301 resultados para Scienza Nuova
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My work is focused on George Friel, a distinguished Scottish writer known for his witty style bristling with puns and more or less literary allusions. In particular I proposed an annotated translation of what can be considered his masterpiece “Mr Alfred M.A.” in which wordplay has a central role for its plot. In the first part of my thesis I outlined the fundamental features of Friel’s writing: the wide variety of registers and styles, the rhythm and irony. Additionally I pointed out the strategies that the translator has to face when translating this text. Finally I identified the number of problems which may arise while translating Friel’s “Mr Alfred M.A.” into Italian with particular concern on the strategies of supplementation and explicitation for wordplay.
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Confrontarsi con lo stile di un autore e riuscire a trasferirlo con tutte le sue sfumature in un’altra lingua rappresenta da sempre per il traduttore una sfida di non poco conto, soprattutto se le peculiarità stilistiche da riprodurre sono quelle di un autore come Flaubert. È nell’incredibile universo racchiuso negli studi e nelle ricerche relative alla traduzione, nel quale, timidamente, ci proponiamo di inoltrarci, attraverso uno dei capolavori della letteratura mondiale, Madame Bovary, e in particolare attraverso un’indagine critica di alcune traduzioni italiane realizzate da scrittori in proprio: Diego Valeri (1936), Oreste del Buono (1965), Natalia Ginzburg (1983) e Maria Luisa Spaziani (1997). Focalizzeremo la nostra attenzione innanzitutto sulla traduzione d’autore, nella quale, più che in ogni altra tipologia di atto traspositivo, si intersecano fedeltà e tradimento, creatività e interventismo, letteralità e rielaborazione. Proseguiremo con un’ampia e articolata analisi del testo di partenza, in cui verranno messe in luce le principali peculiarità del romanzo e dello stile autoriale. Entrando poi nella specificità delle diverse traduzioni, procederemo a un esame comparativo della resa di alcuni tratti caratteristici del romanzo da parte dei vari traduttori, in particolare circa le metafore e le similitudini; la terminologia specialistica, che denota il realismo flaubertiano; i vocaboli appartenenti a diversi livelli linguistici, attinti sia dalle varietà diacroniche sia da quelle sincroniche del francese e infine, alcune configurazioni frastiche particolari del testo, quelle che, anziché improntarsi alla varietas grammaticale, mostrano una monotonia grammaticale voluta, con la funzione di riprodurre a livello sintattico quanto espresso semanticamente. Seguirà l’analisi del contesto socio-letterario in cui si collocano le traduzioni oggetto di studio, articolata in un’indagine comparativa sullo stadio della lingua italiana, sullo statuto della traduzione e sulle attitudini traspositive riguardo a certi elementi del discorso. La determinazione del quadro d’insieme, unitamente agli aspetti estrapolati nel corso della trattazione, consentirà la definizione di ogni sujet traduisant e della sua position traductive circa il significato, le finalità, le forme e i modi del tradurre, nel tentativo di ricondurre le variazioni apportate al testo originale allo stile di ogni singolo scrittore in proprio. A completamento del lavoro inseriremo in appendice la nostra proposta traduttiva degli atti del processo a Madame Bovary.
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La tesi di dottorato focalizza su quei fenomeni nei quali è particolarmente visibile una diffusa propensione all’assunzione di responsabilità nei confronti del significato e delle conseguenze del proprio agire di mercato. La tesi esamina le implicazioni connesse ad una nuova etica del consumo sia dal punto di vista del consumatore sia da quello dell’impresa, in particolare indaga l’atteggiamento di consumatori e produttori rispetto a pratiche di responsabilità sociale di impresa. Nel primo capitolo “Dimensioni di un consumo in evoluzione” le griglie concettuali interpretative del fenomeno del consumo vengono distinte da quelle peculiari del sistema produttivo, arrivando all’individuazione di strumenti che svelano le logiche proprie del fenomeno indagato. In questo scenario la società complessa corrisponde alla società dei consumi e il consumo diventa area esperienziale, capace anche di creare senso, orizzonti valoriali e di assumere valenze interattive e simboliche. Nel secondo capitolo “Il cittadino consumatore” è stato rappresentato il variegato mondo del consumatore, quel cittadino che si esprime politicamente non solo con il voto ma anche attraverso le proprie pratiche di consumo che veicolano scelte, ideali, valori. Sono rappresentati i tanti volti del consumatore “responsabile”, “critico” ed “etico”, attraverso lo studio