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Resumo:
La pratica del remix è al giorno d’oggi sempre più diffusa e un numero sempre più vasto di persone ha ora le competenze e gli strumenti tecnologici adeguati per eseguire operazioni un tempo riservate a nicchie ristrette. Tuttavia, nella sua forma audiovisiva, il remix ha ottenuto scarsa attenzione a livello accademico. Questo lavoro esplora la pratica del remix intesa al contempo come declinazione contemporanea di una pratica di lungo corso all’interno della storia della produzione audiovisiva – ovvero il riuso di immagini – sia come forma caratteristica della contemporaneità mediale, atto di appropriazione grassroots dei contenuti mainstream da parte degli utenti. La tesi si articola in due sezioni. Nella prima, l’analisi di tipo teorico e storico-critico è suddivisa in due macro-aree di intervento: da una parte il remix inteso come pratica, atto di appropriazione, gesto di riciclo, decontestualizzazione e risemantizzazione delle immagini mediali che ha attraversato la storia dei media audiovisivi [primo capitolo]. Dall’altra, la remix culture, ovvero il contesto culturale e sociale che informa l’ambiente mediale entro il quale la pratica del remix ha conosciuto, nell’ultimo decennio, la diffusione capillare che lo caratterizza oggi [secondo capitolo]. La seconda, che corrisponde al terzo capitolo, fornisce una dettagliata panoramica su un caso di studio, la pratica del fan vidding. Forma di remix praticata quasi esclusivamente da donne, il vidding consiste nel creare fan video a partire da un montaggio d’immagini tratte da film o serie televisive che utilizza come accompagnamento musicale una canzone. Le vidders, usando specifiche tecniche di montaggio, realizzano delle letture critiche dei prodotti mediali di cui si appropriano, per commentare, criticare o celebrare gli oggetti di loro interesse. Attraverso il vidding il presente lavoro indaga le tattiche di rielaborazione e riscrittura dell’immaginario mediale attraverso il riuso di immagini, con particolare attenzione al remix inteso come pratica di genere.
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All’ascolto dell’incompiuto Matrimonio di Musorgskij, Borodin aveva sentenziato lapidariamente: «une chose manquée». Uguale commento viene riservato tuttora alla produzione operistica di Sergej Rachmaninov. In questo caso però non ci troviamo di fronte a un teatro rivoluzionario che si trova costretto a fare un passo indietro rispetto ai principi programmatici di cui si vuol far portatore, bensì a un potenziale inespresso, a un profilo drammaturgico mai giunto a piena maturazione. L’evidente eterogeneità della produzione operistica lasciataci in eredità dal compositore non permette infatti di determinarne con chiarezza le ‘linee guida’ e ne rende problematica la collocazione nel contesto musicale a lui coevo. Scopo della presente dissertazione è indagare l’apprendistato e il debutto operistico del compositore russo attraverso l’analisi di materiale documentario, testi letterari, partiture nonché delle fonti critiche in lingua russa, difficilmente accessibili per lo studioso italiano. Il cuore dell’elaborato è un’analisi dettagliata di Aleko, un atto unico presentato nel 1892 dal compositore come prova finale al corso di ‘Libera composizione’ del Conservatorio di Mosca. L’opera viene considerata nel suo complesso come organismo drammatico-musicale autonomo (rapporto fonte/libretto, articolazione interna, sistema delle forme, costellazione dei personaggi, distribuzione delle voci, ecc.), ma inquadrata al contempo nel più ampio contesto del teatro musicale coevo (recezione critica sia da parte della pubblicistica coeva sia da parte della storiografia musicale). Viene fornita in appendice un’edizione del libretto con traduzione a fronte. Incorniciano l’analisi dell’opera un capitolo in cui si offre una rilettura estetica del ‘caso Rachmaninov’ e un aperçu sulla produzione operistica matura del compositore, alla luce delle riflessioni proposte nel corso della dissertazione.
