125 resultados para Verifiche di vulnerabilità sismica struttura mista esistente
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Oggetto di questa tesi è l’analisi delle modalità di rappresentazione del trauma nel romanzo del Novecento e, in particolare, nelle opere di Samuel Beckett, Georges Perec e Agota Kristof. Fondamento dello studio sarà una disamina dei procedimenti linguistici e narrativi di rappresentazione del trauma nelle prose degli autori citati, al fine tracciare le linee di un’estetica in grado di descrivere le caratteristiche peculiari delle narrazioni in cui la dimensione antinarrativa della memoria traumatica assume il ruolo di principio estetico guida. L’analisi si soffermerà sulla cruciale relazione esistente, in tutti e tre gli autori, tra rappresentazione del trauma e sviluppo di strategie narrativi definibili come “denegative”. L’analisi dei testi letterari è condotta sulla base del corpus critico dei Trauma Studies, dell’ermeneutica della narrazione di stampo ricœuriano e della teoria del linguaggio psicoanalitica e affiancata, ove possibile, da uno studio filologico-genetico dei materiali d’autore. Alla luce di tali premesse, intendo rivalutare il carattere rappresentativo e testimoniale della letteratura del secolo scorso, in contrasto con la consuetudine a vedere nel romanzo novecentesco il trionfo dell’antimimesi e il declino del racconto. Dal momento che le narrazioni traumatiche si costruiscono intorno e attraverso i vuoti di linguaggio, la tesi è che siano proprio questi vuoti linguistici e narrativi (amnesie, acronie, afasie, lapsus, omissioni e mancanze ancora più sofisticate come nel caso di Perec) a rappresentare, in modo mimetico, la realtà apparentemente inaccessibile del trauma. Si tenterà di dimostrare come questi nuovi canoni di rappresentazione non denuncino l’impossibilità del racconto, bensì una sfida al silenzio, celata in più sottili e complesse convenzioni narrative, le quali mantengono un rapporto di filiazione indiretto − per una via che potremmo definire denegativa − con quelle del romanzo tradizionale.
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Il progetto di ricerca è finalizzato allo sviluppo di una metodologia innovativa di supporto decisionale nel processo di selezione tra alternative progettuali, basata su indicatori di prestazione. In particolare il lavoro si è focalizzato sulla definizione d’indicatori atti a supportare la decisione negli interventi di sbottigliamento di un impianto di processo. Sono stati sviluppati due indicatori, “bottleneck indicators”, che permettono di valutare la reale necessità dello sbottigliamento, individuando le cause che impediscono la produzione e lo sfruttamento delle apparecchiature. Questi sono stati validati attraverso l’applicazione all’analisi di un intervento su un impianto esistente e verificando che lo sfruttamento delle apparecchiature fosse correttamente individuato. Definita la necessità dell’intervento di sbottigliamento, è stato affrontato il problema della selezione tra alternative di processo possibili per realizzarlo. È stato applicato alla scelta un metodo basato su indicatori di sostenibilità che consente di confrontare le alternative considerando non solo il ritorno economico degli investimenti ma anche gli impatti su ambiente e sicurezza, e che è stato ulteriormente sviluppato in questa tesi. Sono stati definiti due indicatori, “area hazard indicators”, relativi alle emissioni fuggitive, per integrare questi aspetti nell’analisi della sostenibilità delle alternative. Per migliorare l’accuratezza nella quantificazione degli impatti è stato sviluppato un nuovo modello previsionale atto alla stima delle emissioni fuggitive di un impianto, basato unicamente sui dati disponibili in fase progettuale, che tiene conto delle tipologie di sorgenti emettitrici, dei loro meccanismi di perdita e della manutenzione. Validato mediante il confronto con dati sperimentali di un impianto produttivo, si è dimostrato che tale metodo è indispensabile per un corretto confronto delle alternative poiché i modelli esistenti sovrastimano eccessivamente le emissioni reali. Infine applicando gli indicatori ad un impianto esistente si è dimostrato che sono fondamentali per semplificare il processo decisionale, fornendo chiare e precise indicazioni impiegando un numero limitato di informazioni per ricavarle.