del commercio equo e solidale, i Gas, la finanza etica, tutti significativi segnali di mutamento con cui governi e imprese sono chiamati a confrontarsi. Vengono prese in esame ricerche nazionali e internazionali per meglio comprendere quanto e con quali modalità sono diffuse, nella popolazione, pratiche di consumo responsabile rispetto a ben identificate pratiche di Rsi. Nel terzo capitolo “La Responsabilità Sociale d’Impresa” si approfondisce il concetto di responsabilità sociale di impresa: sono illustrate le evoluzioni che questa prassi ha subito nel corso della storia, le sue differenti declinazioni attuali, gli elementi che la distinguono, i suoi strumenti. Nel quarto capitolo “La responsabilità sociale di impresa e la grande distribuzione” vengono analizzate le relazioni esistenti tra la grande distribuzione (Coop e Conad) e la Rsi, considerando anche il ruolo della grande distribuzione, nella metropoli, nelle scelte di consumo. Nello specifico si vogliono comprendere le strategie aziendali, la struttura organizzativa, i servizi, i prodotti “etici” distribuiti e la loro relazione con il consumatore. Il quinto capitolo “La ricerca” contiene la ricerca empirica, 60 interviste in profondità somministrate a consumatori di Coop e Conad e a elementi rappresentativi (dirigenti) delle aziende in questione; l’elaborazione dei dati avviene con l’analisi di contenuto attraverso la costruzione di frasi chiave. Le conclusioni finali a cui perveniamo cercano di fare luce sul mondo del consumo e su quello dell’impresa nel momento in cui si confrontano con la responsabilità del proprio agire. Emergono diversi elementi per sostenere che la cultura della responsabilità assume un peso tutt’altro che marginale nelle strategie di azione delle imprese e nell’analisi del comportamento dei consumatori. Il sistema impresa assume la responsabilità come elemento qualificante la propria politica industriale, legandolo alla sostenibilità, alla reputazione, al rapporto fiduciario con il cliente. Analizzando il ruolo dei cittadini consumatori nello spazio di riferimento, nell’impegno e nel tentativo di decidere, attraverso determinati consumi, il modo di vivere il proprio territorio, abbiamo forse compreso qualcosa in più. Si veicola attraverso le scelte di consumo un’idea di vivere la città per cui è imprescindibile la qualità della vita, perseguita anche attraverso l’approvazione o, di converso, il disconoscimento delle imprese e dei rispettivi prodotti. Nell’analisi dell’atteggiamento partecipativo del cittadino verso la propria sfera pubblica possiamo sostenere che la dimensione del consumo tracima di gran lunga il mercato prefigurando un differente modello di società.
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La tesi di dottorato “Buoni cibi per buoni pensieri. Rituali di consumo alimentare tra flussi di globalizzazione e pratiche di localizzazione” verte attorno allo studio e all’approfondimento della sociologia dei consumi, con particolare riferimento alle relazioni che si possono instaurare tra i comportamenti alimentari collettivi a livello locale e il sistema globale. Il focus dell’analisi si incentra sulla sostenibilità dei consumi, fenomenologia esemplificativa di una modalità di rapporto degli uomini con i cibi innovativa e al contempo nient’affatto scontata: non soltanto a livello individual-collettivo come strumento di intelligibilità sociale e costruzione di senso, ma anche sul piano sistemico come rapporto con l’ambiente e il mondo circostante. In effetti, il percorso di studi che ha condotto all’elaborazione teorica ed empirica della tesi di dottorato, pur muovendo da studi radicati nella letteratura socio-antropologica come il consumo dei cibi e la cultura da essi veicolata, viene oggi inquadrata all’interno di nuovi scenari sullo sfondo del mutamento socioeconomico: le pratiche di sostenibilità causate dalle ambivalenti ripercussioni giocate dalla globalizzazione sui sistemi sociali. Se è vero infatti che oggi si vive in una società complessa, caratterizzata dalla crescente centralità del sistema del consumo rispetto agli altri sottosistemi, è evidente come una ri-lettura critica delle sue dimensioni simboliche ed intersoggettive nel senso del ridimensionamento degli aspetti legati alla mercificazione e al materialismo, faccia sì che la tesi dottorale si orienti sulla ricerca di una sostenibilità oggi tanto diffusa, da sostanziarsi sempre più anche nelle pratiche di consumo alimentare. Oggetto specifico di questo lavoro sono dunque, senza pretesa di esaustività ma rappresentative del contesto spaziale preso in esame, fenomenologie del consumo alimentare italiano all’interno di uno scenario globale: in particolare, si affronta la nuova cultura della sostenibilità che nasce dall’incontro fra i cittadini-consumatori e le complesse tematiche emergenti del sistema sociale di riferimento.