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La tesi riflette sulla necessità di un ripensamento delle scienze antropologiche nel senso di un loro uso pubblico e del loro riconoscimento al di fuori dell’accademia. Viene introdotto il dibattito sulla dimensione applicata dell’antropologia a partire dalle posizioni in campo nel panorama internazionale. Negli Stati Uniti la riflessione si sviluppa dalla proposta della public anthropology, l’antropologo pubblico si discosta dalla tradizionale figura europea di intellettuale pubblico. Alla luce delle varie posizioni in merito, la questione dell’applicazione è esaminata dal punto di vista etico, metodologico ed epistemologico. Inizialmente vengono prese in considerazione le diverse metodologie elaborate dalla tradizione dell’applied anthropology a partire dalle prime proposte risalenti al secondo dopoguerra. Successivamente viene trattata la questione del rapporto tra antropologia, potere coloniale e forze armate, fino al recente caso degli antropologi embedded nello Human Terrain System. Come contraltare vengono presentate le diverse forme di engagement antropologico che vedono ricercatori assumere diversi ruoli fino a casi estremi che li vedono divenire attivisti delle cause degli interlocutori. La questione del ruolo giocato dal ricercatore, e di quello che gli viene attribuito sul campo, viene approfondita attraverso la categoria di implication elaborata in contesto francese. Attraverso alcune esperienze di campo vengono presentate forme di intervento concreto nel panorama italiano che vogliono mettere in luce l’azione dell’antropologo nella società. Infine viene affrontato il dibattito, in corso in Italia, alla luce della crisi che sta vivendo la disciplina e del lavoro per la costituzione dell’associazione nazionale di antropologia professionale.
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Questo lavoro è imperniato sullo studio di uno dei melodrammi più interessanti della fine del XVII secolo: “Il carceriere di sé medesimo” di Lodovico Adimari (1644-1708) e Alessandro Melani (1639-1703), allestito per la prima volta a Firenze nel 1681, e ripreso nel giro di una ventina d’anni a Reggio (1684), a Bologna (1697) e a Vienna (1702). L’opera vanta un’origine drammatica di spicco: risale infatti alla commedia “Guardarse a sí mismo” di Pedro Calderón de la Barca (1600-1681) mediata dal “Geôlier de soi-mesme” di Thomas Corneille (1625-1709), e presenta qualità poetiche e musicali evidenti, assicurate dai nomi del poeta Lodovico Adimari e del compositore Alessandro Melani. A ciò si aggiungano una tradizione articolata in quattro allestimenti, nonché un elevato numero di testimoni superstiti: cinque edizioni del libretto (testimoniate da numerosi esemplari) e il numero fortunatissimo di tre partiture manoscritte, conservate a Parigi, Bologna e Modena. La tesi contiene l’edizione critica del “Carceriere di sé medesimo” di Adimari con tutte le varianti accumulatesi nella riedizione del libretto e nella copiatura della partitura, l’analisi del dramma, a partire dal confronto tra i testi di Calderón, Corneille e Adimari, e lo studio delle sue componenti drammatiche, formali e contenutistiche. Si aggiunge uno studio sul contesto storico-musicale degli allestimenti di Firenze, Reggio, Bologna e Vienna, nonché l’edizione dei restanti tre drammi di Adimari: la commedia “Le gare dell’amore e dell’amicizia” (1679), e il dramma per musica “L’amante di sua figlia” (1684).
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Lo scopo della dissertazione “Formazione e pratica del pensiero orchestrale di Hector Berlioz. Caratteri poetici e strategie del suono” è quello di indagare i tratti essenziali del pensiero di Berlioz in merito all’orchestra riprendendo in considerazione gli elementi della sua educazione giovanile. In particolare, le nozioni ricavate dai suoi insegnanti di composizione Le Sueur e Reicha e dai corsi di medicina brevemente frequentati a Parigi sono indagate con approccio rinnovato, alla luce di nuovi filoni di studio indagati dalla musicologia negli anni più recenti. Sono analizzate anche le recensioni di Berlioz, alla ricerca di elementi che aiutino a comprendere la sua musica con le argomentazioni destinate a quella altrui. È analizzato anche il percorso della trattatistica che da un iniziale approccio di tipo pratico tipico del XVIII secolo, giunge con il trattato di Berlioz a una forte connotazione poetica delle risorse strumentali e orchestrali. Nella seconda parte della dissertazione sono analizzate invece alcune opere di Berlioz e alcune questioni generali concernenti il suo modo di scrivere per l’orchestra, specialmente in relazione ad altri parametri musicali. Nella dissertazione notevole attenzione è data al rapporto fra questioni tecniche e poetiche, proponendo un approccio leggermente rinnovato.
