102 resultados para TAC, Radon, ricostruzione, tomografia


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Il lavoro di ricerca prende le mosse da una premessa di ordine economico. Il fenomeno delle reti di impresa, infatti, nasce dalla realtà economica dei mercati. In tale contesto non può prescindere dal delineare un quadro della situazione- anche di crisi- congiunturale che ha visto coinvolte specialmente le imprese italiane. In tale prospettiva, si è reso necessario indagare il fenomeno della globalizzazione, con riferimento alle sue origini,caratteristiche e conseguenze. Ci si sofferma poi sulla ricostruzione dogmatica del fenomeno. Si parte dalla ricostruzione dello stesso in termini di contratto plurilaterale- sia esso con comunione di scopo oppure plurilaterale di scambio- per criticare tale impostazione, non del tutto soddisfacente, in quanto ritenuto remissiva di fronte alla attuale vis espansiva del contratto plurilaterale. Più convincente appare lo schema del collegamento contrattuale, che ha il pregio di preservare l’autonomia e l’indipendenza degli imprenditori aderenti, pur inseriti nel contesto di un’operazione economica unitaria, volta a perseguire uno scopo comune, l’“interesse di rete”, considerato meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico ex art. 1322 2.co. c.c. In effetti il contratto ben si presta a disegnare modelli di rete sia con distribuzione simmetrica del potere decisionale, sia con distribuzione asimmetrica, vale a dire con un elevato livello di gerarchia interna. Non può d’altra parte non ravvisarsi un’affinità con le ipotesi di collegamento contrattuale in fase di produzione, consistente nel delegare ad un terzo parte della produzione, e nella fase distributiva, per cui la distribuzione avviene attraverso reti di contratti. Si affronta la materia della responsabilità della rete, impostando il problema sotto due profili: la responsabilità interna ed esterna. La prima viene risolta sulla base dell’affidamento reciproco maturato da ogni imprenditore. La seconda viene distinta in responsabilità extracontrattuale, ricondotta nella fattispecie all’art. 2050 c.c., e contrattuale.

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L’elaborato, dopo una ricostruzione della disciplina normativa presente in materia di contratto a tempo determinato in Italia e nei principali ordinamenti europei (Spagna, Francia ed Inghilterra), affronta i più rilevanti nodi problematici dell’istituto, in riferimento al settore privato e pubblico, mettendo in luce le principali querelle dottrinali e giurisprudenziali. Particolare attenzione è dedicata alle questioni insorte a seguito delle ultime modifiche normative di cui al c.d. Collegato lavoro (legge n. 183/2010), sino al decisivo intervento della Corte Costituzionale, con pronuncia n. 303 del 9 novembre 2011, che ha dichiarato legittima la disposizione introduttiva dell’indennità risarcitoria forfetizzata, aggiuntiva rispetto alla conversione del contratto. Tutte le problematiche trattate hanno evidenziato le difficoltà per le Corti Superiori, così come per i giudici comunitari e nazionali, di trovare una linea univoca e condivisa nella risoluzione delle controversie presenti in materia. L’elaborato si chiude con alcune riflessioni sui temi della flessibilità e precarietà nel mondo del lavoro, attraverso una valutazione quantitativa e qualitativa dell’istituto, nell’intento di fornire una risposta ad alcuni interrogativi: la flessibilità è necessariamente precarietà o può essere letta quale forma speciale di occupazione? Quali sono i possibili antidoti alla precarietà? In conclusione, è emerso come la flessibilità possa rappresentare un problema per le imprese e per i lavoratori soltanto nel lungo periodo. La soluzione è stata individuata nell’opportunità di investire sulla formazione. Si è così ipotizzata una nuova «flessibilità socialmente ed economicamente sostenibile», da realizzarsi tramite l’ausilio delle Regioni e, quindi, dei contributi del Fondo europeo di sviluppo regionale: al lavoratore, in tal modo, potrà essere garantita la continuità con il lavoro tramite percorsi formativi mirati e, d’altro canto, il datore di lavoro non dovrà farsi carico dei costi per la formazione dei dipendenti a tempo determinato.