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By examining seven major reviews (the French “Revue des deux Mondes”, the “Revue de Paris” and the “Nouvelle Revue”; the Italian “Nuova Antologia”, the “Rassegna Nazionale”, the “Rivista europea” and the “Revue internationale”) this thesis investigate the female participation in high quality journalism in Italy and France between the 1870s and the First World War. The aim is to show that despite some obvious limitations, women found room in that apparently very ‘male’ space of culture and emerged on a considerable scale in all walks of the profession. Many women regularly published on high quality reviews. Some of them even rose to high positions on editorials board. With the exception of a few fields of knowledge – albeit fundamental to the journals’ overall structure – such as economics, finance and matters to do with the army and the colonies, women contributors covedered nearly all the range of subjects contained in this periodicals: not only fiction, but also literary criticism, travelogues, politics and others. Quality and cultural journals offered women writers a considerable space for entering the public sphere, as both authors and readers. It may thus construed on a dual plane: as an opportunity for women writers to join the new professional ranks of modern publishing, but also as an important terrain for acknowledgment of their standing as intellectuals.
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INTRODUZIONE. Presentazione della ricerca e del metedo seguito per realizzarla. CAPITOLO PRIMO. Il contesto storico, politico e sociale di riferimento. - Storia della Siria, - La Siria politica e il conflitto israelo-palestinese - La società siriana: multiculturalismo, tradizione, islam. - Teatro e letteratura in Siria, e nel Bilad AlSham. CAPITOLO SECONDO. I testi. Traduzione integrale di due opere teatrali di Sa’d Allah Wannus. Breve presentazione. - “ Riti di segni e trasformazioni.”, (tukus al-isharat wa-l-tahawwulat), 1994. Il dramma si svolge nella Damasco del XIX secolo, dove un affare di morale e buon costume è il punto di partenza per la metamorfosi dei suoi protagonisti, mettendo a nudo le riflessioni, i desideri più intimi, le contraddizioni e le angosce di una società in crisi. Interessante l’analisi delle figure femminili di questa piece, le loro scelte, il loro ruolo nella società e soprattutto la presa di coscienza delle loro posizioni. - “ I giorni ubriachi.” , (Alayyam Almakhmura), 1997. Il ritratto di una famiglia siriana degli anni trenta. Due genitori, quattro figli, e un nipote che a distanza di anni decide di ripercorrere e raccontarci le loro storie.Una madre che vive tormentata dal suo spettro e che decide di abbandonare la propria famiglia e i propri figli per seguire un altro uomo. Un padre che tiene con violenza le redini delle proprie relazioni, e che rifiuta l’occidente in tutte le sue forme per restare aggrappato alle proprie tradizioni. Un figlio che sceglie l’ordine e la carriera militare, e che, incapace di risolvere il suo rapporto di dipendenza dalla madre, e di risolvere il conflitto tra la legge e un affetto quasi morboso, sceglie di suicidarsi. Un figlio che sceglie la via della perdizione, delle droghe, del furto e degli affari illegali, e che va incontro al successo e alla ricchezza... CAPITOLO TERZO. Biografia di Sa’d Allah Wannus, presentazione delle sue opere principali. Sa’d Allah Wannus (1941 – 1997) è sicuramente uno dei principali protagonisti nell’ambito del teatro arabo contemporaneo. Scrittore, critico, drammaturgo, riformatore, uomo impegnato politicamente, e infine essere umano nella lotta tra la vita e la morte (muore a 56 anni per tumore, dopo un lungo periodo di degenza). Mio intento è quello di analizzare l’opera di quest’autore, attraverso i suoi numerosi scritti e piece teatrali (purtroppo al giorno d’oggi ancora quasi interamente non tradotte dall’arabo), fino ad arrivare, attraverso queste, ad una lettura della società araba contemporanea, e al ruolo che il teatro assume al suo interno. Vita e opere di Sa’ad Allah Wannus. Nasce in Siria nel 1941 in un piccolo villaggio vicino alla città di Tartous, sulla costa mediterranea. Dopo aver terminato gli studi superiori, nel 1959, parte per Il Cairo (Egitto), per studiare giornalismo e letteratura. Rientra a Damasco nel 1964, lavorando al tempo stesso come funzionario al ministero della cultura e come redattore o giornalista in alcune riviste e quotidiani siriani. Nel 1966 parte per Parigi, dove studierà con Jean-Louis Barrault, e dove farà la conoscenza delle tendenze del teatro contemporaneo. Ha l’occasione di incontrare scrittori e critici importanti come Jean Genet e Bernard Dort, nonché di conoscere le teorie sul teatro di Brech e di Piscator, dai quali sarà chiaramente influenzato. In questi anni, e soprattutto in seguito agli avvenimenti del Maggio 1968, si sviluppa in modo determinante la sua coscienza politica, e sono questi gli anni in cui compone alcune tra le sue piece più importanti, come: Serata di gala per il 5 giugno (haflat samar min ajl khamsa huzayran) nel 1968, L’elefante, oh re del tempo! (al-fil, ya malik al-zaman!) 