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La tesi dottorale si incentra sull'analisi del principio di precauzione e sulla sua portata applicativa in quella che possiamo definire “la vita del medicinale”. La disamina prende le sue mosse dalla teoria generale relativa al principio di precauzione e ne indaga, in primis, le sue origini e la sua evoluzione e successivamente ne considera la trasposizione giuridica nel settore ambientale e della salute umana. Si può sintetizzare, in via generale, come il ricorso al principio di precauzione avvenga quando il rischio connesso ad un evento non è un rischio determinato, ma è un rischio potenziale, cioè non supportato da dati scientifici che dimostrino in modo chiaro la connessione esistente tra avvenimento e danni (causa – effetto). In particolare, i dati scientifici che tentano di analizzare detto rischio non sono sufficienti o non sono giunti ad un risultato concludente e quindi la valutazione che viene fatta non consente di determinare il rischio con sufficiente certezza. La tesi dottorale focalizza la sua attenzione sull’applicazione del principio di precauzione ad un particolare bene, il medicinale; la necessità di minimizzare i rischi derivanti dall’assunzione del farmaco richiede un presidio dei pubblici poteri e di conseguenza questo comporta la necessità di “amministrare” il medicinale anche attraverso una serie di autorizzazioni amministrative quali l’autorizzazione alla produzione, l’autorizzazione all’immissione in commercio, l’autorizzazione alla distribuzione ed alla commercializzazione.
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La definizione dell’ordinamento dell’Unione come ordinamento costituzionale è centrale, ma resta frammentata. Per restituirle sistematicità è importante individuare un principio sul quale poggiarne il consolidamento. Per questo si è scelto di esaminare il principio di non discriminazione attraverso l’analisi della giurisprudenza, con l’obiettivo di verificare se questo principio è parte fondamentale dell’identità costituzionale dell’Unione Europea. Nella prima parte della tesi si analizza la struttura del giudizio sulla discriminazione davanti alla CGUE e davanti alla CEDU, mettendo in evidenza come la struttura ricordi sempre di più quella del giudizio di costituzionalità. Nella seconda parte ci si concentra sul contributo dato dal principio di non discriminazione all’identità costituzionale dell’Unione Europea attraverso la lotta contro specifiche tipologie di discriminazione. Poiché i motivi di discriminazione sono molto numerosi, si è stabilito di esaminare quei motivi che sono regolati dal diritto derivato. Per questo la seconda parte dell’analisi si è concentrata sulle discriminazioni a motivo della nazionalità (dir. 2004/38/CE), della razza (dir. 2000/43/CE), del genere (dir. 2006/54/CE, dir. 2004/113/CE) dell’età, disabilità, religione ed orientamento sessuale (dir. 2000/78/CE). Dall’analisi della giurisprudenza e del diritto derivato che ne dà attuazione è possibile comprendere che questo principio, oltre ad essere sostenuto da un vero e proprio giudizio di legittimità costituzionale (il rinvio pregiudiziale), ha gli strumenti necessari a permetterne lo sviluppo tenendo conto delle identità costituzionali degli stati membri e può aiutare ad offrire delle risposte rispetto a uno dei problemi fondamentali inerenti all’efficacia del diritto dell’Unione Europea: la tensione fra il principio di attribuzione e la dottrina degli effetti diretti. Le conclusioni di questo lavoro portano a sostenere che è possibile individuare una giurisprudenza della Corte che, attraverso alcuni passaggi fondamentali (le sentenze Mangold, Kucukdeveci, Hay, Deckmyn e Zambrano), definisce il principio di non discriminazione come principio fondamentale, e costituzionale, del diritto dell’Unione Europea.