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L’acquifero freatico costiero ravennate è intensamente salinizzato fino a diversi km nell’entroterra. Il corpo dell’acquifero è formato da sabbie che poggiano su un substrato argilloso ad una profondità media di 25 m, i depositi affioranti sono sabbie e argille. Il lavoro svolto consiste in una caratterizzazione dello stato di salinizzazione con metodologie indirette (geoelettrica) e metodologie dirette (letture dei parametri fisici delle acque in pozzo). I sondaggi elettrici verticali (V.E.S.) mostrano stagionalità dovuta alle differenti quantità di pioggia e quindi di ricarica, le aree con depositi superficiali ad alta conducibilità idraulica (sabbie) hanno una lente d’acqua dolce compresa tra 0,1 e 2,25 m di spessore, al di sotto della quale troviamo una zona di mescolamento con spessori che vanno da 1,00 a 12,00 m, mentre quando in superficie abbiamo depositi a bassa conducibilità idraulica (limi sabbiosi e argille sabbiose) la lente d’acqua dolce scompare e la zona di mescolamento è sottile. Le misure dirette in pozzo mostrano una profondità della tavola d’acqua quasi ovunque sotto il livello del mare in entrambi i mesi monitorati, Giugno e Dicembre 2010, presentando una profondità leggermente maggiore nel mese di Dicembre. Dalla ricostruzione litologica risulta un acquifero composto da 4×109 m3 di sabbia, per cui ipotizzando una porosità media del 30% sono presenti 1,2×109 m3 di acqua. Dalla modellazione numerica (Modflow-SEAWAT 2000) risulta che l’origine dell’acqua salata che si trova in falda trova più facilmente spiegazione ipotizzando la sua presenza fin dalla formazione dell’acquifero, residuo delle acque marine che regredivano. Un’altra problematica analizzata è valutare l’applicazione della metodologia a minifiltri in uno studio sulla salinizzazione delle acque di falda. É stata implementata la costruzione di un transetto sperimentale, che ha permesso la mappatura dell’interfaccia acqua dolce/salmastra/salata con una precisione finora non raggiungibile.

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L’oggetto del lavoro si sostanzia nella verifica del grado di giustiziabilità che i diritti sociali ricevono nell’ordinamento dell’Unione europea. L’indagine si articola in tre capitoli. Il primo è dedicato ad una sintetica ricostruzione dei modelli di welfare state riconosciuti dagli ordinamenti dei diversi paesi membri dell’Unione attraverso cui, la candidata enuclea un insieme di diritti sociali che ricevono tutela in tutti gli ordinamenti nazionali. L’esposizione prosegue, con la ricostruzione dell’evoluzione dei Trattati istitutivi dell’Unione e l’inclusione della sfera sociale tra gli obiettivi di questa. In particolare, il secondo capitolo esamina la giurisprudenza della Corte di Giustizia in relazione alle materie sociali, nonché l’inclusione dei diritti sociali nel testo della Carta dei diritti fondamentali. L’analisi si sofferma sulle tecniche normative adottate nell’area della politica sociale, evidenziando la tendenza ad un approccio di tipo “soft” piuttosto che attraverso il classico metodo comunitario. Esaurita questa analisi il terzo capitolo analizza i rapporti tra il diritto dell’Ue e quello della CEDU in materia di diritti sociali, evidenziano il diverso approccio utilizzato dalle due istanze sovranazionali nella tutela di questi diritti. Sulla base del lavoro svolto si conclude per una sostanziale mancanza di giustiziabilità dei diritti sociali in ambito dell’Unione. In particolare i punti deboli dell’Europa sociale vengono individuati in: un approccio regolativo alla dimensione sociale di tipo sempre più soft; la permanenza di alcuni deficit di competenze; la mancata indicazione di criteri di bilanciamento tra diritti sociali e libertà economiche e dalla compresenza delle due nozioni di economia sociale e di economia di mercato. Le conclusioni mostrano come l’assenza di competenze esclusive dell’Unione in materia di politica sociale non consenta una uniformazione/armonizzazione delle politiche sociali interne, che si riflette nell’incapacità dei modelli sociali nazionali di assorbire i grandi mutamenti macro economici che si sono avuti negli ultimi vent’anni, sia a livello sovranazionale che internazionale.