1969, Le avventure della testa del Mamelucco Jaber (Meghamarat ra’s al-mamluk Jabiir) 1970, Una serata con Abu-Khalil al- Qabbani (Sahra ma’a Abi Khalil Al-Qabbani) 1972, Il re è il re (al-malik uwa al-malik) 1977. Parallelamente porta avanti una intensa attività artistica e intellettuale. Soggiorna di nuovo in Francia e a Weimar, per portare a termine la sua formazione teatrale, fonda il Festival di teatro di Damasco, traduce e mette in scena numerosi spettacoli, scrive e pubblica numerosi articoli e una importante serie di studi sul teatro, intitolata: Manifesto per un nuovo teatro arabo (bayanat limasrah ‘arabi jadid) (1970). Scrive in numerose riviste e giornali e fonda la rivista La vita teatrale (al-hayyat al-masrahiyya), del quale sarà capo redattore. La visita del presidente egiziano Anouar Sadat a Gerusalemme nel 1977 e gli accordi di Camp David l’anno seguente, lo gettano in una profonda depressione. E’ l’inizio di un lungo periodo di silenzio e di smarrimento. Ritornerà a scrivere solamente nel 1989, con l’inizio della prima Intifada palestinese, scrive allora una piece teatrale intitolata Lo stupro (al-ightisab), dove presenta un’analisi della struttura dell’elite al potere in Israele. Questo testo apre una nuova epoca creativa, durante la quale Wannus compone alcuni testi molto importanti, nonostante la malattia e il cancro che gli viene diagnosticato nel 1992. Tra questi le pieces Miniature storiche (munamnamat tarakhiyya), nel 1993, e Rituali per una metamorfosi (tukus al-isharat wa-l-tahawwulat), nel 1994 e A proposito della memoria e della morte (‘an al-dhakira wa-l-mawt) nel 1996, una sua ultima opera in cui sono raccolti dei racconti, drammi brevi e una lunga meditazione sulla malattia e la morte. Nel 1997 l’UNESCO gli chiede di redigere il messaggio per la Giornata Mondiale del Teatro, che si tiene ogni anno il 27 marzo. Nel 1997, poche settimane prima della sua scomparsa, realizza insieme ad Omar Almiralay il film documentario Il y a tant de choses a reconter, una intervista in cui Wannus parla della sua opera, e del conflitto Israelo-Palestinese. Muore a 56 anni, il 15 maggio 1997, per un’amara coincidenza proprio il giorno anniversario della creazione di Israele. Wannus drammaturgo engagè: l’importanza del conflitto israelo palestinese nella sua opera. Un’analisi dell’influenza e dell’importanza che le opere di Wannus hanno avuto nel seno della società araba, e soprattutto il suo impegno costante nell’uso del teatro come mezzo per la presa di coscienza del pubblico dei problemi della società contemporanea. Punto cardine dell’opera di Wannus, il conflitto israelo palestinese, e il tentativo costante in alcune sue opere di analizzarne le cause, le strutture, le parti, i giochi di potere. E’ il simbolo di tutta la generazione di Wannus, e delle successive. Analisi delle illusioni e dei miti che la società araba ripropone e che Wannus ha cercato più volte di mettere a nudo. La lotta contro le ipocrisie dei governi, e il tentativo di far prendere coscienza alla società araba del suo ruolo, e delle conseguenze delle sue azioni. L’individuo, la famiglia, la società ... il teatro. Distruggere le apparenze per mettere a nudo l’essere umano nella sua fragilità. CONCLUSIONI. APPENDICE: Intervista con Marie Elias BIBLIOGRAFIA.
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Nella ricerca condotta sulle Osservazioni muratoriane alle Rime petrarchesche, si è tentato di mettere in luce la ‘scienza del commento’, ad esse sottesa, cui contribuivano gli snodi teorici, l’accertamento filologico, le strategie argomentative, i debiti esegetici. Tra difesa e riforma della poesia, il commento muratoriano si pone infatti, in piena età arcadica, al vertice della coniunctio tra esigenza conoscitiva e visione morale. Il «buon cammino» del Muratori, passando per le vie del Petrarca, sanciva di fatto una superiore giurisdizione letteraria, a cui rimettere come ad un foro esterno, censure e difese: colpisce, infatti, il suo vaglio tecnico-argomentativo delle Rime del Petrarca, valutate secondo concordanze, rinvii a commenti storici, connessioni intertestuali, analogie contenutistiche e stilistiche, struttura metrica, uso delle immagini di fantasia e loro mescidazione rispetto al verosimile. È insomma l’idea di un commento ‘ben proporzionato’, situato oltretutto in una zona di percorrenza mista, tra riuso e canonizzazione (come dimostra la sua ricezione nelle storiografie letterarie della seconda metà del XVIII secolo), diviso tra attenzione all’usus scribendi dell’autore e appelli collaborativi al lettore, quello che, grazie al Muratori, in piena età arcadica, riporterà al centro il petrarchismo: un petrarchismo potenziato, promosso ad insegnamento attivo e a sistema storicocritico che il buon gusto ridisegnava secondo nuove coperture normative ed esigenze metodologiche, ordinandolo, secondo uno stilema tipico della riflessione filosofico-religiosa muratoriana, ad una ‘regolata lettura’.
