57 resultados para Personale Pädagogik
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La formazione, in ambito sanitario, è considerata una grande leva di orientamento dei comportamenti, ma la metodologia tradizionale di formazione frontale non è la più efficace, in particolare nella formazione continua o “long-life education”. L’obiettivo primario della tesi è verificare se l’utilizzo della metodologia dello “studio di caso”, di norma utilizzata nella ricerca empirica, può favorire, nel personale sanitario, l’apprendimento di metodi e strumenti di tipo organizzativo-gestionale, partendo dalla descrizione di processi, decisioni, risultati conseguiti in contesti reali. Sono stati progettati e realizzati 4 studi di caso con metodologia descrittiva, tre nell’Azienda USL di Piacenza e uno nell’Azienda USL di Bologna, con oggetti di studio differenti: la continuità di cura in una coorte di pazienti con stroke e l’utilizzo di strumenti di monitoraggio delle condizioni di autonomia; l’adozione di un approccio “patient-centred” nella presa in carico domiciliare di una persona con BPCO e il suo caregiver; la percezione che caregiver e Medici di Medicina Generale o altri professionisti hanno della rete aziendale Demenze e Alzheimer; la ricaduta della formazione di Pediatri di Libera Scelta sull’attività clinica. I casi di studio sono stati corredati da note di indirizzo per i docenti e sono stati sottoposti a quattro referee per la valutazione dei contenuti e della metodologia. Il secondo caso è stato somministrato a 130 professionisti sanitari all’interno di percorso di valutazione delle competenze e dei potenziali realizzato nell’AUSL di Bologna. I referee hanno commentato i casi e gli strumenti di lettura organizzativa, sottolineando la fruibilità, approvando la metodologia utilizzata, la coniugazione tra ambiti clinico-assistenziali e organizzativi, e le teaching note. Alla fine di ogni caso è presente la valutazione di ogni referee.
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L’elaborato costituisce la fase di approfondimento conclusivo del lavoro scientifico svolto negli anni precedenti. In quest’ottica, a circa tre anni dalla sua entrata in vigore, esso risulta prevalentemente incentrato sull’analisi delle principali innovazioni imposte dalla legge 30 dicembre 2010, n . 240, recante "Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario", nel tentativo di individuare quali soluzioni ,più o meno differenziate in base alle specificità delle diverse realtà, gli atenei italiani abbiano prefigurato mediante la revisione dei propri statuti, organi e strutture, al fine di rispettare ed attuare il dettato legislativo e non comprimere i propri spazi di autonomia. Contemporaneamente, esso approfondisce l’orientamento della giurisprudenza amministrativa in materia, la quale proprio nel corso di quest’anno ha avuto più di un’occasione di pronunciarsi in merito, per effetto dell’impugnazione ministeriale di molti dei nuovi statuti di autonomia. Infine, non viene tralasciata l’analisi dei profili e aspetti del sistema universitario italiano non intaccati dal cambiamento, ai fini del loro coordinamento con quelli riformati, cercando di percorrere parallelamente più strade: dalla ricognizione e lo studio dei più autorevoli contributi che la dottrina ha recentemente elaborato in materia, all’inquadramento delle scelte effettuate in sede di attuazione dai singoli atenei, anche alla luce dei decreti applicativi emanati. Il tutto al fine di individuare, anche grazie a studi di tipo comparato, con particolare riferimento all’ordinamento spagnolo, nuove soluzioni per il sistema universitario che, senza la pretesa di giungere a percorsi di cambiamento validamente applicabili per tutti gli atenei, possano risultare utili alla definizione di principi e modelli base, nel pieno rispetto del dettato costituzionale e dei parametri individuati a livello europeo con il processo di Bologna e la strategia di Lisbona.