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La ricerca si propone di inquisire il modo in cui il fantastico del primo Novecento utilizza la rappresentazione finzionale degli oggetti ai fini della propria emersione. Si ipotizza che certi schemi rappresentativi elaborati da autori fantastici come Hoffmann, Poe o Maupassant siano riscontrabili anche nella letteratura del XX secolo, e vengano reimpiegati per rispondere a una mutata situazione socioculturale. La tesi è bipartita: la prima parte, che è a sua volta suddivisa in due capitoli, funziona da cornice teorica e storica alle analisi testuali. Vi si discute del concetto di immagine; e da tale discussione viene derivata una precisa idea di spazio e di oggetto letterari. In seguito si procede a una ricostruzione della storia del fantastico ottocentesco (dalla quale non sono assenti riflessioni teoriche e in particolare genologiche), che da un lato è volta a storicizzare l’idea di “genere fantastico”; dall’altro ha come obiettivo l’identificazione di una tipologia di oggetti strutturalmente legata a quel genere narrativo. Due sono le classi di oggetti così individuate, e altrettanti i capitoli che compongono la seconda parte del lavoro. Entrambi i tipi di oggetto, che per semplicità si possono chiamare oggetti-feticcio e oggetti spettrali, stanno a metà strada tra immaginario e reale; ma mentre l’oggetto-feticcio ha qualcosa in più rispetto a un oggetto descritto realisticamente, l’oggetto spettrale ha un che di deficitario, e non giunge al risultato di una completa materializzazione. Tra gli autori affrontati compaiono Papini, Pirandello, Bontempelli, Savinio, Landolfi; né mancano riferimenti ad autori di altre nazioni da Kafka a Sartre, da James a Virginia Woolf, in ottemperanza all’idea di considerare il fantastico italiano all’interno di una più ampia geografia letteraria.

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Il dibattito sullo sviluppo delle culture dell’età del Bronzo nel territorio dell’Emilia-Romagna sta portando una rinnovata attenzione sull’area romagnola. Le indagini si sono concentrate sull’area compresa tra il fiume Panaro e il Mare Adriatico, riconoscibile nell’odierna Romagna ed in parte della bassa pianura emiliana. Si trattava un territorio strategico, un vero e proprio crocevia socio-economico fra la cultura terramaricola e quelle centro italiche di Grotta Nuova. La presente ricerca di dottorato ha portato alla ricostruzione dei sistemi di gestione e di sfruttamento delle risorse animali in Emilia-Romagna durante l’Età del Bronzo, con particolare attenzione alla definizione della capacità portante ambientale dei diversi territori indagati e delle loro modalità di sfruttamento in relazione alla razionalizzazione della pratiche di allevamento. Sono state studiate in dettaglio le filiere di trasformazione dei prodotti animali primari e secondari definendo, quindi, i caratteri delle paleoeconomie locali nel processo di evoluzione della Romagna durante l’età del Bronzo. La ricerca si è basata sullo studio archeozoologico completo su 13 siti recentemente indagati, distribuiti nelle provincie di: Bologna, Ferrara, Ravenna, Forlì/Cesena e Rimini, e su una revisione completa delle evidenze archeozoologiche prodotte da studi pregressi. Le analisi non si sono limitate al riconoscimento delle specie, ma hanno teso all’individuazione ed alla valutazione di parametri complessi per ricostruire le strategie di abbattimento e le tecniche di sfruttamento e macellazione dei diversi gruppi animali. E’ stato possibile, quindi, valutare il peso ecologico di mandrie e greggi sul territorio e l’impatto economico ed ecologico di un allevamento sempre più sistematico e razionale, sia dal punto di vista dell’organizzazione territoriale degli insediamenti, sia per quanto riguarda le ripercussioni sulla gestione delle risorse agricole ed ambientali in generale.