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This thesis is the result of my experience as a PhD student taking part in the Joint Doctoral Programme at the University of York and the University of Bologna. In my thesis I deal with topics that are of particular interest in Italy and in Great Britain. Chapter 2 focuses on the empirical test of the existence of the relationship between technological profiles and market structure claimed by Sutton’s theory (1991, 1998) in the specific economic framework of hospital care services provided by the Italian National Health Service (NHS). In order to test the empirical predictions by Sutton, we identify the relevant markets for hospital care services in Italy in terms of both product and geographic dimensions. In particular, the Elzinga and Hogarty (1978) approach has been applied to data on patients’ flows across Italian Provinces in order to derive the geographic dimension of each market. Our results provide evidence in favour of the empirical predictions of Sutton. Chapter 3 deals with the patient mobility in the Italian NHS. To analyse the determinants of patient mobility across Local Health Authorities, we estimate gravity equations in multiplicative form using a Poisson pseudo maximum likelihood method, as proposed by Santos-Silva and Tenreyro (2006). In particular, we focus on the scale effect played by the size of the pool of enrolees. In most of the cases our results are consistent with the predictions of the gravity model. Chapter 4 considers the effects of contractual and working conditions on selfassessed health and psychological well-being (derived from the General Health Questionnaire) using the British Household Panel Survey (BHPS). We consider two branches of the literature. One suggests that “atypical” contractual conditions have a significant impact on health while the other suggests that health is damaged by adverse working conditions. The main objective of our paper is to combine the two branches of the literature to assess the distinct effects of contractual and working conditions on health. The results suggest that both sets of conditions have some influence on health and psychological well-being of employees.
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New concepts on porosity appraisal in ancient and modern construction materials. The role of Fractal Geometry on porosity characterization and transport phenomena. This work studied the potential of Fractal Geometry to the characterization of porous materials. Besides the descriptive aspects of the pore size distribution, the fractal dimensions have led to the development of rational relations for the prediction of permeability coefficients to fluid and heat transfer. The research considered natural materials used in historical buildings (rock and earth) as well as currently employed materials as hydraulic cement and technologically advanced materials such as silicon carbide or YSZ ceramics. The experimental results of porosity derived from the techniques of mercury intrusion and from the image analysis. Data elaboration was carried out according to established procedures of Fractal Geometry. It was found that certain classes of materials are clearly fractal and respond to simple patterns such as Sierpinski and Menger models. In several cases, however, the fractal character is not recognised because the microstructure of the material is based on different phases at different dimensional scales, and in consequence the “fractal dimensions” calculated from porosimetric data do not come within the standard range (less than 3). Using different type and numbers of fractal units is possible, however, to obtain “virtual” microstructures that have the fraction of voids and pore size distribution equivalent with the experimental ones for almost any material. Thus it was possible to take the expressions for the permeability and the thermal conduction which does not require empirical “constants”, these expressions have also provided values that are generally in agreement with the experimental available data. More problematic has been the fractal discussion of the geometry of the rupture of the material subjected to mechanical stress both external and internal applied. The results achieved on these issues are qualitative and prone to future studies. Keywords: Materials, Microstructure, Porosity, Fractal Geometry, Permeability, Thermal conduction, Mechanical strength.