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La tesi di Dottorato, saldamente ancorata alle Medical Humanities, si è concentrata sul modo in cui la storia della letteratura italiana si intreccia con le altre discipline, per arrivare a configurare quell’ampio panorama di storia delle idee che aiuta a valutare l’evoluzione stessa delle credenze e dei pensieri dell’uomo nel corso del tempo. Essa ha contribuito a portare alla luce l’apporto dato dalla Società Medica Chirurgica di Bologna in Epoca Pontificia alla circolarità del pensiero medico, ricordando con forza che le varie correnti storico-mediche non sono appunto il semplice susseguirsi di teorie più o meno esatte. La tesi rende pienamente visibili non solo la struttura e le dinamiche della comunicazione scientifica, ma documenta attraverso la letteratura (anche quella scientifica) la presenza della medicina e delle sue pratiche all’interno della società, soffermandosi sui meccanismi, sui percorsi che legano i fenomeni tra loro; viene declinato anche il complesso e travagliato processo teso a ridefinire la figura del medico durante l’epoca del dominio pontificio nel suo declino, circondata da diffidenze e ostilità. Il fulcro della tesi è dato dalla dimostrazione inconfutabile che esiste ancora un ruolo per la cultura umanistica nella formazione del medico.
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Gli avvenimenti politico-istituzionali degli ultimi anni hanno determinato un vivace dibattito sulla questione dei cc.dd. “governi del Presidente”, con cui si suole far riferimento ad Esecutivi il cui procedimento di formazione e le cui crisi registrano un interventismo del Presidente della Repubblica superiore a quello richiesto e/o consentito dal dettato costituzionale. Obiettivo dell’elaborato è duplice: fornire un tentativo definitorio della categoria “governi del Presidente”, nonché valutare la compatibilità di questa con la forma di governo parlamentare, soprattutto in considerazione dei recenti sviluppi delle dinamiche politico-istituzionali italiane. Sulla base di questo presupposto, nel presente lavoro si procede a una ricostruzione dell’evoluzione della prassi e delle consuetudini costituzionali in merito all’esercizio dei poteri presidenziali nella gestione delle crisi di governo, con particolare riferimento al procedimento di formazione dell’Esecutivo. La tesi si presenta articolata in due parti, corrispondenti a due differenti periodi storici (cc.dd. Prima e Seconda Repubblica), organizzate per capitoli, relativi alle principali fasi di evoluzione del sistema politico attraversate nel corso della storia della Repubblica. Questa scelta si giustifica in ragione del fatto che il modus operandi del Presidente della Repubblica risulta fortemente condizionato dai mutamenti del contesto politico-istituzionale. Nei singoli paragrafi, dedicati ai presidenti, vengono trattati l’elezione del Presidente, le modalità di formazione dei governi nominati, nonché ulteriori temi la cui disamina è stata ritenuta opportuna allo scopo di fornire una contestualizzazione più adeguata dell’analisi svolta (utilizzo del potere di esternazione e di scioglimento delle Camere, gestione delle attività di politica interna e politica estera, principali avvenimenti dei periodi storici considerati, e così via).
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Le tre raccolte di salmi da vespro a otto voci nello stile pieno di Giovanni Paolo Colonna (Bologna 1637-1695), pubblicate rispettivamente nel 1681, nel 1686 e nel 1694 (opp.I, VII e XI), costituiscono un oggetto di studio privilegiato nell’ambito della ricca produzione a stampa dell’autore: in primo luogo, esse ebbero ampia e favorevole recezione, come testimoniano la diffusione degli esemplari, le ristampe, le copie manoscritte ricavate dalle edizioni; in secondo luogo, la fortuna postuma del compositore fu legata in buona parte alla sua musica sacra a doppio coro e, in particolare, al favore riscosso dai suoi libri di salmi; infine, l’analisi delle tre raccolte consente di confrontare le risorse tecniche e stilistiche messe in opera da Colonna in composizioni afferenti a uno stesso genere ma risalenti a periodi diversi. La dissertazione è articolata in tre parti: nella prima sono presi in esame gli ordinamenti liturgici secenteschi relativi alla celebrazione dei vespri, onde illustrare la cornice rituale alla quale i salmi di Colonna erano destinati, e si passano in rassegna alcune definizioni di stile pieno e di contrappunto a otto voci desunte dalla trattatistica coeva. La seconda parte è dedicata alla lettura storico-critica delle opp. I, VII e XI nel contesto generale della produzione dell’autore. La terza parte contiene l’edizione integrale dell’opera VII e XI, nonché una scelta di brani tratti dall’op. I.