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Il settore suinicolo ricopre un ruolo rilevante nel contesto nazionale, con ricadute economiche e sociali di primaria importanza in varie regioni. Tuttavia da alcuni anni il settore si trova in crisi a causa dell’instabilità dei mercati internazionali, dello scarso coordinamento tra gli attori della filiera, della progressiva riduzione della redditività dei prodotti trasformati a Denominazione di Origine, della mancata valorizzazione dei tagli di carne fresca, nonché della difficoltà di aggredire i mercati esteri. Altre criticità riguardano la distribuzione del valore lungo la filiera e la scarsa efficacia delle politiche di coordinamento finora adottate. L'obiettivo della ricerca è quello di identificare gli elementi che possono garantire maggiore equilibrio di potere negoziale tra allevatori suinicoli e macellatori rispetto alla situazione attuale: verificati gli elementi critici che caratterizzano la relazione commerciale tra allevatori e macellatori, si avanzano alcune proposte operative utili al superamento delle fratture tra la componente agricola e quella dei macelli in Emilia Romagna. La struttura della tesi è la seguente: (capitolo 1) si descrive il quadro economico del settore suinicolo a livello internazionale e nazionale. Successivamente (capitolo 2) si passano in rassegna le teorie economiche utili a comprendere le ragioni alla base del malfunzionamento dei rapporti tra gli attori della filiera agroalimentare, mentre nel terzo capitolo è richiamato il quadro normativo comunitario, nazionale e regionale all’interno del quale tali relazioni si configurano. Nel quarto capitolo si elabora un modello interpretativo al fine di spiegare le fratture che oggi contraddistinguono le relazioni in essere tra gli attori della filiera: il “modello delle fratture”. Alla luce di questa concettualizzazione è stata svolta un’indagine diretta svolta presso gli operatori aderenti all’Organizzazione Interprofessionale del Gran Suino Italiano, i cui risultati hanno consentito di valutare l’efficacia del modello interpretativo e di fornire indicazioni migliorative della strategia di governance delle relazioni tra allevatori e macellatori.
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Gli stress abiotici determinando modificazioni a livello fisiologico, biochimico e molecolare delle piante, costituiscono una delle principali limitazioni per la produzione agricola mondiale. Nel 2007 la FAO ha stimato come solamente il 3,5% della superficie mondiale non sia sottoposta a stress abiotici. Il modello agro-industriale degli ultimi cinquant'anni, oltre ad avere contribuito allo sviluppo economico dell'Europa, è stato anche causa di inquinamento di acqua, aria e suolo, mediante uno sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali. L'arsenico in particolare, naturalmente presente nell'ambiente e rilasciato dalle attività antropiche, desta particolare preoccupazione a causa dell'ampia distribuzione come contaminante ambientale e per gli effetti di fitotossicità provocati. In tale contesto, la diffusione di sistemi agricoli a basso impatto rappresenta una importante risorsa per rispondere all'emergenza del cambiamento climatico che negli anni a venire sottoporrà una superficie agricola sempre maggiore a stress di natura abiotica. Nello studio condotto è stato utilizzato uno stabile modello di crescita in vitro per valutare l'efficacia di preparati ultra diluiti (PUD), che non contenendo molecole chimiche di sintesi ben si adattano a sistemi agricoli sostenibili, su semi di frumento preventivamente sottoposti a stress sub-letale da arsenico. Sono state quindi condotte valutazioni sia a livello morfometrico (germinazione, lunghezza di germogli e radici) che molecolare (espressione genica valutata mediante analisi microarray, con validazione tramite Real-Time PCR) arricchendo la letteratura esistente di interessanti risultati. In particolare è stato osservato come lo stress da arsenico, determini una minore vigoria di coleptile e radici e a livello molecolare induca l'attivazione di pathways metabolici per proteggere e difendere le cellule vegetali dai danni derivanti dallo stress; mentre il PUD in esame (As 45x), nel sistema stressato ha indotto un recupero nella vigoria di germoglio e radici e livelli di espressione genica simili a quelli riscontrati nel controllo suggerendo un effetto "riequilibrante" del metabolismo vegetale.