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Affrontare l’analisi critica delle traduzioni italiane di Un amour de Swann di Marcel Proust implica necessariamente un attento esame dello stile esemplare di un autore, che ha modificato, in larga misura, la concezione del romanzo e della scrittura stessa; in secondo luogo significa considerare l’altrettanto complesso lavorio intellettuale rappresentato dalla traduzione, in qualità di atto critico fondamentale. Prenderemo in esame nel capitolo primo la genesi del TP, le sue specificità narratologiche e la ricezione critica francese e italiana, per comprendere appieno l’originalità di Proust rispetto al panorama letterario dell’epoca. Nella seconda parte del primo capitolo delineeremo un excursus lungo la storia di tutte le traduzioni italiane del romanzo, accordando particolare attenzione alla figura di ogni traduttore: Natalia Ginzburg (1946), Bruno Schacherl (1946), Armando Landini (1946), Oreste Del Buono (1965), Giovanni Raboni (1978), Maria Teresa Nessi Somaini (1981), Gianna Tornabuoni (1988), Eurialo De Michelis (1990) e il traduttore, rimasto anonimo, della casa editrice La Spiga Languages (1995). Nel secondo capitolo analizzeremo la peculiarità stilistica più nota dell’autore, la sintassi. I lunghi periodi complicati da un intreccio di subordinate e sciolti solo con il ricorso a vari nessi sintattici contribuiscono a rendere la sintassi proustiana una delle sfide maggiori in sede traduttiva. Nel capitolo successivo accorderemo attenzione all’eteroglossia enunciativa, espressa nei diversi idioletti del romanzo. In sede contrastiva affronteremo la questione della trasposizione dei niveaux de langue, per poter valutare le scelte intraprese dai traduttori in un ambito altamente complesso, a causa della diversità diafasica intrinseca dei due codici. All’interno del medesimo capitolo apriremo una parentesi sulla specificità di una traduzione, quella di Giacomo Debenedetti, effettuata seguendo una personale esegesi dello stile musicale e armonico di Proust. Riserveremo al capitolo quarto lo studio del linguaggio figurato, soffermandoci sull’analisi delle espressioni idiomatiche, che vengono impiegate frequentemente da alcuni personaggi. Rivolgeremo uno sguardo d’insieme alle strategie messe in atto dai traduttori, per cercare un equivalente idiomatico o per ricreare il medesimo impatto nel lettore, qualora vi siano casi di anisomorfismo. Analizzeremo nel quinto capitolo la terminologia della moda, confrontando il lessico impiegato nel TP con le soluzioni adottate nei TA, e aprendo, inevitabilmente, una parentesi sulla terminologia storica del settore. A compimento del lavoro presenteremo la nostra proposta traduttiva di un capitolo tratto dal saggio Proust et le style di Jean Milly, per mettere in luce, tramite la sua parola autorevole, la genialità e la complessità della scrittura proustiana e, conseguentemente, il compito ardimentoso e ammirevole che è stato richiesto ai traduttori italiani.
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I Max Bill is an intense giornata of a big fresco. An analysis of the main social, artistic and cultural events throughout the twentieth century is needed in order to trace his career through his masterpieces and architectures. Some of the faces of this hypothetical mural painting are, among others, Le Corbusier, Walter Gropius, Ernesto Nathan Rogers, Kandinskij, Klee, Mondrian, Vatongerloo, Ignazio Silone, while the backcloth is given by artistic avant-gardes, Bauhaus, International Exhibitions, CIAM, war events, reconstruction, Milan Triennali, Venice Biennali, the School of Ulm. Architect, even though more known as painter, sculptor, designer and graphic artist, Max Bill attends the Bauhaus as a student in the years 1927-1929, and from this experience derives the main features of a rational, objective, constructive and non figurative art. His research is devoted to give his art a scientific methodology: each work proceeds from the analysis of a problem to the logical and always verifiable solution of the same problem. By means of composition elements (such as rhythm, seriality, theme and its variation, harmony and dissonance), he faces, with consistent results, themes apparently very distant from each other as the project for the H.f.G. or the design for a font. Mathematics are a constant reference frame as field of certainties, order, objectivity: ‘for Bill mathematics are never confined to a simple function: they represent a climate of spiritual certainties, and also the theme of non attempted in its purest state, objectivity of the sign and of the geometrical place, and at the same time restlessness of the infinity: Limited and Unlimited ’. In almost sixty years of activity, experiencing all artistic fields, Max Bill works, projects, designs, holds conferences and exhibitions in Europe, Asia and Americas, confronting himself with the most influencing personalities of the twentieth century. In such a vast scenery, the need to limit the investigation field combined with the necessity to address and analyse the unpublished and original aspect of Bill’s relations with Italy. The original contribution of the present research regards this particular ‘geographic delimitation’; in particular, beyond the deep cultural exchanges between Bill and a series of Milanese architects, most of all with Rogers, two main projects have been addressed: the realtà nuova at Milan Triennale in 1947, and the Contemporary Art Museum in Florence in 1980. It is important to note that these projects have not been previously investigated, and the former never appears in the sources either. These works, together with the most well-known ones, such as the projects for the VI and IX Triennale, and the Swiss pavilion for the Biennale, add important details to the reference frame of the relations which took place between Zurich and Milan. Most of the occasions for exchanges took part in between the Thirties and the Fifties, years during which Bill underwent a significant period of artistic growth. He meets the Swiss progressive architects and the Paris artists from the Abstraction-Création movement, enters the CIAM, collaborates with Le Corbusier to the third volume of his Complete Works, and in Milan he works and gets confronted with the events related to post-war reconstruction. In these years Bill defines his own working methodology, attaining an artistic maturity in his work. The present research investigates the mentioned time period, despite some necessary exceptions. II The official Max Bill bibliography is naturally wide, including spreading works along with ones more devoted to analytical investigation, mainly written in German and often translated into French and English (Max Bill himself published his works in three languages). Few works have been published in Italian and, excluding the catalogue of