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In questa tesi dottorale viene preso in analisi il tema della famiglia, uno degli elementi fondanti della riflessione pedagogica, crocevia di una molteplicità di nuclei interpretativi con diramazioni e contaminazioni, con mutamenti attraverso le epoche storiche, rappresentati in pagine contenute nei Classici della letteratura per l’infanzia e nei migliori libri di narrativa contemporanea. Si tratta di un tema di grande ampiezza che ha comportato una scelta mirata di Autori che, nei loro romanzi hanno trattato questioni riguardanti la famiglia nelle sue pluralità delle sue tante accezioni, dalla vita familiare agli abbandoni, dalle infanzie senza famiglia alle famiglie altre. Nelle diverse epoche storiche, le loro narrazioni hanno lasciato un segno per l'originalità interpretativa che ancora oggi ci raccontano storie di vie familiale Dai romanzi ottocenteschi alle saghe fantasy degli ultimi cinquant’anni, fino ai picturebook, destinati ai più piccoli, le families stories possono costituire un materiale pedagogico privilegiato, sia offrendo occasioni di scoperta e conoscenza di sé e del mondo, attraverso le quali i lettori bambini, enigmatici frontalieri, varcano soglie verso altrovi misteriosi, sia fornendo spunti agli studiosi per approfondire tematiche multiple e complesse. Le families stories riflettono spesso in maniera critica le divergenze che possono manifestarsi tra le prassi individuate e studiate dalle scienze umane e sociali e le metafore narrative proposte dai numerosi Autori della letteratura per l’infanzia. Proponendo una prospettiva spesso spiazzante, esse interpretano la realtà a fondo, cogliendo i più piccoli ed inosservati particolari che, invece, hanno la capacità di rompere gli schemi socio-educativi dell’epoca storica in cui le storie prendono vita.
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Questo lavoro si concentra su un particolare aspetto della sfaccettata ricerca scientifica di Johannes Kepler (1571-1630), ossia quello teorico-musicale. I pensieri dell’astronomo tedesco riguardanti tale campo sono concentrati – oltre che in alcuni capitoli del Mysterium cosmographicum (1596) ed in alcune sue lettere – nel Libro III dell’Harmonices mundi libri quinque (1619), che, per la sua posizione mediana all’interno dell’opera, tra i primi due libri geometrici e gli ultimi due astronomici, e per la sua funzione di raccordo tra la «speculazione astratta» della geometria e la concretizzazione degli archetipi geometrici nel mondo fisico, assume la struttura di un vero e proprio trattato musicale sul modello di quelli rinascimentali, nel quale la «musica speculativa», dedicata alla teoria delle consonanze e alla loro deduzione geometrica precede la «musica activa», dedicata alla pratica del canto dell’uomo nelle sue differenze, generi e modi. La tesi contiene la traduzione italiana, con testo latino a fronte, del Libro III dell’Harmonice, e un’ampia introduzione che percorre le tappe fondamentali del percorso biografico e scientifico che hanno portato alla concezione di quest’opera – soffermandosi in particolare sulla formazione musicale ricevuta da Keplero, sulle pagine di argomento musicale del Mysterium e delle lettere, e sulle riflessioni filosofico-armoniche sviluppate negli anni di ricerca – e offre gli elementi fondamentali per poter comprendere l’Harmonice mundi in generale e il Libro III in particolare. A ciò si aggiunge, in Appendice, la traduzione, anch’essa con testo latino a fronte, della Sectio V, dedicata alla musica, del Liber IX dell’Almagestum novum (1651) di Giovanni Battista Riccioli (1598-1671), interessante sia dal punto di vista della recezione delle teorie di Keplero che dal punto di vista della storia delle idee musicali.