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Il presente studio si colloca all’interno di una ricerca più ampia volta alla definizione di criteri progettuali finalizzati all’ottimizzazione delle prestazioni energetiche delle cantine di aziende vitivinicole, di dimensioni produttive medio - piccole. Nello specifico la ricerca riguarda la riqualificazione di fabbricati rurali esistenti di modeste dimensioni, da convertire a magazzini per la conservazione del vino in bottiglia. Lo studio si pone come obiettivo la definizione di criteri di analisi per la valutazione di interventi di retrofit di tali fabbricati, volto sia al miglioramento delle prestazioni energetiche dell’involucro edilizio, sia alla riduzione del fabbisogno energetico legato al funzionamento di eventuali impianti di controllo termico. La ricerca è stata condotta mediante l’utilizzo del software di simulazione termica Energy Plus, per ottenere i valori simulati di temperatura interna relativi ai diversi scenari migliorativi ipotizzati, e mediante la successiva definizione di indicatori che esplicitino l’influenza delle principali variabili progettuali sull’andamento delle temperature interne dei locali di conservazione e sul fabbisogno energetico del fabbricato necessario a garantire l’intervallo di temperatura di comfort del vino. Tra tutti gli interventi possibili per il miglioramento della prestazione energetica degli edifici, quelli analizzati in questo studio prevedono l’aggiunta di un isolamento a cappotto delle pareti esterne, l’isolamento della copertura e l’aggiunta di una struttura ombreggiante vegetale esterna. I risultati ottenuti danno una prima indicazione sugli interventi più efficaci in termini di miglioramento energetico e mettono in luce l’utilità del criterio proposto nell’evidenziare le criticità degli interventi migliorativi ipotizzati. Il metodo definito nella presente ricerca risulta quindi un valido strumento di valutazione a supporto della progettazione degli interventi di retrofit dei fabbricati rurali da convertire a magazzini per la conservazione del vino.
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I cambiamenti e le innovazioni sociali, che hanno caratterizzato il secolo scorso, hanno generato mutamenti significativi nella struttura dei consumi, legati in particolare a una maggiore consapevolezza dei consumatori e allo scoppio della crisi economica. Assume sempre maggiore importanza, all’interno delle politiche di brand management, il ruolo della Responsabilità Sociale d’Impresa, che spinge la Grande Distribuzione Organizzata a proporre prodotti con più alti standard qualitativi e di sicurezza. Il caso analizzato è quello della linea biologica ViviVerde Coop, la cui offerta di prodotti biologici a private label ha avuto un impatto molto positivo sul mercato. L’analisi dell’elasticità della curva di domanda di alcuni di questi prodotti nel periodo gennaio 2010-maggio 2012 rivela diversi valori positivi e maggiori di 1, indice del fatto che il prezzo non abbia avuto effetti negativi sulle vendite dei prodotti considerati. Tale evidenza risulta rilevante proprio in un periodo di profonda crisi economica che ha interessato, in modo significativo, anche i consumi alimentari.
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Il presente lavoro mira a una ricostruzione della condizione giuridica del fondo comune di investimento, definito come “patrimonio autonomo e distinto”, su cui il legislatore non ha preso alcuna posizione espressa sul piano della titolarità, lasciando all’interprete il relativo (e tormentato) compito. A tal fine, l’esame critico della disciplina, alla luce di ulteriori forme di separazione patrimoniale rinvenibili nell’ordinamento giuridico, richiede un approccio metodologico teso sì a una ricostruzione in retrospettiva della questione ma anche a una sua analisi sistematica. La prima parte prende avvio dall’analisi della disciplina dei fondi comuni di investimento e della gestione collettiva del risparmio, ripercorrendo i tratti salienti della normativa al fine di acclararne la ratio. Rifuggendo da una redazione meramente compilativa, tale analisi risulta necessaria ai fini dell’esame degli aspetti problematici concernenti la natura giuridica dei fondi comuni di investimento, che non può essere avulso dal relativo contesto normativo. La seconda parte è dedicata al tema della qualificazione giuridica del fondo e della relativa titolarità alla luce della risalente dottrina, dell’evoluzione normativa e della giurisprudenza pronunciatasi sul punto. Sotto questo profilo, la prospettiva di indagine mira ad approfondire alcuni degli spunti emergenti dalle riflessioni teoriche concernenti la natura e la titolarità del fondo, avendo riguardo non solo alla classiche categorie civilistiche ma anche alla reale essenza della struttura e della disciplina dei fondi comuni di investimento e alle specifiche finalità di tutela degli interessi degli investitori perseguite dalla disciplina. Seguendo questo percorso, l’ultima parte volge uno sguardo doveroso alle tematiche concernenti le funzioni della separazione dei patrimoni nell'ambito dei mercati finanziari e del diritto positivo, senza pretermettere le categorie civilistiche, di diritto interno e di diritto straniero, sottese alle fattispecie considerate.