the Parma exhibition from 1977, they cannot be considered comprehensive. Many publications are exhibition catalogues, some of which include essays written by Max Bill himself, some others bring Bill’s comments in a educational-pedagogical approach, to accompany the observer towards a full understanding of the composition processes of his art works. Bill also left a great amount of theoretical speculations to encourage a critical reading of his works in the form of books edited or written by him, and essays published in ‘Werk’, magazine of the Swiss Werkbund, and other international reviews, among which Domus and Casabella. These three reviews have been important tools of analysis, since they include tracks of some of Max Bill’s architectural works. The architectural aspect is less investigated than the plastic and pictorial ones in all the main reference manuals on the subject: Benevolo, Tafuri and Dal Co, Frampton, Allenspach consider Max Bill as an artist proceeding in his work from Bauhaus in the Ulm experience . A first filing of his works was published in 2004 in the monographic issue of the Spanish magazine 2G, together with critical essays by Karin Gimmi, Stanislaus von Moos, Arthur Rüegg and Hans Frei, and in ‘Konkrete Architektur?’, again by Hans Frei. Moreover, the monographic essay on the Atelier Haus building by Arthur Rüegg from 1997, and the DPA 17 issue of the Catalonia Polytechnic with contributions of Carlos Martì, Bruno Reichlin and Ton Salvadò, the latter publication concentrating on a few Bill’s themes and architectures. An urge to studying and going in depth in Max Bill’s works was marked in 2008 by the centenary of his birth and by a recent rediscovery of Bill as initiator of the ‘minimalist’ tradition in Swiss architecture. Bill’s heirs are both very active in promoting exhibitions, researching and publishing. Jakob Bill, Max Bill’s son and painter himself, recently published a work on Bill’s experience in Bauhaus, and earlier on he had published an in-depth study on ‘Endless Ribbons’ sculptures. Angela Thomas Schmid, Bill’s wife and art historian, published in end 2008 the first volume of a biography on Max Bill and, together with the film maker Eric Schmid, produced a documentary film which was also presented at the last Locarno Film Festival. Both biography and documentary concentrate on Max Bill’s political involvement, from antifascism and 1968 protest movements to Bill experiences as Zurich Municipality councilman and member of the Swiss Confederation Parliament. In the present research, the bibliography includes also direct sources, such as interviews and original materials in the form of letters correspondence and graphic works together with related essays, kept in the max+binia+jakob bill stiftung archive in Zurich. III The results of the present research are organized into four main chapters, each of them subdivided into four parts. The first chapter concentrates on the research field, reasons, tools and methodologies employed, whereas the second one consists of a short biographical note organized by topics, introducing the subject of the research. The third chapter, which includes unpublished events, traces the historical and cultural frame with particular reference to the relations between Max Bill and the Italian scene, especially Milan and the architects Rogers and Baldessari around the Fifties, searching the themes and the keys for interpretation of Bill’s architectures and investigating the critical debate on the reviews and the plastic survey through sculpture. The fourth and last chapter examines four main architectures chosen on a geographical basis, all devoted to exhibition spaces, investigating Max Bill’s composition process related to the pictorial field. Paintings has surely been easier and faster to investigate and verify than the building field. A doctoral thesis discussed in Lausanne in 1977 investigating Max Bill’s plastic and pictorial works, provided a series of devices which were corrected and adapted for the definition of the interpretation grid for the composition structures of Bill’s main architectures. Four different tools are employed in the investigation of each work: a context analysis related to chapter three results; a specific theoretical essay by Max Bill briefly explaining his main theses, even though not directly linked to the very same work of art considered; the interpretation grid for the composition themes derived from a related pictorial work; the architecture drawing and digital three-dimensional model. The double analysis of the architectural and pictorial fields is functional to underlining the relation among the different elements of the composition process; the two fields, however, cannot be compared and they stay, in Max Bill’s works as in the present research, interdependent though self-sufficient. IV An important aspect of Max Bill production is self-referentiality: talking of Max Bill, also through Max Bill, as a need for coherence instead of a method limitation. Ernesto Nathan Rogers describes Bill as the last humanist, and his horizon is the known world but, as the ‘Concrete Art’ of which he is one of the main representatives, his production justifies itself: Max Bill not only found a method, but he autonomously re-wrote the ‘rules of the game’, derived timeless theoretical principles and verified them through a rich and interdisciplinary artistic production. The most recurrent words in the present research work are synthesis, unity, space and logic. These terms are part of Max Bill’s vocabulary and can be referred to his works. Similarly, graphic settings or analytical schemes in this research text referring to or commenting Bill’s architectural projects were drawn up keeping in mind the concise precision of his architectural design. As for Mies van der Rohe, it has been written that Max Bill took art to ‘zero degree’ reaching in this way a high complexity. His works are a synthesis of art: they conceptually encompass all previous and –considered their developments- most of contemporary pictures. Contents and message are generally explicitly declared in the title or in Bill’s essays on his artistic works and architectural projects: the beneficiary is invited to go through and re-build the process of synthesis generating the shape. In the course of the interview with the Milan artist Getulio Alviani, he tells how he would not write more than a page for an essay on Josef Albers: everything was already evident ‘on the surface’ and any additional sentence would be redundant. Two years after that interview, these pages attempt to decompose and single out the elements and processes connected with some of Max Bill’s works which, for their own origin, already contain all possible explanations and interpretations. The formal reduction in favour of contents maximization is, perhaps, Max Bill’s main lesson.