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La tesi di dottorato La committenza artistica dei Templari e degli Ospitalieri in Emilia Romagna cerca attraverso un approccio metodologico multidisciplinare di ricostruire il patrimonio artistico delle commende dei due ordini religioso cavallereschi in regione. La tesi è stata concepita per riflettere anche a livello strutturale la metodologia d’indagine, così un primo capitolo è dedicato all’analisi storica dei due ordini, con particolare attenzione alla comprensione del rapporto tra gli ordini e il mondo dell’arte. Una secondo capitolo invece è incentrato sulla storiografia artistica relativa e sulle impegnative indagini d’archivio, che, soprattutto attraverso l’utilizzo di una vasta documentazione inedita, hanno permesso di fornire nuovi elementi alla definizione della rete degli insediamenti e della loro decorazione. Lo studio prosegue con la specifica ricostruzione storica e storico artistica delle commende attraverso l’indagine sui singoli insediamenti, dove si è cercato di dar conto delle vicende artistiche e della storia dei suoi protagonisti. Contestualmente alla redazione di questo capitolo, riconoscendo la storia, il senso e l’importanza della scuola stilistico-filologica, si procede alla redazione delle schede di catalogo delle opere superstiti, sia di quelle ancora nelle ex-commende sia di quelle che oggi hanno altre collocazioni. Successivamente, senza necessariamente trarre conclusioni definitive su un lavoro di ricerca che per sua natura è in divenire, si argomentano alcune riflessioni sulla natura, i limiti, i caratteri e l’evoluzione della committenza dei due ordini cavallereschi in regione. Si è così riscoperto un patrimonio artistico vasto e articolato che coniuga capolavori con opere di cultura assai più corsiva, ma comunque sempre capace di raccontare la storia dei suoi artefici (alcuni - come Aristotele Fioravanti, Girolamo da Treviso, Pietro Bembo o Ranuccio Farnese - veri e propri protagonisti del loro tempo), in continuo e sostanziale dialogo con le culture artistiche che hanno attraversato la regione, e non solo, tra Medioevo e Modernità.

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Negli ultimi vent’anni sono state proposte al livello internazionale alcune analisi dei problemi per le scienze nella scuola e diverse strategie per l’innovazione didattica. Molte ricerche hanno fatto riferimento a una nuova nozione di literacy scientifica, quale sapere fondamentale dell’educazione, indipendente dalle scelte professionali successive alla scuola. L’ipotesi di partenza di questa ricerca sostiene che alcune di queste analisi e l’idea di una nuova literacy scientifica di tipo non-vocazionale mostrino notevoli limiti quando rapportate al contesto italiano. Le specificità di quest’ultimo sono state affrontate, innanzitutto, da un punto di vista comparativo, discutendo alcuni documenti internazionali sull’insegnamento delle scienze. Questo confronto ha messo in luce la difficoltà di ottenere un insieme di evidenze chiare e definitive sui problemi dell’educazione scientifica discussi da questi documenti, in particolare per quanto riguarda i dati sulla crisi delle vocazioni scientifiche e sull’attitudine degli studenti verso le scienze. Le raccomandazioni educative e alcuni progetti curricolari internazionali trovano degli ostacoli decisivi nella scuola superiore italiana anche a causa di specificità istituzionali, come particolari principi di selezione e l’articolazione dei vari indirizzi formativi. Il presente lavoro si è basato soprattutto su una ricostruzione storico-pedagogica del curricolo di fisica, attraverso l’analisi delle linee guida nazionali, dei programmi di studio e di alcuni rappresentativi manuali degli ultimi decenni. Questo esame del curricolo “programmato” ha messo in luce, primo, il carattere accademico della fisica liceale e la sua debole rielaborazione culturale e didattica, secondo, l’impatto di temi e problemi internazionali sui materiali didattici. Tale impatto ha prodotto dei cambiamenti sul piano delle finalità educative e degli strumenti di apprendimento incorporati nei manuali. Nonostante l’evoluzione di queste caratteristiche del curricolo, tuttavia, l’analisi delle conoscenze storico-filosofiche utilizzate dai manuali ha messo in luce la scarsa contestualizzazione culturale della fisica quale uno degli ostacoli principali per l’insegnamento di una scienza più rilevante e formativa.