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Il presente lavoro ha ad oggetto l’esame della disciplina dell’arresto in flagranza e del fermo di indiziato di delitto: istituti profondamente “utili” e “d’impatto” (anche mass-mediatico) perché ontologicamente tesi, soprattutto il primo, all’immediata repressione del fenomeno criminale. Scopo e ragione di questo studio, è dunque l’individuazione di altre e più profonde finalità di tali istituti, passando per una piena comprensione del ruolo loro assegnato nel vigente impianto codicistico. La ricerca, dunque, si è sviluppata lungo tre direttrici, ciascuna rappresentata – anche dal punto di vista grafico-strutturale – nelle tre parti cin cui è diviso l’elaborato finale e ciascuna singolarmente riferibile, in un’immaginaria linea del tempo, allo ieri (e ai principi), all’oggi e al domani della disciplina delle misure coercitive di polizia giudiziaria. Nella prima parte, infatti, partendo dall’analisi storica degli istituti in esame, si è proceduto all’esame della disciplina e della giurisprudenza costituzionale in tema di strumenti di polizia giudiziari provvisoriamente limitativi della libertà personale; l’obiettivo primo di tale approfondimento, cui poi sarà informato l’analisi della dinamica degli istituti, è proprio l’individuazione delle finalità – conformi a Costituzione – dell’arresto e del fermo di indiziato di delitto. Seguirà l’analisi del concetto di libertà personale, e dei margini consentiti per la sua limitazione, in seno al sistema della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. La seconda parte contiene un’analisi critica degli istituti dell’arresto in flagranza, del fermo di indiziato di delitto e dell’arresto urgente a fini estradizionale. Infine, la terza e ultima parte ha ad oggetto l’ulteriore di linea di ricerca che si è sviluppata a mo’ di conclusione delle predette analisi, riguardante la possibilità di utilizzare lo strumento del fermo, ampliandone le maglie applicative, come viatico per l’introduzione del contraddittorio anticipato rispetto all’applicazione delle misure cautelari personali
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This work seeks to understand what kind of impact educational policies have had on the secondary school students among internally displaced persons (IDPs) and their identity reconstruction in Georgia. The study offers a snapshot of the current situation based on desk study and interviews conducted among a sample of secondary school IDP pupils. In the final chapter, the findings will be reflected against the broader political context in Georgia and beyond. The study is interdisciplinary and its methodology is based on social identity theory. I shall compare two groups of IDPs who were displaced as a result of two separate conflicts. The IDPs displaced as a result of conflict in Abkhazia in 1992–1994 are named as old caseload IDPs. The second group of IDPs were displaced after a conflict in South Ossetia in 2008. Additionally, I shall touch upon the situation of the pupils among the returnees, a group of Georgian old caseload IDPs, who have spontaneously returned to de facto Abkhazia. According to the interviews, the secondary school student IDPs identify themselves strongly with the Georgian state, but their group identities are less prevailing. Particularly the old case load IDP students are fully integrated in local communities. Moreover, there seems not to be any tangible bond between the old and new caseload IDP students. The schools have neither tried nor managed to preserve IDP identities which would, for instance, make political mobilisation likely along these lines. Right to education is a human right enshrined in a number of international conventions to which the IDPs are also entitled. Access to education or its denial has a deep impact on individual and societal development. Furthermore, education has a major role in (re)constructing personal as well as national identity.
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L’elaborato propone una riflessione rispetto all’atto giuridico del consenso informato quale strumento garante dell’esercizio del diritto alla salute per i migranti. Attraverso una riflessione antropologica rispetto alla natura, alla costruzione e alla logica dei diritti universali, verranno analizzate le normative nazionali, europee ed internazionali a tutela del diritto alla salute per i migranti; l’obiettivo della ricerca è indagare l’eventuale scarto tra normative e politiche garantiste nei confronti della salute migrante e l’esistenza di barriere strutturali che impediscono un pieno esercizio del diritto alla salute. L’ipotesi di ricerca si basa sulla reale capacità performativa del consenso informato, proposto solitamente sia come strumento volto ad assicurare la piena professionalità dell’operatore sanitario nell’informare il paziente circa i rischi e i benefici di un determinato trattamento sanitario, sia come garante del principio di autonomia. La ricerca, attraverso un’analisi quanti-qualitativa, ha interrogato il proprio campo, rappresentato da un reparto di ginecologia ed ostetrica, rispetto alle modalità pratiche di porre in essere la firma nei moduli del consenso informato, con particolare attenzione alle specificità proprie delle pazienti migranti. Attraverso l’osservazione partecipante è stato quindi possibile riflettere su aspetti rilevanti, quali le dinamiche quotidiane che vengono a crearsi tra personale sanitario e pazienti, le caratteristiche e i limiti del servizio di mediazione sanitaria, le azioni pratiche della medicina difensiva. In questo senso il tema del “consenso informato”, indagato facendo interagire discipline quali l’antropologia, la bioetica, la filosofia e la sociologia, si è posto sia come lente di lettura privilegiata per comprendere le dinamiche relazionali ad oggi esistenti tra professionisti sanitari e popolazione migrante, ancora vittima di diseguaglianze strutturali, ma altresì come “innesco potenziale” di nuove modalità di intendere la relazione medico-paziente.