Resumo:
L’idea che il bogomilismo sia “in una qualche maniera” da riconnettere al manicheismo è di per sè molto antica. Fin da quando giunsero le prime voci su questa nuova eresia che si era diffusa in terra bulgara, i bogomili vennero etichettati come manichei. Non necessariamente però chi è più vicino ad un fenomeno, sia nello spazio sia nel tempo, vede meglio i suoi contorni, le sue implicazioni e la sua essenza. Altri campi di studio ci insegnano che la natura umana tende a inquadrare ciò che non è noto all’interno degli schemi del “già conosciuto”: è così che spesso nomi di popoli si fissano al territorio divenendo concetti geografici anche quando i popoli cambiano; non a caso tutta la regione che si estendeva ad est della Germania veniva definita Sarmazia ed i numerosi popoli che si muovevano al seguito ed agli ordini del gran qan venivano chiamati Tartari; analogamente in semantica possiamo assistere al posizionamento di etichette consolidate e particolari su “oggetti” che ne condividono tratti pur essendo sotto molti aspetti del tutto estranei a quella che si potrebbe definire la matrice: il terrorista islamico che si fa esplodere viene chiamato sui giornali kamikaze e non casualmente lo tsunami porta questo nome: l’onda anomala che può sconvolgere coste distanti migliaia di chilometri dall’epicentro di un terremoto sottomarino ricorda la più familiare onda di porto. Se il continuo riconnettere il bogomilismo al manicheismo delle fonti antiche rappresenta un indizio, ma non necessariamente una prova di certa connessione, la situazione si è notevolmente complicata nel corso del XX secolo. Dobbiamo al principe Obolensky l’introduzione del termine neomanicheismo per indicare le eresie di carattere dualistico sviluppatesi dal X secolo in avanti sul territorio europeo con particolare riferimento al bogomilismo. Il termine dal 1948 in avanti è stato ripetutamente utilizzato più o meno a proposito in svariati lavori a volte pubblicati in sedi editoriali d’eccellenza apparsi in Europa occidentale e nell’est europeo. Il problema principale resta definire il valore da attribuire al termine “neomanicheismo”: indica un forte dualismo religioso in generale, ben diffuso e studiato da tempo ad esempio nei lavori del Bianchi dedicati ai popoli siberiani e mongoli, oppure presuppone una reale catena di connessioni che ci conducono fino al manicheismo vero e proprio? A fronte di chi sostiene che il bogomilismo, così come l’eresia catara, può essere spiegato semplicemente come fenomeno interno al cristianesimo sulla base di un’interpretazione contrastante da quella ufficiale dei testi sacri vi è chi ritiene che sia stato un contatto diretto con gli ambienti manichei a generare le caratteristiche proprie del bogomilismo. Da qui nasce la parte più affascinante della ricerca che porta all’individuazione di possibili contatti attraverso gli spostamenti delle popolazioni, alla circolazione delle idee all’interno di quello che fu il commonwealth bizantino ed all’individuazione di quanto sia rimasto di tutto ciò all’interno della dottrina bogomila. Il lavoro è suddiviso in tre capitoli, preceduti dalla bibliografia e seguiti da un indice analitico dei nomi di persona e luogo. Il primo capitolo prende in esame le fonti sul bogomilismo, il tempo ed il luogo in cui si è manifestato e la sua evoluzione. Il secondo analizza la dottrina bogomila, i suoi possibili contatti con le dottrine iraniche ed i possibili canali di trasmissione delle idee. Il terzo capitolo è costituito da una serie di racconti popoloari bulgari di matrice dualistica e da testi antico slavi usati dai bogomili. La maggior parte di questi testi viene presentata per la prima volta qui in traduzione italiana.