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In Italia, il processo di de-istituzionalizzazione e di implementazione di modelli di assistenza per la salute mentale sono caratterizzati da carenza di valutazione. In particolare, non sono state intraprese iniziative per monitorare le attività relative all’assistenza dei pazienti con disturbi psichiatrici. Pertanto, l’obiettivo della tesi è effettuare una valutazione comparativa dei percorsi di cura nell’ambito della salute mentale nei Dipartimenti di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche della regione Emilia-Romagna utilizzando indicatori ottenuti dai flussi amministrativi correnti.. I dati necessari alla costruzione degli indicatori sono stati ottenuti attraverso un data linkage dei flussi amministrativi correnti regionali delle schede di dimissione ospedaliera, delle attività territoriali dei Centri di Salute Mentale e delle prescrizioni farmaceutiche, con riferimento all’anno 2010. Gli indicatori sono stati predisposti per tutti i pazienti con diagnosi principale psichiatrica e poi suddivisi per categoria diagnostica in base al ICD9-CM. . Il set di indicatori esaminato comprende i tassi di prevalenza trattata e di incidenza dei disturbi mentali, i tassi di ospedalizzazione, la ri-ospedalizzazione a 7 e 30 giorni dalla dimissione dai reparti psichiatrici, la continuità assistenziale ospedale-territorio, l’adesione ai trattamenti ed il consumo e appropriatezza prescrittiva di farmaci. Sono state rilevate alcune problematiche nella ricostruzione della continuità assistenziale ospedale-territorio ed alcuni limiti degli indicatori relativi alle prescrizioni dei farmaci. Il calcolo degli indicatori basato sui flussi amministrativi correnti si presenta fattibile, pur con i limiti legati alla qualità, completezza ed accuratezza dei dati presenti. L’implementazione di questi indicatori su larga scala (regionale e nazionale) e su base regolare può essere una opportunità per impostare un sistema di sorveglianza, monitoraggio e valutazione dell’assistenza psichiatrica nei DSM.

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Perfusion CT imaging of the liver has potential to improve evaluation of tumour angiogenesis. Quantitative parameters can be obtained applying mathematical models to Time Attenuation Curve (TAC). However, there are still some difficulties for an accurate quantification of perfusion parameters due, for example, to algorithms employed, to mathematical model, to patient’s weight and cardiac output and to the acquisition system. In this thesis, new parameters and alternative methodologies about liver perfusion CT are presented in order to investigate the cause of variability of this technique. Firstly analysis were made to assess the variability related to the mathematical model used to compute arterial Blood Flow (BFa) values. Results were obtained implementing algorithms based on “ maximum slope method” and “Dual input one compartment model” . Statistical analysis on simulated data demonstrated that the two methods are not interchangeable. Anyway slope method is always applicable in clinical context. Then variability related to TAC processing in the application of slope method is analyzed. Results compared with manual selection allow to identify the best automatic algorithm to compute BFa. The consistency of a Standardized Perfusion Index (SPV) was evaluated and a simplified calibration procedure was proposed. At the end the quantitative value of perfusion map was analyzed. ROI approach and map approach provide related values of BFa and this means that pixel by pixel algorithm give reliable quantitative results. Also in pixel by pixel approach slope method give better results. In conclusion the development of new automatic algorithms for a consistent computation of BFa and the analysis and definition of simplified technique to compute SPV parameter, represent an improvement in the field of liver perfusion CT analysis.