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"Lineamenti di storia del cinema muto in Colombia" nasce da un particolare interesse volto a determinare in che misura i colombiani parteciparono allo sviluppo del proprio cinema nazionale tra il 1897 e il 1926. Al fine di conseguire tale obiettivo, questo lavoro si prefigge come scopo la realizzazione di una rassegna critica dei lineamenti di storia del cinema muto colombiano. Inoltre, e considerando la forte partecipazione di impresari e cineasti italiani nel cinema muto colombiano tra il 1909 e il 1926, si presta particolare attenzione al loro contributo, a cui è dedicato il capitolo 4 e alcune sezioni dei capitoli 2, 3, 5 e 7. Preme mettere in evidenza che analizzare il contributo dei cineasti locali smentisce gran parte della bibliografia esistente sul cinema muto, dal momento che nessun testo colombiano o straniero ha mai constatato il loro contributo alla cinematografia locale o internazionale. Infatti, in questa ricerca si approfondiscono le nozioni di policentrismo, polimorfismo e polivalenza cinematografica, con l’obiettivo di realizzare uno studio documentato e aggiornato del cinema muto colombiano. Si auspica di poter dimostrare che il contributo di questi ultimi alla cinematografia muta colombiana e latino-americana –e in parte a quella italiana– fu consistente e di vasta portata, sia in termini di quantità che di contenuto. Infine, la presente ricerca si propone non soltanto di definire il contributo dei cineasti colombiani allo sviluppo del proprio cinema nazionale, ma anche, e soprattutto, di individuare l’origine di alcuni degli elementi che caratterizzano il cinema colombiano.
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La tesi studia ed approfondisce la disciplina dei mercati di crescita per le PMI, indagando il regime normativo delle società ivi quotate. Considerata la struttura composita dell’architettura regolamentare (direttive e regolamenti europei, fonti primarie nazionali e regolamento del mercato) l’indagine adotta una prospettiva olistica sulla regolamentazione, al fine di individuare principii comuni e risolevere dubbi interpretativi. Inoltre, l’approfondimento in chiave storica e di economia politica, volto a ricostruire le ragioni per l’introduzione dei mercati di crescita e gli obiettivi perseguiti dal legislatore europeo, permette di identificare le rationes sottostanti alle disposizioni e di facilitarne l’interpretazione. Il primo capitolo approfondisce l’evoluzione storica e istituzionale dei mercati di crescita per le PMI e gli obiettivi che il legislatore europeo si prefigge di raggiungere. Il secondo capitolo affronta invece il processo di registrazione dei sistemi multilaterali di negoziazione come mercati di crescita. Il capitolo indaga quali siano i requisiti affinché un sistema multilaterale possa essere registrato come mercato di crescita, come si svolga il processo di registrazione e quale sia il ruolo dell’autorità di vigilanza. Il terzo capitolo approfondisce quali siano le disposizioni di diritto societario applicabili agli emittenti quotati sui mercati di crescita. Infatti, mentre la disciplina per gli emittenti quotati sui mercati regolamentati non è direttamente applicabile a queste società, non si può neppure escludere in via preliminare che determinate disposizioni non siano applicabili in via analogica, a causa delle specifiche caratteristiche conferite a questi emittenti ed ai titoli ammessi alla negoziazione dalla quotazione. Il quarto capitolo analizza diverse disposizioni relative all’informazione, intesa in senso ampio. Infine, il quinto capitolo affronta la disciplina dell’o.p.a. obbligatoria prevista dal regolamento del mercato di crescita AIM Italia.
