasburgo. Prima di essere esaminate singolarmente, queste tematiche richiedono la preliminare ricognizione dei termini della dicotomia tra i due modelli concettuali di riferimento in tema di rapporti interordinamentali: il monismo e il dualismo. Trasferite nel peculiare contesto del sistema Cedu, tali categorie dogmatiche si arricchiscono di ulteriori profili, che esorbitano dalla sistemazione del rapporto tra fonti. La tenuta dei due paradigmi concettuali, che sono nati ed operano nel contesto della teorica delle fonti, deve essere verificata anche rispetto all’attuale fenomeno della produzione europea di diritto giurisprudenziale ed alla capacità paradigmatica assunta dalla giurisprudenza di Strasburgo. Il diritto e le istituzioni giuridiche tendono ad assumere sempre più sembianze giurisdizionali, generando un’osmosi che porta a trasferire il focus dai rapporti interordinamentali ai rapporti tra giurisprudenze.
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La ricerca riguarda lo studio del cantiere edilizio protobizantino, con particolare riferimento al ciclo della lavorazione del marmo. Quest’ultimo viene analizzato sotto il profilo amministrativo, tecnico, sociale ed artigianale. L’elemento guida della ricerca sono i marchi dei marmorari, sigle apposte da funzionari e maestranze durante il processo produttivo. Dapprima, fonti letterarie ed epigrafiche, tra cui le sigle di cava e officina su marmo, vengono esaminate per ricostruire il sistema alto-imperiale di amministrazione delle cave e di gestione dei flussi marmorei, nonché l’iter tecnico-artigianale adottato per la produzione dei manufatti. Il confronto con i dati disponibili per la tarda antichità, con particolare riferimento alle cave di Proconneso, evidenzia una sostanziale continuità della prassi burocratico-amministrativa, mentre alcuni cambiamenti si riscontrano nell’ambito produttivo-artigianale. Il funzionamento degli atelier marmorari viene approfondito attraverso lo studio dei marchi dei marmorari. Si tratta di caratteri greci singoli, multipli o monogrammi. Una ricognizione sistematica delle sigle dalla pars Orientalis dell’impero, reperite in bibliografia o da ricognizioni autoptiche, ha portato alla raccolta di circa 2360 attestazioni. Per esse si propone una classificazione tipologica tra sigle di cava, stoccaggio, officina. Tra le sigle di cava si annoverano sigle di controllo, destinazione/committenza, assemblaggio/posizionamento. Una particolare attenzione è riservata alle sigle di officina, riferibili ad un nome proprio di persona, ovvero al πρωτομαΐστωρ, il capo-bottega che supervisionava il lavoro dei propri artigiani e fungeva da garante del prodotto consegnato alla committenza. Attraverso lo studio comparato delle sigle reperite a Costantinopoli e in altri contesti si mette in luce la prassi operativa adottata dagli atelier nei processi di manifattura, affrontando anche il problema delle maestranze itineranti. Infine, sono analizzate fonti scritte di varia natura per poter collocare il fenomeno del marmo in un contesto socio-economico più ampio, con particolare riferimento alle figure professionali ed artigianali coinvolte nei cantieri e al problema della committenza.
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Il presente studio si colloca nell’ambito di una ricerca il cui obiettivo è la formulazione di criteri progettuali finalizzati alla ottimizzazione delle prestazioni energetiche delle cantine di aziende vitivinicole con dimensioni produttive medio-piccole. Nello specifico la ricerca si pone l’obiettivo di individuare degli indicatori che possano valutare l’influenza che le principali variabili progettuali hanno sul fabbisogno energetico dell’edificio e sull’andamento delle temperature all’interno dei locali di conservazione ed invecchiamento del vino. Tali indicatori forniscono informazioni sulla prestazione energetica dell’edificio e sull’idoneità dei locali non climatizzati finalizzata alla conservazione del vino Essendo la progettazione una complessa attività multidisciplinare, la ricerca ha previsto l’ideazione di un programma di calcolo in grado di gestire ed elaborare dati provenienti da diversi ambiti (ingegneristici, architettonici, delle produzioni agroindustriali, ecc.), e di restituire risultati sintetici attraverso indicatori allo scopo individuati. Il programma è stato applicato su un caso-studio aziendale rappresentativo del settore produttivo. Sono stati vagliati gli effetti di due modalità di vendemmia e di quattro soluzioni architettoniche differenti. Le soluzioni edilizie derivano dalla combinazione di diversi isolamenti termici e dalla presenza o meno di locali interrati. Per le analisi sul caso-studio ci si è avvalsi di simulazioni energetiche in regime dinamico, supportate e validate da campagne di monitoraggio termico e meteorologico all’interno dell’azienda oggetto di studio. I risultati ottenuti hanno evidenziato come il programma di calcolo concepito nell’ambito di questo studio individui le criticità dell’edificio in termini energetici e di “benessere termico” del vino e consenta una iterativa revisione delle variabili progettuale indagate. Esso quindi risulta essere uno strumento informatizzato di valutazione a supporto della progettazione, finalizzato ad una ottimizzazione del processo progettuale in grado di coniugare, in maniera integrata, gli obiettivi della qualità del prodotto, della efficienza produttiva e della sostenibilità economica ed ambientale.