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1.Ricostruzione mandibolare La ricostruzione mandibolare è comunemente eseguita utilizzando un lembo libero perone. Il metodo convenzionale (indiretto) di Computer Aided Design e Computer Aided Manifacturing prevede il modellamento manuale preoperatorio di una placca di osteosintesi standard su un modello stereolitografico della mandibola. Un metodo innovativo CAD CAM diretto comprende 3 fasi: 1) pianificazione virtuale 2) computer aided design della dima di taglio mandibolari, della dima di taglio del perone e della placca di osteosintesi e 3) Computer Aided Manufacturing dei 3 dispositivi chirurgici personalizzati. 7 ricostruzioni mandibolari sono state effettuate con il metodo diretto. I risultati raggiunti e le modalità di pianificazione sono descritte e discusse. La progettazione assistita da computer e la tecnica di fabbricazione assistita da computer facilita un'accurata ricostruzione mandibolare ed apporta un miglioramento statisticamente significativo rispetto al metodo convenzionale. 2. Cavità orale e orofaringe Un metodo ricostruttivo standard per la cavità orale e l'orofaringe viene descritto. 163 pazienti affetti da cancro della cavità orale e dell'orofaringe, sono stati trattati dal 1992 al 2012 eseguendo un totale di 175 lembi liberi. La strategia chirurgica è descritta in termini di scelta del lembo, modellamento ed insetting. I modelli bidimensionali sono utilizzati per pianificare una ricostruzione tridimensionale con il miglior risultato funzionale ed estetico. I modelli, la scelta del lembo e l' insetting sono descritti per ogni regione. Complicazioni e risultati funzionali sono stati valutati sistematicamente. I risultati hanno mostrato un buon recupero funzionale con le tecniche ricostruttive descritte. Viene proposto un algoritmo ricostruttivo basato su template standard.

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La tesi indaga il significato del concetto di “preesistenze ambientali” nel pensiero teorico dell’architetto Ernesto Nathan Rogers. Il tema è scelto come punto di vista privilegiato per indagare il contributo di Rogers al dibattito sull’eredità del Movimento Moderno in un momento, il secondo dopoguerra, in cui si intensifica la necessità di soffermare l’attenzione delle riflessioni teoriche sulle relazioni tra ambiente e progetto. Il problema fu inteso come la ricerca di un linguaggio adeguato all’era macchinista e di un ordine formale per lo sviluppo urbano recente da costruire in funzione del suo rapporto con la città consolidata. Esso fu sviluppato, all’interno dell’opera teorica rogersiana, come riflessione sulla dialettica contrapposizione tra intuizione e trasmissione del sapere, contingenza e universalità. La tesi mostra le ricche connessioni culturali tramite cui tale dialettica è capace di animare un discorso unitario che va dall’insegnamento del Movimento Moderno alle ricerche tipologiche e urbane della cultura italiana degli anni Sessanta. Riportando il concetto di preesistenze ambientali alla sua accezione originale, da un lato attraverso la ricostruzione delle relazioni intellettuali instaurate da Rogers con il Movimento Moderno e i CIAM, dall’altro mediante l’approfondimento del progetto editoriale costruito durante la direzione della rivista “Casabella continuità”, la tesi intende conferire alla nozione il valore di un contributo importante alla teoria della progettazione architettonica urbana. Il concetto di preesistenze ambientali diventa così la chiave analitica per indagare, in particolare, l’influenza del dibattito dell’VIII CIAM su Il Cuore della città e della partecipazione di Rogers al lavoro di redazione dell’Estudio del Plan di Buenos Aires nel 1948-1949 nella maturazione del progetto editoriale di “Casabella continuità” (1954-1965) attraverso l’attribuzione di un preciso valore all’archetipo, alla fenomenologia e alla tradizione nella definizione del rapporto architettura e storia.