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Il presente lavoro di ricerca ha ad oggetto i profili fiscali IVA dei servizi di investimento, in ambito sia europeo che nazionale, prestati dalle banche, dalle Sim e da consulenti/società di consulenza finanziaria nei confronti della clientela al dettaglio. Ciò al fine di individuarne il corretto trattamento fiscale nonché le possibili soluzioni agli interrogativi che ancora oggi rimangono aperti, anche alla luce delle indicazioni fornite nel tempo dalla Corte di Giustizia europea. Constatata la profonda differenza esistente tra la classificazione MiFID dei servizi di investimento e quella fiscale delle operazioni finanziarie, oltre alla mancanza di coordinamento tra le relative normative europee, che non si incontrano neanche nell’attività ermeneutica della Corte di giustizia, si è cercato di interpretare la Direttiva IVA alla luce della normativa di settore (MIFID). L’analisi della Direttiva IVA e, più in particolare, del trattamento da essa riservato alle operazioni finanziarie è stata, quindi, svolta cercando di ricondurre queste ultime ai (singoli) servizi di investimento (e, quindi, alla Direttiva MiFID) al fine di tracciare un collegamento che né il legislatore comunitario né la CGE hanno individuato. È, tuttavia, apparso evidente come l’intero sistema dell’IVA, con particolare riferimento alle operazioni finanziarie, si sia ormai consolidato sulle interpretazioni della Corte di giustizia le quali hanno mostrato una elevata resilienza intrinseca. È, pertanto, auspicabile un intervento legislativo, a livello comunitario, finalizzato a rimettere mano alla Direttiva IVA al fine di fornire criteri più chiari e stringenti per l’applicazione delle disposizioni in essa contenute, con particolare riferimento a quelle relative alle operazioni finanziarie.
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Il presente lavoro intende indagare la formulazione di nozioni autonome di diritto europeo nell’ambito dell’imposta sul valore aggiunto elaborate dalla Corte di giustizia. Più specificamente si intende proporre una tassonomia convenzionale delle nozioni autonome, utile alla loro sistematizzazione e miglior comprensione, fondata sulla distinzione fondamentale tra nozioni autonome e nozioni proprie. A questo scopo il lavoro propone un’ampia analisi delle nozioni nella giurisprudenza europea che vengono distinte a seconda che l’obiettivo finale dell’autonomia sia quello di limitare la discrezionalità applicativa degli Stati relativamente a ipotesi derogatorie, nel caso delle nozioni autonome in senso stretto; oppure che l’obiettivo ultimo sia quello di meglio definire l’ambito di applicazione di nozioni fondamentali nella struttura dell’imposta, nel caso delle nozioni proprie. Lo scopo del lavoro è dimostrare che la definizione funzionalistica risponde a obiettivi diversi, accomunati dal fatto di far valere comunque il primato dell'ordinamento europeo. L’analisi e la sistematizzazione proposte possono essere uno strumento utile nell’attuazione, interpretazione e applicazione delle nozioni. In questo senso, il lavoro esamina anche esempi tratti dalle esperienze nazionali che dimostrino, da un lato, che gli interventi della Corte relativi alle nozioni influenzano gli ordinamenti nazionali; dall’altro, che permangono ancora disallineamenti. L’analisi della giurisprudenza europea e dei regimi nazionali, infine, vuole dimostrare che l’elaborazione di nozioni autonome si inserisce nel processo verso un’armonizzazione sempre più incisiva in ambito IVA, di cui è protagonista la Corte di giustizia. Questo processo, cui l’elaborazione di un “tessuto concettuale europeo” contribuisce, comporta una limitazione della discrezionalità degli Stati, e quindi del principio di attribuzione, in nome dell’efficacia e della primazia del diritto europeo.