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Basata sul reperimento di un’ampia mole di testi giornalistici (come cronache, interviste, elzeviri e articoli di “Terza”) dedicati alle pratiche coreiche e pubblicati in Italia nel corso del ventennio fascista, la tesi ricostruisce i lineamenti di quello che, seppure ancora embrionale e certo non specialistico, si può comunque ritenere una sorta di “pensiero italiano” sulla danza del Primo Novecento. A partire dalla ricognizione sistematica di numerose testate quotidiane e periodiche e, pertanto, dalla costruzione di un nutrito corpus di fonti primarie, si è proceduto all’analisi dei testi reperiti attraverso un approccio metodologico che, fondamentalmente storiografico, accoglie tuttavia alcuni rudimenti interpretativi elaborati in ambito semiotico (con particolare riferimento alle teorizzazioni di Jurij Lotman e Umberto Eco), il tutto al fine di cogliere, pur nell’estrema varietà formale e contenutistica offerta dal materiale documentario, alcune dinamiche culturali di fondo attraverso le quali disegnare, da un lato, il panorama delle tipologie di danza effettivamente praticate sulle scene italiane del Ventennio,e, dall’altro, quello dell’insieme di pensieri, opinioni e gusti orbitanti attorno ad esse Ne è scaturita una trattazione fondamentalmente tripartita in cui, dopo la messa in campo delle questioni metodologiche, si passa dapprima attraverso l’indagine dei tre principali generi di danza che, nella stampa del periodo fascista, si ritenevano caratteristici della scena coreica internazionale – qui definiti nei termini di “ballo teatrale”, “ballo russo” e “danze libere” – e, successivamente, si presenta un approfondimento su tre singolari figure di intellettuali che, ognuno con un’attitudine estremamente personale, hanno dedicato alla danza un’attenzione speciale: Anton Giulio Bragaglia, Paolo Fabbri e Marco Ramperti. Un’ampia antologia critica completa il lavoro ripercorrendone gli snodi principali.
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La prima parte del nostro studio riguarda la tecnica LAMP (Loop-mediated isothermal amplification), una tecnica di amplificazione isotermica recentemente inventata (Notomi et al., 2000). Essa presenta notevoli vantaggi rispetto alle tradizionali PCR: non necessita di strumentazioni sofisticate come i termociclatori, può essere eseguita da personale non specializzato, è una tecnica altamente sensibile e specifica ed è molto tollerante agli inibitori. Tutte queste caratteristiche fanno sì che essa possa essere utilizzata al di fuori dei laboratori diagnostici, come POCT (Point of care testing), con il vantaggio di non dover gestire la spedizione del campione e di avere in tempi molto brevi risultati paragonabili a quelli ottenuti con la tradizionale PCR. Sono state prese in considerazione malattie infettive sostenute da batteri che richiedono tempi molto lunghi per la coltivazione o che non sono addirittura coltivabili. Sono stati disegnati dei saggi per la diagnosi di patologie virali che necessitano di diagnosi tempestiva. Altri test messi a punto riguardano malattie genetiche del cane e due batteri d’interesse agro-alimentare. Tutte le prove sono state condotte con tecnica real-time per diminuire il rischio di cross-contaminazione pur riuscendo a comprendere in maniera approfondita l’andamento delle reazioni. Infine è stato messo a punto un metodo di visualizzazione colorimetrico utilizzabile con tutti i saggi messi a punto, che svincola completamente la reazione LAMP dall’esecuzione in un laboratorio specializzato. Il secondo capitolo riguarda lo studio dal punto di vista molecolare di un soggetto che presenza totale assenza di attività mieloperossidasica all’analisi di citochimica automatica (ADVIA® 2120 Hematology System). Lo studio è stato condotto attraverso amplificazione e confronto dei prodotti di PCR ottenuti sul soggetto patologico e su due soggetti con fenotipo wild-type. Si è poi provveduto al sequenziamento dei prodotti di PCR su sequenziatore automatico al fine di ricercare la mutazione responsabile della carenza di MPO nel soggetto indicato.