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Oggetto della ricerca è il museo Wilhelm Lehmbruck di Duisburg, un'opera dell'architetto Manfred Lehmbruck, progettata e realizzata tra il 1957 e il 1964. Questa architettura, che ospita la produzione artistica del noto scultore Wilhelm Lehmbruck, padre di Manfred, è tra i primi musei edificati ex novo nella Repubblica Federale Tedesca dopo la seconda guerra mondiale. Il mito di Wilhelm Lehmbruck, costruito negli anni per donare una identità culturale alla città industriale di Duisburg, si rinvigorì nel secondo dopoguerra in seno ad una più generale tendenza sorta nella Repubblica di Bonn verso la rivalutazione dell'arte moderna, dichiarata “degenerata” dal nazionalsocialismo. Ricollegarsi all'arte e all'architettura moderna degli anni venti era in quel momento funzionale al ridisegno di un volto nuovo e democratico del giovane stato tedesco, che cercava legittimazione proclamandosi erede della mitica e gloriosa Repubblica di Weimar. Dopo anni di dibattiti sulla ricostruzione, l'architettura del neues Bauen sembrava l'unico modo in cui la Repubblica Federale potesse presentarsi al mondo, anche se la realtà del paese era assai più complessa e svelava il “doppio volto” che connotò questo stato a partire dal 1945. Le numerose dicotomie che popolarono presto la tabula rasa nata dalle ceneri del conflitto (memoria/oblio, tradizione/modernità, continuità/discontinuità con il recente e infausto passato) trovano espressione nella storia e nella particolare architettura del museo di Duisburg, che può essere quindi interpretato come un'opera paradigmatica per comprendere la nuova identità della Repubblica Federale, un'identità che la rese capace di risorgere dopo l' “anno zero”, ricercando nel miracolo economico uno strumento di redenzione da un passato vergognoso, che doveva essere taciuto, dimenticato, lasciato alle spalle.

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Il presente lavoro di tesi ha riguardato una riformulazione teorica, una modellazione numerica e una serie di applicazioni della Generalized Beam Theory per lo studio dei profili in parete sottile con particolare riguardo ai profili in acciaio formati a freddo. In particolare, in questo lavoro è proposta una riscrittura della cinematica GBT che introduce in una forma originale la deformabilità a taglio della sezione. Tale formulazione consente di conservare il formato della GBT classica e introducendo uno spostamento di warping variabile lungo lo spessore della generica parete della sezione trasversale, garantisce perfetta coerenza tra la componente flessionale e tagliante della trave. E' mostrato, come tale riscrittura consente in maniera agevole di ricondursi alle teorie classiche di trave, anche deformabili a taglio. Inoltre, in tale contesto, è stata messa a punto una procedura di ricostruzione dello sforzo tridimensionale in grado ricostruire la parte reattiva delle componenti di tensioni dovuta al vincolamento interno proprio di un modello a cinematica ridotta. Sulla base di tali strumenti, è stato quindi proposto un approccio progettuale dedicato ai profili in classe 4, definito ESA (Embedded Stability Analysis), in grado di svolgere le verifiche coerentemente con quanto prescritto dalle normative vigenti. Viene infine presentata una procedura numerica per la progettazione di sistemi di copertura formati a freddo. Tale procedura permette di effettuare in pochi semplici passi il progetto dell'arcareccio e dei dettagli costruttivi relativi alla copertura.

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Oggetto della ricerca è la rilevanza nell’ambito del diritto penale del principio di precauzione. Quest’ultimo deve la sua diffusione e popolarità al fatto di presentarsi come criterio guida al problema del rischio e dell’incertezza. L’esigenza di adottare scelte normative in condizioni di incertezza scientifica è infatti oggi ineludibile. Si cercherà in primo luogo di circoscrivere l’oggetto dell’indagine analizzando il rilievo che il principio di precauzione ha a livello legislativo e giurisprudenziale. Quindi si analizzeranno le problematiche che il ricorso allo stesso suscita con riferimento alla struttura classica del reato e legate al contesto di incertezza nel quale viene invocato. Tali problematiche si riferiscono alla possibilità o meno di dare rilevanza al modello del reato di pericolo, alla ricostruzione del nesso causale e all’influenza che il principio di precauzione può determinare nell’accertamento dell’elemento soggettivo delle colpa. Si concluderà l’analisi analizzando le diverse posizioni assunte dalla dottrina italiana circa l’opportunità o meno dell’intervento penale in contesti di incertezza scientifica, individuando, in caso di risposta affermativa, le modalità di intervento.