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La ricerca indaga il rapporto tra Design e Innovazione Responsabile calandolo all’interno della relazione tra territorio e pratiche collaborative guidate dal design, ma anche legate al patrimonio culturale immateriale e a un sistema di conoscenza a quintupla elica. La necessità emergente di cura del futuro porta a rivedere il contesto del territorio come campo strumentale per la trasformazione degli individui e della comunità e a domandarsi in che modo il design possa supportare questo cambiamento, abilitando la produzione di conoscenza collaborativa. La ricerca parte dal dimostrare come il modello di innovazione recentemente proposto dalla Comunità Europea attraverso il concetto di Responsible Research Innovation (RRI), poi ripreso nella nozione di Responsible Innovation (RI), sia un campo aperto e responsivo: se integrato con altre discipline, in particolare con il design, può supportare lo sviluppo di processi, politiche, prodotti, servizi e comportamenti che rispettino la relazione tra società, ambiente, identità individuale e collettiva e i ritmi ad essi connessi. Partendo dal contesto sopra descritto, ci si chiede come il design e il designer possano integrare le dimensioni RI nei processi di progettazione, per innovare in modo collaborativo i territori. Si individua quindi nell’Advanced Design la metodologia che, grazie alla sua natura anticipatrice, collaborativa, trasformativa, riesce a coniugarsi virtuosamente con l’approccio RI e supportare il cambiamento in atto. L’intersezione di questi elementi porta alla creazione del Modello Advanced Design per/con l’Innovazione Responsabile (ADIR): un sistema multidimensionale per gruppi di innovazione (quintupla elica) che hanno l’obiettivo di rigenerare in modo collaborativo e inclusivo i territori. L’esperienza sul campo ha confermato come la struttura del modello, formata da un corpus di semi-lavorati, permetta di creare un proprio ritmo, una compenetrazione tra azioni e forme progettuali volti a mantenere il senso di comunità e il coinvolgimento degli attori, a creare relazioni, a sviluppare una trasformazione continua.
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Fondato nel 1423 per decisione del Maggior Consiglio di Venezia, il Lazzaretto Vecchio, è la prima struttura permanente in Europa destinata al ricovero degli ammalati di peste e alla quarantena preventiva di coloro che erano entrati in contatto con infetti o che provenivano da zone epidemiche. Questo studio si pone come obiettivo quello di analizzare antropologicamente una parte dei resti umani rinvenuti e comparare i risultati ottenuti con le fonti edite riguardanti la composizione dei ricoverati all’interno della struttura. Sono stati selezionati 110 individui provenienti da 9 comuni appartenenti a due diversi archi cronologici, il 1575-1577 e il 1630-1631. Gli individui sono stati sottoposti a diverse analisi antropologiche tradizionali e indagini più dettagliate di stampo biomolecolare. Parallelamente, è stata vagliata la letteratura prodotta da studi popolazionistici editi. Le analisi antropologiche hanno rivelato un quadro popolazionistico con normale presenza di maschi e femmine, e attestazione di tutte le classi di età, dagli 0 agli oltre 50 anni. Le analisi chimico-fisiche hanno rivelato la presenza di sette individui non locali. Con riguardo all’alimentazione non vi sono particolari differenze in termini di periodi cronologici o di sesso degli individui, quanto invece si possono individuare schemi relativi alla qualità del cibo ingerito in relazione all’inserimento nel mondo del lavoro. Per quanto riguarda le indagini di carattere documentale, nonostante alcuni degli studi popolazionistici individuati non siano considerabili recenti, ci forniscono un quadro dell’andamento della popolazione a Venezia a partire dal 1500 fino al 1700, coprendo in questo modo le cronologie d’interesse del progetto, legate agli episodi di maggiore mortalità della peste. Si riscontra una sostanziale coerenza tra i dati riportati nei diversi resoconti e la sex ratio e le fasce di età alla morte riscontrate, anche se non mancano casi specifici di forte discostamento tra i dati.