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La ricerca sulla comunicazione e gestione multilingue della conoscenza in azienda si è sinora concentrata sulle multinazionali o PMI in fase di globalizzazione. La presente ricerca riguarda invece le PMI in zone storicamente multilingui al fine di studiare se l’abitudine all’uso di lingue diverse sul mercato locale possa rappresentare un vantaggio competitivo. La tesi illustra una ricerca multimetodo condotta nel 2012-2013 in Alto Adige/Südtirol. Il dataset consiste in 443 risposte valide a un questionario online e 23 interviste con manager e imprenditori locali. Le domande miravano a capire come le aziende altoatesine affrontino la sfida del multilinguismo, con particolare attenzione ai seguenti ambiti: comunicazione multilingue, documentazione, traduzione e terminologia. I risultati delineano un quadro generale delle strategie di multilinguismo applicate in Alto Adige, sottolineandone punti di forza e punti deboli. Nonostante la presenza di personale multilingue infatti il potenziale vantaggio competitivo che ne deriva non è sfruttato appieno: le aziende si rivolgono ai mercati in cui si parla la loro stessa lingua (le imprese a conduzione italiana al mercato nazionale, quelle di lingua tedesca ad Austria e Germania). La comunicazione interna è multilingue solo nei casi in sia imprescindibile. Le “traduzioni fai-da-te” offrono l’illusione di gestire lingue diverse, ma il livello qualitativo rimane limitato. I testi sono sovente tradotti da personale interno privo di competenze specifiche. Anche nella cooperazione con i traduttori esterni si evidenza la mancata capacità di ottenere il massimo profitto dagli investimenti. La tesi propone delle raccomandazioni pratiche volte a ottimizzare i processi attuali e massimizzare la resa delle risorse disponibili per superare la sfida della gestione e comunicazione multilingue. Le raccomandazioni non richiedono investimenti economici di rilievo e sono facilmente trasferibili anche ad altre regioni multilingui/di confine, come ad altre PMI che impiegano personale plurilingue. Possono dunque risultare utili per un elevato numero di imprese.
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Questa tesi di dottorato “Ad summum bonum iter. Revisione testuale e commento di Seneca, Epistulae morales ad Lucilium XLVIII, CXI” (relatore Prof. F. Citti), si propone di fornire un commento scientifico al testo latino di alcune Epistulae morales ad Lucilium (48 e 111), corredato da traduzione, note esegetiche di carattere lessicale, stilistico-retorico e storico-letterario e discussione delle principali problematiche testuali (testo di riferimento l'edizione critica di Reynolds, Oxonii 1965). Scopo della ricerca è approfondire e completare lo studio delle lettere 48 e 111 del carteggio, esaminato solo episodicamente e non sistematicamente, soffermandosi sugli aspetti filosofici salienti e sui motivi conduttori più significativi, come la critica senecana alla nimia subtilitas (tema presente soprattutto nelle cosiddette epistole dialettiche, connesse alle diverse forme di sillogismi e alle modalità di contestazione degli stessi), con particolare riferimento alle ambiguità derivanti dall'uso di termini in senso proprio e metalinguistico riflessivo e non riflessivo; la ricerca si sofferma inoltre sul linguaggio colloquiale, vicino a quello della commedia e della satira, utilizzato da Seneca per ridicolizzare i sillogismi stoici; sul tema dell'amicizia; sull'uso di citazioni e/o allusioni poetiche (virgiliana e non virgiliana), decontestualizzate e risemantizzate in funzione educativa e psicagogica, piegate ad esprimere il personale messaggio etico; sull'uso del lessico specialistico, proveniente da diversi ambiti semantici (giuridico, economico, militare, medico), applicato da Seneca alla parenesi filosofica e, soprattutto, sul rapporto tra lessico filosofico latino e modelli greci. Infine, oltre ad approfondire il motivo delle egestas temporis e i riferimenti diatribici contenuti nelle epistole, sono stati individuati e approfonditi alcuni topoi presenti.
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The idea of the tragic is unthinkable. It is precisely within the moment in which an ordinary human being, a heroine or a hero – incapable of scrutinizing fully their own position within the whole – is invited to respond, to accept or refuse it all, that the tragic unfolds, changing their life irremediably. What are the causes and the consequences of "god’s arrival", as in case of Dionysus who visits Pentheus’ home in Euripides’ "The Bacchae"? Through episodes in the stories of characters from Ancient Greek dramas – such as Oedipus, Antigone, Ajax, Io, through Dostoevsky’s or Kafka’s imagery, in Prince Myshkin’s, the Ridiculous Man’s or Gregor Samsa’s experiences, this doctoral research proposes to examine the aspects which compete in the creation of a tragic hero. Theatrical performances – such as Jan Fabre’s "Mount Olympus: To Glorify the Cult of Tragedy, a 24-Hour Performance", immersed in a cycle of life, death and re-birth; Oliver Frljić’s "Trilogija o hrvatskom fašizmu", in its careful analysis of the wounds of a heritage of war; and Cristian Ceresoli’s and Silvia Gallerano’s tragic testimony of an estranged, almost soulless body in "La Merda" – open up the dialogue on our contemporary idea of the tragic. This doctoral work chooses excess as its privileged channel through which to approach the concept of the tragic – by its nature elusive, hostile to any definition, strictly personal and, thus, visible only through one’s own lens. In an excess of pain, devotion, desire, rage, arrogance or beauty, opposites collide, time concentrates into a moment and the hero is invited to choose, to live or die, to transform.
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L’insorgere della pandemia da COVID-19 ha comportato una pesante riorganizzazione delle strutture ospedaliere e lo stesso sistema delle cure oncologiche è stato ripensato cercando di garantire, da un lato, la sicurezza dei pazienti e del personale sanitario e, dall’altro, la continuità delle cure. Il progetto analizza l’impatto di questa riorganizzazione sulle traiettorie di malattia dei pazienti oncologici e sul lavoro di cura dei diversi attori coinvolti nella definizione di queste traiettorie. La ricerca, focalizzata sul contesto ospedaliero emiliano-romagnolo, si è svolta tramite la realizzazione di interviste qualitative a personale sanitario ospedaliero, associazioni di volontariato, pazienti e caregiver. La gestione del rischio Covid ha comportato un consistente impegno in termini di safety work da parte del personale sanitario. Inoltre, le limitazioni degli accessi agli ambienti ospedalieri, imposte come misure di sicurezza, hanno comportato l’esclusione di familiari e associazioni di volontariato dagli ospedali e, di conseguenza, una maggiore solitudine del paziente in tutte le fasi del percorso di cura. L’assistenza fornita da queste figure ricomprende una componente di “lavoro invisibile” che la situazione pandemica ha permesso di far emergere. Infatti, i familiari supportano indirettamente e informalmente il lavoro del personale sanitario all’interno dello stesso ambiente ospedaliero. I professionisti intervistati hanno riconosciuto il venir meno di questo supporto. La risposta del personale ospedaliero, e infermieristico in particolare, si è articolata in due direzioni al fine di sopperire a queste mancanze: da un lato, incrementando la componente di sentimental work, e quindi di supporto emotivo ai pazienti; dall’altro, attraverso buone pratiche orientate a rispondere ai bisogni dei pazienti, intesi non solo in senso biomedico, ma anche psicologico e relazionale. Possiamo quindi concludere che, sotto certi aspetti, la pandemia è stata contrastata con una maggiore umanizzazione delle cure oncologiche e una maggiore attenzione ai bisogni dei pazienti intesi nella loro interezza e complessità.
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Cresciuto in una delle botteghe artistiche più prolifiche e illustri della Bologna di metà Seicento, Benedetto Gennari riuscì a distinguersi più degli altri collaboratori del Guercino per una brillante carriera all’estero internazionale che lo portò prima in Francia e poi in Inghilterra, dove seppe ritagliarsi uno spazio di rilievo tra i ranghi della corte, ottenendo finanche la nomina di primo pittore di Giacomo II Stuart. Partendo dall’analisi dei suoi Memoriali, dalla loro natura e dalle ragioni della loro compilazione, il presente studio intende indagare e restituire il profilo dell’artista. Attraverso l’analisi critica della documentazione autografa, di testimonianze edite e inedite e di informazione sui suoi guadagni e sul metodo di lavoro, il lavoro traccia le tappe della lunga attività del pittore, contraddistinta da commissioni di rilievo per importanti mecenati e collezionisti italiani e stranieri. Ben lontano dall’essere un semplice imitatore di provincia, Benedetto divenne un artista di corte, maturando un linguaggio raffinato e a tratti irriverente, che si configura come una personale variante del classicismo bolognese. Su questi aspetti fa luce l’apparato catalografico in cui trovano posto anche opere inedite, riletture iconografiche di quadri noti e indagini tecnico-diagnostiche effettuate, su due dipinti significativi, dal Laboratorio Diagnostico per i Beni Culturali del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Bologna al fine di documentare la tecnica pittorica dell’artista dopo il suo trasferimento all’estero.